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Autore: Brin    25/10/2012    1 recensioni
Non si può restare a guardare quando una mano sconosciuta porta via ciò che di più caro hai al mondo: questo è quanto Sari Kalabis sperimenta sulla propria pelle nel momento in cui uno dei pilastri della sua vita le viene strappato per sempre.
Non sa, però, che il desiderio di sapere perché la porterà su strade pericolose, lastricate di interessi a cui non dovrebbe avvicinarsi. Verso i sotterranei di un carcere da cui non si può uscire, nella pancia di un incubo folle e delirante che non dovrebbe esistere.
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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25
ATTENZIONE!
Visto che questa storia è a un passo dalla fine, oggi ho fatto doppio aggiornamento. Quindi prima di leggere l'epilogo assicuratevi di aver letto anche il capitolo precedente.
Per quanto riguarda eventuali note di servizio, vi rimando alla fine dell'epilogo.





24.

EPILOGO

*


Jariel camminò lungo il corridoio, con Nova al suo fianco. La demone lo guardava sorridendo malevola, gioendo della brutta situazione in cui versava il morfista.
«Sarmon non è affatto contento di te.»
«L’hai già detto» mormorò a denti stretti Jariel, spazientito.
«Mi stavo chiedendo quanto pesassero la sfortuna e l’incapacità nel tuo fallimento. Eri così vicino a prendere i rapporti…» Nova scosse il capo, con l’intento di provocarlo.
Odiava con tutto il cuore i morfisti, creature degne soltanto di leccare le scarpe ai demoni. Erano scarti di laboratorio che davano soltanto problemi, e come se non bastasse erano anche terribilmente arroganti.
Li avrebbe massacrati e avrebbe bevuto volentieri il loro sangue, se soltanto Sarmon glielo avesse permesso. Ma per ora l’unica soddisfazione che poteva ricavare dallo stare a contatto con quelle creature miserabili, era prendersi gioco della loro inferiorità.
«Mi stavo chiedendo quanto dureresti, se io ora volessi ucciderti» Jariel allungò una mano per toccarle la fronte, con un sorriso gelido.
La demone la scacciò con un gesto veloce e potente, come se Jariel fosse un petardo impazzito.
«Prova a toccarmi di nuovo e ti massacro, miserabile» sputò veleno, ma il morfista non ne rimase troppo impressionato.
Sollevò appena le sopracciglia, fingendosi stupito.
«Divertente. Ora ho di meglio da fare che sprecare il mio tempo con te.»
Senza aggiungere altro la superò, dirigendosi con ampi passi alla fine del corridoio e oltrepassando il portone. Entrò nella sala dove Sarmon l’aveva già fatto convocare una volta e, come in precedenza, lo trovò seduto sul trono.
Quando lo vide entrare, Sarmon si alzò in piedi e gli si fece incontro. Non gli diede neppure il tempo di aprir bocca: la mano destra scattò all’improvviso, colpendo Jariel sul volto con il dorso.
Il morfista non ebbe il coraggio di guardare il suo signore in viso: mantenne lo sguardo basso, sottomesso. Sentiva su di sé lo sguardo glaciale di quel demone, ne avvertiva l’ira vibrante e pericolosa.
Sarmon era la creatura che gli aveva donato la vita, che le dava un senso. Come suo creatore poteva decidere di porre fine alla sua esistenza in ogni istante. E in quel momento Sarmon non doveva essere molto felice. Nova aveva maledettamente ragione.
Non osò parlare. Aveva timore persino a respirare.
«Jariel, cos’è successo?»
«La ragazza non aveva mai manifestato i suoi poteri e…»
«Questa cos’è, una scusa?» la voce di Sarmon era pericolosamente ironica.
«No, mio signore. Ce l’avevo in pugno, ma sono arrivate le guardie.»
«Ti ho dotato di una ghiandola per uccidere, Jariel. Perché non l’hai usata?»
Non rispose. Le cose si stavano mettendo male. Se non trovava il modo di calmare Sarmon, sarebbe stato ucciso sicuramente. Poi all’improvviso si ricordò di lui.
Namar.
Sollevò lentamente lo sguardo per scrutare il viso di Sarmon, ma quando si accorse che il demone lo stava guardando, tornò a fissare il pavimento.
«Ho scoperto una cosa interessante, nonostante tutto.»
Sarmon lo guardò, scettico. «Prega che sia davvero interessante.»
Jariel deglutì nervosamente.
«La ragazza era in compagnia di un morfista del vecchio laboratorio demoniaco.»
Silenzio. Aveva raggiunto lo scopo. Jariel sorrise impercettibilmente, ma già sapeva di aver vinto. Sollevò lentamente lo sguardo. E notò che la notizia aveva davvero colpito Sarmon.
«Vuoi dire che questo esemplare era in buone condizioni?»
Jariel annuì, anticipando le mosse del demone. Conosceva bene i suoi desideri, le sue aspirazioni e i suoi timori. E sapeva che cosa stava pensando.
«È straordinario che sia durato così a lungo.»
Sarmon rimase in silenzio, tornando a sedere. Lì, nascosto dalla penombra, per chiunque il suo volto non sarebbe stato visibile, ma per gli occhi di un morfista vedere al buio era uno scherzo. E Jariel vide bene il sorriso vittorioso di quel demone.
Un’espressione che non prometteva nulla di buono.
«Portamelo.»


*


Quando uscirono dall’ambulatorio, l’auto era sparita e di Sari non c’era traccia. Amaya si coprì gli occhi, scuotendo il capo. Era colpa sua.
«Non avrei dovuto darle le chiavi» mormorò, consapevole del fatto che Sari rischiava la vita ogni secondo che trascorreva accanto a Namar.
Guardò Silver, ma il poliziotto scosse il capo.
«No Amaya. Questa è stata una sua scelta, e l’ha presa conoscendo bene ciò che sta rischiando. Se vuoi andare a cercarla fai pure, ma questa volta io non verrò.»
Amaya guardò Silver allontanarsi, presa alla sprovvista. Non poteva dargli torto, in fin dei conti: Sari non era una bambina. Ma nonostante tutto, lei non riusciva a non essere preoccupata per le sorti dell’amica.
Sospirò, indecisa sul da farsi. Guardò Volker, sapendo che quello era un addio. La sua parte l’aveva fatta, e ora sarebbe andato per la sua strada a cercare la salvezza.
«Immagino che continuerai le tue ricerche…»
Volker annuì, sfiorando con la mano una ciocca di capelli dell’elfa.
«Penso di sí» mormorò distratto.
Sorrise bonariamente, interrompendo il contatto.
«È stato un piacere conoscerti, Amaya Lyrem.»
L’elfa rimase immobile al suo posto, composta come sempre. Ma, per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, lo accettò. Accolse la sua gentilezza, che questa volta stranamente era pura, senza malizia né ironia.
Gli sorrise. Un sorriso vero, sincero.
«Anche per me, Volker Kramer.»
Lui sembrò indugiare, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e un sorriso bonaccione stampato sul viso. E quando si voltò, Amaya lo fermò afferrandolo per un braccio.
Il sorriso malizioso sul volto di Volker crollò non appena incrociò lo sguardo dell’elfa. Uno sguardo attento. Sospettoso.
«Cosa succede?» domandò spiazzato, mentre lei gli controllava i capelli.
Ma Amaya non rispose, e quel silenzio non piacque affatto a Volker.
Lasciò che l’elfa cercasse ciò che voleva trovare, mentre il cuore gli galoppava nel petto. Pensò subito al sigillo. Se aveva cominciato a perdere efficacia, non gli rimaneva molto tempo. Pregò con tutto se stesso che Amaya non trovasse nulla, nessun segno che potesse testimoniare un cambiamento del fisico.
Non aveva mai domandato a Sarmon che tipo di alterazioni potessero significare un indebolimento del sigillo. Lui aveva detto una qualsiasi.
Alla domanda di Amaya, il suo cuore quasi smise di battere per il terrore.
«Hai mai avuto capelli bianchi?»


*


Sari non aveva idea di dove andare. Aveva preso la macchina senza nemmeno pensare a una destinazione. Guidava alla cieca sulla strada deserta, scegliendo a caso la direzione da prendere a ogni incrocio. La situazione divertiva parecchio Namar, glielo leggeva in faccia.
Aveva un’espressione divertita, quasi saccente, sicuramente irritante. Era in quello stato da quando avevano lasciato Rosya, e ormai era passata più o meno un’ora. Lui non aveva più aperto bocca dopo quell’ultimo commento, e ogni tanto distoglieva lo sguardo dal paesaggio e si concentrava su di lei. Quando lo faceva, Sari era quasi sicura che quel sorrisetto si allargava ancora di più, o almeno era quello che la ragazza riusciva a cogliere con la coda dell’occhio.
Dopo l’ennesima volta, Sari sbuffò, lanciando a Namar un’occhiata scocciata.
«La vuoi piantare?»
«Qui dentro l’unica che sta facendo qualcosa sei tu.»
«Sto guidando. E tu stai ridendo» puntualizzò con una punta di acidità nella voce.
Namar sogghignò, tornando a guardare la strada.
Silenzio. Sari gettò un’occhiata rapida allo stereo. Era un modello molto vecchio. Lo indicò con un cenno della testa.
«Prova ad accenderlo.»
L’evaso la guardò di nuovo, ancora con quell’espressione irritante che la fece esplodere.
«Piantala, non ti sopporto più!»
Per tutta risposta Namar ridacchiò. Continuò a guardarla, questa volta con una punta di curiosità.
«Perché mi hai portato via?»
Sari fu grata di dover tenere lo sguardo sulla strada, perché non aveva nessuna voglia di guardare Namar in quel momento. La sua domanda era troppo personale; rispondergli la imbarazzava.
«Mi piace pensare che ci sia ancora qualcosa che si possa fare per te.»
«Quindi l’hai fatto per pietà» concluse Namar, ma qualcosa nella sua voce suggeriva a Sari che la stesse prendendo in giro.
L’evaso rimase in silenzio per alcuni istanti, poi guardò la ragazza. Si era fatto improvvisamente serio.
«Qualcosa ci sarebbe, in effetti. Avevo intenzione di occuparmene quando mi avreste lasciato da solo, ma ora che hai combinato tutto questo casino ho paura che dovrò costringerti a venire con me» terminò sogghignando, e Sari si limitò a sorridere.
C’era qualcosa da poter fare. Qualcosa che poteva salvare Namar.
Rallentò di fronte all’ennesimo incrocio, indecisa su che direzione prendere. Namar le indicò la via a destra, e Sari la imboccò subito.
«Di cosa si tratta?» domandò senza distogliere lo sguardo dalla strada.
«Se il mio problema è la presenza della ghiandola, l’unica soluzione è rimuoverla.»
«Ma è rischioso, potresti rimanere menomato!»
«Credi che mi rivolgerò al primo macellaio che mi trovo davanti? Dottoressa, forse ti è sfuggito un dettaglio.»
Non riuscì a mantenere l’attenzione sulla strada. Doveva necessariamente guardarlo per leggere nei suoi occhi che cosa gli stava passando per la testa. Le sarebbe bastato anche un breve istante, una frazione di secondo. Ma quando si voltò verso di lui, le venne istintivo premere il freno: Namar era diverso. Ora che poteva mostrare il suo vero aspetto senza timori, le sembrò più inquietante che mai. Eppure aveva l’impressione di ammirare un tesoro segreto di cui soltanto lei era a conoscenza.
I capelli neri ricadevano indisciplinati davanti al viso, e Sari non si sarebbe mai abituata a quegli occhi completamente bianchi, sporcati solo dalla pupilla verticale. Quegli occhi demoniaci, che la guardavano con una luce folle che non prometteva nulla di buono.
«… andiamo a trovare il mio secondo padre, dottoressa. Andiamo dai demoni.»


FINE


NOTE DELL'AUTRICE

Non ricordo se l'ho detto qui oppure nel mio gruppo facebook, fatto sta che La zona rossa è la prima parte di una trilogia che si chiama Morfero (per motivi che ora dovrebbero essere ovvi :P). Sarò sincera, le altre due parti non sono state ancora scritte e non so se e quando lo saranno, motivo per cui ho pensato di inserire nel gruppo un documento contenente gli spoiler degli altri due libri, in modo tale da potermi scusare, per quanto possibile, qualora questa storia non dovesse mai vedere la sua vera conclusione. In questo documento non penso metterei la fine della saga, ma per chi lo volesse sapere basta che mi contatti privatamente chiedendo informazioni: svuoterò completamente il sacco :P
Se siete interessate a leggere il documento con gli spoiler basta che chiediate l'iscrizione a Questioni Scrittevoli, sarete subito accolte con biscotti e pasticcini.
Un saluto, e se siete arrivate fino a questo epilogo, beh... vi risarcirò i danni fisici e morali che questa schifezza databile col carbonio 14 vi ha procurato :P
A presto,

Brin

   
 
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