Ciao a tutti, cari lettori!
Rieccomi a scrivere anche con i postumi della febbre ^__^
Per chi non lo sapesse, questi “multilingua” di cui ho detto nell’intro sono
dei video di you tube in cui le canzoni dei film d’animazione, disney e non,
sono mixate con strofe delle varie lingue, mentre scorrono immagini delle
nazioni di Hetalia corrispondenti.
Vi consiglio di vederne qualcuno,
alcuni sono molto belli ^__^ Basta scrivere su you tube “aph hetalia multilanguage”
e il titolo del film o della canzone (in inglese) che più preferite.
Nel frattempo, ecco una
fanfic “multilanguage” tutta per voi ^__°
La canzone è “You can’t take
me” del film Spirit (la linko in italiano ad inizio fic).
Buona lettura!
http://www.youtube.com/watch?v=6Y9OfqtIxXE
Eccolo.
Il momento di combattere.
Più che mai.
Got to fight another fight - I gotta run another night
Get it out - check it out
I'm on my way and I don't feel right.
Il
passo della marcia del giovane America era incerto e spaventato.
Verso
di lui e gli altri ribelli americani avanzavano al contrario i granatieri, tra i
migliori reparti che le giubbe rosse avessero da lanciargli contro.
Brutto
modo per iniziare la sua prima battaglia. Avanzavano al suono di flauti e
tamburi, tutti perfetti nel passo, mentre la loro sembrava una massa di
straccioni sbandati. Venne dato l’ordine di caricare i fucili e prepararsi al
fuoco: obbedì con la mano che gli tremava, mentre i nemici, veloci come automi,
già puntavano le loro armi.
La
prima scarica decimò la prima fila, dove si trovava. Paralizzato, vide gli
uomini alla sua destra e alla sua sinistra cadere a terra, mentre una striscia
rossa di sangue schizzava sul suo volto macchiandogli la guancia. La guerra era
orribile, insopportabile.
I gotta get me back
I can't be beat and that's a fact
It's ok, I'll find a way
You ain't gonna take me down no way
Strinse i denti: non si era
infine deciso a fare la voce grossa con Arthur dicendogli che ormai era grande
abbastanza per badare a sé stesso per poi pisciarsi addosso al primo momento di
fare sul serio!
Veloce come un lampo finì di
pressare la polvere, accese la miccia e puntò.
Sapeva ciò che voleva!
Don't judge a thing until you know what's inside it
Dont' push me - I'll fight it
Never gonna give in - never gonna give it up no
Mise il casco da pilota e
percorse di corsa la pista.
Il suo Spitfire Mark lo
aspettava per un’altra giornata da eroi sui cieli della sua isola.
“Contatto!”
I
motori del suo aereo urlarono grintosi la propria ansia di tornare lassù, dove
infuriava la battaglia.
Arthur
salutò con un cenno della mano i suoi fidi meccanici e sospirò, avvinto da quei
pensieri che a un tempo lo demoralizzavano e lo caricavano.
Ormai era rimasto solo.
Polonia, Francia, Belgio,
Olanda, Danimarca, Norvegia, erano già caduti.
Era l’ultimo rimasto. Un mondo intero sperava unicamente in lui, la libertà e il
desiderio di democrazia di tanti popoli gravavano tutti sulle sue spalle.
Un fardello simile avrebbe
appesantito chiunque al punto da schiacciarlo a terra; nessun aereo ce l’avrebbe
fatta ad alzarsi in volo in quello stato. Non il suo.
Lì in alto, le sue urla tonavano
più delle sue mitragliatrici, ogniqualvolta un ennesimo moscone nemico veniva
abbattuto.
Il leone d’Inghilterra si sarebbe
sempre alzato in volo, sempre; non
importava se solo o in compagnia, non importava quante bombe e razzi sarebbero
piovuti sulle sue città a seminare lutti.
Si sarebbe sempre alzato a
combattere, per sé stesso e per tutti gli altri.
Je suis fière et libre comme l'air
Seul maitre de mes frontières
Jamais j'ai laissé jamais je n'abandonnerais non
Je défendrais ma vie!
Le pale del
mulino di Valmy giravano piano come sempre avevano fatto, incuranti della
battaglia che si svolgeva dinanzi ad esse.
Ai piedi
della costruzione, le linee francesi osservavano il tiro dei cannoni nemici
farsi sempre più serrato, ogni esplosione era una martellata di paura dritta al
cuore; di lì a breve i soldati austriaci e prussiani, molto più numerosi e
addestrati di loro si sarebbero lanciati all’attacco.
Francis scrutò
l’ingrigito cielo autunnale sopra di loro con l’occhio non coperto dalle bende:
potevano anche farcela, le uniche nuvole di cui doveva preoccuparsi erano
quelle che ingrigivano il cuore dei suoi uomini.
“Soldati!” –li
chiamò il loro comandante ferito, sguainando la sciabola- “Tutto quello per cui
abbiamo sofferto in questi ultimi anni, tutto quello che abbiamo faticosamente
ottenuto e che potremmo ancora ottenere è minacciato da qualche monarca
straniero impaurito! Oserete voi permetterglielo? Per cosa sono morti i vostri
fratelli francesi attaccando la Bastiglia, o facendosi massacrare dai mercenari
svizzeri del re?”
Si fermò per
godersi un soffio di vento sul viso, e lo scoppio una cannonata alle sue
spalle. Indicò le due colonne nemiche in avvicinamento.
“Il mondo
sta cambiando. Abbiamo deciso noi francesi di cambiare, e non torneremo sui
nostri passi! Se siete d’accordo con me, respingeteli!”
Colmo d’emozione,
sulle ali di quel vento di cambiamento che aveva preso a soffiare in quella
grande nazione, il mulino fece girare le sue pale più forte che mai.
To stale dreczy mnie
Dlaczego wszystko poszlo zle
Chce juz odejsc stad
Nie jestem tam, gdzie jest mój dom
Feliks stava cercando di
sfruttare al massimo la fioca luce nella stanza per controllare che il fucile
fosse pulito ed affidabile. Mentre le esplosioni e colpi di mitragliatrice che
si sentivano per tutto il quartiere non riuscivano a smuoverlo, fu la voce
stanca di uno degli altri presenti, un vecchio dai vestiti consunti, e dalla
pistola vecchia ma ancora pronta a farsi valere, a fargli alzare gli occhi.
“Perché ci aiuti?”
Perché non avrebbe dovuto?
“Non sei ebreo.”
Sorrise, per fargli capire
quanto fosse onorato di condividere con lui e gli altri quel rovinoso destino.
“Siete polacchi. Questo mi
basta.”
Guardò il alto, dietro il
vetro della finestra, il cielo che si anneriva delle ceneri della sua Varsavia.
Era tanto triste, ma lo era ancora di più per quei poveretti che avevano deciso
di morire padroni del proprio destino, costringendo i tedeschi, con gran fatica,
a stanarli dal ghetto casa per casa: se anche stavolta sarebbe riuscito a
risorgere, da buona fenice quale lo definivano, Polonia li avrebbe ricordati
per sempre come le persone più coraggiose che avesse mai conosciuto.
Col calcio del fucile spaccò
il vetro della finestra e si alzò di scatto; lo stesso fece il vecchio ed
entrambi aprirono il fuoco.
Alcuni minuti dopo arrivò un
carro panzer, e la palazzina di fronte la loro smise di sparare. Senza demordere,
fece rimbalzare i suoi ultimi proiettili contro quella spessa corazzatura.
Chi meglio di lui, caduto
tante volte, ne sapeva di battaglie disperate?
Combatterò e vincerò
E tutta l'anima ci metterò
Nessuno mai mi fermerà
E' l'onda piena è l'onda che va
“Assassini”
“C’ho famiglia!”
“Sono fascista! Non mi uccidete!”
Una volta che i prigionieri
furono allineati alla recinzione, l’ufficiale nazista comandò al plotone di
puntare; a quel punto, in cima alle gradinate del campo sportivo del Vomero,
gli insorti nascosti capirono di non poter più aspettare un altro secondo se
volevano salvare quegli innocenti.
“Adesso! Sparate! Sparate!” –ordinò
Romano, dando l’esempio.
Tanto fu il sollievo di quei poveretti
scelti a caso per essere fucilati nell’approfittarsene per darsela a gambe,
tanta fu la soddisfazione dei loro angeli custodi nel premere i grilletti:
nessuno poteva permettersi di oltraggiare la loro città, la più bella del
mondo, come avevano fatto loro e passarla liscia.
Romano e gli altri napoletani
si lanciarono giù per gli scaloni dello stadio continuando a sparare, come si
faceva in tante altre zone della città. Suo fratello purtroppo non era stato
pronto nel reagire quanto lui e si era lasciato occupare dal suo “amico”
Germania; ma lui era di un’altra pasta.
L’esercito più potente del
mondo avrebbe imparato presto cosa voleva dire portare la morte e la guerra a
Napoli e alla sua gente.
Ei pidä vangita vapauden lasta
Sen sä huomaat vasta!
Vapautta,vapautta,vapautta kaipaan!
L’imprudente plotone
sovietico arrivò come previsto sul luogo dove era stata pianificata l’imboscata.
I soldati finlandesi, nelle
loro mimetiche bianche, emersero dalla coltre di neve sparando all’impazzata
alla sinistra dei russi. La potenza di fuoco era impari, considerato anche il
tank, che girò prontamente la propria torretta nella direzione degli spari.
Ma mentre quelli erano
distratti dall’attacco su quel fianco, Tino stava già sgusciando fuori dalla
macchia di abeti dal lato opposto, acquattato e silenzioso come una lepre.
Inosservato, lanciò un’occhiata
glaciale al suo gigantesco e corazzato obiettivo: appena fu abbastanza vicino,
tirò fuori dalla sacca la granata e la lanciò tra i cingoli, dove era
impossibile recuperarla. Esplose prima che il carro armato potesse sparare un
solo colpo. E mentre i soldati più vicini, ma non così vicini da essere coinvolti
dall’esplosione, si voltavano increduli, scattò in piedi e iniziò a freddarli
col proprio mitra.
Un altro successo, piccolo
vero, ma piccolo era anche lui in confronto a un nemico che avrebbe dovuto
annientarlo come si annienta una formica sul proprio passaggio. Eppure la
Finlandia resisteva, e lui immaginava Ivan contare i morti tra le truppe della
sua tanto decantata armata rossa, chiedendosi come fosse possibile.
Non si sarebbe lasciato
annientare da quel gigante ingordo: la guerra sarebbe finita, ma lui avrebbe
continuato ad esistere, a qualunque costo.
Aki tétova nem tud a bajok elol futni.
Te nem fogsz messze jutni
Sose törik be a, sose törik be a vadló!
Così tanti suoni, uno più
terribile dell’altro.
Colpi di artiglieria, case che
crollavano, madri che piangevano.
Elizaveta vedeva i suoi
ungheresi, gli abitanti della sua Budapest, terrorizzati e umiliati superarla di
corsa in cerca di rifugio, mentre lei restava ferma come scoglio in mezzo alla
tempesta. Si erano riversati in strada per chiedere la libertà e si sentivano rispondere
di non contare niente: non si voltano le spalle al comunismo così impunemente.
Ci fu un’altra esplosione e
da una nube di fumo emerse enorme e minaccioso un carro armato con la stella
rossa dipinta sulla fiancata.
Elizaveta aveva le ginocchia
sanguinanti per una caduta, la faccia e i vestiti sporchi e laceri, ma
soprattutto aveva una molotov nella mano destra e un accendino nella sinistra.
In quello stato fronteggiava la potenza incontraddicibile dell’Unione
Sovietica; fissava con occhi iniettati e rabbia infinita il carro come se a
guidarlo ci fosse lui in persona.
“Fatti sotto, Russia! Solo perché
comandi metà del mondo non significa che puoi venire in casa mia a fare i tuoi
sporchi comodi!”
Diede fuoco alla miccia, e lanciando
gridò così forte che anche una superpotenza, dall’alto del suo piedistallo,
potesse sentire il suo grido.
I’m free!
Spero vi sia piaciuta! ^__^
E che abbiate gradito anche l’idea
di mettere il testo della canzone nelle sue varie lingue (le trovate tutte su
you tube, anche in multilanguage su hetalia)
Questa è una delle mie canzoni dei film d’animazione
che più mi piace: da moltissima carica!
All’inizio vi ho fornito il link della versione italiana, ma vi suggerisco di
sentire anche la versione finlandese che è proprio bella!
http://www.youtube.com/watch?v=rWdc6SUb5RI
>>> in questo video è pure usata per uno slide show hetaliano appunto su
Finlandia e la sua guerra contro Russia.
Ecco nell’ordine gli
avvenimenti storici che ho descritto:
-
La guerra d’indipendenza
americana.
-
La battaglia nei
cieli dell’Inghilterra durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la Royal Air
Force si batté da sola per il mondo libero contro i tedeschi.
-
La battaglia di
Valmy, dove i francesi respinsero le truppe straniere che volevano schiacciare
la rivoluzione e le sue conquiste.
-
La triste lotta degli
ebrei del ghetto di Varsavia, città che, per rappresaglia, venne praticamente
rasa al suolo dai nazisti.
-
Le Quattro Giornate
di Napoli, unico caso in cui l’esercito tedesco si sia dovuto arrendere ad una
popolazione civile.
-
La Guerra d’Inverno,
in cui la Finlandia resistette ad una occupazione che sembrava certa da parte
dell’Unione Sovietica
-
La rivolta di
Budapest contro il regime comunista nel 1956
Combattere per la propria
dignità e libertà è l’unica ragione veramente giusta. Che si vinca o si perda,
si avrà sempre un posto nella storia.
Commentate!
Alla prossima! ^__^