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Autore: Cabiria Minerva    21/10/2012    2 recensioni
La partita tra Loki e Barton è qualcosa che va ben oltre i dadi da lanciare e le pedine da spostare: è una riflessione profonda sulla vita, che qualcuno, però, non riesce o non vuole capire...
In chess, when you play like an idiot, you always lose, so you learn. Frankly, I think backgammon is a much more interesting game, much harder to learn.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Loki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Match


 

In backgammon, you can play 10 games, not play well, and win. So you think you are great but you have made a great number of mistakes. Tragically, life is closer to backgammon, because you can play a perfect game and lose!

In chess, when you play like an idiot, you always lose, so you learn. Frankly, I think backgammon is a much more interesting game, much harder to learn.


 

Prof. Papadimitriou


 

Barton allungò le braccia muscolose sopra la testa, stiracchiandosi con disinvoltura e cercando di trattenere uno sbadiglio annoiato. I suoi occhi vagarono per la stanza, accarezzando le pareti bianche, lucide, scivolando sulla loro superficie anonima e fredda. Per chi, come lui, era abituato a vivere nel caos della guerra, quella stanza era un'oasi di pace. Nessun rumore, nessuna scena che lo avrebbe torturato nel sonno, registrata da quella sua vista fin troppo acuta: la sua arma più potente e la sua maledizione perpetua.

Chissà che ora era, si chiese sbuffando appena e passandosi le dita tra i corti capelli castani. Lo sguardo andò a cercare la scatola di legno posta sul cubo di aerogel che fungeva da tavolo: aveva posizionato le pedine ormai da mezz'ora, quanto ancora avrebbe dovuto aspettare il suo avversario?

Sorrise tra sé e sé, ricordandosi i commenti e gli sbuffi di sua madre nel vederlo giocare, poco più che undicenne, a quel gioco troppo facile e noioso; non aveva mai capito come potesse impiegare così tanto tempo per decidere quali pedine spostare ma, d'altronde, non aveva mai capito molte cose del suo modus operandi, né tanto meno del valore della pazienza. Aveva sempre preferito correre in giro per casa, nel giardino, trasformando anche il tragitto verso la scuola in una specie di corsa ansiosa, mentre lui, Clint, aveva sempre lasciato alle cose il loro tempo: non trascinava il cane, quando lo portava a spasso, né si innervosiva facilmente quando le persone arrivavano in ritardo – in compenso non impiegava più di qualche millesimo di secondo per scoccare le frecce, che colpivano puntualmente i suoi bersagli.

«Ah, finalmente!» Volse la testa verso la porta – alle sue spalle – e mostrò il suo ghigno migliore all'uomo che l'aveva appena oltrepassata, silenzioso come solo una creatura mitica poteva essere.

«Impaziente di venir sconfitto, misero mortale?» Loki attraversò la sala asettica in pochi, lenti passi.

«Mmmh, non proprio, no. Ma se avessi saputo che ci avresti messo così tanto mi sarei fermato a prendere un caffè sulla via.»

Un patetica creatura sfuggì appena dalle labbra dell'asgardiano, ma Barton preferì ignorarlo – anche la sua pazienza, d'altronde, aveva un limite – per evitare che si scatenasse una discussione che avrebbe ulteriormente posticipato la loro partita.

Quando le vesti di Loki ebbero smesso di ricordare i movimenti appena compiuti dal loro proprietario, Barton si schiarì la gola e prese i due dadi bianchi in mano. «Spero che le pedine nere ti vadano bene.» Loki inarcò un sopracciglio e prese i suoi dadi, neri anch'essi.

Li lanciarono assieme. Sei e quattro, due e cinque.

«Sei poco fortunato, mortale.» Loki mosse le prime due pedine con sguardo soddisfatto, poi intrecciò le dita dietro la testa e si lasciò cadere con una sorta di grazia sullo schienale della sedia, osservando con scherno il proprio avversario che lanciava i dadi.

Doppio tre.

Barton studiò pazientemente la disposizione delle pedine, gli occhi che si muovevano veloci tra i triangoli rossi e beige.

«Mmmh.» Le sue dita sfiorarono una pedina, ritirandosi subito, come se avessero cambiato idea. Spostò due pedine, lasciandone scoperta una terza.

«Hai intenzione di impiegare tutti gli anni che ti restano da vivere, agente Barton?», sbuffò con impazienza l'asgardiano, le dita che tamburellavano sulla superficie opaca.

«Hai troppa fretta,» mormorò in risposta l'uomo, spostando altre due pedine. Non aveva ancora ritirato la mano quando i dadi lanciati da Loki atterrarono sulla tavola e diedero il loro responso.

Due e tre.

«Tsk,» due pedine vennero spostate frettolosamente, «che brutti numeri.»

«Il tuo problema è che non riesci a concederti il tempo di pensare alle tue mosse.» Barton aggrottò le sopracciglia, analizzando i movimenti permessi dai numeri apparsi sui dadi bianchi: cinque e uno.

«Ho cose più importanti da fare, che stare per ore a giocare con te,» sbuffò, capriccioso, Loki.

«Però sei qui.» Colpito.

L'asgardiano attese in silenzio che il terrestre spostasse le sue pedine e, non appena queste vennero collocate nella loro nuova posizione, i suoi dadi furono nuovamente lanciati, le pedine nere mosse, mangiandone una bianca.

Un sorriso altezzoso si dipinse sul volto di Loki, il naso arricciato in una smorfia soddisfatta. «La tua razza è destinata a soccombere alla mia.»

Barton lo guardò inarcando le sopracciglia ma preferì non dire nulla: a che pro sprecare il fiato, ben sapendo che l'asgardiano non avrebbe mai ascoltato veramente? In fondo, non era affar suo se Loki non capiva le verità intrinseche di quel gioco apparentemente semplice, né doveva importargli del fatto che il suo avversario sembrava non capire che vincere non era il vero scopo del backgammon: la ricerca della partita perfetta non ha niente a che fare con il mero atto di togliere le proprie pedine prima che l'avversario tolga le sue. No, il backgammon era più di questo. Era un costante esercizio, una lezione da tener presente in ogni momento della vita: non importa se hai giocato la partita perfetta, né se ti sei impegnato con tutto te stesso, perché la vittoria – più o meno metaforica – non giunge per merito. Eppure, paradossalmente, questo sprona ad impegnarsi ancora di più, a cercare delle mosse ancora migliori, delle strategie sempre più perfette.

Mosse le sue pedine e, nuovamente, i suoi occhi incontrarono quelli dell'asgardiano.

«Non importa quante partite vincerai. Potrai mangiare tutte le pedine, uccidere tutte noi, devastare ogni terra in cui metterai piede.» Lo guardò, pacato, mentre lanciava i dadi e spostava le pedine nere, mangiandone un'altra di quelle bianche. « Ma alla fine rimarrai sempre incompleto, insoddisfatto delle tue mosse banali e vuote.» Le mani pallide di Loki si strinsero in un pugno che accentuò il biancore della sua pelle.

«Non sai di cosa parli, mortale.» ringhiò piano.

«E tu non sai cosa stai facendo, dio decaduto.»

Continuarono a giocare in silenzio, ognuno perso in una partita che non era quella dell'altro.

 


Ed eccomi finalmente qui con questa one-shot, scritta ormai qualche settimana fa...
Perché l'ho scritta? Beh, innanzitutto perché gioco a backgammon (un gioco che purtroppo è ancora poco conosciuto) sin da quando ero una bambina, e perché l'ho sempre trovato affascinante, malgrado le persone a cui lo spiego pensan sempre che sia un gioco facile e di fortuna.  Poi, ho trovato la bella citazione che ho messo all'inizio della mia ff, e non ho potuto ignorarla.. Spero quindi che la lettura sia stata piacevole (e che tutti voi decidiate di iniziare a giocare a backgammon.. :D).

A presto,
Cabiria Minerva

ps: mi trovate su facebook qui!

   
 
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