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Autore: margheritanikolaevna    24/10/2012    7 recensioni
E se immaginassimo che, dopo la morte di Kate, Neal non sia più riuscito a riprendersi e si sia lasciato andare sempre più, fino all’epilogo tragico?
Un what if? in chiave drammatica di una scena vista nell’episodio “Sulle tracce di Fowler”.
Prima classificata al contest "Tutto ha una fine", indetto da Giacopinzia17 su efp
Ecco il link al contest: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10367560
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il contest richiedeva di raccontare la fine del rapporto (di amicizia, d’amore, di collaborazione, etc…) tra due personaggi, costruendo la narrazione intorno a un sentimento o a un’emozione; io ho scelto di usare l’accidia, vizio capitale assai scivoloso da trattare, ma proprio per questo interessante.
Come noterete, questa one-shot è in alcune parti debitrice della storia “Now we are free” di Icegirl46, che ringrazio per avermi fornito ispirazione con la sua bravura di narratrice.
Grazie a chiunque leggerà e mi lascerà un suo parere.

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Funeral  Blues
 
“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome”

La voce del cappellano militare attraversa alta e ferma l’aria resa precocemente tiepida da un’inaspettata primavera; le sue parole non tradiscono alcuna emozione, non c’è nessun tremito a incrinarle.
Povero, vecchio reverendo Caldwell, ci conosciamo da anni, so che sei stato in Libano e in Afghanistan prima di arrivare qui a New York e chissà quanti onorati servitori dello Stato hai accompagnato verso la tomba nel corso della lunga carriera di cappellano militare; mi sono sempre chiesto se è l’abitudine al dolore che ti ha reso all’apparenza così distaccato, oppure se dipende dal fatto che non hai conosciuto la persona che adesso giace distesa nella bara di mogano avvolta nella bandiera a stelle e strisce.
Al contrario, per me - che pure tutti considerano un uomo severo, persino troppo riservato talvolta - riuscire a trattenere le lacrime è già quasi un miracolo e non so come farò a pronunciare le poche parole che i colleghi mi hanno chiesto di dire senza cedere al pianto. Ho esercitato tutte le pressioni di cui sono stato capace con Kramer affinché tu, che pure non ne avresti avuto titolo, fossi sepolto con gli onori dovuti a un poliziotto, a uno di noi.
Tu, proprio tu che per anni hai vissuto come un criminale, riuscendo sempre a sfuggirci; non posso non pensare che se l’avessi fatto anche l’ultima volta oggi saresti ancora vivo, magari rinchiuso in qualche lercia prigione in Sudamerica, ma vivo.
L’ho preteso e alla fine sono riuscito a ottenerlo - so che anche Diana e gli altri lo ritenevano doveroso - perché tu, Neal Caffrey, sia pure per un breve momento sei stato davvero uno di noi.
Abbiamo preso da te infinitamente più di quanto il nostro accordo ci desse il diritto di chiederti: prima la tua libertà, poi la tua felicità.
E da ultimo la tua stessa vita.
Adesso sì che sei libero: niente cavigliera, nessuno che ti inseguirà per riportarti qui.


“Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza”.

È uno splendido pomeriggio di metà aprile, l’aria è tiepida e profumata di erba tagliata di fresco e dall’oceano spira una brezza deliziosa; i raggi del sole appena calante bagnano di luce dorata le lapidi bianche, tutte uguali. Se questo posto non fosse così impregnato di dolore, ecco, oggi sarebbe persino ameno.
È uno splendido pomeriggio di metà aprile e Neal è morto: mio Dio, Neal, possibile che tu non sia più da nessuna parte? Davvero non ci sei proprio più?
Il cielo è così azzurro, le ombre così dense che a prenderne coscienza si prova un senso di stupefatta meraviglia per tutte le cose… Neal, non puoi più sentire neanche questo?
I cipressi si stagliano neri contro il cielo, ma tutt’intorno l’aria risplende di mesto splendore come la memoria. Tu amavi la bellezza: scommetto che in un pomeriggio come questo avresti levato la faccia al cielo e l’anima ti sarebbe uscita dal petto a perdersi nella luce corrusca del sole al tramonto.
 
Affiorano alla mia mente le parole di una vecchia poesia, non ricordo di chi: allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni, spegnete le stelle, imballate la luna, smontate pure il sole, svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco perché ormai più nulla  può giovare (1).
Mi guardo intorno: siamo tutti qui per te, riuniti innanzi al marmo finale, tra gli infausti cipressi. June e sua nipote sono sedute in prima fila, lo sguardo assente e come impietrite da un dolore muto, senza più lacrime.
Jones ha gli occhi gonfi e arrossati, non ricordo di averlo mai visto - lui sempre tanto controllato - così sconvolto; Diana si stringe a lui e fatico a capire chi dei due sostenga l’altro.
Elizabeth è pallida come un cencio e sembra non avere nemmeno la forza di reggersi in piedi; fortunatamente Mozzie le sta accanto e lei pare trarre conforto dalla sua vicinanza.
 
“Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca”
 
Ecco, tra poco toccherà a me; poi il suono delle cornamuse e le parole di “Minstrel Boy” (2) riempiranno l’aria e tutto sarà davvero finito. Finito per sempre.
Il nostro mondo, ciò che avevamo costruito giorno dopo giorno, il lavoro, la squadra, la nostra amicizia: tutto finisce oggi insieme a te.
Tutto domani ricomincerà, ma non sarà mai più lo stesso.
Dio Santo, Neal, ma come ti è potuta accadere una cosa del genere? Uno abile e intelligente come te: com’è stato possibile? Non avrei mai immaginato che la tua vita sarebbe stata spezzata  da un proiettile partito accidentalmente della stessa pistola con cui avevi minacciato di uccidere quel bastardo di Fowler, mentre lottavate. Una disattenzione, una terribile sfortuna: solo una manciata di millimetri e ti saresti salvato, solo pochi secondi ancora e io sarei arrivato in tempo per strapparti alla morte.   
In quali abissi di dolore era precipitata la tua anima senza che nessuno di noi fosse riuscito a capirlo?
Ieri mattina, quando sono arrivato in ufficio, ho avvertito una calma insolita: era appena una sfumatura, eppure sentivo che quella era una calma anormale, che conteneva un sentore di morte. Come se fosse avvenuta la fine di qualcosa; ed era un’impressione così chiara da averne paura.
L’aria si era fatta stagnante, immobile, e senza ancora avere capito mi sentivo come al tappeto: la tristezza copriva i miei pensieri, impregnava la stanza, avvolgeva la città.
Poi ha squillato il mio cellulare.
 
Non si salverà. Non vuole salvarsi.
 
Questo pensavo, guidando come un pazzo verso il Trinity.
Sono stato una delle persone a te più vicine e Dio sa quanto ti ho voluto bene, eppure questo pensiero non mi ha abbandonato mentre aspettavo di parlare con un medico, seduto su una scomoda poltroncina di plastica. Risuonava dentro di me come se lo stessi ripetendo ad alta voce e poi rimbombava tra le pareti asettiche dell’ospedale.
 
Non si salverà. Non vuole salvarsi.
 
Tu eri un uomo acuto, brillante, pieno di talento; nonostante la vita che hai avuto, io so che eri una brava persona. E un buon amico.
Mi sei sempre stato d’aiuto, in ogni momento in cui ne avessi bisogno, con la tua abilità e il tuo sorriso.
Ricordo ancora il momento in cui ti arrestai - stavo quasi per chiederti se ti fossi fatto prendere di proposito - e tu mi sorridesti: persino lì, con l’F.B.I. addosso e la prospettiva di parecchi anni di galera davanti, mi sorridesti e mi stringesti la mano.
Allora mi fissasti con i tuoi occhi grandi in quel modo diretto così inequivocabilmente tuo, privo di affettazione, e il tuo sguardo era così franco e aperto che per me fu difficile mantenere delle riserve; anche nei momenti di maggiore agitazione, anche nel vortice della tristezza, quel tuo sguardo trasparente è sempre stato uguale.
Questo prima di Kate.
Kate… troppo spesso ho temuto che lei sarebbe tornata prima o poi e ti avrebbe portato via per sempre, ributtandoti dov’eri prima, magari facendoti finire in prigione di nuovo.
Ho faticato a fidarmi di te anche a causa sua, perché sapevo che se fosse ricomparsa avresti scelto lei e che, se te lo avesse chiesto anche una volta sola, ti saresti rovinato con le tue mani per lei, completamente.
Alla fine, sia pure in una maniera contorta e atroce, è andata proprio così.
La sua morte ti ha cambiato e io non me ne sono accorto: adesso è chiaro che l’amavi, che lei amava te… forse avevate fatto dei progetti insieme? Non l’ho mai saputo con esattezza, ma dopo quella maledetta esplosione tu eri diventato lo spettro di te stesso: non avevi più energia, né vitalità, eppure vivevi trascinando i tuoi giorni uno dietro l’altro nella solitudine.
Lei ti amava, tu l’amavi al punto di non riuscire a sopravviverle: chissà se Elizabeth ama me allo stesso modo?
Prigioniero di un ideale, hai rischiato la tua libertà per inseguire Kate, confidando ciecamente in un amore sul quale nessuno di noi avrebbe scommesso un centesimo.
Poi, quando te l’ha chiesto, hai rischiato anche la tua vita.
Non dimenticherò mai quel giorno all’aeroporto: tu avevi salutato tutti, prima di partire insieme a lei.
Tutti tranne me.
Perché? Me lo sono chiesto infinite volte e ancora oggi questa domanda - che ormai non avrà risposta - mi rimbomba nel cervello.
Perché? Forse perché sapevi che ero l’unico che avrebbe potuto convincerti a rimanere, a fare la cosa giusta, a non diventare per sempre un fuggiasco nascosto dietro a un’identità fasulla.
Stavi per rispondermi, ma l’esplosione che squarciò l’aereo troncò a metà respiro e parole, scagliandoti verso di me; con tutte le mie forze ti tenni stretto per impedirti di seguire il triste destino di Kate, ma anche perché mi illudevo così di poterti trattenere, proprio nel momento in cui ero stato più vicino a perderti.
Ho sbagliato, solo ora me ne rendo conto: quelli come te nessuno può trattenerli. 
 
Ti ho perso, ti ho lasciato solo: avrei dovuto fare di più, non riesco a smettere di pensarlo. Forse avrei potuto fermarti.
Ti ho perso, ti ho visto avvicinarti alla morte poco a poco davanti ai miei occhi e non sono riuscito a evitarlo.
Alcuni sostengono che se qualcuno decide di morire nessuno può impedirlo, io non lo so; so solo che il rimorso mi tormenterà per il resto della mia esistenza.
Negli ultimi tempi eri come una brace che sta per spegnersi, sembravi un uomo molto più vecchio dei tuoi anni e non un ragazzo giovane con tante cose ancora davanti a sé.
Quando ti ho visto iniziare a vacillare - lo sguardo perso e un tremito irrefrenabile alle mani che cercavi inutilmente di nascondere - avrei dovuto parlare con te, starti vicino.
E nel momento in cui hai cominciato a non rispondere al cellulare, a non venire in ufficio senza dare spiegazioni, quando ti sei disfatto della cavigliera con la chiave rubata a Deckard mettendo a repentaglio la libertà che avevi così faticosamente riconquistato, allora sarei dovuto uscire a cercarti e ascoltarti come un amico o un fratello maggiore e non solo come un capo esigente.
Ma io no, non l’ho fatto: io, troppo occupato nella mia routine quotidiana, così assorbito dal lavoro da non rendermi conto del dramma che stavi vivendo accanto a me.
Io, newyorkese perfetto, traslucido e inflessibile.
Così lontano dagli altri, così incapace di dare, così chiuso nella mia nascosta astenia dei sentimenti.
“Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni”.(3)

Accidia: alle superiori ho studiato che vuol dire incuria, indolenza, dalla parola greca akedìa, senza cura.
È un peccato capitale perché è un vizio dell’intelletto, un difetto dell’anima e non un fatto fisico, come i pigri che fanno fatica ad alzarsi al mattino.
Io sono tutt’altro che pigro, all’esterno: lavoro oltre dieci ore al giorno, a volte per settimane di fila, e sono anni che non mi prendo una vacanza.
Ufficio, casa, poche ore di sonno e poi di nuovo lavoro, lavoro e basta: a volte dentro di me avverto una sensazione acuta - ora confusa, ora invece chiarissima - di assenza, di irrealtà, di grande stanchezza e pigrizia, mascherata dietro la mia apparenza di uomo attivissimo, di ingranaggio perfettamente inserito nel sistema.
Se avessi capito quanto soffrivi, Neal, quanto bisogno avessi di aiuto, avrei potuto impedirti di scendere uno a uno i gradini che ti hanno condotto all’inferno; ma no, il tuo capo - il tuo accidioso capo - non l’ha fatto, vittima del suo segreto, della sua incurabile incuria.
Ecco, il cappellano mi cede il suo posto di fronte alla bara e io percorro i pochi passi che mi separano dal microfono nel silenzio rotto solo da qualche singhiozzo trattenuto.
Sento l’odore della morte, contemplo l’immagine della disperazione.
Il prosciugamento.
La sete.
Quella condizione spirituale in cui sembra che le cose perdute superino di gran lunga quelle ottenute: la fine.
 
FINE
 
(1) La frase è una citazione della poesia “Funeral Blues” di W.H. Auden, resa famosa dal film “Quattro matrimoni e un funerale”.
(2) "Minstrel Boy",  sentita anche in un funerale nella serie Criminal Minds, è una ballata di origine irlandese composta da Thomas Moore e ha una lunga tradizione: veniva cantata dai soldati di origine irlandese durante la guerra civile americana.
Dopo la seconda guerra mondiale si è estesa a tutti i corpi di polizia e anche ai pompieri.
 (3) Le parole sono tratte dal Salmo 23 e sono sovente usate nelle cerimonie funebri negli USA.
Nota: Neal, ti prego di perdonarmi! So che è la terza volta da dopo l’estate che ti faccio morire di morte violenta… *me crudele*
 
 

  
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