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Autore: BlackPearl    23/10/2012    12 recensioni
Come definire Elettra? Apparentemente cinica, piuttosto indisponente, amante del 'vivi, lascia vivere e non rompere le scatole'.
In termini matematici, Elettra sta alla gente come i gatti stanno all'acqua.
Elettra conosce Christian.
Come definire Christian? Affascinante, provocatorio, autentico.
Prendete Elettra, prendete Christian, e metteteli in una camera d'albergo, costretti a una notte di convivenza forzata.
Io, fossi in voi, mi metterei comoda. Perché questo, signori miei, è solo l'inizio.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mi domando chi si deciderà a parlare per primo.

«Ci dev’essere un errore.» Ah, ecco, lui. Perspicace, il ragazzo, devo ammetterlo.

«Decisamente.» Rispondo, e mi accorgo troppo tardi di essere suonata abbastanza acidella. Vedo che controlla la scheda magnetica che ha in mano, quella che apre la porta della camera, e poi distoglie subito lo sguardo puntandolo nel mio. «Non credo siano passe-partout. Il numero è quello, 815.» Mi mostra le tre cifre dorate incise sulla scheda.

«Certo, ma come vede la stanza è occupata. Quante copie hanno della stessa scheda?» Ricordo di averne viste almeno tre, in effetti, in ognuno dei piccoli scomparti retrostanti il bancone della reception. Lui alza le spalle e poggia i borsoni sul pavimento. Che ha intenzione di fare?

«Il concierge mi ha detto che erano appena finite le stanze, ma non avevo capito che avessero iniziato a distribuire i clienti nelle stanze già occupate.» Cosa? Cosa vuole dire, che ha intenzione di dormire qui?

«Guardi, dev’esserci sicuramente un errore. L’albergo è enorme, non credo proprio che…»

«Anche tu dovevi essere su un volo Alitalia a quest’ora? Anzi, probabilmente già saresti dovuta atterrare, come me, giusto?» Primo, come si permette di darmi del tu? Avremo anche la stessa età, o quasi, ma ciò non toglie che siamo due estranei. E io sono una donna! Questo tizio già mi irrita. Secondo, cos’è che mi ha chiesto? Ah, sì.

«Sì, ma non capisco cosa c’entri questo con-»

«C’entra. Hai idea di quanti voli sono stati rimandati oggi?» Dice, mentre si siede con tranquillità sul letto e inizia a sfilarsi le scarpe eleganti. Ma, ma… ma… che crede, di stare a casa sua?!

«Sì, quasi tutti, ma ci sono tanti altri-»

«L’Alitalia non è conosciuta per il suo essere larga di maniche.» E come mi infastidiscono le persone che mi interrompono mentre parlo! AAAHHHH!

Ora, tra parentesi, si sta togliendo la giacca, scoprendo una maglia bianca con lo scollo a V non troppo profondo, che rivela però un tratto di pelle chiara del petto. E una sottile collana d’argento.

Ma che sto facendo, mi perdo nei dettagli?

Senza perdermi in chiacchiere – o in pensieri, che è lo stesso, se non peggio – mi fiondo sul telefono del comodino dal lato mio del letto – lato mio? Ma che dico, tutto il letto è mio! – e alzo la cornetta, espirando rumorosamente dalle narici.

«Che stai facendo?» Chiede lui, mentre si abbassa sui talloni per aprire la cerniera laterale di uno dei due borsoni.

«Cosa le sembra? Sto chiamando la reception.» Replico, alzando gli occhi al cielo, seccata all’inverosimile. Lui non risponde, ma gli passa sulle labbra l’ombra di un sorriso che ha tutta l’aria di essere sarcastico.

«Mi dica...» Risponde svelto qualcuno all’altro capo del telefono. «…signorina Wayne, giusto?»

«Sì, giusto! Lei è arrivato direttamente al punto.» Dico, un po’ sorpresa dal fatto che abbia subito collegato la telefonata al numero dell’interno e poi al mio nome in così pochi secondi. «Ha appena pronunciato il mio cognome, quindi questo cosa vuol dire?» Chiedo, stizzita. Il tipo dall’altro lato mugugna qualcosa, forse un po’ spiazzato dalla mia domanda. In effetti, anche a me è suonata un tantino strana.

«Glielo dico io. Che la stanza è prenotata a MIO nome, ergo sono IO a doverne usufruire, giusto?»

«Ehm… suppongo di sì, signorina.» Mormora lui, poco convinto.

«E allora potreste gentilmente spiegarmi cosa diamine ci fa quest’uomo NEL MIO LETTO?!»

Non ti sembra di esagerare un pochino?

No, vaffanculo, ormai è diventata una questione di principio. E voglio che questo zotico irriverente si tolga quel dannatissimo sorrisetto ironico dal viso. Ma chi si crede di essere?

«Un attimo che controllo.» Risponde il concierge, concitato. Sembra di stare al telefono con la Telecom. Vediamo di risolvere questo “guasto”.

«C’è stato un mix-up coi nomi, signorina Wayne. Può confermarmi che l’“uomo nel suo letto” è Christian Wayne?» Che diamine ne so io. Non si è neanche presentato.

«Lei è Christian Wayne?» Gli chiedo, voltandomi a guardarlo. Deglutisco appena nel vederlo di nuovo in piedi, imponente nella sua t-shirt bianca, jeans scuri e piedi nudi.

«Sissignora, sono io.» Dice, sorridendo di sbieco. «Quello è il bagno?» Indica la porta socchiusa con un cenno del capo. Annuisco. «Posso andare o hai intenzione di accoltellarmi con quella?» Ora sta puntando lo sguardo sulla pinzetta che ho ancora tra le mani. Avvampo, posandola sul comodino con uno scatto nervoso. Lui ridacchia e si chiude in bagno. Mentre sto per chiedere spiegazioni al tipo della hall, lui riapre la porta e tira fuori la testa, fissandomi divertito. «Ehi, c’è una perdita in bagno o hai annaffiato il pavimento volontariamente?» Okay, ora è davvero troppo.

Aggancio la cornetta alla bene e meglio, fregandomene di chi mi stava aspettando all’altro capo e vado verso il bagno con la pinzetta tra le mani. Lui indietreggia appena e apre del tutto la porta, rivelando il suo stato di parziale nudità, dalla vita in su.

Oh, Gesù. Io mi calmerei un attimo, se fossi in te. Li hai visti quei bicipiti, vero? Questo ti spezza con uno schiocco di quelle splendide dita!

In effetti mi sono un po’ persa tra il pettorale e la leggera peluria per niente fastidiosa ai miei occhi, stranamente, che amo gli uomini depilati. Deglutisco a vuoto e torno a puntargli la pinzetta sul naso.

«Tu… non mi conosci.» Dico, cercando di apparire minacciosa.

Lui non si scalfisce per niente. Incrocia le braccia al petto – oddio, quei bicipiti! – e alza un sopracciglio.

«Non credo di perdermi molto. A meno che tu non asserisca il contrario…» Fa una pausa voluta, e aspettando che io gli dica il mio nome, percorre il mio corpo con lo sguardo. Voglio morire. No, voglio ucciderlo.

«Elettra.» Dico in un lampo, e lui fa un’espressione quasi compiaciuta, aggrottando la fronte e piegando gli angoli delle labbra all’ingiù. «Caspita, bel nome. Si addice alla tua personalità.»

Sì, ma non era questo il punto. Perché non mi lascia sfogare in pace? Ho perso il filo del discorso. E poi che c’entra questo con la mia personalità?!

Lui sembra leggermi nel pensiero. «Elettra e elettricità derivano dalla stessa parola greca, elektron, che significa ambra. I primi fenomeni elettrostatici vennero scoperti proprio grazie a questa.»

«Stai dicendo che sono una pazza isterica?» Chiedo, e mi rendo conto di essere passata al tu anch’io. Pazienza. Ci adattiamo alla maleducazione.

«Pazza non credo, isterica direi di sì. Esagerata anche, un tantino. Io non avrei reagito così al posto tuo.»

«E io non sarei mai entrata nella camera di un altro, non avrei mai poggiato le valigie a terra, non mi sarei spogliata e non me ne starei mezza nuda sull’uscio della porta del bagno! DI UN ALTRO!» Sbotto, alzando un po’ la voce. Christian socchiude leggermente le palpebre, e fa scorrere lo sguardo su di me, soffermandosi sulle labbra, sul collo, sul seno, sulla pancia…

«Di questo non posso dire che non mi perderei molto.»

Non arrossire, non arrossire, NON ARROSSIRE.

Maledizione!

«Ho davvero bisogno di una doccia.» Dice, prendendo atto del mio mutismo, conseguenza naturale di ciò che mi ha appena detto. «Quindi vado. Se vuoi restare qui a guardarmi con l’aria di chi ha appena visto Freddie Mercury passeggiare in mutande per le strade di Roma fai pure.» Aggiunge, e inizia a sbottonarsi il jeans. Quando tira giù la cerniera afferro la maniglia della porta con uno scatto fulmineo e me la chiudo alle spalle. Ho gli occhi sbarrati e l’espressione di chi ha visto Christian Wayne in mutande in un albergo di Roma. Il mio cuore riprende a battere normalmente solo dopo qualche secondo. Il mio alter ego interiore, Violet – che è anche il mio secondo nome – sta pulendo i litri di bava con uno sguardo deliziosamente perso nel vuoto. E vagamente ninfomane.

Mi siedo sul letto e cerco di pensare lucidamente. Nemmeno il tempo di iniziare a mettere a posto i neuroni che qualcuno bussa alla porta. Vado ad aprire e mi trovo davanti il concierge.

«Ah, signorina Wayne. Pensavo fosse successo qualcosa. Non riuscivo a richiamarla.» Mi volto a guardare il telefono e noto che la cornetta è fuori posto. Ops.

«Come avrà capito, c’è stato un errore a causa dei vostri cognomi uguali, e in più abbiamo già un sovraffollamento di fondo. Ora stiamo per così dire “smistando” i nuovi che arrivano in altri alberghi della nostra catena, che però sono più lontani dall’aeroporto, quindi comporteranno più disagi. Mi scuso a nome dell’hotel per l’inconveniente, se volete provvedo a una nuova sistemazione per il signor Wayne in uno degli alberghi fuori zona.» Conclude, accorato. Mi mordo il labbro dall’interno, questo tizio mi fa pena. L’errore, o “mix-up”, come l’ha chiamato prima, è comprensibile. Non accettabile, ma comprensibile. Espiro, pensando a cosa fare. Lancio uno sguardo alla porta del bagno e sento il rumore dell’acqua che scorre sotto la doccia. Che faccio, lo mando via? Ormai si è fatto anche la doccia. Dopotutto, si tratta di una notte soltanto. Chiudo gli occhi per un istante, cercando di controllare il nervosismo crescente, e quando li riapro accenno un sorriso all’uomo davanti a me, che aspetta irrequieto una mia risposta.

«Non fa niente, grazie lo stesso. Si può avere la cena in camera?» So che di solito non si può, negli alberghi, specialmente quando hanno ben due sale apposite per la ristorazione, ma ho il sospetto che il nostro inconveniente ci dia libero accesso a molte cose altrimenti inaccessibili.

«Ehm, certo, signorina. La cena sarà servita alle otto in punto.» Risponde sollevato lui, si profonde in un piccolo inchino e si dilegua celere lungo il corridoio.

Ottimo.

Quando torno dentro, mi trovo davanti l’uomo che ha invaso la mia stanza coperto solo da un asciugamano avvolto sui fianchi. Fortunatamente ha preso quello grande. Inspiro profondamente, cercando di far tornare in sé – o meglio, in me – l’Elettra che sono sempre stata, e che ora è nascosta da qualche parte. O probabilmente, si è congiunta con Violet, che nuota allegramente nella bava facendo vistose piroette e tuffi con triplo salto mortale.

«Se non sei ancora intenzionata a pugnalarmi con la pinzetta, non è che potresti prestarmela?» Christian interrompe ancora il silenzio, e io gli rivolgo uno sguardo interrogativo. Non vorrà farsi le sopracciglia, vero? Impallidisco al solo pensiero. Violet ha la mascella a terra e la libido sotto i piedi. Mi avvicino a lui e gli guardo di sfuggita le sopracciglia. Si vede che ogni tanto qualcuno gliele sfoltisce, ma senza ombra di dubbio sono le sopracciglia di un uomo. Il mio alter ego tira un sospiro di sollievo e si fa aria con la mano per lo spavento.

«Non devo farmi le sopracciglia, Elettra. Ho una scheggia di qualcosa, forse legno, nel dito.» Mi mostra l’indice, e noto la zona rossa attorno a un puntino marrone sul polpastrello.

«Mmmh…» Faccio una smorfia di dolore, come se ce l’avessi io, e gli passo la pinzetta. Lui la prende e si siede sul letto. Osservo il suo volto accigliato mentre si concentra sulla scheggia, tenendo la pinzetta nella mano sinistra. A meno che non sia mancino, non deve essere per niente semplice estrarla con l’altra mano. Vedo che espira lentamente, forse per stare calmo. Io avrei già iniziato a sbraitare. Improvvisamente mi sento la bocca secca, quando vedo che si passa la lingua sulle labbra, molto lentamente. Probabilmente un gesto istintivo che dimostra concentrazione e dedizione alla causa. Vedo che stringe la pinzetta e tira, ma senza risultati. Espira di nuovo, stavolta emettendo un suono simile a un ringhio. Si sta innervosendo.

«Vuoi… una mano?» Gli chiedo, d’istinto. Mi sono trovata anch’io un paio di volte nella sua situazione, quando da piccola andavo a fare delle gite con la mia famiglia. È fastidiosissimo, specialmente quando provi a togliere la scheggia ma non ci riesci. La zona si gonfia e fa un male cane!

Christian alza lo sguardo, a metà tra il sorpreso e il riconoscente. «Grazie.»

Mi avvicino al letto e mi siedo alla sua sinistra. Lui si gira col corpo verso di me e nel farlo l’asciugamano si allarga scoprendogli la parte alta di una gamba, poco sopra il ginocchio. Oh, mio Dio. Non voglio guardare.

Guarda quella gamba! È… è… una colonna! Signore Onnipotente!

Sarò sicuramente diventata bordeaux come le lenzuola. Queste sono reazioni che non posso controllare.

Mi faccio coraggio e gli prendo la mano, che lui mi offre gentilmente. Con la mano sinistra si appoggia al letto, rivelando dei muscoli delle braccia che non sapevo neanche esistessero. Eppure non sembra Schwarzenegger, con muscoli schifosi dappertutto. Ogni movimento ne scopre uno diverso, e non è mai troppo.

Sì, però ora concentrati sul suo dito.

«Dunque…» Gli alzo leggermente il dito e delicatamente sfioro il polpastrello col mio, per capire quanto esce fuori la punta della scheggia. «Non è entrata troppo dentro, sei fortunato. Ti fa male?» Gli chiedo, sovrappensiero.

«È fastidioso.» Replica lui, sistemandosi meglio sul letto. Non oso guardare l’asciugamano. Ma purtroppo ce l’ho a qualcosa come cinquanta centimetri dal naso, perfettamente in prospettiva con la mano che gli sto tenendo, quindi anche volendo è impossibile non guardare. Non sono una macchina fotografica che riesce a sfocare lo sfondo!

«Devo vestirmi?» Quando le sue parole mi giungono alle orecchie, non so esattamente se iniziare a scavare per raggiungere i miei amici cinesi o prendere la pala e suonargliela semplicemente in testa.

«Ma sei sempre così sfrontato?» Gli chiedo, sincera e allibita. Lui sembra vagamente spiazzato dalla domanda, ma solo per una frazione di secondo. Si ricompone subito e sfodera il suo mezzo sorriso senza togliere quell’azzurro intenso dai miei occhi.

«Di solito sì. E tu sei sempre così puritana?» Non credo alle mie orecchie. Io, puritana?! Ma… ma…

«Solo con gli sconosciuti che mi piombano in camera e non si presentano e mi danno del tu senza permesso e si fanno la doccia come se stessero a casa loro e si permettono anche di prendermi in giro sulle mie reazioni!» Replico, piccata, ma in fondo divertita. Appena finisco di parlare, tiro la pinzetta e riesco a estrarre la scheggia.

Lui ridacchia, si guarda il dito con ammirazione e poi guarda me: «Va bene, hai ragione. Ricominciamo. Salve, io sono Christian. Posso darle del tu?» Dice, come se stesse parlando a una bambina delicata e fragile. Io alzo gli occhi al cielo e stringo la sua mano appena guarita.

«Ciao Christian, io sono Elettra. Sì, possiamo darci del tu.» Dopo la stretta di mano lui mi sorride, ma ha sempre quell’espressione come se stesse perennemente per prendermi in giro.

«Ora è meglio che mi metta qualcosa addosso, o ti si brucerà il… pigiama… per autocombustione.» Mormora, guardando curioso il completo di Victoria’s Secret, che ora rimpiango tantissimo di aver indossato. Mi sento nuda. E, anche se non lo ammetterò mai ad alta voce, ha ragione, sto per andare a fuoco.

…e avevo ragione anch’io, mi ha presa in giro per l’ennesima volta.

 

***

 

Mentre Christian si ritira in bagno per vestirsi, io guardo la mia valigia con la coda dell’occhio, valutando se sia il caso di mettermi qualcos’altro. Almeno l’altro pigiama. Anche se suderei come la Sfinge.

«Ecco fatto. Così va meglio?» La voce di Christian interrompe tutte le mie congetture e mi porta a guardarlo.

«Ah, certo. Quello sarebbe il tuo concetto di vestirsi?» Indico i pantaloncini del pigiama e… beh, nient’altro.

Lo vedo, STAI SBAVANDO! Inutile nasconderlo!

«Ho detto che mi sarei messo qualcosa addosso, non che mi sarei vestito.» Dice, riponendo il deodorante in una tasca interna della valigia. «Hai per caso un asciugacapelli? Quello dell’albergo fa ridere.»

Ah, già. Non vi avevo detto che ha ancora i capelli umidi.

Non devi trascurare questi dettagli! Blatera Violet seduta su un letto a gambe aperte pronta per essere violentata.

In effetti, il contrasto tra le ciocche bagnate – e quindi più scure – che gli cadono sulla fronte e gli occhi è qualcosa di indescrivibile.

«Sì, l’ho messo in uno dei ripiani dell’armadio.» Glielo indico. «Ma non fa troppo caldo?» Dico con una smorfia, soffrendo per lui al solo pensiero dell’aria bollente sulla pelle.

«Quando li porto così lunghi se non li asciugo almeno un po’ mi viene il mal di testa, il novanta per cento delle volte… e divento molto irritabile con un mal di testa del genere.»

«Diventi?» Gli chiedo, con un sorriso interiore pari solo a quello dello Stregatto e il mio fido sopracciglio alzato. Lui, come al solito, replica con un mezzo ghigno e mi guarda dritta negli occhi.

«Non hai idea di come posso diventare, Elettra.»

Sembra di stare in un film. Il mio coinquilino-per-una-notte si è trasformato in Edward Cullen vestito da Thor. Vuole fare il tenebroso del cavolo. Ma per favore.

«Beata ignoranza!» Dico ironica, e mi giro a pancia sotto sul letto, mentre accendo il laptop per controllare la posta. Sento il rumore dell’asciugacapelli che si aziona e per un attimo mi sembra di essere tornata a casa: io sul letto a studiare ed Eva a prepararsi in bagno per una delle sue serate in discoteca.

Un trillo mi avverte della ricezione di un messaggio su Skype. Apro la finestra, rivelando il volto sorridente di Anne, mia cugina, e di suo marito Cooper, immortalati nel mare cristallino delle Canarie.

 

Anne Cuginastra, come stai? Ho saputo del delay!

Elettra Più sfigata non si può, eh?

Anne Quando hai il nuovo volo?

Elettra Domani mattina alle 9:00. Spero di svegliarmi in tempo. Mi verranno le crisi isteriche.

Anne Metti la sveglia cinque o sei ore prima.

Elettra Scherzavo. Fortunatamente – o sfortunatamente – non ce ne sarà bisogno.

Anne Sei in camera col pilota? Hahaha.

Elettra No. Sono in camera col dio greco dei muscoli e delle battute sarcastiche che è sul mio stesso volo.

Anne SEI IN CAMERA CON UN UOMO? TU?!

Elettra Perché, sono allergica al testosterone e non lo sapevo?

Anne Ad ogni tipo di contatto umano e relazione sociale, specialmente coi portatori sani di testosterone, sì. Dev’essere proprio bello questo tipo, per non averti fatto mettere sottosopra un intero albergo!

Elettra Ragazzi, ma che opinione avete di me? Ora sto davvero iniziando a domandarmelo!

Anne L’opinione di una che all’università si armò di coltello e cacciavite per bucare la ruota alla segretaria che aveva osato mettere un suo compagno di corso nella stessa camera. E le stanze erano separate!

Elettra Ma a quello puzzava l’alito! E poi quella segretaria la odiavano tutti, non diciamo scemenze.

Anne Ahhh, sei incredibile.

Elettra Lo so. Ora devo proprio andare. Il dio del tuono, qui, ha finito di asciugarsi i capelli.

Anne Non so se augurarti di fare la brava o meno.

Elettra Ma per chi mi hai presa?!

Anne Fammi sapere se e quando ti deciderai a togliere le vesti della befana e a indossare quelle di Catwoman. A domani.

Elettra Spero che a Cooper caschi il pisello. A domani.

 

Chiudo il laptop e lo ripongo sul comodino. Adone è in piedi di fronte allo specchio, apparentemente controllandosi il velo di barba che gli scurisce le guance. Quando ha constatato che è tutto a posto, si volta verso di me, seduta sul letto a gambe incrociate. Guarda l’orologio. Sono quasi le otto.

«Che vuoi fare?» Mi domanda, all’improvviso.

Alzo un sopracciglio, vagamente imbarazzata.

Tu imbarazzata!

No, è che mi ha colto alla sprovvista.

«Niente. Che dobbiamo fare?»

Stavolta ad alzare il sopracciglio è lui, ma sono sicura che io non avevo quel sorriso malizioso dipinto in volto.

«Qualcosa da fare si trova sempre.»

Alzo gli occhi al cielo e gli tiro un cuscino in faccia. Che schifo di mira. Osservo il cuscino rimbalzargli contro il petto e cadere con un tonfo – sicuramente beato – a terra. Lui segue il mio sguardo e poi lo rialza, incrociando i miei occhi, con un’espressione a metà tra il divertito e l’infastidito.

«E ora, precisamente, come vorresti essere punita per questo?» Lo vedo avanzare minaccioso verso di me. Il materasso si abbassa sotto il peso del suo ginocchio e senza che possa rendermene conto mi ha afferrato una caviglia e mi sta trascinando verso il bordo del letto come se fossi una trapunta.

Ohhh, questo sì che è eccitante!

Taci, VIOLET! Questo lo conosco sì e no da mezz’ora!

E in mezz’ora ti ha messa KO e si è quasi spogliato davanti a te. Precisiamo.

Quando arrivo a toccare col sedere il bordo del letto, e cerco di indovinare la sua prossima mossa, terrorizzata e a un passo dall’urlare come Tina Turner in pieno acuto, si sente bussare alla porta.

Oh, grazie al cielo! La cena.

 

 

~ Note

Secondo capitolo di questa emozionante storia! Ha-ha, come mi faccio ridere.

Che dire, questa volta? Innanzitutto, grazie per l’accoglienza e grazie a chi ha recensito e inserito nei preferiti/seguite/da ricordare.

E così, Christian Wayne ha fatto il suo ingresso in tutto il suo libidinoso splendore di maschio alfa, e devo dire che il presta volto Hemsworth mi ha reso le cose molto più facili, in questo. È in suo onore che Mr Wayne si chiama Christian, ci tengo a dirlo. Poi mi paghi per la pubblicità, Hem. In natura, ovviamente.

Con questo capitolo anche il titolo di questa storia ha un suo perché, e un ringraziamento va ad Anna (Aine Walsh su Efp) per aver contribuito al ‘parto’. Ti ho ripagata bene, facendoti sposare Cooper, vè? (L)

Non ci sono altre note particolari da portare alla vostra attenzione (tranne un "non fate caso alla formattazione del testo della conversazione su Skype, ma Word a volte non collabora"), per cui vi lascio con un brevissimo spoiler del prossimo capitolo.

 

«Le minacce non hanno mai portato da nessuna parte, signorina Wayne.»

E quella fu la mia fine.

 

Come sempre, nel gruppo Fb trovate altri spoiler, news sulla storia e vari ed eventuali simpaticissimi deliri dell’autrice e delle sue adorabili affezionate.

Un abbraccio,

Sara.

 

   
 
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