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Autore: RainbowSerenity    16/05/2007    8 recensioni
Sora se n'è andato da tempo, ma Riku non riesce ad andare avanti e dimenticare. Perché...?
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Sora
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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[ BEGIN AGAIN ]

BEGIN AGAIN
by RainbowSerenity
Tradotta da CaskaLangley

 

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"Now I can't let go of this dream; I can't breathe but I feel."

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"Hey Riku, che cosa farai quando saremo in città?"

"Eh, chissà. Probabilmente bazzicherò su e giù per l’appartamento e guarderò la tv finché non troverò un lavoro decente."

"Che noia! Saremo finalmente in città! Abbiamo risparmiato per secoli solo per andarcene da quest’isola e affittarci un posto! Non dirmi che ti metterai a fare le solite vecchie robe pallose!"

"Stavo scherzando. Geez."

"Oh." un sorriso sciocco "Lo sapevo."

"Ceeeerto."

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"It reaches way down deep and tears you inside out ‘till you’re torn apart."
--



‘Do-de-do-de-do, do-de-do-de-do—’

Gli occhi color acqua si aprirono al volo al suono del cellulare. Riku sbatté gli occhi qualche volta, cercando di schiarirsi la vista. Quando si era addormentato?

‘Dooooo-de-do-do, de-do—’

Sospirò forte e raggiunse la provenienza dell’irritante squillo, affatto interessato a vedere chi lo stesse cercando.

"Pronto?"

"Ehy, sono io."

"Kairi," rispose Riku in tono piatto. Ovvio che fosse lei. Era l’unica persona che ancora si prendesse il disturbo di parlargli.

"Vuoi tirare giù il tuo grasso sedere dal divano e uscire per un film o qualcos’altro?" suggerì nel suo tipico modo.

Riku fece il fantasma di un sorriso. Lei era anche la sola persona che avesse la forza di prendersi gioco di lui, specialmente da quando…

Ritornò immediatamente alle sue elucubrazioni. Perché, quel breve sogno? Erano passati sei interi mesi.

Era abbastanza tempo da poterla fare finita, esatto?

‘Sbagliato; non se sogno di lui appisolato davanti alla televisione che sta dando Destiny Idol’

"Riku? Sei ancora lì?"

"Sì…sì. Devo essermi estraniato."

Lei ridacchiò: "Ho notato. Allora, ti va di uscire sta sera?"

Sapeva che Kairi gli stava chiedendo di uscire solamente da amici; per tirarlo giù dal divano, spingerlo nuovamente nel mondo, e aiutarlo a dimenticare tutto quell’orribile casino.

Una parte di lui voleva dire di sì –erano già passati sei mesi! Era il momento di smetterla di deprimersi, riavventurarsi nel mondo, essere socievole, vedersi con chiunque. Era il momento di farsi una vita!

D’altra parte, sei mesi non erano assolutamente niente –un battito di ciglia nell’eternità. Che diritto aveva di uscire e divertirsi dopo tutto quello che era successo? Nessuno, ecco quale. Si meritava di starsene seduto nel suo appartamento decadente a guardare la più bassa forma di ‘intrattenimento’ possibile.

"…non lo so" mormorò finalmente "E’ che non credo di…riuscirci…"

Kairi si impose con uno sbuffo irritato: "Riku, non ne uscirai mai se almeno non provi ad andare avanti con la tua vita! Lo so che ti manca, ma non ti sto chiedendo di andare a ballare sui tavoli in un bar! Ti sto solo chiedendo di vedere un film! Non devi nemmeno parlare con qualcuno, se non ti va! Ma penso che —"

Click.

Se lei glielo avesse chiesto l’indomani, avrebbe detto che la batteria si era scaricata.

Riku rimase lì, e spense senza curarsene la TV. Nonostante fosse presto e si fosse appena riposato, decise di andare a dormire. Parlare con Kairi gli aveva risucchiato troppe energie; era sempre costretto a pensare durante le loro conversazioni. Non gli piaceva più pensare, perché sapeva che tutti i suoi confusi pensieri sarebbero andati all’unica persona che stava disperatamente cercando di dimenticare.

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"To being an ‘us’ for once- instead of a ‘them’."
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"Questo posto è enorme! Quanti piani ci sono?"

"Quattro, credo. Solo il primo piano ha due negozi di scarpe, tre ristoranti, una sala giochi, un negozio di animali—"

"Riku, andiamo sulle scale mobili!"

"…"

"Che c’è?"

"Siamo nel più grande centro commerciale della città, e tu pensi ad andare sulle scale mobili?"

"Hehe. Dai, Riku! Non ce n’erano sull’isola, e non voglio nemmeno vedere un negozio di scarpe –giuro che sentirei mia madre che mi strilla dietro chiedendomi perché a un quattordicenne serva un quarantacinque!"

"Hmm…non hai tutti i torti" un ghigno "Ti sfido!"

"Ehy, non scherzare!! Riku, torna qui!"

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"I believe that dreams are sacred, take my darkest fears and play them..."
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Si svegliò alla disperata ricerca di aria, l’intero corpo fradicio di sudore. Prese qualche profondo, avaro respiro, nel tentativo di far rallentare il suo cuore galoppante.

Perché? Perché stava succedendo? Non aveva avuto un singolo sogno in tutti quei sei mesi, e adesso quelli lo colpivano all’improvviso con tutta la loro forza. E non erano nemmeno sogni, non esattamente –erano ricordi repressi con forza, che si stavano facendo strada strisciando fuori dal suo cuore, come se volessero ricordargli tutto quello che aveva perduto.

Riku non dormì di nuovo, quella notte.

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"Feels like the weight of the world...like all my screaming has gone unheard."
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C’è qualcosa di cui dare atto nell’avere genitori estremamente generosi. Anche se la famiglia di Riku non si rotolava nell’oro, erano comunque messi bene –facoltosi abbastanza da permettere a Riku di non lavorare per anni, se lo avesse voluto.

Anche se lui viveva in città e i suoi genitori stavano ancora a Destiny Islands, partecipavano alla sua vita quanto più possibile. Questo includeva pagargli l’affitto –qualcosa per cui Riku era incredibilmente grato, considerando che aveva appena l’energia per camminare di stanza in stanza nell’appartamento- e chiamare per ‘controllare’ almeno una volta a settimana, qualcosa che Riku aveva apprezzato in passato, ma che adesso gli sembrava inutile.

‘Do-de-do-de-do, do-de-do-de-do—’

Parli del diavolo…

Riku aprì il telefono, fissando il soffitto con occhi cupi. "Pronto?"

"Ciao, Riku. Come sta il mio figlio preferito?"

Lui scosse la testa, emettendo un grugnito appena udibile. Era stato nello stesso modo per mesi e non sarebbe magicamente cambiato in una settimana, o in un giorno, o con un giro a vedere film. Perché nessuno lo capiva?

"Oh, suvvia. Non si è mosso niente? Hai parlato con Kairi, ultimamente?"

"Ieri sera." Fu tutto quello che rispose. Sinceramente, se i suoi genitori non gli avessero pagato l’affitto avrebbe lasciato perdere quelle brevi e stupide conversazioni.

"Come sta?"

"Okay, credo." No, lei stava totalmente bene. Lei non viveva senza vivere; dormendo, mangiando e respirando quel tanto che bastava a restare in vita. Lei non sognava e ricordava vividamente qualcuno che a quanto pare insisteva col pugnalargli il cuore.

Strinse i denti, sentendosi come se volesse piangere, ma c’erano più lacrime nei suoi occhi –o quantomeno, non abbastanza da cominciare.

"Guarda mamma, credo che andrò a mettermi giù. Non ho dormito molto sta notte."

Lei stava ancora blaterando qualcosa di insignificante, ma prontamente si zittì: "Oh, certo, caro. Riposati; non vogliamo che ti senta male" si fermò "Ti chiamo presto."

"Sì, ok. Bye." Click, senza un’altra parola da parte sua.

Voleva fare a pezzi quello stupido telefono.

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"It's true, we're all a little insane..."
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"Ok, allora, che ne dici di due extra large con su tutto, una porzione di bocconcini di pollo, due di alette, e due litri di qualcosa da bere?"

"..."


"Che c’è?"

"Ma sei pazzo? Hai la minima idea di cosa ci verrebbe a costare?"

"Uhh…io…non lo so. Hehe."

"Un sacco, ecco quanto. Non abbiamo molto da spendere questa settimana. Ho appena depositato l’assegno per l’affitto di questo mese."

"Perché hai accettato quel lavoro assurdo, comunque? I tuoi genitori hanno detto che ci avrebbero aiutati."

"Sì, ma abbiamo risparmiato abbastanza per trasferirci qui da soli, e penso di voler continuare in questo modo. Non voglio che i miei genitori mi aiutino o che vengano coinvolti finché non avremo toccato totalmente il fondo, capisci?"

"Ok, credo di aver afferrato il tuo punto di vista. Ma tu non hai afferrato il mio."

"E quale sarebbe?"

"Se facciamo attenzione, tutto questo cibo ci durerà almeno una settimana, finché non prenderai la prossima busta paga. Sono praticamente schifato da cereali vari e sandwich col ketchup."

"Va bene, va bene. Ma niente carne sulle pizze. Credo che io proverò di nuovo quelle robe vegetariane."

"Cosa?! Perché?"

"Non so. Magari alla lunga ci farà risparmiare. La carne è cara."

"Quindi cosa, due porzioni di bocconcini e una di alette?"

"Vada per quello."

"Grazie." un ghigno "Comunque non capisco perché tu voglia smettere di mangiare carne. Hai bisogno di combustibile per quei muscoli."

"Tutti i miei muscoli stanno bene, grazie mille."

"Davveeeeero, Riku? Proprio tutti?"

"Sì, proprio tutti. Ti piacerebbe sentire quanto sono forti?"

"Cosa? Ew, Riku, pervertito! Per questo, ti tocca ordinare!"

"Vuoi solo sentirmi confondere tutta la pizzeria con la mia parlata dolce."

"Beeeeh…forse."

"Heh, heh…ho sempre pensato che infondo fossi un piccolo perverso."

"Stazzitto!"

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"Wake up in a dream, frozen fear..."
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Non stava nemmeno più sognando. O forse lo stava facendo, ma era sufficientemente pazzo da non avere più bisogno di chiudere gli occhi.

Forse erano tutti i mesi di ricordi soppressi, che si trascinavano fuori dal suo cuore, a farlo diventare matto. Non solo matto; improvvisamente e completamente pazzo. Riku non poteva trattenerlo, non sapeva cosa fare con quell’assalto furioso di sogni, ricordi, qualsiasi cosa fossero. A quel punto, la sua mente era scombinata al punto che forse, solamente forse, la sua vita non era stata altro che una specie di veglia, un sogno pieno di gioia, e i passati sei mesi non erano nient’altro che un incubo che doveva sopportare.

…un attimo dopo fece una bassa, atona risata rivolta a nessuno. In qualsiasi modo la guardasse, era un incubo dal quale non si sarebbe mai svegliato. Kairi era convinta che sarebbe potuto fuggire se fosse riuscito a distogliere la sua mente da tutto, ma questo era quello che sarebbe stato –una fuga.

La vita che non stava vivendo avrebbe continuato a reclamarlo con ogni ricordo, ogni respiro, ogni fotografia, ogni momento in cui il suo cuore batteva.

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"I don't need to touch the sky, I just want to feel that high."
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"Hey Riku, ti va di uscire di casa sta sera?"

"Dipende. Se questo coinvolge un altro locale dove gente a caso mi offre da bere, contami fuori."

"Oh, andiamo! Ami ricevere attenzioni! E se ricordo bene, quel ragazzo coi capelli rossi sembrava moooolto interessato a te…"

"Ma per favore. Stava cercando una scopata facile. Dopo che gli ho versato una birra in testa, l’ho visto girare attorno a un tizio biondo."

"E’ gelosia, quella che sento?"

"Come ho detto, scopata facile."

"Sai, sottovaluti davvero quanto a volte tu possa essere attraente, Riku."

Un sorrisino furbo. "Aw, credi che io sia carino?"

"Non ho detto questo!"

"Ma l’hai fatto intendere."

"…mettiti addosso qualcosa di decente! Ti meriti di andare giù da Jack, e ti farò fare il karaoke con lui!"

"Dici il Jack che si veste come un pirata quando è ubriaco, o il ragazzino gotico magrissimo?"

"Jack il pirata, ovviamente. E’ quello con la voce peggiore."

"Arrgh! Almeno posso scegliere la canzone?"

"Ok, ti darò quest’unico privilegio."

 

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"I want to stay in love with my sorrow...oh but God, I want to let it go."
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Adesso sarebbe stato un privilegio anche solo poter chiudere gli occhi e non vedere niente. Nessuno ricordo, nessuna immagine, solo oscurità.

Riku passò una mano tra la scompigliata chioma argentata, trovando improvvisamente difficile respirare. Si alzò e aprì la porta scorrevole per andare sul balcone.

Si appoggiò con le braccia contro la ringhiera e guardò giù, alle piccole figurine di persone che passavano frettolose. Pioveva leggermente, così alcune delle formichine – donne d’alta classe fuori per la notte, supponeva- erano protette da ombrelli scuri.

Riku si chiese quante di quelle persone fossero cadute nell’assoluta disperazione, quante avessero il cuore spezzato, o quante si fossero incasinate la vita. A volte gli sembrava che lui fosse l’unico che avesse subito una tale sconfitta, ma la parte logica della sua mente sapeva che non era così. Ma quanto a lungo una persona normale può tenere se stessa chiusa fuori dal mondo? Settimane, mesi, anni?

Il tempo è fugace...un attimo hai tutto, e quello dopo il tuo intero mondo è nero e distrutto.

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"Humming, haunted somewhere out there."
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Un tagliente colpo di tosse riempì la stanza per quella che sembrava la centesima volta, quella sera.

"Non sembri molto in forma…"

"Oh Riku, piantala di preoccuparti. Sto bene. Mi sarò preso qualcosa quando siamo usciti l’altra sera.

La prossima volta che piove, dovremo almeno avere il cappotto, hehe."

"Sì, ma continui a tossire da prima. Da quanto è?"

"Non so. Senti, sono sicuro che non sia niente. Appena trovo un attimo, mi faccio vedere da un dottore se sei così preoccupato, ok? Devo finire questo articolo per sta sera se vogliono la possibilità di pubblicarlo per domani." un altro lungo colpo di tosse lo interruppe.

Nonostante questo, Riku non riuscì a non ghignare "E’ forte che tu sia un guest reporter per il più grosso giornale in città. Sembra che lavorare al giornale della scuola a casa abbia ripagato, huh?"

"Completamente. Non riesco ancora a credere di aver incontrato il capo redattore buttandogli metà del mio bicchiere addosso alla partita di blitzball."

"Ehe, eh. Solo tu riusciresti ad ottenere un lavoro inzuppando il cavallo a qualcuno a Mountain Dew. Fra l’altro quello indossava dei pantaloni bianchi. Tutti devono aver pensato che si fosse pisciato addosso."

"Psssh, mi ha perdonato, no? Grazie al cielo, sono uno scrittore stupendo."

"Oh, per favore. Se non ricordo male, io sono quello che è finito a scusarsi per il tuo goffo culo."

"Riku!" un altro colpo di tosse.

Lui lo ignorò. "Oh, ammettilo. Vinci il premio per ‘L’essere umano più goffo del Pianeta’."

"Sì, solo attorno a te! Suppongo che tu tiri fuori il meglio di me."

"Sono bravo in questo." sorriso.

"Ti piacerebbe Ri-ku!"


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"I long to be like you, lie cold in the ground like you."
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Riku sentì il distante trillo del cellulare provenire da dentro l’appartamento. Non si prese il disturbo di entrare. Sua madre aveva già chiamato per quel giorno –o era il giorno prima?- quindi doveva essere Kairi, e non se la sentiva di rifiutare un altro dei suoi tentativi di fargli lasciare l’appartamento.

Lui non voleva andarsene, non poteva, specialmente con tutti quei ricordi che involontariamente invadevano la sua testa. Ogni piccola cosa gli faceva ricordare qualcos’altro, e questo lo stava facendo diventare pazzo. Doveva fermare tutto questo…doveva fermarlo…

Si afferrò la testa e abbassò gli occhi, senza davvero guardare qualcosa. Ogni cosa roteava, ma lui ne aveva il totale controllo. Doveva solamente decidere se imboccare o meno la discendente spirale per l’oblio. Lui voleva dimenticare, ma sapeva che il suo cuore non glielo avrebbe permesso. Non si stava solamente disperando…lo stava chiamando.

Chiamava qualcuno che non sarebbe mai arrivato.

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"Fear is only in our minds but it's taking over all the time."
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"Pronto, c’è il signor Nakamura?"

Riku si accigliò. Per qualche ragione un sentimento contorto gli si era formato in gola quando il telefono era cominciato a squillare, ed era solo accresciuto al sentire la voce di chi aveva chiamato. "Uh, un attimo" appoggiò il telefono "Yo, compagno di stanza!"

"Piantala di chiamarmi così! Ormai viviamo insieme da mesi."

Lui si limitò a sorridere. "Al telefono per te. E’ sul mobile della cucina."

"Grazie."

Riku affondò nel divano, immaginando che quella dovesse essere una conversazione privata. Per quanto provasse a rassicurare se stesso dicendosi di essere semplicemente uno sciocco, i nodi nel suo stomaco non se ne volevano andare.

Ci fu silenzio…

Silenzio…

Silenzio…

Silenzio…

"Cosa?!"

Tutto quanto crollò con quella parola.

"Perché dovrei venire nella sala delle emergenze? Sì, insomma, la tosse sta peggiorando, però--" un colpo, a riprova di questo "—ma per il resto mi sento bene. Non possiamo aspettare?"

Altro silenzio quando dall’altra parte parlarono. Riku si stava mordendo un unghia. Non gli piaceva affatto come sembrava si stessero mettendo le cose…

"Beh, sì, penso di capire. Se non c’è niente che non va, potrò tornare a casa già questa sera, vero?…bene. Ok, Riku –il ragazzo che era in sala d’aspetto con me- ed io verremo a vedere e…uh-huh. Arrivederci, per ora." Click.

"Chi era?"

"Il Dottor Kumi. Sembra che alla visita di qualche giorno fa abbia trovato qualcosa di ‘anormale’ nel mio petto, o qualcosa del genere."

"Huh?"

"Esattamente quello che penso io. Ci vediamo alla sala emergenze del Curaga Hospital tra una ventina di minuti. Vieni, dai, togliamoci il pensiero."

"Non sei preoccupato?"

"Bah, per favore. Mi sento bene. Non preoccuparti, Ri-ku!"

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"I dream in darkness, I sleep to die."
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Si sentiva talmente colpevole. Il rimorso filtrava da ogni poro, ricoprendolo, soffocandolo.

Forse aveva cominciato a smettere di vivere nell’istante in cui era stata fatta quella chiamata, e adesso lui esisteva solamente nel suo inferno personale. Devo fare ammenda per i miei peccati, alla fine. Forse in qualche modo quel male era stato contagioso, e adesso l’anomalia nel suo petto era il cuore che gli si frantumava.

Beh, non ‘frantumato’ – ‘agonizzante distruzione e irreversibile morte’ era probabilmente un termine migliore per come si sentiva.

Quello…e colpevole.

La colpa era il suo nemico peggiore.

Tutto quello che correva nella sua testa –quanto gli indesiderati ricordi non c’erano- era ‘se solo’.

Se solo lui…

Se solo…

Se solo…

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"How can you connect in an age where strangers, landlords, lovers, your own blood cells betray?"
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"Riku, aspettiamo in questa stupida stanza da venti minuti. Possiamo andare, adesso?"

"No."

"Oh, avanti! Se ci fosse stato qualcosa di davvero grave, il Dottor Kumi mi avrebbe appiccicato dei fili alla testa, non ci avrebbe fatto aspettare qui!"

"…appiccicarti fili alla testa?"

"Lo sai cosa intendo, Oh, ehy, finalmente!"

Riku si guardò alle spalle per vedere il Dottor Kumi entrare nella stanza. Sembrava turbato. Il nodo nel suo stomaco ritornò immediatamente, grosso dieci volte di più.

"Mi spiace avervi fatto aspettare." Si scusò il dottore.

"Sì, adesso posso andare a casa?"

"Signor Nakamura…" il dottore aggrottò la fronte "…mi raccomando affinché lei rimanga qui."

"Perché?"

"Si ricorda del prelievo del sangue che abbiamo fatto durante la visita, tempo fa?"

Un lungo brivido attraversò la stanza, seguito da un tremolante colpo di tosse: "Sì, ho ancora gli incubi."

Il dottore sorrise debolmente. "Quando l’ho analizzato, qualcosa è…venuto fuori. Unito al modo in cui ha cominciato a tossire, e i battiti irregolari del suo cuore, devo dirle che abbiamo a che fare con qualcosa di davvero serio."

Riku si afferrò assente lo stomaco. "Quanto…serio?"

"Se è quello che credo…" ci fu una lunga, densa pausa "…abbiamo avuto solo altri dodici casi negli ultimi vent'anni. Una particolare tossina si è fatta strada nel tuo flusso sanguigno, e uno alla volta i tuoi organi stanno cedendo nel tentativo di affrontarle. Ci sono dei modi per rallentare le tossine, ma non sappiamo come fermarle. Troverebbero comunque il modo di continuare l’avanzata nel suo corpo."

Un assordante silenzio riempì la stanza per quella che sembrò un’era. Riku si sentiva come se il suo cuore si fosse bloccato insieme alle parole. Non poteva sapere quanti secondi, minuti, anche ore, fossero passati, finché una piccola voce spaventata echeggiò nella stanza –una domanda che fece contorcere il petto di Riku in agonia:

"…morirò, è così?"

Il greve silenzio del dottore fu una risposta sufficiente.

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"Give in to love or live in fear."
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"Riku! Riku Kobayashi, APRI QUESTA PORTA!"

Gli occhi d’acqua brillarono leggermente attraverso il velo. Per un attimo, fu confuso. Quando era rientrato? In qualche modo era andato dal balcone al divano nel tempo necessario per rendersi conto che non ci aveva fatto assolutamente caso. Buffo, si chiedeva come facesse a muoversi, quando il suo cuore era fermo e i suoi arti sembravano come di piombo.
"RIKU KOBAYASHI!"Ah, già, quel casino. Aggrottò la fronte, rivolto alla porta. Nessuno si disturbava più ad andare a trovare l’eremita dal cuore spezzato, e ben che meno cercavano di buttare giù la porta. Chi diamine---?"APRI QUESTA PORTA O TI PRENDI UNA SCARPATA DOVE NON BATTE IL SOLE!"


Oh. Duh. Kairi. Chi altri si sarebbe scomodato, per lui?Con sua mite sorpresa, riuscì a costringere le gambe a raggiungere la porta e ad aprirla lentamente, e quasi cadde all’indietro quando la testolina rossa si buttò in avanti e si premette contro di lui, spingendo il viso contro il suo petto.

"Riku, brutto stupido!" la voce era carica del suo cipiglio da moglie arrabbiata "Non hai risposto al telefono per tre giorni! Avevo così paura che te ne fossi andato via da me!"

Lui sbattè solamente gli occhi, ignorando le sue lacrime che bagnavano il suo petto attraverso il tessuto. Tre giorni? Lui non ne sentiva nessuno. O forse era stata un’intera vita –davvero, non lo sapeva né gli importava, ormai.

"Sono ancora qui, no?" mormorò, allontanandola gentilmente "Sono solo rimasto…seduto, credo."

Lei passò un dito sotto uno dei suoi occhi blu in lacrime, e lui dovette guardare altrove. I suoi occhi…così simili ai suoi…

"Ero davvero preoccupata, Riku" singhiozzò ed entro nell’appartamento "Non solo per questi tre giorni, ma per questi sei mesi. Perché non puoi lasciare che passi?"

Era la domanda che gli aveva posto per mesi ed era sempre sembrata falsa e incurante al telefono, ma adesso, di persona, suonava…sincera. Ora non meritava le solite mezze risposte che le aveva sempre dato. O forse…era solamente troppo stanco per provare a combattere ancora.
Riku sprofondò nel divano. Kairi lo seguì velocemente, e per qualche lungo momento rimasero seduti in silenzio, senza muoversi, finché lei non posò una mano sulla sua in segno di conforto. Improvvisamente lui si rese conto che quel semplice tocco era il primo contatto umano che aveva avuto in sei mesi.

"Mi manca più di quanto avrei mai pensato" sussurrò finalmente.
"Anche a me" rispose lei, stringendo gentilmente la sua mano "Ma Riku, era anche uno dei miei migliori amici, eppure sono andata avanti. Perché tu non ci riesci?"Il suo stomaco aggrovigliato di bile. Sapeva che avrebbe dovuto aspettarselo, ma in qualche modo, era comunque difficile.

E poi, stava succedendo ancora?

Guardò da un’altra parte, le ciocche argentee sfregavano contro le sue spalle. Non poteva fargli questo. Non adesso, non senza nessun avvertimento. La sua testa roteava, girando attorno ancora e ancora agli stessi stupidi indesiderati ricordi.

"Io…"

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"And in the end I guess I had to fall."
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"Ti ho portato la tua posta." Riku aveva lanciato un po’ di buste e riviste sul letto.

"Hehe, grazie. Continuo a dire di voler disdire gli abbonamenti, ma mi aiutano a non impazzire quando tu non sei qui. Mi ricordano la vita di fuori, dove ci sono altri colori oltre al bianco e al grigio."

"La tua coperta è verde."

"Psssh, quella non conta. Essendo dello stesso colore di questo stupido camice di carta, si mescolano insieme. Hey, credi che se mi sedessi in una stanza dipinta dello stesso verde, con indosso questo, avvolgendomi nella coperta, sembrerei una testa galleggiante?"

"Sei sicuro che ti abbiano dato il giusto gruppo sanguigno?" Riku indicò con un’alzata di sopracciglio la sacca piena di sangue vicina al letto.

"Sì, sì. Vengono a controllare ogni venti minuti in punto. A proposito, tre, due, uno…"

"Salve ragazzi" entrò nella stanza un’infermiera giovane e dall’aspetto famigliare, anche se Riku non era sicuro di quale fosse il suo nome.

"Deve controllare la mia scorta?"

"Ha indovinato, signor Nakamura."

"Ho avuto solo fortuna. Comincio a pensare che qui in giro siate tutti vampiri. Altrimenti perché mi prendereste così tanto sangue?"

L’infermiera sorrise gentilmente: "Temo che abbia scoperto il nostro segreto" il suo fiocco rosa saltellava, seguendone i movimenti mentre eseguiva i controlli di routine. C’erano così tante macchine in funzione, tutte che segnalavano valori diversi, ed era eccezionale che lei riuscisse a fare tutto così velocemente.

Alla fine, erano passati due mesi. Due dei più lunghi, più agonizzanti mesi della vita di Riku –fino a quel momento. Faceva davvero del suo meglio per apparire normale, per avere un sorriso sul viso quando era all’ospedale (che era praticamente un lavoro ventiquattro/sette, a quel punto), ma stava davvero diventando molto difficile. Poteva soltanto immaginare come si sentisse Sora. Continuava a peggiorare giorno dopo giorno, e stava diventando sempre più difficile per lui nasconderlo. Il punzecchiarsi con l’infermiera era solo una distrazione; qualsiasi cosa pur di distogliere l’attenzione dalla sua agonia.

Il cuore di Riku era in pezzi. Aveva una terribile paura che un giorno sarebbe arrivato in ospedale solo per sapere che il suo miglior amico era morto.

"Riku?"

Sobbalzò, al suono del suo nome. L’infermiera era sparita ed erano di nuovo soli, con una manciata di macchine rumorose. "Sì?"

Non ottenne nessuna risposta, e un colpo di tosse riempì il silenzio. Finalmente, dopo una profonda boccata dalla maschera dell’ossigeno, il ragazzo parlò. "C’è qualcosa di cui ti devo parlare."

Il cuore di Riku accelerò. Lo stesso fecero i rumori delle macchine. "Cosa?"

"Io…ho parlato con il dottor Kumi, ieri."

"Come sta andando?"

"Non te l’ho detto perché non volevo farti diventare pazzo, ma è meglio che ora tu lo sappia…" un lungo, forte sospiro raggiunse l’orecchio di Riku, e quei grandi occhi blu guardarono nella sua anima. "Sembra che i miei organi stiano cominciando a cedere."

"…cosa?"

"La tossina mi è arrivata ai…reni, credo. Non ricordo." Era così tipico di lui, non ricordare nemmeno la prima parte del suo corpo che stava cominciando a morire. "Ma il dottor Kumi ha stimato che forse mi rimane un mese."

"Un mese?"

Il ragazzo non rispose subito; invece continuava a fissare Riku. L’intero mondo si era fermato, un po’ come quando avevano ricevuto la notizia, ma adesso c’era qualcosa di innegabilmente più amaro. Entrambi presero un profondo respiro.

"Wow…" un mese?! Aveva un mese per prepararsi ad una vita da solo? Un mese non bastava!

"Lo so, è per questo che…" un tremante respiro lo interruppe. "Riku, ho bisogno che tu faccia qualcosa per me."

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"How do you live the past behind when it keeps finding ways to get to your heart?"
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"Mi sono sempre chiesta perché tra tutti dovesse essere proprio lui" sussurrò Kairi. Stava ancora tenendola mano di Riku. "Era così solare. Mi regalava sempre un sorriso, in qualsiasi circostanza." Le lacrime stavano attraversando liberamente le sue guance, e Riku poteva solo guardare. Perché non riusciva a piangere? Perché non poteva versare nemmeno una singola lacrima?

Sapeva il perché. "Sì, ghignava sempre come un idiota", mormorò finalmente. "Anche nei giorni in cui soffriva un sacco, si metteva a sorridere e scherzare con le infermiere come se fosse dovuto uscire il giorno dopo."

Kairi sorrise leggermente. "Lui ti amava davvero, lo sai."

"Lo so."

"Intendo, ti amava davvero." Una risata senza suono "E’ per questo che non siamo mai usciti insieme. Un giorno, quando sono andata a trovarlo, mi ha detto che aveva in programma di dirtelo la sera che ha ricevuto la chiamata. Voi ragazzi dovevate andare da qualche parte, quella sera?"

"Veramente sì, ora che ci penso." La sua voce era roca, secca, e gli fece presente che non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva bevuto un bicchiere d’acqua. Un bicchiere di qualsiasi cosa, veramente. "Aveva risparmiato una vita per portarmi in un ristorante italiano in centro. Dovevamo andarci quella sera."

"Quello sarebbe stato il vostro primo appuntamento." Kairi era pur sempre Kairi "Anche tu lo amavi, Riku?"

Lui si fermò. "Io…non lo so."

"Io credo di sì."

"Non credo di meritare –di aver mai meritato- di amarlo. Oh, Dio." lo stomaco si piegò in modo fastidioso, e tolse la sua mano dalla stretta della rossa per seppellire il viso nei palmi.

"Riku, lui può non esserci più, ma non devi continuare a—"

"Non è così semplice," gemette, la risposta era appena udibile dal viso nascosto "C’è qualcos’altro…"

"Qualcos’altro?"

"…che cambia completamente le cose…"

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"I'm losing my mind and you just stand there and stare as my world divides."
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"Cosa?" sussurrò Riku.

"Per favore…io non voglio…non posso…"

"Ma come la metti con…con…tutto?"

"Riku, anche se trovassero un altro modo per rallentare le tossine, starei semplicemente sdraiato qui come un vegetale. Non voglio che questo succeda. Lo so quanto ti ferisce vedermi così, e non provare nemmeno a negarlo. Io…io non voglio che tu soffra per causa mia."

"Chi se ne frega di me?! Tu se quello che sta soffrendo!" Riku si fermò, e all’improvviso realizzò "Oh mio Dio…"

"Heh, sei sempre stato molto percettivo." Un mezzo sorriso illuminò per un attimo la stanza "Dev’essere per questo che ti voglio così bene."

Riku strinse i pugni e ingoiò un nodo in gola. Tutto questo era troppo…troppo da gestire, per chiunque. Lui non poteva…non voleva…

"Riku."

Silenzio.

"Tu sei l’unico che voglio mi lasci andare."

"Non posso. Questo è…come…"

"Mi stai solo dando quello che ti chiedo. Niente di più, niente di meno."

"Perché ti stai arrendendo così in fretta?"

Lui sospirò e continuò a tenere il suo sguardo su Riku "Forse avrò una mentalità da bambino, ma riesco a rendermi conto di quando è il mio momento. Lo so che sta diventando sempre più difficile per te nascondere quanto sei spaventato."

"Puoi farmene una colpa?"

"No, ed è per questo che voglio che tu lo faccia. Non mi sto arrendendo—tu pensa che me ne stia andando lontano per un po’. Dopotutto, ti incontrerò comunque nella prossima vita, giusto?"

"…sì."

D’impulso, Riku avanzò velocemente e prese quel piccolo, fragile corpo tra le sue braccia, sapendo che per quando malati fossero i suoi organi il cuore di quel ragazzo sarebbe rimasto per sempre forte.

Magre braccia cinsero il collo di Riku, le mani intrecciate ai suoi capelli argentati. "Questo non è davvero un addio. So che non lo è. Non in questa vita."

Riku non rispose. Rimase solamente lì, con il ragazzo tra le sue braccia, per un altro po’ di tempo. Il suo cuore era come piombo. Lui…doveva farlo. Anche se questo lo avrebbe ucciso…non poteva voltargli le spalle. Non adesso.

Raggiunse una delle macchine principali a cui lui era attaccato. Non guardò il letto. Non poteva. Era un male che non offrissero un supporto psicologico per situazioni come quella, quando ci sarebbe stato un disperato bisogno di qualsiasi tipo di supporto.

Tre, due, uno…


Era fatta.

Non si poteva tornare indietro.

Il monitor del cuore era ancora collegato. Le piccole linee verdi continuarono a saltare, facendo rumori stridenti, più veloce, più veloce, più veloce, finché—

Riku si girò, catturando un ultimo sguardo a quelle orbite blu, prima che queste si aprissero innaturalmente, per poi chiudersi lentamente in un sonno eterno.

Quella linea verde smise di saltare e adesso giaceva piatta; il ronzio disturbato e il monotono beep furono gli unici rumori nella stanza, finché i frenetici passi di Riku non li bloccarono.

Che cosa aveva fatto?

Come avrebbe fatto adesso a vivere con se stesso?

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"Are you still too weak to survive your mistakes?"
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"Riku…" la voce di Kairi era smorzata.

"Mi ha chiesto di farlo. Come potevo rifiutargli qualcosa? Non l’ho mai fatto. Ho cercato di tenerlo fuori dalla mia testa, ma adesso quegli ultimi momenti sono la sola fottuta cosa a cui penso!" in un improvviso moto di rabbia lanciò il suo cellulare contro il muro con forza incredibile. Quello si ruppe in due, pezzi di fili e rumori elettronici.

Kairi rimase a bocca aperta. "Hai solo…"

"Ogni singolo giorno incolpo me stesso! E’ una mia cazzo di colpa se lui è morto! Tutto quello a cui riesco a pensare è a quanto sono stato stupido—e se avessero trovato una cura il giorno dopo? O il giorno dopo ancora? Perché non l’ho costretto a lottare?!"

"Tu conosci la risposta meglio di chiunque altro" disse lei. "Riku, quello è stato il suo ultimo modo per mostrarti che ti amava—non voleva che ti preoccupassi più per lui. Voleva che ti sfogassi, che andassi avanti—che è esattamente quello che non hai fatto! Sei rimasto ad agonizzare su qualcosa che lui ti ha chiesto di fare e stai soltanto buttando via la vita che lui ha lasciato per te!"

Con questo affondo, la rabbia di Riku lentamente si disperse. Qualcosa di indefinibile riempì un posto nel suo cuore, e quei grandi occhi blu –i suoi grandi occhi blu- si aprirono nella sua mente.

"Credo di essermi rintanato qui perché ho troppa paura che fuori lo vedrei" disse finalmente Riku, dopo un lungo silenzio "Forse non lui in senso letterale, ma il suo fantasma, da qualche parte dove non potrei raggiungerlo. So che lui me l’ha chiesto, ma non riesco comunque a non sentirmi un assassino. Avevo così tanta paura che la colpa sarebbe stata troppa, che avrei visto la sua faccia su chiunque e che sarei crollato."

"Sei già crollato." Lei tornò a sussurrare "Hai bisogno…" studiò attentamente il suo viso "Hai bisogno di dirgli addio, e di ammettere che era il suo momento di andare."

"Non credo che questo sarà abbastanza per rendermi di nuovo normale."

"No, ma è un inizio. Quando avrai detto addio, sarai in grado di ricominciare da capo."

Lui ne dubitava seriamente. Era così esausto di tutte quelle chiacchiere, di tutte quelle emozioni, che voleva soltanto dormire per le prossime settimane. Un nero, vuoto riposo senza sogni sarebbe stato perfetto.

Ma Kairi non si sarebbe arresa così facilmente. "E’ da un po’ che non visito la sua tomba. Io credo…credo di volere che tu venga con me. Ne hai bisogno più di quanto tu sappia."

"Kairi, non ho mosso un passo fuori da questo appartamento dal funerale. Non posso farcela a stare in mezzo alla gente. In qualche modo mi verrebbe in mente che loro sanno che cosa ho fatto e diventerò ancora più pazzo di quanto non lo sia già."

Lei sembrò riflettere per un attimo. "Resisti", mormorò prima di cominciare a frugare per tutto l’appartamento, per portargli poi un lungo tessuto nero. Glielo allacciò delicatamente attorno agli occhi. "La prossima persona che vedrai sarà lui", sussurrò, passando gentilmente le dita tra le sue ciocche argentee "E lui sa che non sei un assassino. Tutto quello che devi fare è dire addio."

"…spero di poterlo sopportare" fu tutto quello che disse lui di essere trascinato fuori dalla stanza –e in parte, di nuovo dentro la sua vita.

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"No matter what they told you you're not alone...I'll be right beside you forevermore."
--


Quando la benda di fortuna fu tolta, Riku si ritrovò a guardare la lapide. Amato figlio e amico- e probabilmente vi sta guardando proprio ora!

Questo lo faceva sempre sorridere, così tristemente. Quel ragazzino aveva sempre sorriso, riso e detto stupidate a tal punto che sarebbe stato come un travestimento non mettere qualcosa di quello strano umorismo nel luogo del suo riposo.

C’era un mazzo di calendole alla base della lapide, che erano state lasciate precedentemente da Kairi. I fiori perfetti per lui; anche nella morte, voleva che le persone sorridessero e fossero allegre, come quei petali gialli. Sempre a dare, sempre quello con il cuore più grande.

Riku non sapeva quanto a lungo era rimasto lì, perso in ricordi che non erano fatti per sfilare davanti ad una tomba che invece avrebbe dovuto farlo piangere. Respirò profondamente, e poteva giurare che non era solo per il profumo dei fiori nell’aria.

"Non sono un assassino, non è vero? Avevi ragione…era solo il tuo momento."

Una brezza particolarmente forte gli scompigliò i capelli, e i suoi occhi finalmente sorrisero. Sapeva senza ombra di dubbio che nella prossima vita loro sarebbero stati di nuovo insieme, ma per il momento lui doveva finire di vivere quella –per tutti e due.

Riku prese una calendola dal mazzo di Kairi, e premette dolcemente i petali contro le labbra. Il gambo lasciò le sue dita quando il fiore venne trascinato via dal vento, insieme alle sue parole.

"Addio…Sora."

Girò i tacchi e si allontanò lentamente, quel piccolo pezzo del suo cuore si era finalmente riempito del tutto. Non guardò indietro.

Era il momento di ricominciare a vivere.

--
"I hate me for breathing without you."
--

Note dell’autrice

T_T

ANGSTAPALOOZA.

E questo ha probabilmente ucciso l’umore angst. Triste? Chissà. WAHEY.

Alcune note su questa condanna definitiva:


- La malattia di Sora è totalmente inventata. Almeno, per quello che ne so; sarebbe troppo pauroso se qualcosa del genere effettivamente esistesse o_O Ma sì, è uscita direttamente dal mio cervello perché mi deprime troppo cercare informazioni su cose simili. E non volevo usare il cancro…è tipo un soggetto troppo sensibile, per me. >>

- Sì, Riku ha staccato la spina. Quando ci pensi, sembra una frase così…brutta. Non so. Ma qualunque fosse la malattia che lui aveva, c’era un supporto artificiale, e Riku l’ha fermato. Veramente non ho idea degli aspetti tecnici dei supporti vitali…ho cercato qualcosa a riguardo prima di scrivere quella parte, ma l’unica cosa che ho trovato riguardava il CRP, e non è una gran cosa con cui confrontarmi xDDDD quindi…ok.

Ma ecco perché questa è una fanFICTION :P

- I testi che dividono ogni flashback/paragrafo/qualsiasi cosa sia sono presi da vari pezzi dell’album "The open door" degli Evanescence, e penso che tipo tre vengano da "Rent" e "No Day But Today" dal musical "RENT".

- L’ho scritta prima a mano perché per varie ragioni riesco a scrivere meglio le angst alle due del mattino e si è presa SEDICI pagine del blocco davanti e dietro. E’ venuta fuori lunga almeno 6000 parole del cavolo. Merda santa, NON HO UNA VITA. *si spara*

- Vincete dei biscotti se capite qual è la suoneria di Riku xDDD E’ una canzone che sono sicura in molti, se non TUTTI, abbiate sentito. *risata malvagia*

- Il prossimo tema è molto più felice, ve lo giuro. L’ho già scritto tutto, è betato e pronto a partire, ma è più Natalizio, quindi probabilmente lo metterò su sabato, o magari domenica se riesco a trovare un secondo libero in mezzo alle visite a questo e quello. :D :D

SARA’ BELLISSIMO, RAGAZZI. PROPRIO COME VOI.
*le sparano*

Um, ma sì. I commenti sono amati. Meep meep.


Note di traduzione
Perdonatemi, DOVEVO farlo ;___; Questa è stata praticamente la prima fic su KH che ho letto. "Tele vai a cercare", direte voi. Sì *__* …no, in realtà il genere ospedaliero è inquietantemente di moda nel fandom di Kingdom Hearts XD

Comunque, è così carina ;__; Mi dispiace solo che certe cose fossero davvero del tutto intraducibili, e che in generale il risultato sia una traduzione che a volte si inceppa un pochino. Da una parte volevo restare fedele, dall’altra per rendere bene delle cose avrei proprio dovuto riscrivere io il pezzo x_x Quindi ho fatto una via di mezzo.
C'è anche da dire che la storia non era scritta particolarmente bene, MA, non me ne frega niente, è bella T_T

Per la cronaca, conosco questa ragazza e scrive sempre un sacco di storielline divertentissime e sciocche. Poi ogni tanto se ne esce con queste cose TRISTISSIME e sconvolge le community XD Oltre ad un paio divertenti c’è una sua akuroku "seria" che mi piacerebbe tradurre, un giorno. Magari fatta "Golden Ashes" di Chiiaroscuro (l’autrice di "The music box", per la cronaca è una RikuRoku XD) ci penso.
Il link alla storia originale è questo: http://www.fanfiction.net/s/3200233/6/

Lot of love.

  
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