Fluff a secchiate, io lo dico in anteprima
perché non è detto che qui vivete tutte con una dose di insulina a portata di
mano.
La mia scusa è che certe cose le scrivo per
tenermi in allenamento in vista del giorno in cui Kishi
mi farà sciogliere al punto che qualcuno per pietà dovrà a raccogliermi col
cucchiaino – ssssì.
In realtà è sempre colpa di Sasuke che è bello
in ogni momento ma ancora di più quando si permette di guardare al futuro col
passato negli occhi, ecco.
Grazie a tutti quelli che si sono presi la briga
di dare un’occhiata e buona lettura!
J
Esplosioni
Secondo
mese.
Sasuke aveva fissato di sottecchi la sua mano
per almeno cinquantasette secondi contati – aveva tenuto il conto con molta
attenzione. Poi si era deciso ad avvicinarsi un po’ in più.
Aveva afferrato una sedia e l’aveva accostata al
lettino su cui lei era distesa, col ventre scoperto e la mano di Tsunade che
vagava liberamente sulla sua pelle. Ogni tanto loro due si dicevano qualcosa
che lui non capiva, Sakura tendeva la propria mano e imitava la sua maestra per
capire bene come si conducevano quegli esami.
A lui non restava altro da fare se non sbuffare.
«Ora farà un po’ male, Sakura». Tsunade
concentrò il chakra sul palmo della mano e lo tenne
sollevato fin quando la sua allieva non annuì, pronta.
Sasuke la osservò con attenzione: si stava
mordendo le labbra, aveva stretto il pugno e chiuso gli occhi. Faceva male sul
serio. Allora lui distese appena il braccio sul lettino accanto al viso di
Sakura, le sfiorò la spalla con le dita.
Lei non impiegò molto a sentire la sua presenza:
si voltò nella sua direzione, poggiando la guancia sul suo avambraccio. Alla
fine fu lei a stringergli la mano, così forte da togliere il fiato.
Ma non gli importava: erano entrati lì dentro
con un peso sul petto e dita sanissime.
Ne sarebbero usciti con ferite nuove sulle dita
e occhi luminosissimi.
«Procede tutto bene».
***
Terzo
mese.
Era l’alba. Sakura si era alzata presto perché
era stata di nuovo colta dalla nausea. Non accadeva più tanto spesso, ma lei
ormai aveva preso l’abitudine di andare a distendersi sul divano dopo essersi
allontanata dal letto. Non voleva disturbarlo, soprattutto quando Sasuke aveva
missioni impegnative per il giorno dopo.
Eppure lui non ci metteva molto ad alzarsi, la
raggiungeva in soggiorno. Le dedicava un’occhiata veloce, spesso non diceva
nemmeno una parola. Si limitava a sedersi sul tappeto davanti al divano,
poggiava un rotolo sul tavolino di cristallo che aveva di fronte e prendeva a
leggerlo.
Da tre giorni però Sasuke si era intestardito a
fissare il suo ventre con occhi rossi ed espressione corrucciata. Attivava lo
sharingan e lo studiava. Quando era particolarmente preso le sollevava anche la
maglietta, per non avere ostacoli di sorta.
«Allora, oggi vedi qualcosa?» Sakura sapeva che
la sua nuova mania era dovuta al fatto che lui moriva dalla voglia di conoscere il sesso del bambino.
Sasuke aggrottò un po’ le sopracciglia,
facendosi addirittura più vicino. «Ma è enorme».
«Sasuke-kun?»
Lui si ridestò dal suo personalissimo studio:
aveva le labbra piegate un po’ all’insù, lo sguardo presissimo e un’espressione
quasi luciferina. «Gli hai fatto un bel regalo. Ha una fronte gigante, Sakura».
Quarto
mese.
Sasuke diceva che almeno la fronte stava
acquistando proporzioni umane. Lei gli aveva spiegato un sacco di volte che era
normale che il bambino gli sembrasse
tutto sproporzionato, che ci voleva un po’ di tempo per far allungare il resto
del corpo, ma per tutto quel mese lui si era dichiarato più preoccupato dalla
sua fronte che dal suo sesso.
«Ora la sua fronte è rimasta la mia unica
preoccupazione», spiegò Sasuke, distendendosi accanto a lei nel loro letto. Non
fece in tempo a sistemarsi che si ritrovò con un cuscino spalmato in faccia.
Era un
maschio.
«Sasuke-kun?» lo richiamò lei, con voce
bassissima. «Ora puoi dirlo come si chiama, no?»
Non ne avevano mai parlato, ma era talmente ovvio…
Lui non aveva mai pronunciato il suo nome, mai,
nemmeno quando Naruto lo ripeteva in continuazione e tentava di costringerlo a
fare altrettanto.
«Prima tu, Sakura».
E lei lo fece, senza deluderlo. Togliendogli il
cuscino di dosso per guardarlo negli occhi. «Itachi».
Quinto
mese.
Sasuke aveva sentito da qualche parte che c’era
un periodo della gravidanza in cui la donna si ritrovava particolarmente felice
– felice di una felicità strana, comunque. Senza motivo apparente.
Perciò decise di non preoccuparsi troppo quando
qualcosa di relativamente pesante gli impedì di salire le scale. Per salutarlo
a fine giornata Sakura gli si era buttata addosso senza dargli nemmeno la
tregua di un respiro dentro casa. Gli teneva le gambe strette attorno alla vita
e le dita piantate con forza nella schiena.
«Sakura…»
Sasuke si ricordò che aveva programmato
un’accoglienza simile circa cinque mesi prima, con lei che non riusciva a
contenere l’emozione e che tremava quasi a dirgli che avrebbero avuto un
bambino.
Ora lei non aveva nessuna notizia da dargli, in
compenso aveva un po’ di pancia in più. Sasuke non ancora si era abituato a
sentire addosso quella curva più marcata.
«Sono felice» disse lei, guardandolo in viso.
Ed era vero. Sembrava che stesse una meraviglia.
Era una meraviglia.
«Come mai?»
Sakura si lasciò cadere a terra, gli strinse una
mano attorno al polso. Se lo trascinò al piano di sopra velocemente.
«Finalmente Ino mi ha accompagnato a comprare la prima tutina» spiegò,
raggiante. «Con il ventaglio dietro la schiena. E non è tutto», aggiunse,
aprendo la porta della camera che Sasuke aveva occupato da bambino. Era la
stessa che stavano allestendo per Itachi. «Ho trovato anche le tue vecchie
tutine».
Sasuke si accigliò, chiedendosi se fosse il caso
di placarla in qualche modo quando lei si mise praticamente a scalare l’armadio
tenendo di mira uno scatolone in alto. Si accostò a lei per aiutarla a prendere
quella roba terribile, ma non era certo di avere l’autocontrollo necessario a
non darle fuoco appena l’avesse avuta tra le mani.
Eppure non gli importava. Aveva scoperto una
cosa nuova sull’ammasso di roba terrificante che Sakura nascondeva nella
pancia.
Non
rendeva felice solo lei. La
illuminava di una felicità contagiosa.
Sesto
mese
Sakura era distesa sul divano, le faceva un po’
male la schiena. Sasuke era seduto a terra davanti a lei, sul solito tappeto.
Stava tentando di avere la meglio su uno stereo antiquato. L’aveva ripescato
nella vecchia stanza di Itachi insieme alla montagna polverosa di cd che aveva
sistemato sul tavolino basso davanti a lui.
Sakura gli aveva confidato che avrebbe fatto
bene al bambino ascoltare un po’ di musica. Erano tutte cose che aveva
studiato. La musica serviva a stimolare la sua intelligenza.
Sasuke all’inizio aveva sbuffato, senza nemmeno
crederci troppo. Quel giorno poi si era ritirato in soggiorno accanto a lei, e
aveva iniziato a imprecare contro lo stereo – come se fosse colpa dell’aggeggio
se lui non trovava la canzone che si era intestardito a cercare. Doveva esserci
affezionato, forse era incastrata nei suoi ricordi di bambino e come tutte le
cose che sapevano di Itachi anche quella canzone doveva toccarlo nel profondo.
Quando la trovò se ne stette un po’ a occhi
chiusi, con le spalle poggiate contro il divano e la testa abbandonata sul suo
grembo. «Le altre sono tutte una palla», spiegò, dal niente.
Sakura scoppiò a ridere, divertita. Non se ne
intendeva di musica classica, ma stentava a immaginare che Itachi avesse avuto
cattivo gusto. Dalle foto, dai ricordi di Sasuke, le era sembrato una persona
elegante, raffinata, forse di quelle un po’ inquietanti, capaci di parlare di
qualsiasi cosa.
«Questa è rilassante», commentò, dando qualche
colpetto sulla testa di Sasuke per invitarlo ad alzarsi da terra e distendersi
accanto a lei.
Gli fece un po’ di spazio, gli prese la mano e
se la poggiò sul ventre. «Lo sai Sasuke-kun» riprese, «come noi sentiamo quando
lui si muove, lui sente tutto quello che gli succede intorno. Perciò lo
accarezzo continuamente».
Quelle di Sasuke non sembravano sempre carezze,
i movimenti della sua mano erano accorti, misurati, ma non sempre lenti. A
volte sembrava che quella mano non stesse accarezzando, ma salutando – così per
dire piacere Itachi, sono molto lieto di
conoscerti.
«Cos’altro sente?» chiese Sasuke.
Lei ci pensò un attimo, raccogliendo tutte le
informazioni che aveva. «Ora sente soprattutto il battito del mio cuore. Per
lui deve essere quasi assordante, ma non al punto da dargli fastidio. Lo
rassicura. Poi sente le nostre voci, e la musica».
«E allora perché ti lamenti che non dorme mai?»
gli fece presente lui: evidentemente rabbrividiva al pensiero del casino che
doveva sentire suo figlio a tutte le ore del giorno.
Sakura ne sorrise. «Se si abitua adesso ad
ascoltare alcune cose, per lui la… scoperta del mondo può essere meno
traumatica. Quando sarà nato e sentirà le stesse voci, la stessa musica… queste cose gli sembreranno un po’ più familiari,
meno estranee e terrificanti».
Sasuke si disse che per quanto familiari forse
alcune cose restavano comunque terrificanti. Anche lui ogni tanto aveva paura
di Itachi.
Allora si chiese se non fosse pazzo e giusto
così: rassegnarsi a condividere la paure di un bambino e aspettare di placarle
contro la sua pelle, come Itachi avrebbe fatto con lui tutte le notti, di lì a
pochi mesi, dopo avergli spaccato i timpani e rovinato il sonno.
Settimo
mese
«Non è colpa mia se non riesco a dormire» sbuffò
Sakura, riempiendosi una tazza con una sostanza dal colore poco invitante.
«Ogni volta che tento di girarmi è come se dovessi fare il giro del mondo, mi
sembra di metterci ore».
«Non ti posso dare un colpo e risolviamo tutto?»
Sasuke guardò disgustato quella roba che lei stava trangugiando senza pensarci
troppo. Non riusciva nemmeno a immaginare gli ingredienti improbabili che ci
aveva messo dentro per calmarsi un po’.
Sakura lo guardò male e lui pensò di essere
stato frainteso: «guarda che non ti lascerei sul divano, ti porterei a letto»
promise, quasi ragionevole – per quanto potesse sembrarlo con gli occhi
impastati di sonno, cioè. «O forse farei prima a portare il letto giù» considerò,
fissando la pancia di Sakura a provando pietà per le sue povere braccia.
Probabilmente sarebbe perito nel tentativo di sollevarla.
Lo sguardo di Sakura si fece ancora più sottile,
aveva un che di minaccioso. «Sasuke-kun», cominciò, melliflua, «pensavo che
avessi superato il periodo in cui riuscivi a dirmi certe cose solo con la
certezza che dopo mi avresti tramortita».
Sasuke sobbalzò, ma ebbe lo spirito di non darlo
a vedere. «È così infatti» precisò a denti stretti. Non era stato carino da parte
di lei fargli notare che era spesso stato costretto a colpirla dopo
dichiarazioni particolarmente compromettenti, a partire dalla notte in cui dopo
il suo primo grazie l’urgenza di
scappare si era fatta sentire. «E poi ora non devo dirti proprio niente. Vorrei
solo tornarmene a letto».
«Ma se mi dici qualcosa di carino potrei
considerare l’idea di lasciarmi colpire» dichiarò Sakura – forse anche lei era
particolarmente disgustata dalla tisana che aveva versato nella tazza.
Sasuke fece l’ultimo sbadiglio, strofinandosi
gli occhi per assicurarsi di essere ben sveglio. Le pose due dita sulla noce
del collo, come se avesse voluto prendere la mira per un colpo ben misurato.
Lei lo guardò con occhi frementi di aspettativa
e trattenne il fiato quando Sasuke le sfiorò il viso con un tocco leggerissimo.
«Sakura, tu non dormi perché non sei davvero stanca».
Lei spalancò la bocca pronta a protestare: era davvero stanca e non si sarebbe lasciata
colpire senza ricevere una meritata dichiarazione compromettente. Sasuke sapeva
che lei gli avrebbe risposto esattamente così, perciò quando si mosse veloce
per sfuggirgli, Sasuke non la lasciò allontanare troppo, tappandole la bocca
prima che cominciasse con qualche rappresaglia.
Mentre la baciava, sperò solo che dopo averla
stancata a dovere Sakura sarebbe stata almeno capace di tenersi in piedi – non
era sicuro di riuscire davvero a portare il letto giù per le scale dopo aver
finito con lei.