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Autore: Callie_Stephanides    23/10/2012    29 recensioni
Quando si incontrano per la prima volta, in occasione della finale della Coppa del Mondo di Quidditch, Draco Malfoy e Hermione Granger devono ancora compiere quindici anni.
E' un rapido sguardo, il loro; la curiosità di un momento.
Qualche settimana più tardi, tuttavia, quando l'unico figlio di Lucius Malfoy arriva a Hogwarts con la legazione di Durmstrang per il Torneo Tremaghi, il Destino stringe il nodo di cui saranno gli estremi.
Puoi innamorarti della ragazza che ha rubato il cuore dello Czar di Durmstrang?
Se è tanto forte da sciogliere la prigione di ghiaccio in cui ti sei nascosto, forse sì.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton, Sirius Black, Viktor Krum | Coppie: Draco/Hermione, Vicktor/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dum spiro, spero'
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19.07.1995, Londra – Wizengamot.

Quando il Wizengamot si riunisce, è facile sentirsi insetti. Sono in molti a saperlo in quella sala: vittime di un’altra tragedia, colpevoli mai pentiti, semplici curiosi fortunati.
La Gazzetta del Profeta urla ogni giorno novità che sono memorie d’oltretomba. Azkaban è una leggenda nera e un baluardo che regge a stento l’avanzata del Male: fluisce ovunque, ormai, e fiorisce di torbidi boccioli.
Sirius scopre di avere paura; la felicità è a un passo, ma ha perso da troppo tempo la fiducia, la voglia di credere in un futuro migliore.
Sul banco dei testimoni siedono in tanti: c’è anche Mocciosus e i suoi occhi sono mandorle d’ossidiana. Indecifrabili.
“A cosa stai pensando?” gli chiede Harry, che salirà sullo scranno più alto solo per annunciare una nuova orribile.
La notizia, anzi.
La cronaca di una fine annunciata.
Sirius stira le labbra. “Al fatto che sono una vergogna di padrino. Toccava a me comprarti un bell’abito per l’udienza, invece…”
Harry sorride. È la prima volta che glielo vede fare da giorni. È consolante sapere che non ha dimenticato; che è ancora il suo piccolo, maldestro eroe.
“Basta che questa storia finisca e in fretta. Non chiedo davvero altro.”
“Ti capisco, perché provo altrettanto.”
Un leggero brusio attraversa la folla riunita. Sirius segue ogni sguardo, anche se non ne avrebbe bisogno: conosce bene l’oggetto di tanta curiosità. Lo conosce al punto che preferisce stornare il viso.
È Draco. Quindici anni. Mangiamorte.
Se ha goduto della libertà sino a questo giorno disgraziato, è per il nome che porta; lo stesso, tuttavia, che sulla bilancia della giustizia potrebbe condannarlo, perché c’è già stato un Malfoy alla sbarra e non aveva un braccio al collo e uno sguardo terrorizzato.
“Cosa gli capiterà?”
“È difficile dirlo. Credo che tutto dipenda dalla paura dei giudici.”
“In che senso?”
Sirius sospira. “So per esperienza che la Giustizia maneggia una spada, non una bilancia, quando entra in conto la sopravvivenza, ed è esattamente un grosso, grossissimo problema di sopravvivenza, quello che ci aspetta. Il Signore Oscuro è tornato, e di sicuro non per farci un favore.”
“Era sotto la maledizione Imperius… L’hanno visto tutti.”
Draco si avvia lentamente al seggio. Tutt’intorno, all’improvviso, è solo silenzio.
“Impara una cosa, Harry… Spesso si preferisce credere solo a quello che fa comodo vedere.”

***

17.07.1995, Hogwarts.

Dei presenti, Severus è il solo che non lo fissi con l’espressione scandalizzata di chi apprenda una novità sgradita.
Forse perché già conosce il copione.
Forse perché, ai suoi occhi, è qualcosa che somiglia quasi a un lieto fine.
 
“Ma… L’unicorno, Albus!”
 
Il timbro di Minerva è debole. Il suo sguardo, preoccupato.
 
“Non credo che quanto accaduto possa ripetersi,” dice asciutto. “D’altro canto, sappiamo bene che la statura del nemico è tale da non farci trascurare nulla. Non certo…”
 
“Un Mangiamorte, Preside?”
 
Vitious è uomo di poche parole ma solido buonsenso. Piton s’irrigidisce e tace. È un eccellente soldato, Severus; forse il miglior seme che abbia mai gettato per assicurare loro un futuro. A tutti loro.
 
“No. È un ragazzo che ha sbagliato, ma che ha saputo rimediare. Nella vita non sono gli errori a raccontare chi sei, quanto il modo in cui domandi perdono.”
 
La Sprite annuisce. Le resistenze sono ormai blande.
 
“Amici cari, siete dunque pronti a regalarmi il vostro voto? Volete concedere a Florian Von Kessel di sottomettersi al giudizio del Cappello?”
 
 
È stato quasi un plebiscito. L’unico parere contrario, come prevedibile, appartiene a Hagrid.
 
“Dunque è deciso. Gli invieremo un gufo per l’ammissione a Hogwarts.”
 
I professori annuiscono e si congedano silenziosi; solo Severus resta, contratto e immobile.
Sa già cosa vuole domandare e immagina che la risposta non gli piacerà.
 
“Non ho il potere che credi, Severus. Il cammino che il Destino ha in serbo per Draco Malfoy è evidentemente un altro…”

***

19.07.1995, Lübeck – St. Petri-Hospital

Un vento tiepido gioca con la tenda e sfiora la pelle come una liquida carezza. Florian solleva le palpebre e il suo sguardo insegue il mobile cielo tedesco. Grosse nuvole, trascinate dalle correnti, si arricciano e corrono corrono chissà dove.
 
Io, invece…
 
È un pensiero triste, che inghiotte a fatica, eppure deve mandarlo giù e, se possibile, farsene una ragione. Dicono che è solo questione di tempo, ma Florian preferisce non credere a niente e sognare a occhi aperti d’essere lassù. Lontano e imprendibile.
 
“Ti sei svegliato presto.”
Kaspar siede in un angolo del letto, lo sguardo fisso a un nodo di dita e lenzuola.
“Provi ancora dolore?”
 
Non ha una risposta da dargli, perché le ferite, sopra e sotto la pelle, sono state troppe.
A volte pensa che morire sarebbe stato un sollievo.
A volte si vergogna di quello che è diventato.
Le mani di Kaspar sono calde, così il suo sguardo. Cominciano a conoscersi solo ora, loro due: un affetto nuovo e fragile come un cucciolo appena nato, fatto di gesti lenti e parole faticose.
 
“Sei solo?”
“Sì. Klaus e nostro padre sono partiti ieri sera.”
“Oggi è il giorno del processo, vero?”
 
Kaspar fatica a rispondergli. Florian sorride. “Non potete nascondermi niente: sono rimasto storpio, ma l’udito è quello di prima.”
Kaspar chiude il pugno. La carne si tende sulle nocche quasi con violenza. “Non usare quella parola,” sussurra – ringhia.
Florian distoglie lo sguardo. Sotto un velo di seta, il cordolo della grossa cicatrice che gli attraversa l’addome è un bruco repellente.
“A me non importa. Almeno sono vivo.”
Kaspar serra le labbra, una smorfia tesa e triste. “Sì, almeno sei vivo,” dice, e gli allontana con premura qualche ciocca dal viso.
“Klaus mi ha detto che anche tu…”
“È diverso, Florian. Io sono un soldato e ho scelto di combattere. Quello che è successo… Potrei dire che me la sono cercata.”
Florian solleva il braccio sinistro. Ha perso tanto peso che la manica scivola con naturalezza sino all’omero. Il marchio nero è una bestemmia che ruggisce.
“No. Io ho meritato quel che ho avuto, Kaspar… E adesso sono maledetto. Forse l’unica ingiustizia è che nessuno mi abbia chiesto di pagare per…”
“Shhh… Kein Wort, Welpe.” (Non una parola di più, cucciolo)
Kaspar lo accoglie tra le proprie braccia, come non ha mai fatto quando era un bambino e ne avrebbe avuto davvero bisogno. Allora, all’alba della sua storia, credere nel calore di quell’affetto avrebbe potuto cambiare tutto. Avrebbe avuto una piccola luce a rischiarare il buio, non la bulimia feroce del buco nero che gli ha maciullato la vita.
Kaspar lo lascia piangere: non allenta la stretta, né lo respinge.
Non gli chiede d’essere un Von Kessel o un Wittgenstein, né niente. È solo un piccolo fratello stupido e spaventato.
“Facciamo un patto, noi due, va bene?” mormora al suo orecchio. “Non ne saprà niente nessuno, né Klaus, né nostro padre.”
Florian, il viso nascosto nell’incavo della spalla fraterna, gli concede un assenso che somiglia allo gnaulio di un gattino.
“Siamo vivi, piccolo. Abbiamo percorso la nostra strada fino in fondo e abbiamo scoperto che era un vicolo cieco. Siamo tornati indietro. Vuol dire che abbiamo una seconda possibilità.”
Le dita di Kaspar gli accarezzano con gentilezza la schiena, là dove c’è un’altra cicatrice e la carne è ancora viva.
“Non possiamo dimenticare, ma dobbiamo andare avanti.”
Florian tira su con il naso. “Vuol dire che sposi Margaretha?”
Kaspar sogghigna e poi lo solleva di peso. “… Vuol dire che proviamo a rimetterci in piedi. Tutti e due.”

***

19.07.1995, Londra – Wizengamot.

Colpevole.
Hermione strizza con forza le palpebre, ma una grossa lacrima cola giù comunque, densa quasi fosse mercurio.
Colpevole.
Era sicura che sarebbe andato tutto bene. Che avrebbe potuto…
 
“La pianti?”
 
Ron le allaccia le spalle e la trascina a sé. Profuma d’estate, di sole, di polvere. Profuma della libertà che ha respirato mille volte alla Tana e che ora la spaventa.
Draco finirà ad Azkaban. Draco non avrà più…
 
“Poteva ucciderti, lo capisci o no?”
 
La voce di Ron trasuda irritazione, ma sul fondo si avverte soprattutto il calore generoso di chi ama senza ombre e senza compromessi.
 
“Lasciami in pace,” singhiozza. La folla si sta disperdendo.
Lui è stato ingoiato da una giustizia in cui non crede più.
A qualche passo dal luogo in cui piange la più triste e dolorosa delle sconfitte, c’è chi festeggia. Sirius è stato riabilitato: Harry ha una famiglia, ora. Ha un padrino, una casa, un futuro diverso da quello dipinto dalle mille ombre di un sottoscala.
Ron allenta la stretta, poi la guarda dritta in faccia. “Avevo proprio ragione… Tu non capisci niente.”
Hermione si morde le labbra, a testa bassa. Un presagio triste le schiaccia il petto e amplifica la sensazione straniante e straziante d’essere la sola a sapere; la sola a intravedere il baratro oltre un ingannevole arcobaleno.
Voldemort è tornato e ha già cominciato a divorare brani della sua felicità. Quanti bocconi pretenderà ancora?
Ron le volge le spalle. I suoi capelli sono oro rosso nel grigiore scialbo di un consesso di burocrati. Una fiamma, forse una speranza.
O un oracolo disperato.
Rosso è il colore della guerra, del sangue, dell’amore.
Hermione si asciuga le guance e cerca l’uscita.
È azzurro il cielo di Londra e l’aria ha un buon profumo.
Chiude gli occhi.
Una mano cerca la sua. “Sono contento di non essere una femmina.” La voce di Ron è piena di calore, perché è senza pelle, lui: senza pelle e senza maschere. “Perciò… Smettila anche tu.”
Dovrebbe dirgli che è un’imposizione stupida e una proposta surreale, ma la verità è che Hermione legge l’interlinea e sa che ha ragione lui… Che ha ragione Ron.
Ha dormito per un anno intero e a svegliarla è stato un bacio avvelenato: ora deve trovare il coraggio di tornare alla vita, perché con gli occhi chiusi inciampi – e cadere fa male.
Hermione, invece, vuole andare avanti.
Ha colto la rosa, accettato la ferita, vinto il sonno della Bella Addormentata. Del biancospino resta ormai solo l’infinita tristezza dell’ossimoro: crescere e cicatrizzare sono la stessa cosa.
Il fiore e la sua spina.

   
 
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