Mi domando chi si deciderà a parlare per
primo.
«Ci dev’essere un
errore.» Ah, ecco, lui. Perspicace, il ragazzo, devo ammetterlo.
«Decisamente.» Rispondo,
e mi accorgo troppo tardi di essere suonata abbastanza acidella. Vedo che
controlla la scheda magnetica che ha in mano, quella che apre la porta della
camera, e poi distoglie subito lo sguardo puntandolo nel mio. «Non credo siano
passe-partout. Il numero è quello, 815.» Mi mostra le tre cifre dorate incise
sulla scheda.
«Certo, ma come vede la
stanza è occupata. Quante copie hanno della stessa scheda?» Ricordo di averne
viste almeno tre, in effetti, in ognuno dei piccoli scomparti retrostanti il
bancone della reception. Lui alza le spalle e poggia i borsoni sul pavimento.
Che ha intenzione di fare?
«Il concierge mi ha
detto che erano appena finite le stanze, ma non avevo capito che avessero
iniziato a distribuire i clienti nelle stanze già occupate.» Cosa? Cosa vuole
dire, che ha intenzione di dormire qui?
«Guardi, dev’esserci
sicuramente un errore. L’albergo è enorme, non credo proprio che…»
«Anche tu dovevi essere
su un volo Alitalia a quest’ora? Anzi, probabilmente già saresti dovuta
atterrare, come me, giusto?» Primo, come si permette di darmi del tu? Avremo
anche la stessa età, o quasi, ma ciò non toglie che siamo due estranei. E io
sono una donna! Questo tizio già mi irrita. Secondo, cos’è che mi ha chiesto?
Ah, sì.
«Sì, ma non capisco cosa
c’entri questo con-»
«C’entra. Hai idea di
quanti voli sono stati rimandati oggi?» Dice, mentre si siede con tranquillità
sul letto e inizia a sfilarsi le scarpe eleganti. Ma, ma… ma… che crede, di
stare a casa sua?!
«Sì, quasi tutti, ma ci
sono tanti altri-»
«L’Alitalia non è
conosciuta per il suo essere larga di maniche.» E come mi infastidiscono le
persone che mi interrompono mentre parlo! AAAHHHH!
Ora, tra parentesi, si
sta togliendo la giacca, scoprendo una maglia bianca con lo scollo a V non
troppo profondo, che rivela però un tratto di pelle chiara del petto. E una
sottile collana d’argento.
Ma che sto facendo, mi
perdo nei dettagli?
Senza perdermi in
chiacchiere – o in pensieri, che è lo stesso, se non peggio – mi fiondo sul
telefono del comodino dal lato mio del letto – lato mio? Ma che dico, tutto il letto
è mio! – e alzo la cornetta, espirando rumorosamente dalle narici.
«Che stai facendo?»
Chiede lui, mentre si abbassa sui talloni per aprire la cerniera laterale di
uno dei due borsoni.
«Cosa le sembra? Sto
chiamando la reception.» Replico, alzando gli occhi al cielo, seccata all’inverosimile.
Lui non risponde, ma gli passa sulle labbra l’ombra di un sorriso che ha tutta
l’aria di essere sarcastico.
«Mi dica...» Risponde svelto
qualcuno all’altro capo del telefono. «…signorina Wayne, giusto?»
«Sì, giusto! Lei è
arrivato direttamente al punto.» Dico, un po’ sorpresa dal fatto che abbia
subito collegato la telefonata al numero dell’interno e poi al mio nome in così
pochi secondi. «Ha appena pronunciato il mio cognome, quindi questo cosa vuol
dire?» Chiedo, stizzita. Il tipo dall’altro lato mugugna qualcosa, forse un po’
spiazzato dalla mia domanda. In effetti, anche a me è suonata un tantino
strana.
«Glielo dico io. Che la
stanza è prenotata a MIO nome, ergo sono IO a doverne usufruire, giusto?»
«Ehm… suppongo di sì,
signorina.» Mormora lui, poco convinto.
«E allora potreste gentilmente spiegarmi cosa diamine ci fa
quest’uomo NEL MIO LETTO?!»
Non ti sembra di esagerare un pochino?
No, vaffanculo, ormai è
diventata una questione di principio. E voglio che questo zotico irriverente si
tolga quel dannatissimo sorrisetto ironico dal viso. Ma chi si crede di essere?
«Un attimo che
controllo.» Risponde il concierge, concitato. Sembra di stare al telefono con
la Telecom. Vediamo di risolvere questo “guasto”.
«C’è stato un mix-up coi nomi, signorina Wayne. Può
confermarmi che l’“uomo nel suo letto” è Christian Wayne?» Che diamine ne so
io. Non si è neanche presentato.
«Lei è Christian Wayne?»
Gli chiedo, voltandomi a guardarlo. Deglutisco appena nel vederlo di nuovo in
piedi, imponente nella sua t-shirt bianca, jeans scuri e piedi nudi.
«Sissignora, sono io.»
Dice, sorridendo di sbieco. «Quello è il bagno?» Indica la porta socchiusa con
un cenno del capo. Annuisco. «Posso andare o hai intenzione di accoltellarmi con
quella?» Ora sta puntando lo sguardo sulla pinzetta che ho ancora tra le mani.
Avvampo, posandola sul comodino con uno scatto nervoso. Lui ridacchia e si
chiude in bagno. Mentre sto per chiedere spiegazioni al tipo della hall, lui
riapre la porta e tira fuori la testa, fissandomi divertito. «Ehi, c’è una
perdita in bagno o hai annaffiato il pavimento volontariamente?» Okay, ora è davvero
troppo.
Aggancio la cornetta
alla bene e meglio, fregandomene di chi mi stava aspettando all’altro capo e
vado verso il bagno con la pinzetta tra le mani. Lui indietreggia appena e apre
del tutto la porta, rivelando il suo stato di parziale nudità, dalla vita in
su.
Oh, Gesù. Io mi calmerei un attimo, se fossi in te. Li hai
visti quei bicipiti, vero? Questo ti spezza con uno schiocco di quelle
splendide dita!
In effetti mi sono un
po’ persa tra il pettorale e la leggera peluria per niente fastidiosa ai miei
occhi, stranamente, che amo gli uomini depilati. Deglutisco a vuoto e torno a
puntargli la pinzetta sul naso.
«Tu… non mi conosci.»
Dico, cercando di apparire minacciosa.
Lui non si scalfisce per
niente. Incrocia le braccia al petto – oddio, quei bicipiti! – e alza un
sopracciglio.
«Non credo di perdermi
molto. A meno che tu non asserisca il contrario…» Fa una pausa voluta, e
aspettando che io gli dica il mio nome, percorre il mio corpo con lo sguardo.
Voglio morire. No, voglio ucciderlo.
«Elettra.» Dico in un
lampo, e lui fa un’espressione quasi compiaciuta, aggrottando la fronte e
piegando gli angoli delle labbra all’ingiù. «Caspita, bel nome. Si addice alla
tua personalità.»
Sì, ma non era questo il
punto. Perché non mi lascia sfogare in pace? Ho perso il filo del discorso. E
poi che c’entra questo con la mia personalità?!
Lui sembra leggermi nel
pensiero. «Elettra e elettricità derivano dalla stessa parola
greca, elektron, che significa ambra.
I primi fenomeni elettrostatici vennero scoperti proprio grazie a questa.»
«Stai dicendo che sono
una pazza isterica?» Chiedo, e mi rendo conto di essere passata al tu anch’io. Pazienza. Ci adattiamo alla
maleducazione.
«Pazza non credo,
isterica direi di sì. Esagerata anche, un tantino. Io non avrei reagito così al
posto tuo.»
«E io non sarei mai
entrata nella camera di un altro, non avrei mai poggiato le valigie a terra, non
mi sarei spogliata e non me ne starei mezza
nuda sull’uscio della porta del bagno! DI UN ALTRO!» Sbotto, alzando un po’ la voce. Christian socchiude
leggermente le palpebre, e fa scorrere lo sguardo su di me, soffermandosi sulle
labbra, sul collo, sul seno, sulla pancia…
«Di questo non posso
dire che non mi perderei molto.»
Non arrossire, non
arrossire, NON ARROSSIRE.
Maledizione!
«Ho davvero bisogno di
una doccia.» Dice, prendendo atto del mio mutismo, conseguenza naturale di ciò
che mi ha appena detto. «Quindi vado. Se vuoi restare qui a guardarmi con
l’aria di chi ha appena visto Freddie Mercury
passeggiare in mutande per le strade di Roma fai pure.» Aggiunge, e inizia a
sbottonarsi il jeans. Quando tira giù la cerniera afferro la maniglia della
porta con uno scatto fulmineo e me la chiudo alle spalle. Ho gli occhi sbarrati
e l’espressione di chi ha visto Christian Wayne in mutande in un albergo di
Roma. Il mio cuore riprende a battere normalmente solo dopo qualche secondo. Il
mio alter ego interiore, Violet – che è anche il mio secondo nome – sta pulendo
i litri di bava con uno sguardo deliziosamente perso nel vuoto. E vagamente
ninfomane.
Mi siedo sul letto e
cerco di pensare lucidamente. Nemmeno il tempo di iniziare a mettere a posto i
neuroni che qualcuno bussa alla porta. Vado ad aprire e mi trovo davanti il
concierge.
«Ah, signorina Wayne.
Pensavo fosse successo qualcosa. Non riuscivo a richiamarla.» Mi volto a
guardare il telefono e noto che la cornetta è fuori posto. Ops.
«Come avrà capito, c’è stato
un errore a causa dei vostri cognomi uguali, e in più abbiamo già un
sovraffollamento di fondo. Ora stiamo per così dire “smistando” i nuovi che
arrivano in altri alberghi della nostra catena, che però sono più lontani
dall’aeroporto, quindi comporteranno più disagi. Mi scuso a nome dell’hotel per
l’inconveniente, se volete provvedo a una nuova sistemazione per il signor
Wayne in uno degli alberghi fuori zona.» Conclude, accorato. Mi mordo il labbro
dall’interno, questo tizio mi fa pena. L’errore, o “mix-up”, come l’ha chiamato
prima, è comprensibile. Non accettabile, ma comprensibile. Espiro, pensando a
cosa fare. Lancio uno sguardo alla porta del bagno e sento il rumore dell’acqua
che scorre sotto la doccia. Che faccio, lo mando via? Ormai si è fatto anche la
doccia. Dopotutto, si tratta di una notte soltanto. Chiudo gli occhi per un
istante, cercando di controllare il nervosismo crescente, e quando li riapro
accenno un sorriso all’uomo davanti a me, che aspetta irrequieto una mia
risposta.
«Non fa niente, grazie
lo stesso. Si può avere la cena in camera?» So che di solito non si può, negli
alberghi, specialmente quando hanno ben due sale apposite per la ristorazione,
ma ho il sospetto che il nostro inconveniente
ci dia libero accesso a molte cose altrimenti inaccessibili.
«Ehm, certo, signorina.
La cena sarà servita alle otto in punto.» Risponde sollevato lui, si profonde
in un piccolo inchino e si dilegua celere lungo il corridoio.
Ottimo.
Quando torno dentro, mi
trovo davanti l’uomo che ha invaso la mia stanza coperto solo da un asciugamano
avvolto sui fianchi. Fortunatamente ha preso quello grande. Inspiro
profondamente, cercando di far tornare in sé – o meglio, in me – l’Elettra che
sono sempre stata, e che ora è nascosta da qualche parte. O probabilmente, si è
congiunta con Violet, che nuota allegramente nella bava facendo vistose piroette
e tuffi con triplo salto mortale.
«Se non sei ancora
intenzionata a pugnalarmi con la pinzetta, non è che potresti prestarmela?»
Christian interrompe ancora il silenzio, e io gli rivolgo uno sguardo
interrogativo. Non vorrà farsi le sopracciglia, vero? Impallidisco al solo
pensiero. Violet ha la mascella a terra e la libido sotto i piedi. Mi avvicino
a lui e gli guardo di sfuggita le sopracciglia. Si vede che ogni tanto qualcuno
gliele sfoltisce, ma senza ombra di dubbio sono le sopracciglia di un uomo. Il
mio alter ego tira un sospiro di sollievo e si fa aria con la mano per lo
spavento.
«Non devo farmi le
sopracciglia, Elettra. Ho una scheggia di qualcosa, forse legno, nel dito.» Mi
mostra l’indice, e noto la zona rossa attorno a un puntino marrone sul
polpastrello.
«Mmmh…»
Faccio una smorfia di dolore, come se ce l’avessi io, e gli passo la pinzetta.
Lui la prende e si siede sul letto. Osservo il suo volto accigliato mentre si
concentra sulla scheggia, tenendo la pinzetta nella mano sinistra. A meno che
non sia mancino, non deve essere per niente semplice estrarla con l’altra mano.
Vedo che espira lentamente, forse per stare calmo. Io avrei già iniziato a sbraitare.
Improvvisamente mi sento la bocca secca, quando vedo che si passa la lingua
sulle labbra, molto lentamente. Probabilmente un gesto istintivo che dimostra
concentrazione e dedizione alla causa. Vedo che stringe la pinzetta e tira, ma
senza risultati. Espira di nuovo, stavolta emettendo un suono simile a un
ringhio. Si sta innervosendo.
«Vuoi…
una mano?» Gli chiedo, d’istinto. Mi sono trovata anch’io un paio di volte
nella sua situazione, quando da piccola andavo a fare delle gite con la mia
famiglia. È fastidiosissimo, specialmente quando provi a togliere la scheggia
ma non ci riesci. La zona si gonfia e fa un male cane!
Christian alza lo
sguardo, a metà tra il sorpreso e il riconoscente. «Grazie.»
Mi avvicino al letto e
mi siedo alla sua sinistra. Lui si gira col corpo verso di me e nel farlo
l’asciugamano si allarga scoprendogli la parte alta di una gamba, poco sopra il
ginocchio. Oh, mio Dio. Non voglio guardare.
Guarda quella gamba! È… è… una colonna! Signore Onnipotente!
Sarò sicuramente
diventata bordeaux come le lenzuola. Queste sono reazioni che non posso
controllare.
Mi faccio coraggio e gli
prendo la mano, che lui mi offre gentilmente. Con la mano sinistra si appoggia
al letto, rivelando dei muscoli delle braccia che non sapevo neanche esistessero.
Eppure non sembra Schwarzenegger, con muscoli schifosi dappertutto. Ogni
movimento ne scopre uno diverso, e non è mai troppo.
Sì, però ora concentrati sul suo dito.
«Dunque…» Gli alzo
leggermente il dito e delicatamente sfioro il polpastrello col mio, per capire
quanto esce fuori la punta della scheggia. «Non è entrata troppo dentro, sei
fortunato. Ti fa male?» Gli chiedo, sovrappensiero.
«È fastidioso.» Replica
lui, sistemandosi meglio sul letto. Non oso guardare l’asciugamano. Ma
purtroppo ce l’ho a qualcosa come cinquanta centimetri dal naso, perfettamente
in prospettiva con la mano che gli sto tenendo, quindi anche volendo è
impossibile non guardare. Non sono una macchina fotografica che riesce a
sfocare lo sfondo!
«Devo vestirmi?» Quando
le sue parole mi giungono alle orecchie, non so esattamente se iniziare a
scavare per raggiungere i miei amici cinesi o prendere la pala e suonargliela semplicemente
in testa.
«Ma sei sempre così
sfrontato?» Gli chiedo, sincera e allibita. Lui sembra vagamente spiazzato
dalla domanda, ma solo per una frazione di secondo. Si ricompone subito e
sfodera il suo mezzo sorriso senza togliere quell’azzurro intenso dai miei
occhi.
«Di solito sì. E tu sei sempre così puritana?» Non credo
alle mie orecchie. Io, puritana?! Ma… ma…
«Solo con gli
sconosciuti che mi piombano in camera e non si presentano e mi danno del tu
senza permesso e si fanno la doccia come se stessero a casa loro e si
permettono anche di prendermi in giro sulle mie reazioni!» Replico, piccata, ma
in fondo divertita. Appena finisco di parlare, tiro la pinzetta e riesco a
estrarre la scheggia.
Lui ridacchia, si guarda
il dito con ammirazione e poi guarda me: «Va bene, hai ragione. Ricominciamo. Salve,
io sono Christian. Posso darle del tu?» Dice, come se stesse parlando a una
bambina delicata e fragile. Io alzo gli occhi al cielo e stringo la sua mano
appena guarita.
«Ciao Christian, io sono
Elettra. Sì, possiamo darci del tu.» Dopo la stretta di mano lui mi sorride, ma
ha sempre quell’espressione come se stesse perennemente per prendermi in giro.
«Ora è meglio che mi
metta qualcosa addosso, o ti si brucerà il… pigiama… per autocombustione.»
Mormora, guardando curioso il completo di Victoria’s Secret, che ora rimpiango
tantissimo di aver indossato. Mi sento nuda. E, anche se non lo ammetterò mai
ad alta voce, ha ragione, sto per andare a fuoco.
…e avevo ragione
anch’io, mi ha presa in giro per l’ennesima volta.
***
Mentre Christian si ritira in bagno per
vestirsi, io guardo la mia valigia con la coda dell’occhio, valutando se sia il
caso di mettermi qualcos’altro. Almeno l’altro pigiama. Anche se suderei come
la Sfinge.
«Ecco fatto. Così va
meglio?» La voce di Christian interrompe tutte le mie congetture e mi porta a
guardarlo.
«Ah, certo. Quello
sarebbe il tuo concetto di vestirsi?» Indico i pantaloncini del pigiama e… beh,
nient’altro.
Lo vedo, STAI SBAVANDO! Inutile nasconderlo!
«Ho detto che mi sarei
messo qualcosa addosso, non che mi sarei vestito.» Dice, riponendo il
deodorante in una tasca interna della valigia. «Hai per caso un asciugacapelli?
Quello dell’albergo fa ridere.»
Ah, già. Non vi avevo
detto che ha ancora i capelli umidi.
Non devi trascurare questi dettagli! Blatera Violet seduta su un letto a gambe aperte pronta per
essere violentata.
In effetti, il contrasto
tra le ciocche bagnate – e quindi più scure – che gli cadono sulla fronte e gli
occhi è qualcosa di indescrivibile.
«Sì, l’ho messo in uno
dei ripiani dell’armadio.» Glielo indico. «Ma non fa troppo caldo?» Dico con
una smorfia, soffrendo per lui al solo pensiero dell’aria bollente sulla pelle.
«Quando li porto così
lunghi se non li asciugo almeno un po’ mi viene il mal di testa, il novanta per
cento delle volte… e divento molto
irritabile con un mal di testa del genere.»
«Diventi?» Gli chiedo,
con un sorriso interiore pari solo a quello dello Stregatto e il mio fido
sopracciglio alzato. Lui, come al solito, replica con un mezzo ghigno e mi
guarda dritta negli occhi.
«Non hai idea di come
posso diventare, Elettra.»
Sembra di stare in un
film. Il mio coinquilino-per-una-notte si è trasformato in Edward Cullen
vestito da Thor. Vuole fare il tenebroso del cavolo. Ma per favore.
«Beata ignoranza!» Dico
ironica, e mi giro a pancia sotto sul letto, mentre accendo il laptop per
controllare la posta. Sento il rumore dell’asciugacapelli che si aziona e per
un attimo mi sembra di essere tornata a casa: io sul letto a studiare ed Eva a
prepararsi in bagno per una delle sue serate in discoteca.
Un trillo mi avverte
della ricezione di un messaggio su Skype. Apro la finestra, rivelando il volto
sorridente di Anne, mia cugina, e di suo marito Cooper, immortalati nel mare
cristallino delle Canarie.
Anne Cuginastra,
come stai? Ho saputo del delay!
Elettra
Più
sfigata non si può, eh?
Anne Quando
hai il nuovo volo?
Elettra
Domani
mattina alle 9:00. Spero di svegliarmi in tempo. Mi verranno le crisi isteriche.
Anne Metti
la sveglia cinque o sei ore prima.
Elettra
Scherzavo.
Fortunatamente – o sfortunatamente – non ce ne sarà bisogno.
Anne Sei
in camera col pilota? Hahaha.
Elettra
No.
Sono in camera col dio greco dei muscoli e delle battute sarcastiche che è sul
mio stesso volo.
Anne SEI
IN CAMERA CON UN UOMO? TU?!
Elettra
Perché,
sono allergica al testosterone e non lo sapevo?
Anne Ad
ogni tipo di contatto umano e relazione sociale, specialmente coi portatori
sani di testosterone, sì. Dev’essere proprio bello questo tipo, per non averti fatto mettere sottosopra un intero albergo!
Elettra
Ragazzi,
ma che opinione avete di me? Ora sto davvero iniziando a domandarmelo!
Anne L’opinione
di una che all’università si armò di coltello e cacciavite per bucare la ruota
alla segretaria che aveva osato mettere un suo compagno di corso nella stessa
camera. E le stanze erano separate!
Elettra
Ma a
quello puzzava l’alito! E poi quella segretaria la odiavano tutti, non diciamo
scemenze.
Anne Ahhh,
sei incredibile.
Elettra
Lo
so. Ora devo proprio andare. Il dio del tuono, qui, ha finito di asciugarsi i
capelli.
Anne Non
so se augurarti di fare la brava o meno.
Elettra
Ma
per chi mi hai presa?!
Anne Fammi
sapere se e quando ti deciderai a togliere le vesti della befana e a indossare
quelle di Catwoman. A domani.
Elettra
Spero
che a Cooper caschi il pisello. A domani.
Chiudo il laptop e lo
ripongo sul comodino. Adone è in piedi di fronte allo specchio, apparentemente
controllandosi il velo di barba che gli scurisce le guance. Quando ha
constatato che è tutto a posto, si volta verso di me, seduta sul letto a gambe
incrociate. Guarda l’orologio. Sono quasi le otto.
«Che vuoi fare?» Mi
domanda, all’improvviso.
Alzo un sopracciglio,
vagamente imbarazzata.
Tu imbarazzata!
No, è che mi ha colto
alla sprovvista.
«Niente. Che dobbiamo
fare?»
Stavolta ad alzare il
sopracciglio è lui, ma sono sicura che io non avevo quel sorriso malizioso
dipinto in volto.
«Qualcosa da fare si
trova sempre.»
Alzo gli occhi al cielo
e gli tiro un cuscino in faccia. Che schifo di mira. Osservo il cuscino
rimbalzargli contro il petto e cadere con un tonfo – sicuramente beato – a terra.
Lui segue il mio sguardo e poi lo rialza, incrociando i miei occhi, con
un’espressione a metà tra il divertito e l’infastidito.
«E ora, precisamente,
come vorresti essere punita per questo?» Lo vedo avanzare minaccioso verso di
me. Il materasso si abbassa sotto il peso del suo ginocchio e senza che possa
rendermene conto mi ha afferrato una caviglia e mi sta trascinando verso il
bordo del letto come se fossi una trapunta.
Ohhh, questo sì che è eccitante!
Taci, VIOLET! Questo lo
conosco sì e no da mezz’ora!
E in mezz’ora ti ha messa KO e si è quasi spogliato davanti
a te. Precisiamo.
Quando arrivo a toccare
col sedere il bordo del letto, e cerco di indovinare la sua prossima mossa,
terrorizzata e a un passo dall’urlare come Tina Turner in pieno acuto, si sente
bussare alla porta.
Oh, grazie al cielo! La
cena.
~ Note
Secondo capitolo di questa emozionante
storia! Ha-ha, come mi faccio ridere.
Che dire, questa volta? Innanzitutto,
grazie per l’accoglienza e grazie a
chi ha recensito e inserito nei preferiti/seguite/da ricordare.
E così, Christian Wayne ha fatto il suo
ingresso in tutto il suo libidinoso splendore di maschio alfa, e devo dire che
il presta volto Hemsworth mi ha reso le cose molto più facili, in questo. È in
suo onore che Mr Wayne si chiama Christian, ci tengo a dirlo. Poi mi paghi per
la pubblicità, Hem. In natura, ovviamente.
Con questo capitolo anche il titolo di
questa storia ha un suo perché, e un ringraziamento va ad Anna (Aine Walsh su Efp) per aver contribuito
al ‘parto’. Ti ho ripagata bene, facendoti sposare Cooper, vè? (L)
Non ci sono altre note particolari da
portare alla vostra attenzione (tranne un "non fate caso alla formattazione del testo della conversazione su Skype, ma Word a volte non collabora"), per cui vi lascio con un brevissimo spoiler del
prossimo capitolo.
«Le
minacce non hanno mai portato da nessuna parte, signorina Wayne.»
E quella
fu la mia fine.
Come sempre, nel gruppo Fb trovate altri
spoiler, news sulla storia e vari ed eventuali simpaticissimi deliri
dell’autrice e delle sue adorabili affezionate.
Un abbraccio,
Sara.