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Autore: evilqueen82    29/10/2012    2 recensioni
Salve gente, questo è il mio primo racconto (ehm, una specie) L'ho realizzato ispirandomi a dei role fatti due anni fa con 2 amiche su Facebook .
Una giovane rock star che viene uccisa, una ragazza vien rapita e condotta in una radura.
Due avvenimenti che in apparenza non c'entrano nulla l'uno con l'altro ma che in realtà sono collegati da un unico comun denominatore: i fratelli Winchester. Sam e Dean dovranno sfidare un esercito di vampiri per salvare la giovane e quando le cose staranno per mettersi male, qualcuno interverrà in loro aiuto, ma non è Castiel, l'angelo sarà impegnato in un altra importante missione.
Intrighi, bugie, tradimenti e una grande amicizia. Ma soprattutto ho voluto prendermi una rivincita personale. Spero le fan di Gorge Graig (che mi piace assai) non se la prendano per il ruolo che gli ho affibbiato. Ricordo che è solo una Fanfiction e va presa per quella che è. Una storia che non ha nulla a che vedere con la realtà, un racconto leggero che mi sono divertita molto a scrivere, quindi rideteci su.
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao a tutti, è passato un po' di tempo da quando ho pubblicato questo racconto. A chi ha già letto la storia potrà sembrare strano ma ho deciso di modificare l'intestazione, il genere e anche alcune cose che ho detto alla fine di ogni capitolo ( più avanti capirete perché) . A chi legge per la prima volta voglio avvertire che come primo capitolo rimane un po' monotono (e anche gli altri per certi versi rimangono un po' cupi, ma poi più avanti ci sarà da divertirsi. Se poi non doveste piacervi pazienza. Non siete obbligati a leggerla .Sono consapevole che c'è assai di meglio. Se invece la leggerete tutta e se per miracolo la troverete divertente, vi ringrazio di cuore. Non mi resta che augurarvi buona lettura :)


Prologue.


Gli Only Night One erano da poco sbarcati a Vancouver.
Il gruppo indie rock, di origine inglese, era giunto nella capitale canadese dopo un estenuante tour in Europa e in America.
Anche quella sera era previsto un concerto e il giorno dopo sarebbero partiti per l'Australia e la Nuova Zelanda, laggiù avrebbero concluso il loro tour per poi tornare a Londra.
Ne sarebbe seguito un lungo periodo di riposo e poi, ed era la speranza dei fan, l'incisione di un nuovo album.
Le cose però non andarono cosi.
Ancora non lo sapevano ma quello che avrebbero suonato da lì a poche ore, sarebbe stato il loro ultimo concerto.
Il giorno dopo, infatti, i notiziari di tutto il mondo avrebbero riportato la notizia della morte del loro leader, George Craig.
Milioni di fan si sarebbero radunati per le strade a piangere e pregare per la scomparsa del loro beniamino.
Povero ragazzo, era cosi giovane”. Avrebbero detto alcuni.
Era uno sbandato, un drogato”. Avrebbero replicato gli altri.
È stato colpito dalla maledizione della J27 ”. Avrebbero dichiarato, invece, i più colti.
La maledizione della J -27, ovvero il destino crudele che aveva accomunato molte rock star nel succedersi delle generazioni. Nella fattispecie quelli di cui l'iniziale del nome o del cognome iniziava per J.
Jim Morrison, Jimi Hendrix, Briane Jones e Janis Joplin: deceduti negli anni settanta.
Seguiti da Kurt Cobain (senza la “J” ma pur sempre una star maledetta) nel 1993 e da Amy Jane Whinehouse nel 2011. Tutti morti a ventisette anni e in circostanze misteriose.
Overdose o suicidio: omicidio per i complottisti. Ma come per quei casi, anche la vera causa della morte di George rimase un mistero.
Solo gli altri componenti della band conobbero la verità ma si guardarono bene dal rivelarla: dal loro silenzio dipendeva la loro stessa vita.
Decisero di comune accordo di sciogliere il gruppo e passare il resto della loro esistenza nell'oblio.
Quella sera, però, erano ancora all'oscuro di ciò che stava per accadere.
Sorridenti e spensierati, come sempre, salirono sul palco e si esibirono davanti ad una folla urlante.

Chapter one: tainted love.
Il concerto fu un vero successo. A fine serata i ragazzi decisero di festeggiare al loro solito modo: non era certo la prima volta che venivano a Vancouver, sapevano perciò come e dove muoversi. I locali giusti da frequentare e le ragazze sopratutto.
Ce n'era una, in particolare, che a George piaceva molto ed era stato più volte con lei.
Non si poteva dire fosse una storia d'amore, almeno da parte sua.
In verità George aveva più di un'amante, il che non era affatto insolito per uno della sua bellezza e del suo mestiere. Anzi. Sarebbe parso strano il contrario.
Era come un marinaio: ad ogni porto, una donzella ad aspettarlo ma George non era proprio come tutti gli altri e neppure la sua band.
A renderli diversi c'era qualcos'altro. Un segreto che li accomunava e li univa da molto tempo, qualcosa di veramente orribile: spaventoso. Se solo la gente lo avesse immaginato, se i fan avessero sospettato minimamente chi fossero davvero, anzi... cosa fossero.
Un sorriso illuminò il volto del cantante.
Giunto nella zona residenziale non ci mise molto a trovare la casa dai mattoncini rossi.
Se la ricordava bene: chissà quante volte era entrato da quella finestra. Aveva perso il conto. Quante volte aveva sorriso alla proprietaria: Sarah, la ragazza dai capelli d'oro e gli occhi azzurri. L'aveva conosciuta la prima volta che era giunto a Vancouver in quanto era la fortunata (“poteva ben dirlo!”, ragionava tra sé George) vincitrice di un concorso che le aveva permesso di stare dietro le quinte e incontrare la band.
Carina e timida, con una dolcezza ed un'educazione che non sembravano appartenere alla sua generazione. Una bella testolina piena di fantasticherie romantiche come i suoi stessi occhi sembravano mostrare a giudicare dalle interpretazioni smielate dei testi del loro repertorio. Non era insolito stesse spesso tra le nuvole e se ne intuiva anche una purezza ed ingenuità che avevano letteralmente risvegliato il suo lato predatore.
George ne era rimasto affascinato. Dopo quella prima esibizione (durante la quale non solo le aveva sorriso tutto il tempo ma le aveva anche dedicato una canzone) si era offerto di accompagnarla personalmente a casa.
Si era servito del suo charme per corteggiarla e farla sua.
La ragazza, come prevedibile, di indole propensa alla fiducia e affetta da una sorta di “sindrome alla Cenerentola”, c'era cascata. Da quel momento era divenuta una schiava inconsapevole. Lui le aveva fatto mille promesse, la più ricorrente era che un giorno l'avrebbe sposata, fatta diventare ricca e trasformato la sua vita in un paradiso terrestre.
E, soprattutto, lo aveva aggiunto con una perfetta messa in scena più lacrimevole, sarebbe divenuta la Musa di ogni sua canzone e attraverso esse avrebbe espresso il suo amore immortale. La ragazza gli aveva creduto: profondamente innamorata di lui, lo aveva atteso per un anno, aveva scritto mille lettere – missive che George non si era disturbato neppure ad aprire perché troppo occupato con la band, o a corteggiare altre donne in altri lidi.
Col passare del tempo Sarah aveva iniziato a capire: l'atmosfera surreale e romantica che aveva caratterizzato, almeno nelle sue pagine di diario, i loro incontri aveva lasciato spazio ad una realtà bieca e crudele.
Arrabbiata, delusa e umiliata non gli aveva più scritto e neppure si era più recata ai suoi concerti. La sola menzione o l'udire di uno dei brani della band, le suscitava un misto di repulsione e di biasimo tali da disfarsi di tutto ciò che riguardava la band. Il peso dei ricordi, infatti, era già abbastanza opprimente senza conservarne oggetti materiali.
Ma lui era andato a cercarla fino a casa e allora tutti i suoi propositi erano caduti.
Invece di lasciarlo, si era donata di nuovo completamente a lui.
E la storia era ricominciata.
Trascorso un altro anno, gli eventi si erano ripetuti in egual modo.
Ne era poi passato un altro e un altro ancora.
Sempre con lo stesso copione: lei ad aspettarlo, lui ad ignorarla, lei a non accoglierlo al suo ritorno, lui ad andare a cercarla a casa: per poterla usare ancora, ancora e ancora.
Era sua e lo sarebbe stata per sempre – volente o non volente.
Non si poteva dire che, dopotutto, non avesse lui stesso un animo sentimentale. Molto, molto in fondo, si intende.
Saltò sul balcone di soppiatto ed entrò dalla finestra.
La stanza era buia e la giovane Sarah dormiva sul suo letto: bionda e delicata come un fiore. Non era cambiata affatto dall'ultima volta.
Senti un fremito d'eccitazione avvolgerne i sensi: una sete dannata che ne scurì le pupille.
Si lambì le labbra. “Sarah, mio dolce tesoro”. Sussurrò vicino al suo orecchio dopo essersi chinato. Ella non rispose ma rimase completamente immobile.
Solo in quel momento, George si avvide che c'era qualcosa di strano: sembrava che nemmeno respirasse. Sollevò fulmineo la coperta e quello che scoprì lo lasciò di sasso: al posto della fanciulla vi era un manichino con la parrucca. “What the hell?”. Imprecò tra sé e sé pieno di diapppunto.
Si guardò intorno e non vide nessuno.
Stava per andarsene ma fu lesto a cambiare idea: l'eccitazione che si era innescata non si sarebbe certo smaltita così bruscamente.
Magari si è nascosta. Pensò tra sé.
Scommetto che vuole giocare.
Sorrise di nuovo a quella prospettiva e
cominciò a cercarla nella stanza.
“È tanto tempo che non gioco a nascondino”.
Disse in tono pacato, un'intonazione maliziosa e
suadente mentre schioccava la lingua sul palato,
sicuro che lo stesse ascoltando .“Avevo dimenticato quanto ci si potesse divertire”. Aggiunse quasi distrattamente.
Ed era vero, non si divertiva così da molto: la caccia rendeva la situazione ancora più esaltante.

Continuò a cercarla e chiamarla ma non la trovò.
Pensando che si fosse nascosta da qualche altra parte della casa, uscì dalla stanza.
C'erano altre due camere: una era di Lycia, la sorella di Sarah, l'altra apparteneva ad un'amica di cui non si era disturbato a ricordare il nome.
Quella sera, però, entrambe erano deserte: le ragazze erano uscite.
Sopra i letti ancora intatti, vi erano sparsi, diversi abiti da sera.
Devono essere andate a qualche una festa, o in un locale. Considerò il vampiro.
E non da molto. Intuì sentendo che l'aria ancora impregnata del profumo usato dalle giovani.

Sarah però doveva essere in casa: Il suo letto non era intatto. Inoltre non c'erano vestiti sparsi in giro, né il suo profumo.
La presenza del manichino poi, era un chiaro segnale che lo stesse attendendo.
“Quindi è sola”. Mormorò trionfante. Ed era in vena di giochetti per stuzzicarlo ulteriormente. Bene meglio così, nessuno ci disturberà.

Si recò nel salone e finalmente la trovò: se ne stava comodamente seduta in poltrona a guardare un film.
Sbatté le palpebre a più riprese.
Mm ! Allora non voleva giocare a nascondino. Pensò in un anelito di delusione che, tuttavia, non represse del tutto quel familiare languorino.
Scrollò le spalle. Beh, non ha importanza.

“Sarah”. La chiamò.
 
La giovane si girò verso di lui.
 
Ecco un'altra dimostrazione del fatto che fosse atteso:
 
non era trasalita all'udire la voce esterna e non
 
era apparsa neppure sorpresa.
 
“Tesoro”. La vezzeggiò con un sorriso.
Quelli che lei definiva “sbarazzini” e “birbanti” e che solitamente la facevano desistere
senza perdere troppo tempo.
Lei non ricambiò: per tutta risposta, si voltò di nuovo verso la tv.
Lui la chiamò ancora ma la giovane si ostinò a ignorarlo totalmente. Quasi a mo' di sfida, e lo vide dal gesto deciso della mano, puntò il telecomando all'apparecchio per aumentare il volume dell'audio.
Dapprima sorpreso, George finì presto con l'irritarsi. Se non si trattava di un giochetto psicologico e complice, non avrebbe tollerato quel suo lasciarsi desiderare in un impeto di femminile orgoglio.
Emise un cupo ringhio.
Stai calmo, stai calmo. Si ripeté tra sé.
Evidentemente è più in collera del solito. Considerò dal suo atteggiamento.
Ha solo bisogno di essere persuasa: so io che cosa ci vuole in questi casi.
Sorrise e infilò la mano in tasca: ne trasse un cofanetto di velluto blu scuro.
Si avvicinò e glielo porse. La ragazza non l'afferrò: rimase immobile, senza tradire la benché minima emozione. Completamente indifferente. Lo sguardo ancora ipnotizzato dalle sequenze del film. Anche quando George l'aprì, mostrandole il prezioso anello con diamante al suo interno, non reagì in alcun modo: sembrava totalmente di ghiaccio.
Quanta pazienza ci vuole con queste sgualdrinelle. Si disse George mentre estraeva l'anello e glielo porgeva. Le avrebbe fatto una finta richiesta di matrimonio, solo per tenerla buona.

Vero che se avesse voluto, avrebbe potuto prenderla all'istante.
Tuttavia non aveva bisogno di ipotizzarla.
Con il suo fascino, era stato in grado di soggiogarla tutte le volte.

“Lo so che sei arrabbiata piccola – esordì con voce dolce e sguardo contrito – ti prometto che, d'ora in poi, sarà tutto diverso”.
Sorrise di nuovo ma lei non ricambiò neanche stavolta.
Una statua di marmo.
“È vero – insistette George – ti ho fatto tante promesse che non ho mantenuto, dato più di un motivo per dubitare di me, però credimi ho dovuto farlo”. Dopotutto, si complimentò tra sé, se era un eccezionale cantante, avrebbe potuto persino pensare di darsi alla recitazione.
Le afferrò le mani e la guardò simulando l'aria più pentita e dispiaciuta che avesse mai usato. “Lo sai come vanno queste cose, no?”. Domandò cercando di far assumere alla sua voce un tono di ovvietà e di logica deduzione. Neanche avesse avuto a che fare con una bimba capricciosa o una cerebrolesa.
Ma bastava premere abbastanza perché comprendesse che lui stava agendo nel suo interesse e che i suoi erano soltanto capricci e bronci da prima donna.
Farla sentire in colpa sarebbe stato l'affondo finale per manipolarla. Come sempre.
“Il mondo dello star system è duro – continuò con finta disapprovazione – essere famosi non è facile e se hai una storia importante, fanno di tutto per rovinartela”.
Le diede un buffetto sulla guancia.
“Ti prego piccola, te l'ho spiegato tante volte”.
Lei scosse la testa. Almeno aveva suscitato una reazione, finalmente. Aveva forse ingoiato del valium? Sperò di no per il proprio interesse.
“Oh non fare cosi, ti prego: io ti amo Sarah.” A quelle parole la giovane ebbe un sussulto. Durò solo un istante ma a George bastò. Bene ci siamo: ce l'ho in pugno. Pensò tronfio.
Le scuse non servono ma con la palla dell'amore riuscirò a riconquistarla.
Trattenne un ghigno e riprese la sua recita.
“Ti amo – ripete più volte, fingendo di commuoversi– vuoi sposarmi? Ti prego, sposami”.
La implorò mentre le infilava l'anello al dito, senza neanche attendere risposta.
Dopodiché le afferrò ancora una volta le mani e prese a baciargliele con fervore.

Chi avesse assistito alla cena dall'esterno sicuramente si sarebbe commosso tanta era la passione e la dolcezza sul suo volto: sembrava disperatamente innamorato.
Chi invece lo conosceva bene gli avrebbe fatto i complimenti per la sua interpretazione. Se fosse stato un attore avrebbe sicuramente vinto un Oscar.
D'altronde non c'era da stupirsi. Aveva usato questo copione molte volte e con tante altre ragazze fino a esporre quelle battute in modo del tutto naturale.
Giocava con i loro sentimenti fino a farsi quasi odiare per poi riconquistarle con un gesto plateale. Il dono di un anello, talvolta, nei casi appena più difficili:un simbolo d'amore per tenerle buone e potersi divertire con loro tutte le volte che voleva.

Perché a differenza dei suoi compagni, George non amava accontentarsi di prostitute e donne occasionali: a lui piacevano le ragazze per bene.
Si divertiva a tenerle sotto scacco e usarle a suo piacimento: amava essere al centro dei loro pensieri e soprattutto dei loro cuori.
La libido che gli scatenava quella consapevolezza era tale da riuscire a tenere sotto controllo i propri appetiti per poi letteralmente avventarsi su di loro con foga quasi animalesca.
Non permetteva loro di avere altre storie: erano sue e soltanto sue, anche dopo essersi stancato di loro. Sapeva che anche se le avrebbe lasciate al loro destino, quelle non solo non l'avrebbero mai dimenticato ma non si sarebbero più fidate di nessuno. Sarebbe rimaste sole con il suo ricordo e il rimpianto per tutta la vita.
Ed era quello che lui voleva, quello che aveva sempre ottenuto da oltre trecentocinquanta anni.

Rimase perciò assai stupito quando Sarah lo rifiutò.
Un no secco. Deciso.
A nulla valsero le suppliche, i pianti e le promesse.
Era quasi tentato a portarla con sé. A sposarla davvero.
L'avrebbe scaricata in seguito, si disse, lodandosi per come dimostrasse pazienza malgrado la “stronzetta” non meritasse altro che essere usata e lasciata nella sua patetica realtà fiabesca.
Le mostrò due biglietti aerei: erano dei sui compagni, in realtà, ma le fece credere che li avesse presi per lei. Era un piano perfetto anche se dell'ultimo minuto ma se lo scorrere dei secoli lo aveva aiutato a rendere le proprie prestazioni più naturali, era necessario talvolta saper improvvisare e sfruttare tutte le proprie risorse.
Sarah però fu irremovibile. A quella consapevolezza George montò su tutte le furie.
I suoi occhi divennero rosso cremisi. Sfoderò i canini ed emise un cupo ringhio.
“Come osi rifiutarmi, sgualdrina”. L'apostrofò minaccioso.
“Nessuna donna ha osato respingermi: nemmeno la più altolocata, MAI!”. Dichiarò stizzito, pronunciando l'ultima parola a voce alta.
“C'è sempre una prima volta”. Replicò lei incurante del rischio, lo sguardo che, per la prima volta, gli apparve animato. Come se fino a quel momento si fosse concentrata su qualche pensiero che lo aveva reso vitreo.
Adesso appariva presente a se stessa e più che mai determinata.
Sapeva che era un vampiro, tuttavia non sembrava spaventata.
George strinse così forte i pugni da perforarsi a sangue i palmi .

Guardò la ragazza con disprezzo: come si permetteva quell'essere insignificante di respingere un creatura affascinante come lui?
Quella situazione era davvero assurda e inaccettabile: gli riportò alla memoria un'altra ragazza. Lui l'aveva amata: amata davvero, lei invece lo aveva soltanto illuso. Ma questo era avvenuto prima della sua trasformazione, quand'era solo un ingenuo rampollo: l'erede di un casato in declino, indegno perciò di sposare una contessina aristocratica.
Ragion per cui, la suddetta aveva preferito maritarsi con un cugino: più bello e più ricco di lui. Gli aveva spezzato il cuore portandolo alla dannazione e al disprezzo per le donne divenute soltanto oggetti da cui trarre ciò per cui erano nate. Nient'altro.

Dopo quella delusione George aveva giurato a se stesso che mai più avrebbe amato.
Né si sarebbe maritato.
Lasciò la sua casa e si offrì volontario per servire il re durante una spedizione in terra nemica: si era augurato che la morte lo prendesse in battaglia.
Partito per la guerra, si era ritrovato nel pieno del combattimento e lì, nel giro di poco tempo, il suo desiderio si era quasi avverato.
Colpito da una baionetta, era stato ad un passo dalla morte ma era sorprendentemente sopravvissuto. Qualcuno lo aveva salvato ma non solo: gli aveva dato la vita eterna trasformandolo in vampiro. Da allora aveva usato i suoi poteri per vendicarsi sulle donne: aveva orchestrato un gioco perverso che avrebbe portato avanti nei secoli.
Le aveva soggiogate, fatto in modo che gli donassero il loro sangue (quel tanto che bastava a dissetarsi e conservarle in vita) e la loro giovinezza.
Aveva finto di amarle, rubato loro gli anni migliori e la gioia di vivere
Si era divertito a vederle struggersi per lui e perire in vecchiaia con la consapevolezza di essere state solo usate, mentre lui sarebbe rimasto giovane in eterno.
Un machiavellico e perverso Dorian Gray ma senza uno stupito quadro che l'avrebbe potuto distruggere.
Invincibile.
Infallibile.
Immortale.

Almeno fino a quel momento: l'istante in cui quella sciocca ragazzina canadese lo aveva rifiutato – resistito non solo al fascino ma anche ai suoi poteri ipnotici.
Com'era possibile? Come mai non lo temeva?
Continuò a guardarla con disprezzo: lei ricambiò con tutto il sentimento.
“Va bene, te la sei voluta”. Le ringhiò contro con voce sorprendentemente sgradevole, in assoluto contrasto con quella usata fino a quel momento.
“Che cos'hai intenzione di fare ?”.Domandò Sarah, che a quel cambio di tono, sbarrò gli occhi e deglutì, era impallidita e riusciva a stento a nascondere il panico. Ciò lo fece sorridere.
“Ucciderti”. Rispose sprezzante, uno scrollo di spalle.
“COSA?!”. Non voleva credere alle sue orecchie.
“Hai capito bene”. Sbuffò spazientito.
“N-Non parlerai sul serio”. Balbettò incredula. Si attirò le ginocchia al petto e le strinse a sé, quasi a proteggersi nel farsi piccola sul divano.
Sembrava sinceramente incredula. Se era ben consapevole che il rifiuto lo avrebbe fatto arrabbiare, evidentemente non credeva sarebbe arrivato fino in fondo.
“Invece si”. Sbottò George con decisione. Dopodiché si chinò su di lei e l'afferrò per la gola. La sollevo senza sforzo. “Mi spiace, non volevo arrivare a tanto ma non mi hai dato scelta”. Disse dopo averla sollevata e attirata a sé. Con la mano libera le sfiorò il viso, la guardò negli occhi e sorrise soddisfatto.
La sfrontatezza ostentata poco prima dalla giovane era sparita. Sul suo volto ora si leggeva solo il terrore. E non a torto: il vampiro in quel momento faceva veramente paura.
Non era come le altre volte che si era trasformato per berle il sangue.
Gli occhi cremisi e i canini affilati erano ben poca cosa a confronto di come le si presentava in quel momento. L'aspetto da ragazzo innocente era sparito, aveva lasciato il posto a quello di un mostro orribile: la pelle candida era divenuta quasi blu per via delle vene che si erano gonfiate sulla fronte e negli avambracci, i capelli che prima gli ricadeva sulla fronte in candidi boccoli erano ora dritti sulla fronte e sembravano emanare energia statica ma la cosa più terribile era l'espressione – più feroce di qualunque belva.
Negli occhi non c'era traccia di alcuna pietà: era determinato a ucciderla.
“Se non posso averti io, non ti avrà nessun altro”. Sussurrò sul suo collo dopo averglielo baciato: l'ultimo gesto di dolcezza prima di toglierle la vita.
   
 
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