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Autore: Silya_96    23/10/2012    1 recensioni
Napoli, Ottobre 1943. La vita di due ragazzi che si incrociano, si trovano, si amano durante le Quattro Giornate di una Napoli in rivolta.
"Si era sempre chiesta se esistesse il destino.(...)E, nonostante fosse sempre più difficile, non perdeva mai il sorriso. Rideva e le piaceva ridere. Una risata poteva alleviare la tensione, placare la sofferenza e riscaldare l’anima. Poteva fermare le lacrime, in più, era contagiosa. Ma in quel momento non riusciva a ridere. Non esisteva niente in lei che la potesse confortare. Era in mezzo alla folla, eppure sola come non mai.(...)E mentre la vista le si appannava e la mente divagava in ricordi che erano tutto ciò che le era rimasto, si accasciò sui gradini nel freddo della notte.
Era quello l’ultimo luogo in cui l’aveva visto."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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                                                                                      La Nostra Storia

Si era sempre chiesta se esistesse il destino. Claudia non era mai stata una tipa pessimista, guardava al domani come se fosse sempre un nuovo giorno ,dimenticando, o cercando di dimenticare, torti e dolori, che in quei tempi abbondavano eccome. E, nonostante fosse sempre più difficile, non perdeva mai il sorriso. Rideva e le piaceva ridere. Una risata poteva alleviare la tensione, placare la sofferenza e riscaldare l’anima. Poteva fermare le lacrime, in più, era contagiosa. Ma in quel momento non riusciva a ridere. Non esisteva niente in lei che la potesse confortare. Era in mezzo alla folla, eppure sola come non mai. Non poteva credere alla notizia, non poteva pensarci neanche un minuto, doveva avere fede e continuare a sperare. Ma i minuti passavano in un tempo che sembrava interminabile e ogni secondo scandito dalla lancetta accelerava i battiti del suo cuore, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Ma non voleva, non poteva piangere. All’improvviso si sentì soffocare. Cercò di prendere un respiro ma l’aria pareva sfuggirle. Così si alzò, iniziò a correre, lontana, via dalla disperazione palpabile nell’aria, via da quel luogo di morte e sogni infranti, attraverso i corridoi di quella che, se un tempo era stata una semplice scuola, ora era il simbolo di tutto ciò che aveva perso. Spinse la porta e si fermò solo quando, ormai fuori, si ritrovò sulla scala anti-incendio, al secondo piano, ad assistere al tragico panorama che le si presentava agli occhi. E mentre la vista le si appannava e la mente divagava in ricordi che erano tutto ciò che le era rimasto, si accasciò sui gradini nel freddo della notte.
Era quello l’ultimo luogo in cui l’aveva visto. Si erano guardati, complici, fiduciosi l’uno dell’altro, promettendosi che sarebbe stato solo un arrivederci. Gli aveva visto negli occhi tutta la loro storia. I primi momenti in cui tutto sembrava una favola, in cui entrambi sentivano di conoscersi da una vita pur non essendosi mai incontrati prima. Quel primo anno in cui si vedevano sollo attraverso le finestre delle aule, poiché quella della sua classe si trovava esattamente di fronte a quella di lui. Ora che ci ripensava era davvero strano essersi innamorati così, al primo sguardo, e non essersi conosciuti per mesi. Sembrava ci fosse sempre qualcosa a dividerli: ora una finestra, domani i compiti, il giorno dopo le varie punizioni. E poi un giorno così, si erano trovati, per la prima volta davvero vicini, faccia a faccia, senza niente che li separasse. Ed era stato amore. Un amore da fiaba, dolce e sincero, di quelli che tutti t’invidiano, di uelli che si nutrono di progetti e aspettative per il futuro. Ogni suo pensiero era rivolto a lui, ogni suo sguardo a lei. Era un equilibrio solido e infallibile, destinato a durare per sempre. Eppure c’era qualcosa di più forte. Esisteva un elemento che aveva più potere, una forza inarrestabile e condizionante contro cui neanche il sentimento più intenso è in grado di combattere: la Storia. Perché se fino a quel momento la sua storia aveva declassato quella mondiale sempre più in secondo piano, mano mano che le bombe cadevano e la città si riduceva in uno strato sempre più pietoso di miseria, non poteva più crogiolarsi nel suo angolo di paradiso, era costretta a fuggire dallo spazio sempre soleggiato del suo cuore e comprendere la realtà della guerra, che l’aveva risucchiata con violenza nel suo vortice. Se gli episodi di razzismo l’avevano sconvolta, ancor di più la ferocia e la brutalità delle risse e delle esecuzioni contro gli italiani da parte dei tedeschi le incutevano un terrore che non aveva mai provato prima. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva gli istanti di quella terribile sparatoria in cui erano stati fucilati dieci suoi compagni di scuola. Il pallore dei loro volti, il tremore che li scuoteva, la paura mascherata da un irrilevante tentativo di mostrarsi impavidi davanti alla morte, la svegliavano ancora la notte. Accanto a lei Andrea aveva gridato : << Sono solo dei ragazzi! Lasciateli, mostri!>> ma quando aveva sentito il suono del grilletto non aveva potuto far altro stringerla più forte contro il suo petto.
Non era finita lì; la guerra si era portata via altre decine di ragazzi e centinaia di uomini, e ad ogni vittima la città diveniva più inospitale, la popolazione più irrequieta. Fino a che, come ogni bomba a orologeria, che quando scade il suo tempo scoppia, anche in questo caso tutto esplose. E così, mentre in tutta Italia i tedeschi cominciavano ad arretrare, la parola vendetta serpeggiava sulla bocca di tutti. La sua stessa scuola, il suo liceo, il Sannazaro, era diventata la base della Resistenza partigiana, il quartier generale di un movimento abbracciato sia da Claudia che da Andrea. Per tre delle quattro giornate, in quel 1943, lui aveva combattuto da soldato, personificazione degli ideali liberali di una città ormai esausta della morte, lei si era prodigata, mossa dallo stesso spirito, all’interno dell’edificio fornendo qualsiasi tipo di assistenza. Erano provati, eppure felici e coraggiosi, pronti a non tornare indietro, incuranti del pericolo, ansiosi di contribuire alla rinascita di Napoli. La mattina del quarto giorno sapevano entrambi che ormai era finita, che avevano vinto, alla fine. Claudia aveva accompagnato Andrea per un’ultima volta all’uscita. Non c’era stato bisogno di parlare.  Si erano scambiati un rapido bacio e lui si era avviato per le scale. Un attimo prima di scomparire si era voltato e le aveva sorriso. È così che l’avrebbe ricordato per sempre: i capelli mossi dal vento, gli occhi pieni di speranza, il sorriso aperto e l’espressione di un amore incontenibile dipinta sul viso.
 La giornata era trascorsa come le tre precedenti e quando alla sera era arrivata la notizia dell’ufficiale ritirata dei tedeschi tutti erano saltati dalla gioia. La gente si era abbracciata e Claudia si era lasciata trasportare da quest’aria di euforia e assoluta libertà che permeava la città. Eppure le mancava l’unica persona con cui potesse condividere appieno quell’emozione. I partigiani erano tornati in gran folla dalle strade, si erano riversati un po’ acciaccati ma esultanti nella scuola, ma nessuno di loro era Andrea. Claudia si era fatta spazio tra la folla e  lo aveva cercato animatamente, prima con fiducia, poi urlando il suo nome sempre più carica di angoscia. Aveva chiesto sue notizie ma nessuno aveva saputo darle informazioni. Era disperso, le avevano detto alcuni, e lo aveva creduto finchè non aveva domandato di lui al capo dei partigiani. Aveva combattuto con onore, le disse questi, e come un vero italiano. Quel tedesco era stato un vile, perché invece di mostrare riconoscenza verso il giovane che gli aveva risparmiato la vita, lo aveva colpito a tradimento non appena quello aveva abbassato la guardia. Lo avevano ucciso, certo, ma questo non avrebbe restituito loro Andrea.

Claudia non lo aveva più ascoltato. Tutto le era parso sfocato e i suoni soffusi, come se ascoltasse tutto sotto una campana di vetro. Il suo Andrea non poteva essere morto, era pieno di vita. Non riusciva a crederlo, non poteva crederlo. Ed era scappata. E adesso, rannicchiata su sé stessa ed esposta al vento gelido di fine ottobre, le lacrime le rigavano le guance e rifletteva con l’amarezza nel cuore. Perché si era sempre chiesta se esistesse il destino e ora che ci ripensava, capiva che il loro, forse, era quello di essere separati. Perché se un tempo c’era stata una finestra e dopo era intervenuta la Storia, ora a dividerli era la stessa vita.

  
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