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Autore: babykit87l    22/10/2012    2 recensioni
Alina aveva un sogno… ma i sogni non sempre si possono realizzare
Note: questa storia partecipa al contest "Tutto ha una fine" di Giacopinzia17
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore:  Babykit87l
Titolo della storia: SOGNO E REALTA’
Fandom: Originale
Genere: drammatico, introspettivo
Avvertimenti: /
Pairing: Alina, Enrico
Rating: Giallo
Introduzione: Alina aveva un sogno… ma i sogni non sempre si possono realizzare.
NdA: (a vostro piacimento!): è la mia prima storia originale, siate clementi, per favore! La storia partecipa al contest “Tutto ha una fine” di Giacopinzia17

SOGNO E REALTA’

Leggiadra come una colomba, volteggiava passo dopo passo, sicura e felice. Alina capì che la sua vita era perfetta solo in quel preciso istante. Lì, su quel parquet, con la musica che risuonava per il teatro e solo un occhio di bue ad illuminarla. Solo lei e uno scroscio di applausi a dimostrazione che lei era una stella luminosa, acclamata dal suo pubblico e il palco era il suo trionfo. Era lì davanti a tutti, pronta a inchinarsi a cotanto amore, quando un suono fastidioso e assordante bloccò quella scena…

Aprì gli occhi, svegliata come tutte le mattine, da quando era piccola, da quella sveglia maledetta che aveva la capacità di interrompere il suo sogno lì, sul più bello, come se sapesse che quel preciso istante sarebbe potuta e dovuta essere la conclusione perfetta. “Maledetta” pensò mentre la sua mano si abbassava su di essa per farle smettere quel suono terribile. Un altro sogno spezzato a metà. Un altro giorno cominciava. Si alzò a sedere dando uno sguardo alla stanza intorno a sé. Eh sì quell’immagine a teatro era decisamente un sogno! La realtà era ben diversa. Si alzò stancamente e ancora assonnata si diresse verso il piccolo bagno accanto alla camera da letto, mentre evitava il gran disordine che regnava in quella stanza, piena di vestiti, scarpe, borse e libri sparsi ovunque, eccetto che nei loro rispettivi posti. In breve tempo si fece una doccia e si preparò, una maglia lunga rosa che le arrivava a metà coscia e un paio di leggings viola che sfioravano il ginocchio, decolté tacco 12 con plateau sul davanti e una coda alta a legare quella montagna di capelli che arrivavano quasi fino al sedere. A vederla così, scombinata e incasinata, nessuno l’avrebbe mai detto, ma Alina era una ballerina, classica per giunta, e quella mattina sarebbe stata la volta in cui la sua vita sarebbe cambiata per sempre. O almeno lo sperava, dopo i mille provini e piccole comparsate fatte fino a quel momento. Non che ne fosse pentita, anzi aveva accettato tutto di buon grado e con spirito ottimista, perché come diceva sempre sua madre “la gavetta è importante”. Quel giorno, però, avrebbe sostenuto il provino più importante della sua vita e non poteva fallire. Aveva provato quella variazione per mesi, in vista del provino perfetto, e non una variazione qualsiasi ma il cigno nero e i suoi muscoli ormai sapevano i movimenti come se avessero fatto solo quello fino a quel momento. Preparò la borsa con il tutù nero, la calzamaglia e le scarpette, rigorosamente dello stesso colore della sua pelle leggermente olivastra, il cd con la musica del lago dei cigni con il pezzo della sua esibizione e un curriculum, leggermente stropicciato. Era pronta. Fece una veloce colazione con un cappuccino, senza zucchero, mentre la televisione trasmetteva il telegiornale della mattina, ma lei non l’ascoltava nemmeno perché nella sua testa ripassava la coreografia, passo dopo passo, persino i respiri che avrebbe dovuto fare, poi distrattamente spense l’apparecchio elettronico, e chiuse casa. Fece le scale del palazzo di corsa, nonostante i tacchi, poi una volta raggiunto il portone, che si chiuse alle sue spalle, con l’mp3 acceso a volume alto nelle orecchie, si avviò verso l’accademia, dove la compagnia quel giorno avrebbe provinato più di 2000 ragazzi per uno spettacolo in giro per l’Europa. In pratica un vero tour con una vera compagnia, ballando su melodie senza tempo. La realizzazione del sogno di un’intera vita. Sarebbe stato tutto perfetto. A passo spedito camminava per le strade della città, fremente e piena di carica, per arrivare il più velocemente possibile, voleva dimostrare a tutti che i sacrifici che aveva fatto in 22 anni, senza uscite con le amiche, senza storie d’amore, perché l’avrebbero solo rallentata e distratta, chiusa in palestra ad allenarsi o in camera a studiare per mantenere una media alta (perché lo studio è fondamentale a prescindere da tutto) non erano stati tutti vani, che non aveva perso tempo per qualcosa di effimero e di sfuggevole ma aveva dato la vita per un sogno concreto e realizzabile. Nessuno l’avrebbe più biasimata per le sue scelte, nessuno l’avrebbe più snobbata, ritenendola una fuori di testa e stralunata. Sarebbe diventata una grande étoile. Fintanto che si dirigeva verso quella meta ormai così vicina, si fermò davanti ad una vetrina, vendeva abiti da sera e da cerimonia e si perse ad immaginarsi con uno di quei vestiti così eleganti, con una grande acconciatura, mentre scendeva da una lunga limousine nera, attorniata di fotografi che la immortalavano mentre si recava alla première dello spettacolo a lei dedicato. Avrebbe vissuto il resto della sua vita sulle punte, di questo era certa. Quando la sua mente tornò alla realtà, sospirò e con più energia di prima, si diresse ancora in direzione di quello stabile che aveva sempre sognato di varcare e dopo una rapida occhiata alla strada, dove il semaforo le indicò il momento di passare, fece un paio di passi, poi un suono stridente la fece voltare. Pochi istanti e un dolore fitto e sordo. Poi il buio.

***

Passarono molti giorni. I provini erano ormai conclusi. La compagnia era stata formata ed era già in giro per l’Europa. Alina però non si era nemmeno presentata. Non aveva varcato quella soglia.
Quando aprì gli occhi, Alina notò per prima cosa il bianco candido del soffitto davanti a lei. Aveva la testa intontita e faticava a respirare. Cercò di muoversi ma non riusciva a fare un solo movimento. Tentò di parlare ma un tubo, che sentiva buttato fino in gola, glielo impediva. Una sola domanda si fece largo nella sua testa: cosa era successo? Sentì una porta aprirsi e un infermiera seguita da un medico sulla trentina entrarono, senza mai togliere lo sguardo da lei. Si rese conto allora di essere in un ospedale. I suoi occhi palesavano quella domanda che vorticava nella sua testa e il medico iniziò a parlare.

- Signorina Cirico, sono il dottor Stellamare. Ora lei non può parlare perché purtroppo abbiamo dovuto intubarla e dovrà rimanere così almeno per altri due o tre giorni. Non deve affaticarsi- Il suo tono fu tranquillo e pacato- Immagino lei non ricordi ciò che è successo- Capì dall’espressione di Alina che aveva centrato il segno- Allora, le spiegherò perché si trova qui e come dobbiamo procedere-.

Parlava lentamente mentre le spiegava che un uomo, ubriaco, tale Enrico Tarli, dopo essersi messo alla guida della propria vettura l’aveva investita non rispettando il segnale di stop del semaforo. Alina aveva volato per un paio di metri, andando a sbattere sul cruscotto di un’altra vettura ferma all’incrocio, spaccando il vetro. Quando l’ambulanza era arrivata, l’aveva subito trasportata in ospedale, dove aveva subito un intervento per estrarle i pezzi di vetro che si erano conficcati nella pelle delle braccia e della schiena, ma purtroppo alcuni di essi avevano irrimediabilmente lesionato alcuni nervi delle braccia e non era possibile sistemare la situazione con un intervento chirurgico. L’unica soluzione era riposo ed evitare pesi eccessivi, oltre ad una lunga fisioterapia mirata. Inoltre aveva riscontrato un polmone collassato motivo per il quale doveva rimanere intubata. Durante il racconto la ragazza era passata dalla confusione iniziale alla disperazione. Una volta spiegata la situazione, il medico e l’infermiera, la lasciarono sola, nella stanza. Aveva la testa vuota. L’unica cosa che riusciva a pensare era il fatto che non avrebbe più potuto ballare. Non avrebbe più realizzato il suo sogno. Piano dentro di sé i suoi sentimenti mutarono, ripensando alla sua vita, alle sue aspirazioni, a ciò che si era programmata di fare, sin dalla più tenera età, quando davanti a uno spettacolo di danza classica fu folgorata dalla grazia e dallo spirito di quelle ragazze, che sembravano volare in aria. Erano felici. E da quel momento aveva deciso che anche lei avrebbe provato quelle sensazioni e avrebbe dato ai suoi spettatori le stesse emozioni che l’avevano invasa quando anche lei lo era stata. Ora tutto ciò non sarebbe più avvenuto. In quei giorni di degenza in ospedale, rimase trincerata dietro un silenzio innaturale, incapace di accettare la realtà, nemmeno la presenza della sua famiglia accorsa per starle vicino in quel momento così difficile, inconsapevoli del dolore e della disperazione che piano si erano fatti strada nei suoi pensieri; finché non arrivò il giorno in cui la estubarono e poté finalmente iniziare a muoversi un po’. Chiese a un’infermiera se sapeva chi fosse l’uomo che l’aveva ridotta in quello stato e lei le rispose che non era a conoscenza dell’identità dell’uomo ma che egli si trovava in quello stesso ospedale perché l’incidente aveva lesionato anche lui. Mediò a lungo in quei giorni, cercando di fare chiarezza su di sé e sui suoi sentimenti, poi una sera si alzò e decise di andare dall’uomo. Piano si diresse verso quella stanza e senza troppi indugi entrò. L’uomo era sdraiato sul letto e aveva una flebo attaccata al braccio, mentre una fasciatura gli copriva la fronte. Si avvicinò e lo guardò meglio, dandogli uno schiaffetto leggero per svegliarlo.

- Sai chi sono?- Gli chiese freddamente. Annuì incapace di parlare-Sei un bastardo. Mi hai rovinato la vita. Avevo un grande avvenire e tu me l’hai portato via- Per un solo istante, nel pronunciare quella frase i suoi occhi divennero vacui. Poi tornarono freddi e impassibili come poco prima.

- M-mi dispiace- Balbetto Enrico, spaventato.

- Un semplice mi dispiace non basta- Lo guardava negli occhi. Voleva raggiungere la sua anima, se ne aveva una.

- Io…- Non sapeva che dire. La ragazza gli incuteva terrore. Vedeva qualcosa dentro di lei che non si sarebbe mai aspettato. I suoi occhi si allargarono mentre guardavano fissi quelli della ragazza. Alina se ne accorse e la rabbia iniziò a prendere il sopravvento su di lei.

- Te ne sei reso conto vero?- Lui non seppe reggere ancora il confronto e abbassò lo sguardo. Sapeva perfettamente cosa provava ed ebbe un moto d’empatia nei suoi confronti. Anche lui sentiva quella sensazione che gli attanagliava l’anima e non lo faceva vivere.

- Perché?- Chiese Alina, sibilando ogni parola. Enrico rimase zitto. Non avrebbe potuto consolarla in nessun modo.

- PERCHE’ PROVO QUESTE COSE? PERCHE’ A ME?- Urlò in lacrime, mentre poneva quella domanda.

- Non lo so- Rispose lui con un sussurro. Nel frattempo due infermiere di turno accorsero a quelle urla e allontanarono la ragazza che si scostò e tornata al suo mutismo tornò in camera, sdraiandosi di nuovo sul letto. Ciò che l’uomo aveva visto negli occhi della giovane non era rabbia, come tutti si sarebbero potuti immaginare. No, era piuttosto delusione. E anche qui, un’altra sorpresa perché questa emozione non era rivolta solo verso colui che le aveva tolto la possibilità di diventare una grande ballerina. La delusione che Alina provava era verso se stessa. Nella sua testa vorticavano sempre gli stessi pensieri: il suo corpo non era stato forte come aveva sempre creduto, la sua fantasia l’aveva illusa e le aveva fatto perdere tempo davanti a quella vetrina. Se solo avesse attraversato prima la strada, ora la sua carriera starebbe decollando. Poi un nuovo pensiero si fece strada dentro di lei. Non sarebbe mai diventata una grande étoile. C’erano sempre stati tanti più bravi di lei. Tanti con più talento. E una nuova sensazione di delusione si affacciava nel suo animo. Aveva sempre creduto che prima o poi ce l’avrebbe fatta, nonostante ogni volta la vita le riservava una porta chiusa o uno schiaffo morale. E allora ecco che di nuovo si sentiva delusa, era decisamente delusa perché la sua vita era stata una farsa e solo ora se ne rendeva conto. La realtà era ben diversa ma lei, nonostante la consapevolezza di ciò, aveva fatto finta di nulla e malgrado tutto, si era messa in testa di raggiungere un sogno, decisamente lontano, decisamente irraggiungibile. Era delusa da se stessa e dal suo sogno. Era stata stupida e ora non le rimaneva nulla. Solo la consapevolezza di aver davvero speso anni della sua vita in qualcosa di inutile, di inaccessibile. Perché? Lo aveva chiesto anche a quell’uomo. E come se la risposta fosse sempre stata lì, come una certezza, il suo animo rispose: perché prima o poi i sogni finiscono e si torna alla dura realtà. A caro prezzo, anche lei si era svegliata dal sogno. E le lacrime tornarono a scorrere.

 
   
 
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