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Autore: Dark Magic    25/10/2012    7 recensioni
Storia ambientata dieci anni dopo gli eventi di Breaking Dawn. La famiglia dei Cullen viene distrutta da una tragedia che è stata pianificata ancor prima della nascita di Isabella Swan. Nuovi misteri, eventi ed esseri soprannaturali sconvolgeranno il mondo degli attuali immortali. Una nuova era dove i Volturi non risulteranno più il clan più potente, ma solo il braccio di esseri che agiscono all'oscuro persino degli immortali stessi.
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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cap 40
scomparsa

Capitolo 40

 
Pov Alexander
 
«Dannazione! Rispondi, razza d’idiota!» impreco con il cellulare in mano, mentre con l’altra preparo un borsone in fretta e furia.
Ho sentito prima la discussione avvenuta in camera di Bella. Partiranno fra poco, meno di un’ora, e per giunta Charlie Swan si trova in un letto d’ospedale per via di un infarto.
Quando si dice “colpo di fortuna”.
Sicuramente Bella e gli altri due si fermeranno per accettarsi delle condizioni dell’uomo, ed io invece agirò indisturbato.
«Bastardo!» digrigno i denti, stringendo così forte il telefono che si sbriciola tra le mie mani.
Non avrebbe dovuto farlo, non senza prima averne parlato con me.
Non avrei mai creduto che fosse capace di tradirmi, pugnalarmi così impunemente alle spalle.
Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme…
Ah, che tu sia maledetto, Nigel!, penso passandomi una mano tra i capelli e stringendo forte una ciocca.
«Razza di…».
«Ancora che imprechi contro il tuo amico?» domanda beffarda una voce alle mie spalle.
Il resto del telefonino si schianta a pochi centimetri dal volto dell’intruso.
Non sa che è pericoloso arrivare alle spalle di un licantropo?
La lezione di prima non gli è bastata?
Gabriel continua a tenere quel sorrisetto, indifferente ai resti del telefono che si trovano ai suoi piedi. Incrocia le braccia al petto, in attesa.
E adesso? Che diavolo vuole?
«Alza i tacchi e vattene».
«Spiacente» solleva un piede «non porto i tacchi».
«Sparisci!» ruggisco.
Si beffa di me? Non ha ancora capito con chi ha a che fare.
Scuote il capo, dirigendosi sulla poltrona più vicina e sedendovisi.
«Il capo» spiega, marcando appositamente la parola “capo” «mi ha incaricato di tenerti d’occhio».
Sbuffo. «Non mi serve un babysitter con i canini».
Ritorno al mio borsone. Non avrebbe potuto fermarmi neanche se si fosse impegnato sul serio.
«Non sono qui per mettere un freno ai tuoi movimenti» specifica tranquillo.
Incrocio il suo sguardo, bloccandomi. «Allora che ci fai qui, esattamente?»
Sorride, scrollando le spalle. «Eseguo gli ordini di William, il resto non deve riguardarti».
Con un movimento repentino, lo raggiungo afferrandolo per il colletto.
«Nessuno – e sottolineo “nessuno” – deve azzardarsi a parlarmi in questo modo. Soprattutto un pivellino di basso rango come te. Ho molti più secoli di te e…».
Un fischio acuto irrompe nella mia mente, destabilizzandomi.
«Ahhh!» urlo in preda al dolore.
Qualunque cosa sia, è a livello mentale ed io non posso contrastarlo con il mio scudo fisico.
Cado in ginocchio reggendomi la testa con le mani.
«Fa male, vero?» domanda con scherno Gabriel.
La sua voce, tuttavia, mi giunge ovattata.
Sempre più lontana.
«Credi davvero che William avesse scelto me come tuo babysitter se non fossi stato in grado di mandarti a cuccia quando lo avrei ritenuto opportuno?».
Annaspo in cerca d’aria. L’ossigeno sembra essere svanito dalla stanza.
«Se vuoi andare a Forks, libero di muoverti, non mi metterò in mezzo. Ma bada bene: io verrò con te, e se dovessi attaccare Nigel o qualche altro “essere” lì, sarò costretto a usare nuovamente questo trucchetto. E ti assicuro che quello che ti sto facendo adesso, è nulla in rapporto a ciò che posso ancora farti».
Un attimo dopo le sue parole, il dolore martellante svanisce e ricomincio a respirare. Una mano pallida agguanta una ciocca di capelli, issandomi su.
Mi fissa serio. «Se hai inteso, annuisci».
Col cazzo, penso incenerendolo con lo sguardo.
Un’altra fitta lancinante mi fa tremare.
«Allora?»
Sconfitto e a pezzi, annuisco.
Soddisfatto, Gabriel molla la presa. «Finalmente riusciamo a capirci. Non trovi?».
«Staremo a vedere, stronzo» sibilo.
Lui sorride, mostrando un accenno dei canini acuminati. «Sono certo che andremo d’accordo. Forse però, dovremmo lavorare un po’ sul tuo caratterino».
 
***
 
Pov Sebastian
 
«Con Crystal saremmo già arrivati da un pezzo» sbuffo scocciato.
Detesto viaggiare per tanto tempo. Essere a stretto contatto con gli umani in un posto piccolo come l’aereo, richiede una pazienza infinita di cui non sono provvisto. E ancora non vi eravamo saliti.
«Ma Crystal non era disponibile, Seb» replica Seth.
Anche lui è visibilmente stanco, ma tiene duro.
Bella invece…
È assente. E non parlo di un’assenza da adolescenti con la testa sulle nuvole.
Assente nel senso letterale del termine.
Solo il suo corpo si muove, passa il check-in, afferra il piccolo zaino, sale in macchina.
Insomma, forse neanche si rende conto di dove si trovi, e la cosa non mi rassicura.
Seth si è messo al volante, mentre io e Bella sediamo dietro, direzione aeroporto.
Lei è intenta a osservare il paesaggio.
Le afferro una mano. «Bella…».
«Ti prego…» mi supplica, guardandomi triste e ritirando la mano.
«Mi dispiace di non aver captato qualcosa dalla mente di Renesmee. Se fossi stato più attento, avrei scoperto prima delle condizioni di Charlie».
«Lascia stare, Bastian. Non si può cambiare il passato, per quanto doloroso sia il presente» sussurra.
«Hai ragione» replico, poi mi volto verso il finestrino come lei. «Muoviti, Seth. Non abbiamo tempo da perdere».
Come risposta avvertii la velocità dell’auto aumentare e nella macchina scese il silenzio.
 
Pov Nigel
 
«Non può essere…» continua a ripetere senza sosta la ragazza-lupo.
In un altro momento avrei sbuffato annoiato di spiegare tutte queste cose, ma con lei tutto sembra diverso.
Come se parlargliene sia una sorta di dovere.
Ma che dico!, risi mentalmente. Dovere nei suoi confronti?
Tuttavia è così.
«Perché no? Esistono i vampiri, esistete voi Quileute ed esistono i veri licantropi» scrollo le spalle «perché ti sembra così impossibile una cosa così vicina alla realtà?».
Continua a scuotere la testa. «Non esiste ancora il sangue clonato. È impossibile! Mi stai prendendo in giro».
Sbuffo esasperato. «Che tu ci creda o no, è così. I nostri occhi non possono mentire sulla dieta che seguiamo. Perciò non c’è scelta: o beviamo sangue animale o quello umano. In entrambi i casi, sai come diventano i miei occhi. Pertanto non ti consiglio di escludere a priori qualcosa che ancora gli esseri umani non sono riusciti a ricreare in laboratorio».
Mi fissa per qualche secondo prima di pormi l’ultima domanda che mi sarei aspettato da lei: «vieni dal futuro, per caso?».
Scoppio a ridere. Io dal futuro?
Semmai dal passato! Un passato molto remoto.
«Ridi di me?» ringhia indispettita.
Sollevo una mano. «Non posso non ridere per quest’assurdità. Comunque no, non vengo dal futuro. Ma non t’illudere: Carlisle è un bambino-vampiro in confronto a me».
«Capisco» si limita a rispondere.
Restiamo in silenzio per un po’ di tempo, fuori il sole comincia a tramontare. Mi alzo in piedi, battendo una mano sul soprabito.
«Dove vai?» chiede la ragazza.
«A sistemare qualcosa che ho cambiato» rispondo.
«E sarebbe?» domanda ancora, aggrottando le sopracciglia.
Guardo l’orologio. «Dì un po’, ma tu fai sempre domande?»
«Solo quando un succhiasangue mi rapisce e poi mi racconta mezze verità».
Mi blocco sull’entrata della grotta. «Cosa?»
«Vuoi forse dirmi che non è vero?»
È molto sveglia, ma d’altronde le mie risposte sono troppo vaghe per non destare sospetti su quello che realmente c’è dietro.
Sospiro, tornando indietro e piegandomi fino a essere viso contro viso. Lei tenta di indietreggiare per evitare la mia vicinanza, ma il muro dietro le sue spalle glielo impedisce, per non parlare della sostanza paralizzante che le ho iniettato prima.
Una strana morsa allo stomaco mi colpisce appena il mio sguardo si posa sulle sue labbra.
Sembrano morbide, color bordò per via della pelle scura.
E se provassi a baciarla?
«Certe verità sono scomode anche per me, credimi. Vorrei non sapere tutto ciò che so» sussurro.
«Allontanati!» sibila, in preda alle convulsioni.
In un altro momento i suoi vestiti sarebbero esplosi e al posto di una donna rannicchiata contro il muro ci sarebbe un lupo dalle zanne simili a coltelli affilati.
«Perché? Non dirmi che puzzo di dolciastro…» la punzecchio.
«No, non puzzi. E questo m’irrita parecchio».
Sorrido spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio prima che lei possa impedirmelo. «Vorresti odiarmi».
«Ti sbagli. Ti odio già» dichiara scocciata.
Agito un dito davanti a lei. «Stavolta stai mentendo. Ed io non sopporto chi mente».
«Sai quanto me ne frega di non piacerti? Anzi, non mi sforzo per niente di essere antipatica né di odiarti. Mi viene naturale quando incontro uno della vostra specie» ribatte ghignando.
Non si direbbe. Non sarebbe stata disposta a scambiare neanche una singola parola con il sottoscritto se non fosse interessata a ciò che avevo da dire.
«A volte bisogna accettare dei compromessi per andare avanti nella vita. E tu ne hai appena accettato uno scambiando qualche parola con me».
Ride con sarcasmo. «M’interessano solo le informazioni che puoi fornirmi, nient’altro».
Mi avvicino ancor di più, sfiorando con le labbra la vena che ha sul collo. «Sicura?» soffio.
«Che diavolo fai?» grida, dimenandosi.
Inspiro profondamente e m’irrigidisco per un secondo.
Un sottile odore speziato mi giunge alle narici. Eccitazione.
La sua.
«Abbatto uno dei tuoi più grandi pregiudizi sulla mia specie» le rispondo, prima di poggiare la mia bocca sulla sua, gli occhi ancora incatenati l’uno all’altro.
Dapprima è solo uno sfioramento di labbra, poi, sentendo che lei non risponde al mio bacio, cerco di ritrarmi.
Tuttavia è solo questione di un attimo. Chiude gli occhi e, titubante, comincia a muovere le sue labbra sulle mie e una scarica di adrenalina mi colpisce da capo a piedi.
Poggio una mano sulla sua guancia, accarezzandola con il pollice.
Mi ritraggo quel poco per mormorarle: «ci sono riuscito?».
La sento sorridere sulle mie labbra, prima che un basso ringhio le fuoriesce dalla gola, spezzando ogni parola. «No, non ci sei riuscito e mai ci riuscirai!».
Non ho neanche il tempo di riprendermi dallo shock che una fila di artigli mi squarcia il petto e brandelli del mio abito svolazzano insieme ai restanti della ragazza.
Adesso un lupo dal pelo argenteo mi fissa con occhi rabbiosi.
«Ci risiamo» sospiro, preparandomi ad affrontarla.
   
 
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