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Autore: UncleObli    21/10/2012    2 recensioni
Un incontro casuale, forse scritto nel destino. Una semplice passeggiata in un anonimo parco potrà riavvicinare due amati? Quando si perde persino il ricordo della persona amata, cosa resta? Forse solo una camelia in fiore.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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“Anche gli incontri casuali seguono le vie del destino.”                                                                  

“Mi scusi, potrebbe ripetere?” chiedo cortesemente, seppur sconcertato, alla giovane ragazza che mi si trova di fronte e che per prima mi ha rivolto la parola.                                                                                          

“Come ho già detto prima, il nostro incontro era già stato decretato da altri. Mi segua.”                                        

Non credo di essere un uomo particolarmente influenzabile, eppure nei movimenti aggraziati della ragazza scorgo qualcosa che mi colpisce, che mi attrae e mi respinge allo stesso tempo, come se ella fosse parte di una memoria lontana, che dovrei ricordare…ma non ci riesco.                                                         

“Mi scusi, ma la conosco, forse?” Le chiedo, sorpreso da un simile comando tanto perentorio quanto inatteso. Aspetto la risposta in silenzio, nel frattempo continuando a camminare nella direzione della ragazza di cui non so il nome, (o che non ricordo…)  come spinto da una forza misteriosa, le sibilline parole ch’ella mi ha rivolto poco prima mi si insinuano nella mente, cariche di significati nascosti. Il silenzio si protrae, ma non sembra intenzionata a rispondere, e io rinuncio senza protestare, conscio che un nome o una risposta non possono modificare l’essenza di chi mi sta davanti, né la mia. In fondo nulla sembra importante in questa fredda sera di dicembre tranne che la luna invernale che tutto illumina di una luce spettrale dai contorni indefiniti e distanti dalla realtà, se ve n’è una che si possa chiamare tale.                                                                                                                       

 “Non le sembra estremamente illogico il suo comportamento, signorina? Io non la conosco, e non dovrei seguirla…” provo comunque a dirle, ma la mia voce si riduce a poco più di un sussurro quando la mia interlocutrice si ferma e finalmente si volta verso di me. Siamo entrati in un parco deserto, alle porte della piccola cittadina della prefettura di Yamanashi, dove io lavoro e vivo da molti anni. E’ un parco normalissimo, di quelli che si trovano in ogni piccolo paesino di provincia, niente di più che un agglomerato di spogli alberi, i cui rami, algide mani protese ad artigliare il cielo crudele, trasmettono una sensazione di tristezza impalpabile, come fiori riflessi in uno specchio. Dal primo piano di una vicina palazzina a due piani proviene soffusa una sonata per pianoforte di Frederic François Chopin. La soave musica aleggia fra di noi mentre la ragazza riflette intensamente sulle mie parole, cercando di afferrare quelle più adatte a rispondermi. Intanto la osservo attentamente, ormai vinto dalla malia di quell’incontro improbabile. E’ vestita sobriamente, con degli stivali neri di pelle consunta dall’uso, un paio di jeans semplici e un elegante soprabito blu notte. Il viso mi lascia interdetto. L’impressione generale non è affatto spiacevole, e un ovale perfetto incornicia un volto dai lineamenti regolari, ma gli occhi sono molto particolari, freddi e distanti, così neri da sembrare un pozzo di oscurità aperto sul nulla, e ne ho timore, ho la sensazione di essere trapassato da una lancia di tenebra, e solamente la sua voce riesce a scuotermi dall’incantesimo:                                                                                                                                     

“Non direi, tutto ciò che ho fatto è stato di offrirle una serata in mia compagnia, ma sta a lei decidere se accettare o meno il mio invito” E poi prosegue citando Murasaki Shikibu :                                                         

“Io sono come la luna che cammina nel cielo ignara delle minacce che le possono riserbare le crudeli colline; per quanto alta essa navighi, a un tratto la sua luce può essere cancellata.”

Così dicendo si volta e prosegue il suo silenzioso cammino. Per quanto le sue parole possano avermi sconvolto, nella loro artificiosa bellezza provo il desiderio, intenso e struggente, di seguirla, di conversare ancora con lei, di poter fare breccia nel suo muro di silenzio, di comprenderla, semplicemente di poter abbracciare con lo sguardo il suo intero essere. Così i nostri passi si affiancano e in silenzio attendo, consapevole che qualcosa deve accadere, poco importa cosa. Camminando giungiamo ad un piccolo laghetto artificiale, in cui la luna danzando sparge tutt’intorno piccole falci di luce. Ed ecco, lei si ferma, si inginocchia e con le mani a coppa circonda un piccolo fiore, che si erge impavido sulla riva del piccolo specchio d’acqua.                                                      

“Non trovi che questo fiore sia magnifico?” mi chiede.                                                                                          

“Non saprei, è solo un piccolo fiore invernale!” le rispondo, vagamente infastidito.                                                    

“No, non lo è. E’ una camelia.” sibila, come se questo spiegasse il motivo di tanto interesse.                       

“E allora? E’ solo un fiore!”. Stavolta il mio tono è beffardo. Del timore reverenziale con il quale fino ad ora ho conversato con la ragazza, non rimane neanche l’ombra.                                                                

“La camelia è un fiore che non ha profumo, sboccia in silenzio senza farsi notare…perfino il modo in cui appassisce è lugubre e miserabile.” Dette queste parole, ella mi fissa intensamente, come per studiare la mia reazione. Io non capisco cosa voglia comunicarmi e perciò obbietto:                                              

“Non capisco, ma se il nostro è un incontro decretato dal destino per quale motivo mi hai portato qui? Cosa vuoi dirmi?”                                                                                                                                               
“L’essere umano in sé non ha nulla che questa camelia non abbia. L’essere umano è questa camelia, e anch’egli non può che appassire solo, abbandonato al gelo invernale in una notta di luna, senza stelle”.

Così dicendo si alza, elegante come una delicata goccia di rugiada in un mattino di primavera, e se ne va. Io resto solo, e fisso la camelia. Ancora non capisco il significato delle sue parole, ma ciononostante, continuando a fissare la camelia, mi sorge il pensiero che essa, pur nella sua decadente bellezza, possieda un’incredibile nobiltà. Quel fiore ha in sé prepotente il desiderio di vivere, e ne è orgoglioso. Pur gettata nel freddo abbraccio dell’inverno continua a crescere, sprezzante, e incarna nel suo fiore senza profumo un’ immensa speranza, alimentata dall’amore noncurante di chi, passandole accanto, le regala un timido sorriso o una parola gentile di conforto…ciò mi riempie il cuore di commozione. Vorrei regalare anche a lei questo pensiero e mi volto verso il punto in cui mi sembrava di averla vista sparire, inghiottita dalle tenebre. Allora anch’io mi alzo e la inseguo, frenetico, temendo di averla persa per sempre, perché adesso ricordo dove una volta ancora avevo avuto la possibilità di ammirare quegli occhi, velati da una struggente malinconia…                                                                                                                                            

Finalmente la raggiungo, e le afferro la mano. E’ fredda. Dopo attimi interminabili lei si volta, mi guarda ed io annego per la terza volta nel labirintico paesaggio della sua anima infelice. Ed infine io sorrido e indicando il piccolo lago alle nostre spalle recito la poesia:                                                                                                                                           

“Quantunque io vaghi lontano e in terre sconosciute, in questo specchio consentimi di lasciarti la mia immagine, perché mai si discosti dal tuo fianco.”     
                                                                                         
Anche lei ora sorride e ricambiando la stretta della mia mano mi accompagna di nuovo al laghetto, dove ci sediamo, assaporando quieti lo scorrere del tempo. E solo allora avvicino le mie labbra al suo viso e sussurro il suo nome.
  
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