HAI
VINTO
Quegli adorabili ciuffi di capelli chiari entrano nel suo campo visivo, e il
fatto che ancora riesca a pensare a loro come “adorabili” gli fa venire voglia
di conficcarsi le unghie nel viso e tirare via la pelle a forza di graffi.
La testa gli gira e non dovrebbe: Aomine Daiki non ha momenti di debolezza, non prova sensazione di
decadimento, non sente le vertigini invadergli cervello e occhi. Mai.
Quando entra in campo sta già sudando, ma la sua impeccabile presenza non fa
trasparire alcun tipo di emozione: Aomine Daiki è chiuso ad ogni tipo di emozione che possa mirare
alla sua reputazione di “fenomeno”, e invece accoglie la sensazione di potere,
la superbia, la soddisfazione, la voglia di prevalere, di dimostrare a tutti
che, davvero, nessuno è in grado prendere il sopravvento su di lui. Nessuno.
“Ha detto che una volta
era la tua “luce”.
Ho avuto la sensazione che non foste ordinari compagni di squadra.
Cosa è successo tra voi due alle medie?”
«Tetsu!»
Il ragazzino dai capelli chiari si voltò lentamente, fermo sulle scale del
ponte, un ghiacciolo azzurro in una mano, mentre l’altra se ne stava appesa al
proprio borsone, quasi più grosso di lui.
«Lo sai che con me il numero di sparizione non funziona,» fece Aomine spavaldo, ma dal respiro leggermente affannoso si
capiva che aveva appena fatto una corsa, e si infilò le mani in tasca per poi
scendere anche lui lentamente le scale e affiancarsi all’altro.
«Eppure ti sei accorto solo adesso che mancavo, o sbaglio?» chiese retoricamente
Kuroko senza modificare l’espressione facciale.
«Sapevo che te l’eri svignata, ma stavo finendo di parlare con Kise. Non mi sembra educato abbandonare una conversazione a
metà.»
«Ne hai di coraggio, a parlare di educazione,» fece Kuroko
per poi voltarsi e continuare a camminare come se niente fosse, portandosi di
tanto in tanto il ghiacciolo alla bocca. Ad Aomine
saltarono i nervi: se soltanto avesse avuto anche lui un ghiacciolo, a
quest’ora l’avrebbe infilato sotto al maglioncino di Kuroko,
proprio come Kuroko usava fare con lui. Ma sapeva che
tanto quello non si sarebbe mai scomposto, qualunque cosa avrebbe fatto.
«Io sono educato, almeno finché non ci sei tu nei paraggi. A quel punto divento
irritabile,» disse Aomine tentando di trattenersi, e
sapeva benissimo che in realtà era il contrario, che le sue parole erano
l’opposto di quello che pensava realmente. Aveva davvero bisogno di qualcosa di
freddo per calmare i suoi bollenti spiriti.
Kuroko gli passò da sopra la spalla un ghiacciolo
ancora incartato, senza nemmeno girarsi a guardarlo.
«D-dove lo tenevi quello?!» esclamò Aomine, che ancora doveva capire se Kuroko
fosse più tagliato a fare il giocatore
di basket o il prestigiatore.
«Ce l’ho sempre avuto in mano. Sapevo che saresti arrivato,» rispose l’altro
atono, e Aomine sospirò per poi alzare le spalle e
accettare il ghiacciolo. Improvvisamente non aveva più voglia di infilarglielo
sotto la maglia.
Era già il tramonto, ed entrambi se ne stavano zitti a pensare alla partita
mentre gustavano ognuno il proprio ghiacciolo, lo sguardo perso chissà dove. O
almeno, Aomine era convinto che anche Kuroko stesse pensando alla partita appena disputata e
vinta.
«Aomine-kun?» se ne uscì dopo un po’ il più piccolo.
«Mm?» fece l’altro col ghiacciolo che gli tappava la bocca.
«Kise-kun è migliorato,» disse Kuroko
senza troppa enfasi. Aomine scosse la testa ridendo
piano e sistemò il borsone sulla spalla.
«A me sembra scarso come sempre. Ieri abbiamo fatto un altro uno contro uno, e
chi pensi che abbia vinto?» chiese retoricamente, un occhio chiuso e l’altro
aperto, il sorriso beffardo.
«Ti diverte giocare con lui?» chiese poi Kuroko all’improvviso,
la stessa tempistica con cui appariva magicamente davanti alla gente.
«Sì, devo ammetterlo. Anche se sento che con l’andare del tempo diventerà
sempre più noioso. Non sarà mai in grado di arrivare al mio livello,
figuriamoci di superarmi,» rispose l’altro per poi lasciarsi andare a uno
sbadiglio, quasi a fargli capire quanto fosse noioso avere a che fare con
persone non alla sua altezza.
«Potresti sempre aiutarlo tu a migliorare, no?»
«Non credo di poter riuscire a… aspetta, ma perché mi
stai facendo queste domande?» domandò quindi Aomine
con un sopracciglio alzato, il ghiacciolo quasi finito, mentre Kuroko era ancora a metà.
«Così,» disse Kuroko asciutto, quasi a voler
concludere lì quella conversazione senza senso. Il ragazzo dalla pelle scura
assunse un’espressione del tutto eloquente, poi iniziò a stuzzicare l’altro, a
mettergli pressione, per vedere se almeno questa volta riuscisse a smuoverlo.
«Hai paura che possa scegliere Kise come mio compagno
prediletto?» chiese piegandosi per arrivare alla stessa altezza di Kuroko.
«No,» fece quello tranquillamente guardando davanti a sé.
«Quindi la tua non è gelosia?» e tirò fuori il sorriso bastardo.
«No.»
Aomine tornò su e sospirò, poi diede un’occhiata allo
stecchino spoglio del ghiacciolo e il lato destro della bocca si sollevò
mostrando appena i denti appuntiti: la scritta nera “Hai vinto” era lì in bella vista lungo tutto lo stecchino. Come
poteva non vincere anche sotto quell’aspetto? Non ne fu tanto stupito, lasciò
scivolare lo stecchino nella tasca della giacca e si portò entrambe le mani
dietro la nuca.
«Ma infatti. Come posso aspettarmi che Kuroko Tetsuya provi sentimenti
come la gelosia?» fece, per niente intenzionato a chiudere il discorso: lo
divertiva da morire prendere in giro Kuroko.
Soprattutto perché era l’unico davvero capace di tenergli testa. «E sì, mi
piace la compagnia di Kise, se vuoi saperlo,» aprì
solo un occhio per assicurarsi di aver urtato la sensibilità dell’altro, ma
quello non diede alcun segnale di turbamento, anzi, era ancora più ameba di
prima, e continuava a succhiare silenziosamente il ghiacciolo azzurro. Ma
quanto diavolo ci metteva a finirne uno?
«Hai fretta?» chiese Aomine dopo un po’, e adesso
aveva voglia di un altro ghiacciolo. Kuroko lo guardò
con il suo in bocca indirizzandogli uno sguardo che doveva essere
interrogativo, ma che fondamentalmente era uguale a quello di prima, e poi negò
con la testa.
«La facciamo una deviazione?» propose Aomine, mani in
tasca e sguardo che puntava al tramonto.
«Dove vorresti andare?» chiese Kuroko senza
modificare la velocità della sua andatura, e nel mentre scartava un nuovo
ghiacciolo. “E quello da dove diavolo l’hai tirato fuori?!” avrebbe voluto
urlargli Aomine, ma ormai sapeva di essersi abituato
alle stranezze del compagno, e non fece altro che sospirare un’altra volta.
«Da qualche parte.» si limitò a dire, e intanto dava un’occhiata al parco
giochi alla loro destra.
«Non ci puoi andare da solo?»
«Ma che diavolo…? Non te l’avrei chiesto, altrimenti!
Vieni con me e basta. Sei la mia ombra sì o no?» sbottò Aomine,
che adesso si stava davvero innervosendo, e prese Kuroko
dalla mano libera trascinandolo con sé verso il parco giochi deserto e toccato
dal tramonto. Era tutto giallo e arancione e rosso e i lampioni erano ancora
spenti.
Aomine andò a sedersi su una delle tre panchine
appoggiando i gomiti allo schienale, spalancando la gambe e buttando il capo
all’indietro. Quando Kuroko lo raggiunse con tutta
calma, il più alto gli fece segno di sedersi sulle sue gambe, e quello non
oppose alcun tipo di resistenza verbale. Si posizionò piano sulla gamba sinistra
di Aomine dopo aver lasciato il borsone ai piedi
della panchina accanto a quello del compagno. Poi quest’ultimo gli passò la
mano sul fianco e lo attirò maggiormente a sé, mentre Kuroko
si trascinava il ghiacciolo dietro. Aomine bloccò
quella mano, poi fissò i propri occhi in quelli senza espressione di Kuroko e se la portò alla bocca per poter mordere il
ghiacciolo, staccandone un pezzo di considerevole grandezza. Kuroko non si lamentò, e subito dopo tornò a succhiare il
ghiacciolo sul punto in cui era stato morso da Aomine,
e abbandonò il capo senza troppe cerimonie sulla spalla del più grande,
schermandosi dal sole che doveva ancora tramontare del tutto con il suo profilo
appuntito.
«Sei la mia ombra sì o no?» Aomine ripetè la domanda che aveva fatto alcuni minuti prima e che
non aveva avuto risposta.
«Cosa vuoi che ti dica?» ribatté Kuroko, stesso
identico tono di voce. Aomine lo guardò con un
sorriso sghembo e strinse la presa sul suo fianco sottile. Era così piccolo tra
le sue braccia.
«Ce l’hai con me perché passo troppo tempo con Kise?»
chiese quindi, divertito.
«Non vedo come questo possa essere un problema,» replicò l’altro, serio come la
morte, il ghiacciolo che faceva fatica a consumarsi. Aomine
buttò la testa all’indietro e guardò la strana colorazione che aveva preso il
cielo: ricordava vagamente il colore dei capelli di Momoi.
«Devo approfittarne un po’, adesso che non sento ancora forte la voglia di
spaccarvi il culo a tutti e sono ancora alla Teiko.
Tempo un mese e Kise non lo vedo mica più,» disse con
la sua solito spavalderia, poi sembrò appesantire leggermente il tono. «Stavo
pensando che dovrei imparare a fare a meno anche di te. Presto mi ritroverò a
giocare solo, la luce senza la sua ombra,» aggiunse per poi tirare su il capo
piano. Kuroko non si mosse dalla sua posizione e
parlò senza esitare.
«Io sarò ovunque tu sarai.»
Aomine gli dedicò uno sguardo leggermente sorpreso,
ma si doveva ricordare che non aveva da sorprendersi con uno come Kuroko. Quel tipo era pieno di sorprese, come quella volta
in cui gli aveva tirato un pugno durante un Time Out
perché non voleva rimanere in panchina a raccogliere le forze, o quella volta
in cui gli aveva indirizzato parole talmente taglienti da zittirlo in mezzo
secondo, o quando era riuscito a farlo cadere solo colpendo il retro della sua
gamba con il ginocchio.
«Troverai un’altra luce,» si lasciò sfuggire Aomine,
e si rese conto di aver prodotto sottoforma di suoni la sua paura, il suo
timore, quella che poteva essere considerata la sua sola debolezza.
«Può darsi,» ammise Kuroko, e diede un morso al
ghiacciolo. «E farò di tutto per renderla luminosa quanto te,» aggiunse senza
troppi giri di parole, convinto come sempre delle sue affermazioni.
«Così che finalmente potrò avere qualcuno con cui confrontarmi seriamente,»
disse Aomine sorridendo tra sé, e fece in modo che Kuroko potesse poggiare entrambe le gambe sulla sua coscia
destra, mentre se ne stava seduto sulla sinistra. «Ma io sarò solo. Non avrò un’altra
ombra. Preferisco giocare da solo, piuttosto che farlo con qualcuno che non sia
tu, Tetsu.»
«Te l’ho detto: sarò ovunque tu sarai. Non giocherai da solo. Sarò qui,» e gli
puntò il petto con il dito della mano che reggeva il ghiacciolo. «e tu avrai la
potenza, la coordinazione, la velocità, la resistenza, la prontezza di due giocatori. E sarai imbattibile. Perché
ti ho promesso che avrei fatto di te il miglior giocatore del Giappone,»
concluse, gli occhi azzurri fermi in quelli scuri dell’altro, il ghiacciolo
pericolosamente vicino alla giacca del più alto. Aomine
gli prese nuovamente la mano e se la portò alla bocca, ma questa volta non per
assaggiare il ghiacciolo: percorse con le labbra il dorso della mano di Kuroko quasi stesse baciando la mano di un principe e,
«Ti amo, Tetsu,» mormorò sulla sua pelle bianca, poi
allontanò la mano dalle proprie labbra e andò a cercare la bocca fredda di Kuroko, che se ne stette lì a ricevere tutto quello che
riusciva a prendersi, il ghiacciolo che con l’andare dei baci iniziava a
sciogliersi e a colare sulle dita. E Kuroko non aveva
il coraggio e l’intenzione di dire ad Aomine di
smetterla solo per poter impedire al ghiacciolo di sciogliersi. Sarebbe rimasto
col braccio teso e il ghiacciolo che gocciolava anche sino a sera tarda.
E nel mentre, Aomine trovò il modo di sfilare dalla
tasca della propria giacca lo stecchino vincente e di lasciarlo scivolare in
quella di Kuroko che, sentitosi toccare sul fianco da
entrambe le mani di Daiki, voltò d’istinto il capo.
Mentre tentava di tirare fuori qualunque cosa gli fosse caduta nella giacca, Aomine gli lasciava brevi baci sul collo, e l’altro
rabbrividiva, e il più alto era contento di aver trovato un modo per farlo
reagire, per smuovere quel suo fare impeccabile.
«Cosa avrei vinto?» chiese Kuroko quando tirò fuori e
lesse lo stecchino. Aomine alzò le spalle e poi si
indicò il petto.
«Me,» disse inclinando il capo di lato. «Puoi portarmi a casa, se vuoi,»
propose quindi, e Kuroko ne approfittò per finire il
suo ghiacciolo.
«No. I miei letti sono piccoli, non ci stai,» disse con naturalezza, e Aomine non poté fare altro che scoppiare a ridere.
«Sei proprio un personaggio. E vedi di pulirti un po’,» gli consigliò
quest’ultimo indicando un cenno del capo la mano di Kuroko
macchiata da scie azzurre e appiccicose. «Aspetta, lascia fare a me,» e Aomine si allungò per pulire il tutto con la propria bocca.
Kuroko non fece una piega. E Aomine
rise ancora più forte a quella reazione che non era arrivata.
“Tetsu, non credo che tu ti sia sbagliato, però… non ci riesco.
Fanno tutti schifo. Non
troverò mai quello che sto cercando.”
«Sei rimasto lo stesso, Tetsu. Non sei cambiato
minimamente dai tempi delle medie. Proprio per niente.»
Gli viene spontaneo dirlo dopo averne testato le capacità in campo e le reazioni
che si aspettano ma non arrivano. Kuroko lo guarda
con due occhi che gli dicono tutto e niente, che gli portano a galla ricordi
sepolti con la forza, che gli stringono il cuore indurito dall’esperienza,
dalla freddezza che s’è presa possesso di lui e della sua squadra.
Si aspetta che Kuroko gli dica il contrario, ma
quello lo fissa, sembra scandagliargli i pensieri e scavargli nell’anima, e non
ribatte, perché sa che lì in fondo è rimasto qualcosa del vecchio Aomine. Per adesso però può solo guardarlo e non
riconoscerlo, e Aomine è tanto innervosito dalla
situazione da esprimersi nel suo ghigno poco umano, per poi puntare gli occhi
su Kagami. Lo detesta, lo farebbe fuori, se potesse.
Farebbe in modo che la palla gli finisse in faccia in modo talmente violento da
spaccargli il naso e le labbra, così che non possa più rivolgere la parola a
colui che adesso è diventato la sua ombra.
Aomine l’ha sempre saputo che sarebbe andata a finire
in questo modo. E ha permesso che accadesse, senza sforzarsi di cambiare le
carte in tavola. Ha lasciato andare Kuroko, e l’ha
fatto consapevolmente.
“E’ finita più in fretta di quanto immaginassi. […] Ho vinto io, Tetsu.”
“Non è ancora finita. Le possibilità di vittoria scendono a zero quando tutti i
giocatori si sono arresi. Io non farò scendere quelle possibilità a zero. E’
per questo che io non mi arrendo.”
Non t’arrendere mai, Tetsu. Non rinunciare ancora a
me. A quello che ero. All’idea di noi come luce e ombra.
Non ho affatto vinto.
Non t’arrendere mai.
“[…] Soprattutto quel numero 11… Kuroko, giusto?
Negli ultimi minuti ha fatto proprio pena! E’ stato agitato fino all’ultima
sirena. Avrebbe dovuto arrendersi prima.”
“Parli parecchio per essere uno che non è nemmeno entrato. Mi dai fastidio,
taci.”
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SHIPPATE AOKURO, SANTO CIELO! (è un
ordine)
Le parti scritte tra virgolette e in corsivo sono prese dall’anime ^^
Spero vi sia piaciuto leggere quanto a me è piaciuto scrivere! <3
Mirokia