Lui lo ha sempre saputo, Eloise.

L'espressione della ragazzina umana, di Eloise, fu come un pugno per me, ma il mio viso, tanto abituato alla malinconia e alla sofferenza, non le permise di notare l'ombra che mi passò sul volto.
Mi lasciai andare ad una risata amara, ammirando come sempre le ombre che richiamate dalla mia voce si avvicinarono dolcemente verso di me.
In quel momento, su quel tetto, non c'eravamo che io e le mie ombre, in cui mi ero rifugiato dagli sguardi degli umani, per evitare problemi.
Alzai una mano, come per carezzare il vuoto, e mi rilassai appena a seguire il lieve guizzo di una piccola ombra sulle mie dita pallide.
I miei occhi ne studiarono il contorno, ma la mia mente era altrove.
Il mio pensiero era Eloise; da quando aveva inconsciamente usato il suo potere per richiamarmi, mi legai a lei in modo... direi Fraterno.
Ma non negai mai a me stesso che il sincero affetto che cominciava a ingrandirsi sarebbe ben presto sfociato in qualcosa di più grande.
In qualcosa di molto più doloroso.
Nella mia eternità, anche un'amicizia sarebbe risultata dolorosa, obbligato come ero ad osservare lo scorrere del tempo sui volti delle persone a me circostanti, vedendole invecchiare, morire, mentre a me non era concesso simile privilegio.
Non mi era concesso in termini puramente di età, ben conscio delle mie debolezze, della mia avversione al fuoco.
Mi lasciai andare ad un sospiro, e le ombre, ancora una volta, guizzarono inquiete. Sorrisi mestamente, gli occhi brillanti di una strana e malinconica luce.
Il mio pensiero, rivolto ad Eloise, si spense lentamente, conscio che il suo cuore era indossolubilmente legato a quello di Axel Vandemberg.