Lost In His
Soul’s
Storm.
La
casa era immersa in un rincuorante silenzio.
Tutto
sembrava essere distante ed irraggiungibile, come congelato
dall’invisibile
mano di un inverno prematuro, eppure la sensazione di essere in luogo
sicuro e
familiare sconfiggeva la solitudine che regnava sovrana tra quelle
quattro mura
ed essere soli era un fardello meno pesante da portare con quella
piccola
convinzione stretta al cuore.
Ma
anche le cose migliori potevano riempirsi di crepe e minacciare di
sgretolarsi.
A
volte i demoni ritornavano, portando con sé la solita ondata di ricordi
sepolti
ma mai svaniti e riscoprendo quelle antiche ferite guarite unicamente
per via
dello scorrere del tempo – un nemico capriccioso ed un alleato prezioso
– e
tutto ciò che lui poteva fare era arrendersi al loro arrivo, invitarli
a
varcare la soglia, chiudere la porta e rifugiarsi all’interno della
torre in
loro compagnia.
In
quel momento erano nascosti nelle ombre che si delineavano sui
pavimenti e sui
muri, in agguato.
Lenzuola
sgualcite inghiottivano fogli accartocciati.
Libri
accatastati sul comodino erano il trono di una tazza di caffè ormai
freddo.
Una
chitarra acustica divideva il letto con Ville, che aggiustò il cuscino
dietro
la propria schiena nuda e distese le gambe con un sospiro che gli
sfuggì dalle
labbra dischiuse.
Era
intrappolato nel proprio mondo, fatto di note e ragionamenti contorti
che si
intrecciavano in ingarbugliate matasse di parole che si riversavano
sulla
carta: la penna scivolava sulla pagina tracciando lettere sbilenche con
quella
particolare e frettolosa calligrafia, a tratti un po’ illeggibile,
imprigionando le emozioni di un recente passato prima che svanissero
come
l’alone su di un vetro.
Eppure
non bastava.
Non
era sufficiente distruggere gli argini del proprio cuore, esausto e
malandato,
per provare una sincera soddisfazione.
Quella
canzone che si rifiutava di prendere forma cominciava a dargli sui
nervi,
irritandolo, stuzzicando quella parte lunatica di sé che spesso non
portava a
nulla – e più i suoi versi cercavano di sfuggire al suo controllo più
Ville si
intestardiva, cancellando e riscrivendo e rielaborando, creando
un’infinità di
sfumature sottili e variopinte dello stesso testo.
Appoggiò
il taccuino sulla coscia, strofinando la penna contro i capelli castani
mentre
il suo sguardo volgeva verso la tazza di caffè e la sua mano si muoveva
nella
medesima direzione.
Se
la portò distrattamente alle labbra ma, dopo un solo sorso, la
allontanò con
una smorfia contrariata prima di riappoggiarla sul comodino ed avere
modo di
alzarsi dal letto.
L’aroma
del caffè si diffondeva nell’aria come una dichiarazione d’amore
sussurrata
controvento, delicato ed appena percettibile.
Ville
ciondolava pigramente per la cucina a piedi nudi mentre scartabellava
la posta
ricevuta negli due giorni con rapidi movimenti delle dita, riservando
un’attenta occhiata ad ogni mittente riportato sulle buste bianche,
prima di
far cadere a peso morto l’intero plico sul tavolo in legno scuro ed
avvicinarsi
alla finestra con passo felpato e fruscii di stoffa.
Appoggiò
le mani sugli infissi chiari, distendendo le braccia – i tatuaggi sulla
pelle
sembrarono animarsi di vita propria, danzando sui muscoli affusolati, e
gli
occhi intelligenti di Edgar Allan Poe raffigurati sulla sua schiena si
contrassero al movimento delle scapole.
Helsinki
appariva tremendamente malinconica sotto un cielo spruzzato di leggere
ma
sconfinate nubi plumbee, venate d’argento dove le une si confondevano
con le
altre, dettaglio che conferiva alla città quel tocco fiabesco che la
rendeva
incredibilmente suggestiva - perché, bisognava ammetterlo, se Helsinki
ti
entrava nel cuore era destinata a rimanervi ed era impensabile non
amarla anche
in un triste giorno di pioggia.
Ville
osservava le nuvole che artigliavano il cielo, il grigiore monocorde
che
avvolgeva nel suo abbraccio tutto ciò su cui si posava lo sguardo,
ritenendole
una precisa rappresentazione del suo stato d’animo – anche lui era grigio, incapace di trovare anche un
pallido riflesso della vera felicità e più che certo di non volere né
meritare
una vita fatta esclusivamente d’infelicità.
Non
trovava il giusto modo per incanalare la speranza dentro di sé, la
sentiva
semplicemente defluire via, come se fosse uno spettatore passivo di una
vita
non sua.
Ed
era stanco di sentirsi così.
Rimuginando,
Ville aveva assottigliato le labbra ed aggrottato la fronte in
un’espressione
imbronciata.
Si
sfregò gli occhi con le dita affusolate, accompagnando il proprio gesto
con
l’ennesimo sospiro provato e massaggiandosi le occhiaie che spiccavano
sul
volto pallido quasi volesse cancellare le emozioni che gli si erano
dipinte
sulla faccia come cicatrici indelebili, prima di volgere nuovamente lo
sguardo
verso il cielo.
Il
sole lacerò l’oscurità con i suoi fragili raggi luminosi, imponendosi e
brillando
oltre le nubi grigie che si tinsero di calde tonalità d’arancione e
tenui
sfumature rosate, trasformandosi in oro liquido sul punto di colare di
vita e
speranza.
Era
un tramonto disarmante, bello da togliere il fiato.
Mentre
nei suoi occhi verdi si rifletteva lo sfavillio del sole calante, Ville
avvertì
che qualcosa di tremulo ed incerto si era risvegliato in lui: gli
ultimi deboli
raggi solari avevano aperto uno squarcio in quel suo cuore logorato
che, con un
sussulto, si stava riscuotendo dal torpore di cui era caduto vittima.
Un
battito e poi un altro, come se non ci fosse nulla di più ovvio.
Le
sue dita presero a tamburellare al ritmo di una melodia inesistente,
allo
sfrenato inseguimento di un brivido che gli correva per la schiena – la
certezza che la speranza non necessariamente si nascondeva tra le cose
più
appariscenti ma anche tra quelle più piccole, più banali, più scontate,
a volte
persino sottovalutate.
Proprio
come un tramonto su Helsinki.
Il
sole annegò oltre l’orizzonte e le nubi si intrecciarono tra loro,
sfiorandosi
come amanti.
Le
sue paure e i suoi demoni interiori non erano stati magicamente
trascinati via:
erano ancora lì, ad aleggiare come spettri sulla sua testa, ma sapere
di
poterli affrontare era già una piccola e preziosissima conquista. Un
passo
verso ciò che poteva considerare un nuovo equilibrio.
Intrecciò
le mani dietro la nuca e, mentre si allontanava dalla finestra,
cominciò a
piovere.
Spazio
dell’autrice
e disclaimers
Questa
brevissima oneshot è stata scritta per il contest indetto da The
Heartagram Path in
occasione del compleanno di Ville dell’anno scorso – il regolamento
prevedeva
che i partecipanti scegliessero una fotografia di Ville e, su quella,
scrivessero un piccolo testo.
Io
mi sono accorta solo recentemente che quella che avevo scelto era stata
photoshoppata,
per la serie: svegliati che il sole sorge xD, quindi l'ho modificata a
mia volta e l'ho inserita come banner qui sopra.
Ovviamente
né Ville né la fotografia né il titolo della oneshot, adattato da un
verso di “Sleepwalking
Past Hope”, mi appartengono. Purtroppo.
Spero comunque che
vi sia piaciuta =)