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Autore: selenasbff    21/10/2012    4 recensioni
"è come se stessi urlando, e nessuno ti sentisse.
ti senti quasi in imbarazzo che una persona possa essere così importante che senza di lui ti senti proprio come il nulla. nessuno capirà quanto fa male.
ti senti senza speranza, e niente può salvarti.
e quando tutto è finito, tu speri di poter avere indietro tutte le cose brutte, per poter vivere quelle belle."
è la storia di una ragazza e le sue passioni.
la vita di una ragazza può cambiare così velocemente? nessuno sa chi è per davvero. solo lui.. riuscirà a capirlo.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ore 6. 30 – casa mia.

Mi alzai per colpa della mia sveglia che suonò mezz’ora prima del previsto, come sempre. L’unica cosa che mi aiutò ad alzarmi era il sole che splendeva dalla mia finestra e i due uccellini che, come ogni mattina, si fermarono davanti la mia finestra.
Inizialmente rimasi ad osserva i loro movimenti, successivamente scesi sotto cercando di non svegliare nessuno.. ogni passo era lento e privo di qualsiasi rumore. Aprii la porta della cucina, presi quei pochi cereali che mi toccavano per colazione e, come ogni giorno, li diedi a quei poveri uccellini. Li guardai mangiare. Combattevano per quel cibo, i loro becchi si toccavano e imboccavano quei pochi cereali come se fossero il loro unico cibo. Mi piaceva troppo fissarli, mi dava serenità, cosa che nella mia vita era quasi assente.
Allungai lentamente le mani per afferrare la sveglia e vidi che erano ancora le sette meno venti, mancava troppo per scuola. Quella fottutissima sveglia mi aveva svegliato troppo presto e non sapevo cosa fare. All’improvviso lo sentii.
Quella voce. Quella musica.
Non sapevo di chi fosse. Non sapevo come questo ragazzo si chiamasse. A me piaceva chiamarlo ‘principe azzurro’, perché quando lui cantava, era come se rapisse il mio cuore e se lo portasse con se, proprio come fa un principe con la sua principessa. Sapevo solo che quella voce era meravigliosa. Il dolce suono della sua voce rimbombava nella mia testa. E’ come se essa fosse stata fatta apposta per le mie orecchie. Sembravano un tutt’uno. Mi alzai di fretta e camminando, chiusi gli occhi, per assaporare di più quella voce così soave.
«Ahi!»
Inciampai in una scarpa e caddi per terra, facendo cadere così anche la lampada e tutta la roba sul mio mobile. A quanto pare tutto il silenzio che avevo fatto non era servito a niente! Sentii dei passi veloci provenire dalla’altra stanza.
«Che è successo?»
Alzai gli occhi e vidi mia madre guardarmi con occhi spaventati e irritati allo stesso tempo.
«Ma- mamma.. non è come sembra, scusa!»
«Che è successo?»
Sentii di nuovo urlare , questa volta da Isabelle, che entrò correndo nella mia camera con il suo piccolo sorriso dolce e i suoi ricci e lunghi capelli biondi, che riuscivano sempre ad ipnotizzarmi. Svolazzavano da una parte all’altra a causa del vento che entrava nella stanza e riuscivano a riflettere la luce del sole.
«Niente tesoro, vai a dormire!» le risposi per tranquillizzarla. «Scusa mamma, la mia sveglia è suonata prima.» continuai.
«Che non si ripeta più, ora vatti a cambiare, tanto ormai è quasi ora di andare a scuola!»
Mi alzai e incominciai a prepararmi.
Entrai in bagno e alzai la testa. Ecco quello specchio. Ecco il mostro che ogni giorno rifletteva il mio orribile volto e i miei capelli super spettinati che facevano da cornice a quel naso grosso, a quegli occhi sempre rossi per le lacrime e a quel graffio lungo la tempia. Era rosso, pieno di sangue e di dolore. Presi un pettine e iniziai con forza a pettinarmi i capelli, ogni movimento che facevo era sempre più intenso, le mie braccia incominciarono anche a diventare rosso per la forza che riuscii a far uscire da dentro di me. Con rabbia, strinsi fra le dite il pettine e lo buttai giù nel lavandino, mi coprii gli occhi, mi accasciai all’angolo della stanza e, guardando il mio corpo pieno di graffi e ferite, iniziai a piangere.


Ore 8. 30 – Stratford, scuola.

Arrivai a scuola, con il fiatone, dovevo arrivare ogni giorno a piedi, a differenza di tutte quelle ragazzine che arrivavano accompagnate dalla loro macchina perfetta del loro papà perfetto. Mi faceva male guardarle, io non ero come loro. Ero una stupida ragazza che tutti odiavano, che nessuno conosceva e che nessuno voleva attorno. Cercai di dimenticare l’episodio straziante di qualche ora prima e camminando a passo svelto, entrai dalla porta a testa bassa, facendo finta di non sentire tutti quegli insulti provenire dal resto della scuola, evitando quindi tutti quegli sguardi puntati su di me, come se fossi un mostro o peggio.. un alieno. Mi odiavano. Inventavano strane storie su di me, sul perché ero sempre piena di graffi, sul perché non parlavo mai con nessuno. Andai al mio armadietto, lo apri con forza e presi i libri di scienze, la prima ora era sempre la più orribile.
Mi sedetti sul banco, ero così magra che ci entravo subito, senza alcuno sforzo. Presi il libro e lo posai sul banco.
«Hai visto che strana ragazza?»
Sentivo dal fondo della classe. Guardai in basso e iniziai a vedere le mie lacrime cadere sui miei soliti jeans strappati. La mia vita era uno schifo, proprio come lo ero io.
  
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