Prompt: Doctor Who, Eleventh/River Song, Non sarai mai come lei
Titolo: Tutto da decidere
Autore: Ruta
Wordcount: 2200 circa
Rating: verde
Avvertimenti: One-shot; Spoiler (per chi non sa/ non ha visto nulla
della settima stagione)
Note dell’autore: Temo di aver fatto un pasticcio. È narrata dalla
prospettiva del Dottore, come se ciò non bastasse è la prima volta che provo ad
utilizzare il suo punto di vista e sfido chiunque a farlo senza farsi prendere
dalla paranoia. La mente di quell’uomo deve essere un tale caos di pensieri e
ricordi ed emozioni, deve essere un tale vortice, una spirale di qualunque cosa
sia mai stata pensata e creata e provata che stento a credere di aver davvero
racimolato abbastanza coraggio per postare xD. Lasciate ogni speranza voi che
entrate nella testa del Dottore, o più verosimilmente ogni illusione di trovare
qualcosa di buono leggendo qui sotto. Tanto nonsense, ma a mia discolpa piagnucolo
soltanto tre parole: ci.ho.provato ;__;
Tutto da decidere
Non
è tanto e neppure poco il tempo che è trascorso da quando i Pond sono andati
via – magnifici, incantevoli e gloriosi Pond che non devono più aspettare,
hanno solo da godersi quel che segue all’attesa finalmente.
Con
lui però ne è rimasta una, il fiore all’occhiello di un’intera famiglia di
piccole meraviglie.
Lui le ha viste tutte e sette le meraviglie della Terra, sia le vecchie che le
nuove che le nuove nuove.
Ebbene, le ha viste e può dire che nessuna, nessuna valga neppure uno
dei mille impossibili ricci della donna che gli sta di fronte.
River
è di spalle, curva su qualcosa che da lì, fermo sulla soglia della biblioteca,
il Dottore non riesce a vedere. Quando si avvicina, la prima cosa che nota non
è l’oggetto che lei sta osservando così intensamente, ma quanto concentrata e
triste e pensierosa appaia mentre lo fa. Lo ha sentito arrivare, di questo è
certo, ma ancora non si decide a distogliere lo sguardo e non gli rivolge
alcuno dei suoi sorrisi più arditi o delle sue occhiate smaliziate. Nello
scoprire ciò che sembra aver catturato a tal punto la sua attenzione – insomma
adesso c’è lui nella stanza e cosa può mai esistere di più interessante?
Ovviamente niente! - , il Dottore non può fare a meno di capire. La curiosità è
donna e per una donna, specie se una donna dal carattere che ha River, oltre a
quanto fa e a ciò che rappresenta per l’universo intero, dell’uomo che ama è il
suo passato a destare interesse.
Per
lei, archeologa e amante della storia, di tutto ciò che è stato, è e sarà, del
tempo in ogni sua misura ed essenza, per la professoressa Song anche lui a
volte deve apparire così: più che un mistero da svelare o un arcano, deve
presentarsi simile alle spoglie di un condottiero dei tempi andati, appetitoso
quanto i resti di una civiltà – la più antica e nobile - spazzata via da un
cataclisma e poi riportata alla luce, una cultura creduta perduta e ritrovata,
con le infinite opzioni connesse al caso.
A volte il Dottore sente quel suo strano modo di guardarlo, quasi a rovistare
dentro di lui alla ricerca di indizi e tracce; lo percepisce come una
violazione. Altre, quando è meno bisbetico e scontento e più loquace, quando il
passato è qualcosa di doloroso, ma di un dolore di tipo sopportabile che non
sembra strapparlo a morsi dall’interno, quando delle persone che ha conosciuto
ricorda le risate e non le lacrime, allora invece la curiosità di River è
intrigante e non scomoda, lo strega. Diventa naturale accontentarla, trovare
risposta agli interrogativi che gli pone, spiegare da pari a pari, da dottore a
dottore. Per entrambi in quei momenti diventa un piacere trascorrere qualche
ora insieme, senza correre una volta tanto, senza affannarsi a lottare – contro
mostri, alieni, la cattiveria materiale di alcuni e la malinconia sensibile del
resto dell’universo. Rimangono a casa, una coppietta di matusalemme dagli occhi
vispi e la risata stanca, a fare le pulizie di primavera o a leggere sdraiati
sul tappeto davanti al fuoco, nella biblioteca del Tardis, rovistando tra
documenti e carte che lui era convinto di aver smarrito, ma di cui non si era
dimenticato davvero.
Può
far finta quanto vuole, ma il Dottore non dimentica niente e nessuno. Mai.
La
riprova è quel che ora ricopre per intero il piano della scrivania. Ai lati ci
sono i cassetti che sono stati forzati, grandi e piccoli e di medie dimensioni,
tutti ribaltati e svuotati e accatastati, ma al centro, simili a petali di
fiore violati, campeggiano in bella vista le varie schegge del suo cuore ogni
volta che è andato in pezzi per un addio. Sono resti, avanzi, ciò che loro hanno
lasciato dietro di sé andandosene, alcuni senza averne avuto coscienza, senza
averlo preventivato o averne avuto neppure il proposito. Ci sono lettere e su alcune,
come brandelli dei vecchi se stesso, si possono tuttora riconoscere macchie
traditrici che ne rivelano l’esatto contenuto; scritture tremolanti, altre
ferme e spigolose agli angoli, arrivederci bugiardi alla fine e un caro
all’inizio che fa quasi più male dei nomi con cui si firmano. Quasi.
C’è
un compito di matematica lì in mezzo - o di scienze, forse, non ne è sicuro -
su cui domina trionfante una “A” grassoccia al cui fianco il piccolo e prezioso
nome sembra volesse essere abbellito a tutti i costi dalla proprietaria da uno
schizzetto di rosa in procinto di sbocciare e un ben misero cuore trapassato,
anche se non ve n’era bisogno alcuno perché non potrebbe essere più caro ai
suoi occhi ancora adesso. A poca distanza c’è l’invito a un matrimonio, giunto
tardivo, ma si sa come funzionano le poste, di due cari amici che mai avrebbe
pensato – e sperato – insieme, se non nelle fantasie più fervide e
irrealizzabili. Un paio di biglietti della lotteria, perché non si sa mai. E
lettere – a centinaia -, talune aperte, altre sciupate, di vecchie e di nuove,
scritte a penna, a macchina o chiuse con sigilli di ceralacca, monogrammi e
strafalci ancora, pezzi ritagliati di giornale, appunti, necrologi, biglietti
da visita, pagine di libri, messaggi, annotazioni, foglietti strappati a
block-notes, corolle appassite dai lunghi gambi sottili, foglie friabili che
recano ancora inciso l’odore di un autunno lontano, che sanno di bruciato e di
freddo e di tanta tenacia, il bulbo di un seme non sbocciato, il fiocco rosa di
un nastro mai sciolto, un guanto da uomo di cui l’altro gemello è andato perso
chissà dove, numeri di telefono mai chiamati. Sono tanti e tanti i ricordi, i
frammenti delle sue vite precedenti, quelli che fanno mostra di sé tra le mani
di River. River che non ha il coraggio di guardarlo e muta, osserva lo scempio
che da poco lei stessa ha provato su pelle, per la prima volta.
La foto che ha davanti, quella da cui non riesce a staccarsi, è di Amy e Rory.
È il giorno del loro matrimonio, un giorno felice in cui tutto andava bene.
Sembrava il lieto fine di una favola della buonanotte, ricorda. Cos’è andato
storto stavolta? Cosa ha sbagliato?
Il
Dottore serra gli occhi, sospira e si passa una mano sul viso. Dentro di sé
qualcosa si screpola senza spaccarsi. È una crepa, una breccia nel muro. Troppo
presto, dice a se stesso. È troppo presto per affrontare tutto questo, lo era
anche per loro. Vorrebbe scavare e con la mano arrivare fino in fondo,
scrollare con forza quel nugolo di pensieri che non smette di sciamargli nelle
orecchie, nella mente. I ricordi sanno essere così rumorosi a volte. È perché
sono tanti? Troppo numerosi? Fatto sta che lo assordano.
–
Un giorno… - dice River all’improvviso. La voce pur se bassa suona
incredibilmente ferma e decisa, conserva un ché di spigliato. Sarà per il
silenzio che l’ha accolta? Silenzio in biblioteca.
–
Un giorno, - ridice e si volta a guardarlo, con le dita che ora artigliano
l’istantanea come a voler trapassare la plastica e l’inchiostro colorato,
raggiungere quei sorrisi sgargianti per stamparsene a propria volta uno
credibile in faccia, - anch’io farò questa fine, Dottore? Diventerò un’immagine
da nascondere per te? – Non vorrai più sentir pronunciare il mio nome ed ogni
mio oggetto, ogni cosa a me collegata li farai finire qui, nel baule delle cose
da seppellire, tenere lontane?
Lontano
dagli occhi, lontano dal cuore. Non è così che dicono? Quante illusioni sanno
concedersi gli umani, a parole quanto nei fatti.
River
non allontana lo sguardo dal suo, non trema, non vacilla. È forte, coraggiosa e
brillante. Una ragazza da sposare e lui ne sa qualcosa. L’ha fatto. -
Non voglio essere dimenticata, non da te. Non dopo tutto quello che è dovuto
succedere per farti ricordare. Ho dovuto aspettare così tanto, così tanto… -
Il
Dottore tace, senza sapere come confortarla. Rivede in quel volto accigliato il
cipiglio scontroso di Amy quand’era triste e voleva fingere a tutti i costi di
non esserlo, quando arricciava le labbra o le mordeva forte, d’impulso, perché
non vedesse che le tremavano, quando in fretta e furia si lanciava in un
abbraccio stritolante, la stretta con cui avrebbe voluto strizzar fuori ogni
molecola di sofferenza e dolore - e questo lui lo aveva capito. Rivede la
pazienza di Rory, il suo coraggio tranquillo, pacato e volenteroso, la sua
tenacia, il suo incrollabile scetticismo e la determinazione, la fiducia,
l’essere impacciato e goffo, come i veri eroi prima che scoprano di esserlo.
L’ostinazione di entrambi, calma e capricciosa, costante e irragionevole.
L’inganno però presto svanisce. River non è loro. Quella davanti a lui torna ad
essere River, non Melody, il lampo che le attraversa gli occhi appare
agguerrito, da volpe. Semplicemente meraviglioso.
Come
può chiedergli di non dimenticarla? Come pensa che potrebbe mai farla, lui, una
cosa del genere? È terribile anche solo pensare di dimenticarla. Anche
se farà male, sa già, con la sicurezza consolidata dall’esperienza e dal non
riuscire a far fronte a ciò che proprio l’esperienza dovrebbe avergli ormai
insegnato, il Dottore sa già che quel momento gli rimarrà impresso dentro,
probabilmente a lungo, lui spera per sempre.
È
così bella River. Una canzone che gli soffia sul cuore parole stuzzicanti, non
gentili, ma confortanti. Nel tumulto del vento, ai crocicchi delle strade si
sente appena, ma se tendi l’orecchio, oltre la portata del frastuono, la senti,
nella minaccia della tempesta imminente, quella sottile arietta nella brezza.
Viene da lontano, tanto lontano, ha visto il mondo e viaggiato lei, anche lei
come te; e nell’incontrare il vento zufola suoni di compiacimento e gioia,
ride, la melodia che giunge dal seno della terra, sbuca dal nulla e tintinna,
vibra, risuona intensa.
-
Non sarai mai come lei, – incomincia il Dottore, indicando la foto e quanto la
circonda. Attorno cenere e terra bruciata, quella dei ponti che si è lasciato
alle spalle. Ma se l’ha fatto è stato per andare avanti, solo per quello.
Troppo pesi da portare schianterebbero chiunque. E lui malgrado il resto, ne ha
il cuore, l’animo.
Il
corpo di River è visibilmente teso, si è irrigidito. Non un sobbalzo, ma
qualcosa in fondo agli occhi ha sussultato e lui cerca stupidamente di
raccoglierne gli strascichi con una carezza, per annullarne gli effetti. È
intenerito e commosso, come lo stupido vecchio che sa – sente, ora più che mai
- di essere. Sa di procurarle del dispiacere parlando a quel modo, ma deve
spiegarsi, farle capire. Ci sono cose che vanno fatte semplicemente perché
sì. In seguito e soltanto dopo ci sarà spazio per i ripensamenti.
-
Non sarai mai come nessuna di loro. Nessuno tra voi è mai come gli altri. – Il
Dottore sorride senza intenzione. Inclina la testa, scrutandola nel profondo e
pensando a quanto sia vero. A quanto faccia male perché vero. - Tutti talmente diversi,
meravigliosamente e intollerabilmente diversi, dal valore inestimabile, così
umani che è impossibile non amarvi. E io non posso non farlo, non amarvi
intendo, non finché i due miei cuori non smettono di battere, i piedi sono
pronti a correre, la mente mette in ordine per fare spazio a nuovi ricordi ancora
prima che ce ne sia davvero bisogno. È vero, - acconsente con amarezza, si
sfiora sovrappensiero il petto, - alcuni mi entrano dentro di più, vanno più a
fondo, ma tu ci sei già nel fondo del pozzo, sei a buona strada dal fondo del
fondo e credimi, non vorresti davvero starci lì. Non puoi volerlo. –
Sa
di smentire quanto ha appena detto, specie desiderando lui stesso che accada il
contrario. Perché lui vuole che lei sia lì. Nella peggiore delle
ipotesi avrà qualcosa di lei da conservare almeno. - Ci finiscono solo i
rimpianti più cari, ma d’altronde sono anche quelli che mi hanno spezzato il
cuore. Per cui te ne prego, River, non desiderare mai e poi mai di essere come
qualcun altro perché non lo sarai mai. Tu non
puoi essere come gli altri. Sei River Song, la donna che ha sposato il
Dottore e come se non bastasse sei anche una Pond. Non dimenticarlo mai. – Non
dimenticare mai chi sei, cosa rappresenti per me.
River
non sorride. È perché ha letto tra le righe, ha capito. Capisce sempre fin
troppo. Lo conosce.
La mano è ancora sulla sua guancia. River gliela prende con entrambe le sue, la
preme sulla pelle un po’ di più. Il suo respiro sul polso è simile al bacio che
ora vorrebbe darle.
–
Non lo farò, - promette ad occhi chiusi.
No,
non sarà mai come Amy o Rose o Donna. Non può, non deve. Non River, non lei,
non anche lei. Sarebbe così - straziante? - … ingiusto. Il
Dottore non pensa più al passato né al futuro, nel loro caso sono nemici, poli
opposti che si attraggono, pensa solo al presente. È ciò che conta, che non è
ancora stato scritto nero su bianco, a differenza degli scritti sulla
scrivania. Quelli appartengono a decisioni già prese, scelte già fatte, viste e
provate. Questo, riflette baciando sua moglie, è ancora tutto da decidere e
vivere invece. Sa di nuovo e scoperta, di un’avventura che prega non veda mai
la parola fine.
http://www.youtube.com/watch?v=uKrCE1aYz7o&feature=BFa&list=LLOOZUNCNzVeIvKsVfIxsmig <3