La passione di Giada
Seduta in quella terrazza che dava sul mare, non avevo occhi
che per l’uomo di fronte a me.
Persino il frizzante vino bianco, che avevo già bevuto a
sazietà quella sera, riusciva a farmi perdere il senso della mia strabiliante fortuna.
Marcos sorrideva succhiando un ostrica con fare sensuale. Era
eccitante, anche se aveva quindici anni in più di me. Accavallai le gambe,
guardandolo negli occhi e sollevando leggermente gli angoli della mia bocca.
Sapevo che effetto dovevo fargli. Oh, ero pienamente consapevole di essere
bella.
Dopotutto era stata la mia bellezza che mi aveva portata li,
in quel ristorante mozzafiato a picco sul mare, in uno dei posti più “in” della
Riviera Romagnola assieme ad un uomo estremamente ricco. Inutile sottolineare
che di Marcos mi aveva colpito prima la sua munificenza e poi il suo aspetto.
Non che fosse poco attraente, affatto, il suo era fisico alto e prestante allo
stesso tempo. Il suo viso però era segnato da rughe dovute agli intensi anni
lavorativi fatti prima di giungere alla posizione economica agognata. Adesso,
dopo così tanto tempo nel settore dell’intrattenimento e della ristorazione,
Marcos era l’uomo più ricco della riviera. Ed era già perdutamente infatuato di
me.
Ventotto anni e un lavoro precario mi avevano resa priva di
scrupoli rispetto a qualche anno prima. Avevo scoperto di recente che la
bellezza poteva essere un arma potente se usata nella maniera corretta e se
avessi abbandonato tutti i miei tabù adolescenziali.
Scossi la testa ed evitai di rimuginare su questi aspetti
della mia nuova vita. Tutto quello che desideravo adesso era avere la pancia
piena e il portafoglio altrettanto gonfio.
Lanciai un sorriso smagliante a Marcos. So cosa si aspettava
dopo tutta questa serata in pompa magna. Ed io ero pronta e consapevole.
Allungai una mano affusolata verso la sua, grande e forte e
mi guardai per un attimo intorno. Il ristorante era stupendo ed io ero seduta
insieme al proprietario. La brezza marina soffiava leggera procurandomi ogni tanto
dei brividi di freddo. Il mare, nero di sera, incuteva tranquillità e timore al
contempo. Seppure la terrazza fosse quasi al completo, l’atmosfera era soft e
silenziosa.
Fui distratta dal cameriere vestito di bianco che stava
accompagnando a un tavolo due nuovi avventori. “Una coppia” notai con
noncuranza. Si accomodarono di fianco a noi, a ridosso della ringhiera che
percorreva tutta la terrazza.
Gettai uno sguardo fuggevole ai due, la donna, una ragazza
sicuramente più giovane di me, era del tutto scialba. Alzai un sopraciglio per
il diniego. Capelli piatti di colore castano spento tagliati corti alle spalle
e viso privo di alcuna attrattiva. Occhi marroni, naso breve e bocca sottile.
Abito grigio su un corpo magro ma anonimo e ciabatte infradito nei piedi. Il
tutto completato da uno sguardo ingenuo e timido da brava ragazza.
Arricciai il labbro e scossi la testa mentre un altro
cameriere ci faceva trovare di fronte una seconda portata di pesce, branzino al
vapore.
Marcos mi sorrise, stringendomi per un istante ma con vigore
la mano. Io fui costretta a terminare la mia analisi ai nuovi arrivati per
rispondere al mio compagno. Mi ravvivai i capelli con un movimento studiato e i
miei bracciali tintinnarono fra loro. Poi non riuscii a non gettare un ulteriore
occhiata alla coppia. Se lei era così scialba lui doveva essere altrettanto
insignificante.
Lo guardai e le mie palpebre sbatterono più volte.
Era più affascinante che bello, nel senso canonico del
termine, ma la sua immagine mi catturò per un istante di troppo. I capelli,
biondo miele, ricadevano corti e arricciati sulla fronte bianca terminante in
un paio di freddi occhi color mare. Il naso era tondeggiante e piccolo e la
bocca fantastica. Di un naturale color magenta, piena e sensuale. Stava ridendo
a qualcosa che la ragazza sciatta gli aveva appena detto. La risata era roca ma
lo era ancora di più la sua voce quando rispose. Una voce che sapeva gettare
brividi sconosciuti. Seducente, accattivante. Riconobbi di essermi fermata per
troppi momenti ad osservare quel giovane uomo e che la mia bocca era rimasta
spalancata.
― Giada? ―. Mi sentii chiamare e mi riscossi,
voltandomi nuovamente verso Marcos.
― Tutto bene piccola? Non ti piace il branzino?
―.
Lo guardai, stralunata, cercando di ritornare in me. Quel
ragazzo mi aveva fatto davvero uno strana impressione senza neppure accorgersi
della mia presenza. Anzi, sembrava totalmente concentrato sulla pallida e
insulsa ragazza. Bevvi un sorso di vino per riprendermi dallo shock.
Mi chiesi come fosse possibile che uomini tanto affascinanti
si facessero coinvolgere da sciacquette ingenue. Non mi sarei sorpresa se la
sciatta fosse stata addirittura vergine visto l’espressione che si ritrovava.
Bevvi un sorso di vino e decisi di non voltarmi più verso la
strana coppia. Chiacchierai affabilmente con Marcos come mi ero imposta di fare
fin dall’inizio della serata. Dovevo essere sexy, attraente e un po’ misteriosa
se pensavo di conquistarlo sul serio.
Verso la fine della cena mi scusai e mi alzai per andare alla
toilette. Con un movimento aggraziato mi sistemai il tubino color smeraldo e
gettai un ulteriore luminoso sorriso a Marcos. Lui mi guardò il sedere senza
darsi la pena che questo non si notasse. Dopotutto il locale era il suo.
Scesi dalla terrazza e passai dentro al ristorante per
dirigermi alla toilette al piano terra. Entrai e mi guardai allo specchio. I
miei capelli scuri ricadevano lisci ma vaporosi fino a metà schiena e la mia
pelle abbronzata faceva risaltare i miei denti bianchi. Controllai che l’eye liner nero non fosse colato
attorno agli occhi scuri da cerbiatta che mi ritrovavo. Mi lisciai il vestito
che ricadeva alla perfezione sul mio fisico magro e slanciato.
“Sono bella”, pensai. Mi persi per un attimo a parlare a me
stessa tramite lo specchio finché mi accorsi che la porta del bagno si stava
aprendo. Ne entrò un uomo, ma non un uomo qualsiasi, quell’uomo. Il
biondo che accompagnava la ragazza sciatta. Fissai il suo riflesso nello
specchio e non potei evitare di sorridergli quasi timidamente dallo specchio.
Lui rispose con un lieve sollevarsi di labbra e quasi non mi notò, chiudendosi
la porta del gabinetto dietro di sé.
Fissai la sua immagine svanita. “Davvero sono così
invisibile? Davvero non prova una punta di rammarico per il fatto di essere
accompagnato da una inutile ragazzina quando esistono donne come me?” pensai,
infastidita.
Poi scrollai il capo, tutto quello era assurdo. Io avevo
Marcos, cosa poteva importarmi di quel tipo dalla voce roca?
Dopo meno di un minuto l’uomo uscì dal bagno e io, che stavo
in quel momento per andarmene e allo stesso tempo controllando il mio
cellulare, gli sbattei contro.
― Oh mi scusi… ―,
esclamai imbarazzata. Il mio cellulare era caduto per terra e si era aperto.
Lui scosse la testa; ― Io mi dovrei scusare con lei,
guardi il suo telefono ―.
Si chinò a terra per raccogliere i pezzi, la camicia bianca
si rialzò sulla schiena rivelando un pezzo di carne bianca. Un brivido al basso
ventre mi colse impreparata. Raccolse i pezzi del mio cellulare e me li porse,
tenendo la mano aperta.
― Non è rotto, è solo uscita la batteria per fortuna
―.
Io fissavo il suo viso chinato a studiare il mio cellulare,
incapace di parlare. Pensai di essere vittima di un sciocco e fastidioso
incantesimo. Lui alzò il capo e mi guardò. Per un breve istante sembrò rendersi
conto del mio aspetto perché notai una punta di sorpresa nei suoi occhi ma
svanì all’istante. Io invece mi accorsi di essere torturata dalla sua voce
sensuale e dalla sua bocca rossa.
Oh, la volevo, la volevo su di me.
― Grazie ―, balbettai come una ragazzina sciocca.
Presi il telefono dalle sue mani e lo sfiorai. Il mio cuore iniziò a battere
come un tamburo. Era un secolo che non mi succedeva.
Ma poi lui con un sorriso distratto uscì dal bagno e tutto si
fermò.
Appoggiai una mano al bancone del lavandino per cercare di
calmarmi. Tutto questo non era reale. Respirai forte e mi ricomposi, pensando
al mio obiettivo: Marcos.
Il resto erano solo fantasticherie da Cenerentola d’altri
tempi.
Quando tornai sulla terrazza, l’uomo biondo e la ragazza
sciatta se ne erano andati.
Marcos si alzò dalla sedia e sorrise, pieno di promesse.
― Sei pronta? ― mi chiese.
Io mi finsi entusiasta e lui mi circondò la vita con un
braccio mentre lasciavamo il locale.
Dopo un breve viaggio sull’Audi A6 di Marcos, lui mi fece
salire nel suo appartamento situato nel centro storico di Rimini. C’ero già
stata, ovviamente, ma quella sera non mi sentivo pronta. Scacciai il fastidioso
pensiero dell’uomo biondo.
Marcos aprì una bottiglia di champagne e si sedette al mio
fianco sul divano in pelle bianca. La sua mano salì velocemente lungo la mia
gamba.
“ Sto facendo la cosa giusta?”. D’improvviso questo pensiero
mi colpì come un fulmine. Stavo per fare l’amore con uomo da cui non ero
attratta anche se lo facevo per una giusta causa. Ma, aimè, non ero per nulla
eccitata. Risposi al bacio quando Marcos appoggiò la sua bocca sulla mia ma
temetti si sarebbe reso conto della mia freddezza. Se ci fosse stato l’uomo
biondo con me, invece…
Bastò il suo pensiero per farmi incendiare il sangue nelle
vene, il pensiero che quelle labbra che mi stavano baciando fossero le sue mi
fece inarcare la schiena. Marcos emise un grugnito di apprezzamento e schiacciò
il mio corpo sotto al suo.
Mia madre diceva sempre che l’amore era per le donne ricche e
che era meglio avere una bella casa e il conto corrente pieno che le farfalle
nello stomaco. Era forse per questo che ogni volta che la vedevo mi incitata a
trovare un uomo che mi mantenesse e mi rendesse ricca.
“Assicurati un futuro figlia mia, il resto non conta niente”
diceva sempre.
Questo pensavo il lunedì mattina mentre mi trovavo seduta
alla scrivania dell’agenzia viaggi per la quale lavoravo. Il mio contratto era
temporaneo e lo stipendio era da fame. Odiavo tutto questo ma finché non avessi
avuto maggior certezze con Marcos dovevo andare avanti. Impossibile calcare la
mano, potevo giocare soltanto bene le mie carte.
La mia collega era impegnata ed io in quel momento mi stavo
girando i pollici, quando entrarono due persone. Sbiancai per la sorpresa,
trovandomi di fronte la coppia che avevo incontrato soltanto qualche sera prima
al ristorante di Marcos.
Il ragazzo biondo mi guardò per un attimo troppo lungo ma non
diede l’impressione di avermi riconosciuta. Forse apparivo diversa nella mia
veste lavorativa, con i capelli legati in una coda e un accenno di trucco.
Si sedettero di fronte a me ed io mi maledissi per il mio
inopportuno imbarazzo.
Sorrisi ad entrambi e chiesi: ― Come posso aiutarvi
ragazzi? ―.
Con mia sorpresa fu la ragazza sciatta a parlare.
Una punta di fastidio mi colse quando sentii la sua voce
melliflua e dolce.
― Ci piacerebbe andare in un posto di mare… Lei cosa ci consiglia? ―.
Sbatté gli occhi e mi guardò quasi con affetto. Io feci per
aprire bocca ma poi intervenne il ragazzo biondo. ― Intendiamo qualcosa
tipo Caraibi ―. Mi sciolsi, mentre la parola “Caraibi” nella sua bocca
assumeva un tono quasi lascivo. Io afferrai un depliant che riportava gli
alberghi e le mete più gettonate e glielo illustrai.
La ragazza si mostrò subito entusiasta.
― Oh Nicolas non ti sembra un albergo stupendo questo?
―.
“Nicolas, dunque è questo il suo nome”, pensai.
Lui le sorrise con affetto e le prese una mano; ―
Sembra fantastico tesoro ―.
Una punta di fastidio si infilò all’interno del mio petto. O
forse oltre al fastidio c’era qualcos’altro, invidia. Invidia per quella
sciatta, insulsa, ragazza.
Lanciai un sorriso smagliante a Nicolas, certa che non
sarebbe rimasto privo di effetto.
― Eseguo la vostra prenotazione, signore? ―,
chiesi, rivolgendomi direttamente a lui.
Mi guardò e sembrò rifletterci un attimo.
― Ci lasci qualche giorno per decidere, torneremo per
la conferma ―.
― Ma certo, come volete! ― esclamai ammiccando.
La ragazza prese il depliant che le avevo messo davanti e mi
salutò con estrema cordialità poi uscì.
Nicolas si attardò un istante dietro alla ragazza e con mia
sorpresa prima di andarsene si voltò e mi chiese: ― Il suo cellulare
tutto a posto? ―.
Non potei evitare di sbattere le palpebre, presa dallo
stupore. Ma in un istante mi ricomposi.
― Ma certo, ho reinserito la batteria e adesso è come
nuovo ―. Mi prodigai in un sorriso.
Nicolas fece un breve gesto con il capo e dopo avermi
guardata uscì di fretta.
Mi fermai a riflettere sulla domanda apparentemente innocua
che mi aveva rivolto mentre seguivo la sua immagine che se ne andava
veloce. Sospirai, divisa tra l’insana e totalmente inaspettata attrazione che
provavo verso quello sconosciuto e il mio obiettivo più prossimo, Marcos.
Notai i progressi nel mio rapporto con Marcos quando lui,
dopo circa due settimane di frequentazione, prese a telefonarmi tutti i giorni.
Il suo tono era quello dolce e premuroso di un uomo innamorato. Inoltre mi
faceva trovare spesso fiori freschi sulla mia scrivania, al lavoro, e
continuava a vezzeggiarmi in ristoranti di lusso. Non potevo essere più
contenta di così visto che stavo raggiungendo il mio traguardo. Presto la
scrivania e le lamentele dei clienti insoddisfatti sarebbero stati solo un vago
ricordo.
A questo pensavo, mentre in quel mercoledì di luglio in cui
il cielo era stranamente grigio e nuvoloni minacciavano di piovere,
picchiettavo svogliatamente sulla tastiera del pc,
prenotando un volo aereo.
Quando di nuovo entrò lui, Nicolas.
Questa volta non era accompagnato dalla sciatta fidanzata,
era solo. Si diresse verso di me, anche se la mia collega non era impegnata al
momento. Si accomodò sulla sedia davanti alla mia scrivania e mi fissò. I suoi
occhi chiari penetrarono nei miei più intimi desideri solo con quello sguardo,
fugace ma intenso.
― Ciao ―, lo salutai, ― Sei venuto a
prenotare la vacanza? ―.
In quelle ultime due settimane avevo pensato a lui, qualche
volta. Di rado, ma quando succedeva mi ritrovavo sempre eccitata. Arrossii a
quel pensiero totalmente inopportuno.
Nicolas rimase per degli istanti in silenzio, poi prese un
respiro profondo e la sua voce roca sgusciò fuori somigliante ad un profumo
esotico.
― Non partiamo più, sono passato per dirtelo ―.
― Ah ―, risposi, mentre un vago senso di vittoria
si agitava nel mio stomaco.
― Va benissimo, in ogni caso non era necessario
che tu venissi di persona. Non avevate ancora prenotato ―.
Quelle parole mi uscirono di getto, inconsuete. Forse ero
segretamente curiosa di sapere perché lui fosse venuto.
Sorrise; ― Già, la mia eterna pignoleria ―. Aveva
un sorriso ammiccante e sbarazzino, sfumato di audacia e un pizzico di malizia.
Non c’era imbarazzo nella sua voce e ancora mi chiesi cosa ci facesse un uomo
così affascinate con quella ragazza.
Ma poi mi sorprese ancora di più e mi resi conto che non ero
poi così saccente in tema uomini come credevo di essere.
Disse: ― Sto per andare a prendere un aperitivo, che ne
diresti di farmi compagnia? ―.
Prima che il mio cuore prendesse a battere per l’eccitazione,
venni pervasa da un piacevole, piacevolissimo calore.
― Io stacco tra mezzora ―, risposi, non riuscendo
a celare un certo stupore.
Poi aggiunsi: ― Se mi aspetti, volentieri ―.
Nicolas sorrise e mi fissò con intensità disarmante.
― Allora ti aspetto qua fuori tra mezz’ora, intanto mi
fumo una sigaretta e prelevo qualcosa al bancomat ―.
Detto questo uscì, estraendo con disinvoltura un pacchetto di
Malboro dalla tasca. Un leggero brivido mi percorse
la schiena quando mi resi conto di quello che stava per succedere.
Stavo per uscire con un uomo che non conoscevo, di cui sapevo
praticamente solo che fumava Malboro e che era
fidanzato con una donna sciatta e priva di attrattiva. Stavo per uscire con un
uomo che mi aveva fatto girare la testa dal primo istante in cui avevo posato
gli occhi su di lui.
Ma poi con una punta di fastidio fece capolino nella mia
mente il viso di Marcos. Questo avrebbe potuto disturbare i miei piani su di
lui?
Ovviamente si ma scacciai subito quel pensiero fastidioso.
Passai quell’ultima mezzora di lavoro smaniando come una
ragazzina ai primi amori
Indossavo shorts di jeans e una canotta bianca e pur essendo
così informale ero certa di non passare inosservata.
Salutai la mia collega di lavoro che mi guardò stranita
poiché mi aveva per la prima volta vista di buonumore ed uscii.
Nicolas mi aspettava li fuori, con la sigaretta che gli
pendeva dalle labbra. Aspirò e io desiderai ancora una volta essere su quelle
labbra rosse, fantastiche.
― Che ne dici del bar qua dietro? Fanno ottimi
aperitivi, ci sei mai stata? ―, chiese Nicolas con noncuranza.
Cercai di mostrarmi sicura di me stessa, in genere non ero
mai intimorita da nessun tipo di uomo, ma mi accorsi di faticare. Ero
imbarazzata.
― Perfetto! ―, esclamai con voce fin troppo
stridula.
Dopo pochi passi ci trovammo dentro al bar, che avevo
frequentato anche io alcune volte.
Ordinammo due Aperol e ci
accomodammo in un tavolino, il più lontano dall’ingresso.
Volevo maledettamente sapere perché mi aveva invitata a
prendere qualcosa da bere; anche se il motivo sembrava piuttosto ovvio ero
confusa. Mi era sembrato preso dalla sua sciacquetta quella sera al ristorante.
Mi schiarii la voce ed abbassai gli occhi sul tavolo.
― Mi domandavo… perché
―, dissi tutto d’un fiato.
Sentii i suoi occhi puntarsi sulla mia nuca. Le sue gambe,
fasciate in jeans schiariti, sfiorarono le mie ginocchia nude. Sospirai.
Allungò un braccio, chiaro e cosparso di peli biondi, sul
tavolo e tamburello con le dita.
― Hai ragione, sono un perfetto idiota, non ti ho
nemmeno chiesto come ti chiami ―.
Di colpo alzai gli occhi e lo guardai. La sua frase era
ironica ma il tono di voce non lo era. Era rude e…
sensuale. Come i suoi occhi, cupi, lontani.
― Giada, il mio nome è Giada ―, espirai, ―
ma non ha importanza ―.
― No, in effetti non ne ha ―, rispose Nicolas.
Era diverso, era diretto. Niente melliflue e seducenti parole
per infilarsi nella mie mutandine. Non aveva certo bisogno di parole dolci
quanto false.
Sorrisi, turbata.
― Cosa fai di bello nella vita, Nicolas? ―,
chiesi, per alleggerire la tensione.
― Praticante in uno studio di avvocati, praticamente
faccio lo schiavo ―. Lo disse ridendo, come se fosse una cosa divertente.
“Povero”, pensai subito. Ma durò un istante, il secondo dopo
ero incantata a fissare le sue labbra.
Fui tentata di chiedergli della sua fidanzata ma mi
trattenni. Non mi importava nulla di lei, ero molto più interessata al suo
affascinante fidanzato.
― E tu? ―. Sembrava una domanda innocua ma non lo
era. Alle domande semplici non sapevo mai rispondere.
Ridacchiai; ― Mi hai vista ―.
― Si, e ti ho vista anche l’altra sera, in quel
ristorante, con un bel tipo ―.
― Già … ―, risposi sorseggiando il mio aperitivo.
― È il tuo uomo? ―, mi chiese Nicolas senza mezzi
termini.
Spalancai le labbra, sbalordita.
― Non proprio, ma… ―,
mi fermai, incantata mentre una sua mano scivolava con noncuranza vicino alla
mia, ― … che importa? ―.
― Giusto ―, fece eco lui, ― che importa?
―.
Uscimmo dal bar un’ora dopo ed io mi sentivo tutta un
fremito. Volevo essere totalmente sola con lui.
― Cosa fai adesso? ―, mi chiese Nicolas infilando
le mani nelle tasche dei jeans. Notai che era un po’ più alto di me, ma non
troppo, sul metro e ottanta.
Scrollai le spalle, ― Penso casa a preparare la cena,
se non l’ha già fatto la mia coinquilina, ma ne dubito ―.
― Io abito solo e sono un ottimo cuoco ―, rispose
Nicolas ridacchiando.
Più chiaro di così non poteva essere, era evidente che voleva
finire a letto con me. E io, sarei riuscita a rifiutare?
Marcos non lo sarebbe mai venuto a sapere…
Sarebbe stata solo una volta, poi non l’avrei più rivisto.
Accettai. ― Perché no? Sono stufa di uova al tegamino
―.
Nicolas possedeva un Ford focus vecchio modello, ben diversa
dall’audi A6 di Marcos. In quel momento però, mentre
lui guidava tenendo una mano sul cambio che ogni tanto sfiorava la mia coscia,
non mi importava. Ero come persa in un limbo.
Il suo appartamento era un’abitazione ordinaria inserita in
un grande condominio. L’ingresso era comune e non c’era l’ascensore. La sua
casa era all’ultimo piano e non era più grande di sessanta metri quadrati.
― Ecco ―, disse Nicolas mentre spalancava la
porta, ― benvenuta nella mia reggia. In realtà non è il massimo ma con
cinquecento euro di affitto è il meglio che posso permettermi ―.
Concordai che la casa non fosse un gran che. Cucina da grandi
magazzini e divano dozzinale in stoffa marrone. Ma non regnava il tipico
disordine maschile, sembrava tutto in ordine. Appoggiai la mia borsa sul divano
mentre mi guardavo intorno. Nicolas si avviò verso il frigorifero e sbirciò
dentro.
― Um, non c’è tanto, ma forse
rimedieremo qualcosa di meglio rispetto alle uova al tegamino ―.
Il sorriso che mi lanciò voltandosi leggermente, mi fece
sciogliere. In quel momento il cibo era lontanissimo dai miei pensieri. Invece
il fondoschiena di Nicolas, così in bella mostra, mi faceva dimenticare tutto
il resto.
Si rialzò ed in mano teneva un filetto di pancetta e del
formaggio.
― Ti preparerò dei maccheroni alla amatriciana. Sono di
tuo gradimento? ―.
― Eh? ―. L’esclamazione mi uscii di getto,
davvero avrebbe potuto darmi da mangiare qualsiasi cosa e non me ne sarei
accorta. Quasi mi spaventai per la acutezza e il non senso della mia
attrazione.
Mi avvicinai a lui e appoggiai la schiena e le mani contro la
tavola. Nicolas stava già iniziando ad affettare la pancetta. Lo fissai,
torbida.
Lui distolse gli occhi da quello che stava facendo e ricambiò
il mio sguardo.
― Perché mi fissi? ―, chiese, con quel suo tono
roco e basso.
L’arrossamento del mio viso fu impossibile da allontanare.
― Non ho fame ―, biascicai. Il mio atteggiamento
in quel momento era l’opposto di quello che assumevo mentre mi trovavo assieme
a Marcos. In quel momenti ero affascinante, divertente e per nulla imbarazzata.
Nicolas lasciò andare il coltello e con lentezza si pose di
fronte a me. Arretrai, schiacciandomi di più contro al tavolo. I suoi occhi mi
catturarono, calamite che era impossibile evitare.
Poi il suo sguardo si spostò sulla mia bocca, sospirai,
chiudendo le palpebre.
Volevo disperatamente un suo bacio.
Con un pizzico di eccitazione mi ritrovai il suo fiato a
pochi centimetri dalla mia bocca e le mie mani strinsero il tavolo, convulse.
Stava per succedere quello che avevo desiderato fin dalla prima volta che avevo
posato gli occhi su di lui.
Finalmente le sue labbra scesero sulla mia bocca, dolci e
piene. Con un lieve gemito Nicolas appoggiò le sue mani sopra alle mie,
schiacciandomi contro al tavolo. Dischiusi le labbra, accogliendolo con
trasporto e infinita, sconvolgente, gioia. Le miei mani si infilarono nei suoi
capelli morbidi e dorati, mentre le nostre lingue si univano. Poi, con
movimenti sconnessi, le mani di Nicolas mi slacciarono i jeans ed io mi
abbandonai con la schiena sul tavolo, mentre lui si stendeva sopra di me. Era
sesso e magia allo stesso tempo. Morsi e divorai quelle labbra così rosse
mentre il petto bianco e liscio di Nicolas si muoveva in modo sincronico sopra
di me.
Arrivai all’orgasmo e proruppi in un grido soffocato. Erano
anni che non mi succedeva.
Respirai con la bocca, esausta. Nicolas rimase per qualche
minuto fermo immobile sopra di me. Soltanto il suo respiro rompeva il silenzio
della stanza.
Quando incrociai i suoi occhi lui si ritrasse e io feci lo
stesso, imbarazzata.
Tossicchiai leggermente mentre mi risistemavo i vestiti.
Nicolas non sembrava provare la mia stessa sensazione, mi sorrise infatti e
disse: ― Adesso hai fame? ―.
Passammo il resto della serata a chiacchierare mentre
mangiavamo ciò che lui aveva preparato come se niente fosse successo. E
incredibilmente iniziavo a sentirmi a mio agio e a divertirmi.
A fine serata ero di nuovo vogliosa di lui, ma mi trattenni.
Guardai l’ora e feci per andarmene; erano le ventitré e trenta.
― È tardi, grazie per la bella serata ―.
Nicolas mi guardò, socchiudendo le palpebre. ― Te ne
vai? ―, chiese. Lo guardai, improvvisamente stupita.
― Si è fatta una certa ora e…
―.
― Mi piacerebbe che tu restassi ―. Il suo tono
era deciso e privo di alcuna supplica. Sapeva già che avrei ceduto?
Tergiversai, controllando il cellulare. “Tre chiamate perse
da Marcos”.
Non andava bene, ma lui non lo sarebbe mai venuto a sapere… Di colpo decisi, spensi il cellulare e guardai
Nicolas.
Sorrisi. ― Perché no? La mia coinquilina russa ―.
Nicolas scoppiò e ridere e mi tese la mano.
Quando mi svegliai seppi che era ora di andarmene e di
dimenticare. Nicolas era steso accanto a me, a pancia in giù. I riccioli biondi
gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi chiusi e addormentati.
Era stato tutto fantastico, sia fare l’amore con lui che
dormire al suo fianco, ma il mio momento di svago era finito. Dovevo tornare
alla realtà e ai miei obiettivi.
Con il cuore pensate mi rivestii ben attenta a non svegliare il
mio amante. Gli gettai un’ultima occhiata e provai l’impulso fortissimo di
baciarlo. Sentii una stretta al petto e capii che mi sarebbe mancato.
Poi ritornai nel mondo, dirigendomi verso il mio lavoro.
Chiamai Marcos.
― Giada! ―, esclamò, ― ma dov’eri finita?
Ieri sera non hai risposto alle mie chiamate ―.
Tentai di usare un tono mellifluo.
― Marcos tesoro, scusami, ieri sera ho fatto un giro
con Barbara e ho bevuto un bicchiere di troppo. Mi sono addormentata senza
neanche accorgermi delle tue chiamate ―.
Silenzio, mi chiesi se l’avrebbe bevuta.
― Da quando in qua esci con la tua coinquilina? Dici
sempre che è una rompiscatole ―.
Ridacchiai; ― Me l’ha chiesto…
mi ha fatto tenerezza e ho accettato. Saprò farmi perdonare…
―, aggiunsi in tono che valeva mille promesse. In quell’istante però mi
sentii quasi male, rotta, cosa che non era mai successa prima di allora.
Marcos abboccò all’amo; ― Va bene piccola, sono certo
che ti farai perdonare molto presto… Ti passo a
prendere stasera alle nove ―.
Sospirai; ― Va benissimo! A stasera tesoro ―.
Chiusi la conversazione. Improvvisamente il peso di tutto
quello che stavo facendo mi cadde addosso come un macigno.
Quella sera, mentre Marcos parlava, pensavo a tutto tranne
che ad ascoltarlo. Annuivo, di tanto in tanto, ma ero persa in tutt’altri
meandri.
Quando lui appoggiò una mano sulla mia coscia, sussultai.
Sapevo ma non ero pronta a fare sesso con lui, quella sera.
Il pensiero che solo la sera prima ero stata con Nicolas mi tormentava e mi
faceva arrabbiare. Non potevo farmi distrarre così.
Tutto era li, a portata di mano, e non sarebbe stato certo un
bel corpo bianco e portarmelo via.
Mi imposi di pensarla così e perpetrai nel mio lavoro.
I giorni successivi le cose proseguirono per il meglio.
Marcos si mostrava sempre più attento a me e desideroso della mia compagnia.
Ero convinta di averlo coinvolto per bene e di certo non mi aspettavo che
arrivasse a chiedermi di andare a vivere insieme. Eppure successe.
Me lo chiese così, mentre ci mandavamo mail in un noioso
giorno lavorativo.
Ed io, invece di pensare “c’è l’ho fatta!” mi incantai a
fissare lo schermo del pc senza provare niente.
Non avevo più visto Nicolas dal nostro interludio di passione
ed era trascorsa circa una settimana.
Mi riscossi e mi affrettai a rispondere a Marcos con gioia.
Non provavo niente per lui, ma non era la prima volta che mi ritrovavo a vivere
con qualcuno che mi era indifferente. La mia coinquilina per esempio. E neppure
i sensi di colpa per il fatto di stare fingendo con lui mi sfioravano
minimamente visto che lui si prendeva il meglio di me.
Ero cinica, lo sapevo, ma con gli scrupoli non sarei arrivata
da nessuna parte. A settembre il mio contratto di lavoro sarebbe scaduto ed io
mi sarei ritrovata di nuovo senza niente. Avevo un disparato bisogno di Marcos
e soprattutto dei suoi soldi.
Sospirai, accasciandomi contro la sedia. Presto la mia
precarietà sarebbe stata solo un ricordo.
Quando però quella sera mi ritrovai a sistemare la
saracinesca dell’ufficio trovai qualcuno ad attendermi.
Un paio di mocassini beige su jeans chiari e una camicia
bianca arrotolata fino ai gomiti. Labbra che mi mozzarono il respiro. E occhi,
immobili e freddi, contornati da ricci biondi.
Dovetti appoggiarmi al muro e respirare, piano.
― Nicolas ―, balbettai, incredula dell’effetto
che mi provocava.
― Giada, sei libera per un drink? ―.
Scossi la testa con decisione; ― No, mi dispiace
―, risposi continuando a fare quello che stavo facendo. Non lo guardai negli
occhi mentre cercavo il biglietto del tram nel mio portafoglio. Lui era tutto
quello che dovevo evitare e che mi avrebbe distrutta se solo l’avessi permesso.
Mi allontanai ma Nicolas senza troppi complimenti mi afferrò per un polso.
Alzai gli occhi, stupita.
― Ho detto che non ci sono ―, ripresi con voce
stridula, ― so che è successo quello che è successo, ma io sono già
impegnata ed anche tu, vai dalla tua ragazza, ti starà aspettando con ansia
―. Non riuscii a trattenermi dal metterci un poco di veleno in
quell’ultima affermazione. L’immagine della scialba fidanzata di Nicolas mi
tornò alla mente.
Lui non mi lasciò andare; ― Lei non c’è più, l’ho
tradita e l’ho lasciata ―.
Una risata soffocata mi uscii dalle labbra; ― Sei un
uomo d’onore allora, ma non mi è chiaro perché tu sia venuto a cercarmi
―.
Nonostante cercassi di usare un tono distaccato e freddo,
stavo ferendo soltanto me. Ero colpita dalla sincerità di Nicolas. Tremai,
cercando di divincolarmi dalla sua stretta.
Lui lo disse piano, trasmettendomi un brivido lungo tutta la
spina dorsale.
― Voglio fare ancora l’amore con te ―.
Rimasi in silenzio, ma cercai i suoi occhi.
― No… ―, sussurrai.
― No? ―, fece eco lui, ―Stasera, alle
dieci, vediamoci nel parcheggio delle scuole superiori ―.
Lo guardai torva, sciogliendomi dalla sua presa.
― Puoi scordatelo! ―, risposi filando via.
Erano circa le nove di sera e mi rigiravo confusa nel piccolo
bagno del mio appartamento.
“ Non posso andare!” pensavo, salvo cambiare idea il secondo
dopo. La verità era che avevo una voglia matta di rivedere Nicolas, di stare
con lui, di baciare quel suo corpo pallido. Ma c’era Marcos…
“ Non andrò, non sono così pazza da giocarmi quello per cui
ho speso tante energie”.
Mi ritrovai ferma in questa decisione, mentre con un sospiro
mi gettai a sedere sul bordo della vasca. Lo specchio di fronte a me rifletteva
qualcosa che mi spaventò. I mie occhi, grandi e scuri, sembravano così tristi
da sconvolgermi. Mi resi conto solo in quell’istante dell’immensa tristezza che
mi circondava come un’aura.
Ogni giorno morivo sempre di più e non me ne accorgevo.
Non che fossi stata mai felice, ma…
Di colpo spensi il cellulare e lo gettai in mezzo ai vestiti
da lavare, poi mi spogliai di fretta e mi immersi nella vasca.
Alle dieci e cinque minuti mi trovavo parcheggiata con il mio
scooter fuori dal complesso di scuole superiori della mia città. Era deserto,
deserto e un po’ inquietante. Una macchina solitaria come me, mi
lampeggiò uscendo fuori da una via che dava sul retro delle scuole.
Era Nicolas. Senza dare addito ai ripensamenti, lasciai la
moto e corsi verso l’auto con il casco che mi saltellava tra le mani. Aprii
veloce la portiera dell’auto e salii. Senza darmi tempo di salutare, Nicolas mi
afferrò per le spalle e spinse la sua bocca rossa sulla mia, stupita e
fremente.
Una sua mano mi circondò la nuca e l’altra mi strinse per la
vita avvicinandomi di più a lui.
La passione con cui mi lusingava esplose dentro di me nello
stesso modo di un fuoco d’artificio.
Ci staccammo qualche minuto dopo, ansanti. Allora mi salutò.
― Ciao ―, disse, senza il minimo imbarazzo.
― Ciao ―, risposi io distogliendo invece gli
occhi.
Nicolas accese l’auto e partì.
― Dove andiamo? ―, chiesi, leggermente
sbigottita.
Lui mi guardò con un ghigno dipinto sul volto.
― Non vorrai mica fare l’amore in un parcheggio
―.
Il suo essere così diretto mi spiazzò per l’ennesima volta,
lasciandomi senza niente da dire.
― Okay… dove mi porti?
―, risposi.
― Vedrai ―. Nicolas non aggiunse nient’altro,
perpetrando in una guida silenziosa.
Dopo circa un quarto d’ora di viaggio mi accorsi che ci
stavamo dirigendo fuori città; la macchina salì per una collinetta e si fermò
quasi in cima, in mezzo ad un campo d’erba resa argento dalla luna.
― Siamo arrivati ―, esordì Nicolas uscendo
dall’auto. Aprì il cofano posteriore ed estrasse una coperta.
Finalmente fu tutto lampante e una punta di nervosismo mista
ad eccitazione mi salì su per le gambe.
― Vuoi stare qui? ―. Calcai l’accento sulla
parola “qui”.
Nicolas alzò i suoi occhi diretti su di me; ― Certo
―.
Arrossii mentre lui stendeva la coperta sul prato. Osservai
il suo profilo morbido e piacevole e decisi che l’unica cosa che desideravo in
quel momento era perdermi nella sua bocca. Lui si sedette sulla coperta e mi
allungò una mano.
― Vieni ―, disse. Io presi la sua mano e mi
abbandonai contro di lui.
Mi rivestii in fretta, evitando di pensare a qualsiasi cosa.
Le emozioni provate erano troppo forti, così intense che era impossibile
descriverle. Nicolas invece rimase immobile e nudo steso a pancia in su sopra
la coperta. Aveva le braccia incrociate dietro la testa e mi chiese: ―
Non ti va di guardare le stelle? ―.
― No ―, borbottai, ― voglio andare a casa,
sono stanca ―.
Nicolas si schiarì la voce e per un attimo parve perplesso.
― Pensavo che avremmo potuto parlare un po’ ―,
aggiunse.
Ridacchiai, innervosita.
― Parlare? No grazie, questo tipo di rapporto non
implica il fare conversazione ―.
Trasalii, stupida dalle mie stesse parole.
Nicolas si alzò in piedi con un balzo e con scarsa
delicatezza mi afferrò per le braccia, costringendomi a guardarlo negli occhi.
Avrei voluto a tutti i costi guadare altrove ma non potevo
mostrarmi così debole o avrebbe capito.
Comunque disse: ― Menti ―. Poi si rivestì di
fretta, agitato.
Mandai a quel paese la mia coinquilina, il giorno dopo,
quando Marcos mandò un’impresa di traslochi per far spostare le mie cose a casa
sua. Il cellulare, gettato la sera prima tra i panni sporchi, aveva suonato
diverse volte ed era sempre Marcos a cercarmi. Non provavo alcun senso di colpa
per quello che avevo fatto, visto che non l’amavo. L’unica mia paura era di
essere scoperta ma mi sarei guardata bene dall’essere così cretina.
La casa di Marcos era un attico spazioso in centro, di circa
duecento metri quadrati, tre bagni e ogni comodità che potessi desiderare.
Avrei dimenticato presto i sessanta metri quadrati che avevo condiviso con la
mia coinquilina. Inoltre considerai che fosse scarsamente necessario dover
lavorare visto che Marcos mi aveva fatto trovare una carta di credito a fondo
illimitato sul comodino della mia nuova camera da letto. Quando mi gettai di
schiena su quel materasso morbido capii che ce l’avevo fatta. Avevo raggiunto
lo scopo prefissato, ero in vetta.
Eppure, stupidamente, non riuscivo a gioirne. Decisi di
chiamare mia madre, lei sarebbe stata certo contenta dei miei risultati.
Infatti fu così, la sua gioia bastò alla mia e allontanò da me per un attimo un
pensiero sgradito: Nicolas.
Decisi che era per colpa sua se mi sentivo così vuota a priva
di entusiasmo e mi maledissi per aver ceduto al suo fascino. Ancora una volta
decisi di cancellarlo per sempre dalla mia vita e questa volta sarebbe stata
definitiva.
La vita con Marcos inizialmente non fu male. Lui usciva di
casa presto per andare a svolgere i suoi affari e io avevo tutto il mio tempo
libero che spendevo quasi sempre in shopping. Quando entravo nei negozi le
commesse mi facevano la festa al contrario di qualche tempo prima.
C’era solo una piccola nota dolente, un tarlo che a volte mi
toglieva il respiro. La noia, una noia sottile e lenta che colmavo spesso con
un bicchiere di vodka. E il pensiero di Nicolas e dell’intensa emozione che
avevo provato nei rari momenti vissuti con lui.
Dopo circa un mese di convivenza con Marcos la maschera che
tanto cercavo di curare, iniziò ad incrinarsi. Fingere l’orgasmo diventava
sempre più difficile e Marcos, che forse già lo sospettava, iniziò ad avere la
conferma della mia falsità. Inoltre, per quanto mi sforzassi, non riuscivo più
ad essere divertente e brillante come durante il mio corteggiamento. Ero solo
un bel corpo vuoto. E di bei corpi vuoti ne esistevano a valanghe. Di quel
passo Marcos si sarebbe stancato ed io avrei perso tutto.
Quella consapevolezza mi spinse ad smaniare, in preda
all’ansia, temendo che mia madre sarebbe morta se fossi ritornata ad essere la
perdente di prima. E una sera, seduta al bancone di un bar, bevvi fino a stare
male. Ero stupenda, nel mio abito nero e nelle mie Manolo bianche, ma
incurabilmente sola. Marcos era ad una cena con alcuni soci ed aveva
deliberatamente scelto di non portarmi con sé. Era la prima volta, pensai che
iniziasse a vergognarsi della sua donna che beveva come un uomo. Il cameriere
mi offrì diversi drink e altrettante battute audaci. Sapevo cosa avrebbe voluto
e cosa volevano tutti gli uomini da me. Per un momento odiai essere bella,
desiderai essere una donna scialba, come la ex di Nicolas, ma felice.
Poi mi ricordai che forse neppure lei era felice visto che
Nicolas l’aveva lasciata e tradita.
“ Con me”.
Al pensiero di lui il dolore al petto si fece più forte e
sospirai, in malo modo.
Non l’avevo più visto da quella sera.
Non volevo vederlo, ma speravo di incontrarlo, di sfuggita,
solo per guardare la sua figura, lontana.
Tremai, quando con la testa che mi girava, sentii una mano
bianca e calda posarsi sul mio polso.
Alzai gli occhi confusi per vedere chi fosse ed incontrai lo
sguardo ardente di Nicolas.
― Oh, sei tu… ―,
biascicai. Mi sembrò che lui si girasse verso il cameriere, con un cipiglio
scontroso sul viso.
― Quanto ha bevuto la signora? ―.
Il cameriere ridacchiò e io lo imitai; ― Troppo
―, rispose.
― Andiamo! ―, esclamò Nicolas con voce dura e stridente.
Era la prima volta che lo sentivo parlare in quel modo.
La mia coscienza era claudicante ma fui consapevole che
Nicolas mi prese e mi trascinò a forza fuori dal locale.
― No! ―, strepitai, ― lasciami in pace,
voglio stare qua ―. Nicolas non mi ascoltò e mi caricò a forza
sull’automobile. Stranamente mi sembrava diversa dalla solita ford fiesta.
Mentre lui iniziava a guidare io mi stesi in malo modo sul
sedile del passeggero e presi a blaterare qualcosa.
― E così ti sei fatto vivo di nuovo, guarda un po’,
cosa vuoi fare, scopare? ―.
Risi mentre Nicolas mi ignorava e manteneva lo sguardo fisso
sulla strada. Finalmente il viaggio finì ed io mi ritrovai a combattere con una
forte nausea.
Nicolas mi aprì la portiera e io vomitai sulle sue scarpe.
― Ma che diavolo! ―, esclamò.
Considerai che doveva essere presumibilmente tardi e che
forse Marcos era tornato a casa e mi stava cercando.
― Riportami a casa ―, sospirai. In tutta risposta
Nicolas mi caricò di peso sulla schiena fin dentro casa sua. Anche quella mi
sembrò totalmente diversa dall’ultima volta in cui ci avevo messo piede ma
pensai di non essere credibile.
Nicolas mi scaricò di peso su un divano. Dopo tre secondi mi
trovai davanti una bicchiere colmo d’acqua.
― Bevi ―, ordinò.
Presi il bicchiere dalle sue mani, titubante.
Dopo aver bevuto chiesi: ― Perché lo stai facendo?
―.
Nicolas era in piedi di fronte a me e tamburellava con le
dita su un tavolo.
― Accendenti ti trovo in giro ubriaca fradicia!
―.
― E questo cosa centra? Non hai nessun obbligo nei miei
confronti, dopotutto ci siamo visti pochissime volte e solo per…
―.
― Zitta! Se ci tieni a saperlo ti stavo cercando. Dopo
il nostro ultimo incontro sono venuto a cercarti all’agenzia viaggi ma mi hanno
detto che ti eri licenziata. Poi mi sono fatto dire dove abitavi e li la tua
inquilina mi ha borbottato in malo modo che te ne eri andata. E tutto questo
due giorni dopo il nostro ultimo incontro. Straordinario ―.
Scossi la testa, turbata.
― Non avevi nessun diritto di cercarmi e di entrare
nella mia privacy, sono andata a vivere con il mio fidanzato, cosa t’importa?
―.
Nicolas tacque per un istante. ― Se il tuo fidanzato ti
fa ridurre in questo stato allora è meglio che lo lasci ―.
Risi, trovando quello che lui aveva appena detto quasi
ironico.
― Oh, non penso proprio. Le vedi queste scarpe? E
questo vestito? E questa borsa?Se non ci fosse lui non le avrei indosso
―.
Incrociai gli occhi azzurri di Nicolas, desiderando
sconvolgerlo, allontanarlo da me e da tutto quello che rappresentavo.
― Tu che ti mostri così cavaliere da soccorrere questa
povera damigella in pericolo, cosa potresti mai darmi? Una botta di sesso non
basta ―.
Gli occhi di Nicolas ebbero un fremito, l’avevo finalmente
scosso.
― Non c’è solo quello, infatti ―.
Gettai indietro la testa e stesi le gambe sul divano. Gli
occhi di Nicolas caddero su di me.
― Non starai parlando di amore, spero ―, risposi
con sarcasmo.
Lo sguardo di Nicolas rimase fermo e questa volta non si
scompose.
― Ti sembra così assurdo? ―.
― Si, e adesso riportami a casa mia ―.
Quelle parole erano state le più faticose da pronunciare. In
realtà il mio animo era annegato in quel momento e il mio desiderio più grande
era stato improvvisamente spento. Mi sentivo morta dentro ed era al situazione
più penosa che avessi mai provato. Stavo respingendo l’unica persona che mi
provocava una briciolo di gioia.
Nicolas strinse i pugni ma non fece una piega.
― Se questo è quello che desideri. Alzati, non ti
cercherò più ―.
Non lo conoscevo da tanto ma chissà come sapevo che mi
avrebbe risposto in questo modo. Non sarebbe stato certo li ad elemosinare il
mio cuore o il mio corpo.
Tremando come l’ultima foglia dell’albero mi alzai.
Quando rientrai, Marcos era seduto sul divano del salotto, un
bicchiere di vino bianco tra le dita.
Nel momento in cui varcai la porta d’ingresso mi guardò, mi valutò.
Poi con un movimento rapido delle gambe si alzò e venne verso di me. Mi
appoggiai allo stipite della porta, improvvisamente impaurita. Teneva ancora il
bicchiere in mano mentre i suoi occhi scuri si piantarono dentro i miei. Il suo
naso quasi sfiorò il mio mentre io, imbarazzata, cercavo di sfuggirgli.
― Ciao Marcos ―, blaterai, fingendo un sorriso.
― Puzzi di alcool, ma dove diavolo sei stata? ―.
Aveva un tono di voce che non gli avevo mai sentivo, era
inquisitorio, terribile.
Cercai di allontanarmi ma lui me lo impedì, bloccandomi
contro la porta.
Con una mano mi circondò una coscia nuda e io rabbrividii per
il disgusto.
― Ti faccio schifo eh? Eppure all’inizio ti piacevo,
non è così? ―.
La sua bocca, irruvidita dalla barba, si appoggiò sulla mia
con brutalità. Il mio cuore prese a battere, furioso.
― Io… no…
―. Cercai di allontanarlo da me.
― Non ne hai voglia? Beh, non me ne frega un cazzo, io
si. Sei diventata frigida? Se non sai più fare neanche la troia cosa me ne
faccio di te? ―.
Gridai, mentre l’orrore si impossessava di me.
― Sei sempre triste, eppure da quando stai qua hai
speso un patrimonio. Cosa me ne faccio di te? ―, continuò Marcos. Le sue
mani si erano infilate sotto il mio vestito e mi graffiavano la pelle.
Pregai di morire in quel momento, morire sarebbe stato meglio
di tutto quello schifo in cui vivevo.
― Lasciami ti prego… ―,
lo supplicai, con le lacrime agli occhi.
― Hai speso un sacco di soldi e adesso dammi quello che
mi spetta in cambio, troia! ―.
― No, no, no! ―, urlai e tempestai la testa di
Marcos di pugni. Volevo uscire al più presto da li.
― Ma che fai! ―. Macos
strinse la mia faccia nella sua mano.
Era violento, era furioso, ed io mi ero venduta a questo uomo
per una carta di credito.
D’improvviso la voglia incredibile di scappare prese possesso
di tutto il mio corpo ed io con il piede ancora racchiuso nelle scarpe con il
tacco, colpii Marcos nei suoi punti più deboli.
Si accasciò all’istante, con un’imprecazione strozzata.
Gli gettai un ultimo sguardo, un uomo per cui non provavo
niente, se non disprezzo. Poi uscii di corsa, desiderando mettere più distanza
possibile tra lui e me.
Sedetti tutta la notte su una panchina. Non avevo paura, non
più, sapevo solo che per me era finita.
Non avevo più una casa, non avevo più un lavoro, non avevo
amici. Da mia madre non sarei mai andata, non le avrei presentato la mia resa.
Avevo pensato solo ad ingannare me stessa ed avevo perso.
Alle prime luci dell’alba qualche passante mi vide, si
avvicino e mi chiese se avessi bisogno di qualcosa, di chiamare un ambulanza.
Io non risposi, mi limitai a fissare il vuoto che avevo davanti e che avevo
dentro.
Finché qualcuno non appoggiò le sue labbra sui miei capelli,
circondandomi con le braccia da dietro.
― Anche tu hai passato una notte insonne ―, disse
il misterioso passante.
― Per quale motivo perdi il tuo tempo con me? ―,
chiesi a Nicolas.
Sapevo che era lui, lo seppi prima di girarmi, lo seppi da
calore di cui il mio cuore si stava abbeverando.
― Sono innamorato cotto di te, dalla prima volta che ci
siamo visti, nel ristorante del tuo amante ―.
Era assurdo, ma gli credetti.
― Che ne è stato della tua ragazza scialba? ―,
risposi, ancora senza girarmi, godendo del semplice gesto delle sue braccia
intorno al mio collo e delle sue labbra vicine al mio orecchio.
― Era più un rapporto voluto dai nostri genitori che da
noi. Mio padre a suo padre sono soci dello stesso studio legale ―.
Sobbalzai, ricordandomi una cosa. ― Mi avevi detto che
stavi facendo praticantato… ―.
― Esatto, nel mio studio legale, non sono lo
squattrinato che ho voluto farti credere, ma non sono neppure ricco come tu
desidereresti ―.
Mi voltai verso di lui e lo guardai. I suoi occhi mi
sorpresero per la loro sincerità.
In quel momento provai una forte gioia e una gran tristezza
per il fatto di essere una persona tanto meschina. Non meritavo ciò che Nicolas
aveva da offrirmi, non meritavo una gioia così pura.
― Puoi avere il meglio Nicolas e spero che lo avrai
―, dissi, con il cuore pesante.
Il viso di Nicolas si scurì e le sue labbra si avvicinarono
pericolosamente alle mie.
― Io voglio te e non mi importa niente di ciò che hai
fatto ―.
Gli gettai le braccia al collo e piansi.
Piansi per un sacco di tempo, incurante degli sguardi che gli
altri mi lanciavano, ombre, comparse di quella strana mattina.
Vuotai il mio animo e Nicolas non mi lasciò mai.
Poi, con estrema tenerezza, mi fece alzare in piedi ed
accarezzandomi i capelli mi disse: ― Vieni, abbiamo un sacco di cose da
dirci ―.
Io gli sorrisi, finalmente liberata e libera di essere me
stessa.
NdA: Spero che questa storia vi sia piaciuta! L’avevo scritta per il
concorso “Diventa scrittore con gente
Fatemi
sapere cosa ne pensate e, se avete voglia, visitate il mio blog in cui potete trovare
altre mie storie: http://cristinadimorval.blogspot.it/
Un
bacio,
Lua