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Autore: yoshimoto    31/10/2012    0 recensioni
Anticonformista, testardo e bello. Dannatamente bello.
Era mite, parlava poco. Dicevano che, però, quel po’ che le sue labbra emettevano con un tono roco fosse qualcosa di intenso e fortemente intellettuale.
Sfidava chiunque nei giochi di logica, prendeva in giro chiunque utilizzando il cervello in modo eccellente. Sapeva di essere bravo e probabilmente ne andava fierissimo. L’esserne consapevole, però, gli costava tanto.
Cosimo Galantini, detto Mimmo, era la persona più affascinante che avessi mai incontrato per strada, per la scuola, nella mia vita.
Cosimo Galantini, detto Mimmo, non poteva immaginare che lo stessi guardando attentamente da un paio d’anni, così come non poteva immaginare che potessi amarlo senza avergli mai rivolto la parola.
Cosimo Galantini, detto Mimmo, non aveva alcuna intenzione di amare qualcuno, se non sé stesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Exordium







La sua sagoma alta e magrissima si scorgeva da lontano, o forse ero io che ero abituata ad osservarlo da distante incredibili pur di potermi godere qualche attimo della sua bellezza inaudita.
I capelli biondissimi, portati un po’ più corti rispetto all’anno prima, facevano capolino rendendolo quasi angelico. Gli occhiali da vista, dei Ray-Ban neri, gli coprivano i due diamanti azzurri come il cielo che immaginavo essere arrossati per il freddo e la sigaretta, l’ennesima, che stava fumando. Teneva il mozzicone tra le mani grandi e affusolate.  A volte la allontanava lentamente dischiudendo le labbra e facendone uscire una nuvoletta di fumo che per qualche attimo gli copriva il volto pallido.
Poggiato al muro davanti alla scuola sembrava la trasgressione fatta persona.
Di certo non poteva essere scambiato per un alunno modello, nonostante lo fosse.
Anticonformista, testardo e bello. Dannatamente bello.
Era solito portare i jeans stretti, quelli che mettevano ancor più in mostra le gambe esili, oppure quelli a sigaretta, rigorosamente strappati. Accompagnava questo suo abbigliamento quotidiano con una maglia di qualche cantante rock o disegni che riconoscevo come quelli di Banksy, indossandoci da sopra un giubbotto in pelle nero.
Una volta un suo amico gli urlò qualcosa riguardo le sue scarpe strappate dal lato del tallone.
Lui alzò il viso e, senza accennare un minimo di ironia, gli rispose atono.
«Sei geloso, è ovvio. Ma se vuoi posso strapparti anche i piedi.»
Quello, allora, si allontanava senza il ghigno che aveva avuto inizialmente.
Non faceva paura, aveva quel carisma del classico ragazzo misterioso. Peccato che di classico lui non avesse niente.
Frequentava gente dell’alto borgo nonostante lui fosse un ragazzo di modeste origini, era un genio nella matematica e nella filosofia e si lamentava se qualche professore gli abbassava il voto per il suo essere costantemente disattento.
Era mite, parlava poco. Dicevano che, però, quel po’ che le sue labbra emettevano con un tono roco fosse qualcosa di intenso e fortemente intellettuale.
Sfidava chiunque nei giochi di logica, prendeva in giro chiunque utilizzando il cervello in modo eccellente. Sapeva di essere bravo e probabilmente ne andava fierissimo. L’esserne consapevole, però, gli costava tanto.
A volte lo vedevo mentre una fila incredibile di ragazzi e ragazze gli chiedevano quasi implorandolo delle ripetizioni, sfinendolo. Non accettava, non l’avrebbe mai fatto: quel che sapeva faceva parte di lui.
Mi chiedevo come potesse essere, a volte, così testardo. Secondo quanto la scuola racconta su di lui, era egoista al cento per cento. Se qualcosa andava bene, lui se ne prendeva il merito; in caso contrario ne dava la colpa al primo che gli capitava sotto il naso.
Un’auto passò davanti a lui, fermandosi frettolosamente. Una Panda rossa fiammante, una come quelle della pubblicità che corrono per le strade di Roma come a sfilare elegantemente. Solo che quella di elegante aveva solo la targa, visto che il resto della vettura era praticamente sfasciata.
Mi accostai di più al palo per nascondermi meglio ed avere una migliore visuale di lui che, ora, si stava avvicinando, sempre con passo lento, allo sportello dell’auto.
Lo vidi piegarsi verso il finestrino. Le sue labbra si mossero calme; immaginai il suo sguardo, nascosto dagli occhiali, annoiato. Magari quella era sua madre e lui non voleva parlarle, magari non vedeva l’ora di tornare a casa. Di certo la donna nell’autovettura era impaziente e stava alzando la voce di qualche ottava.
Il biondo si allontanò e diede un ultimo tiro al mozzicone, buttando sfacciatamente il fumo rimanente nell’auto, in direzione della donna. Quella iniziò ad urlare infastidita. Da lontano captai le parole «sali» e «botte».
Sentii i brividi pervadere il corpo. Ma ero distante, avevo capito male sicuramente.
Entrò nell’auto sbuffando, con lo sguardo perso chissà dove. Il suo color cielo non si vedeva, ma avevo studiato talmente bene i suoi movimenti e scrutato talmente bene ogni suo millimetro che ero sicura fosse più acceso che mai, forse per la rabbia.
Era mite e parlava poco, certo. Ma tutte le persone calme hanno sempre qualcosa che li turba davvero, no?
La Panda sfrecciò davanti a me, lasciando una ventata calda.
Immaginai ancora il suo viso serio, le mascelle contratte e il suo naso all’insù mentre le narici si ingrandivano mentre respirava profondamente portando la mano sulla tempia per massaggiarsela.
Cosimo Galantini, detto Mimmo, era la persona più affascinante che avessi mai incontrato per strada, per la scuola, nella mia vita.
Cosimo Galantini, detto Mimmo, non poteva immaginare che lo stessi guardando attentamente da un paio d’anni, così come non poteva immaginare che potessi amarlo senza avergli mai rivolto la parola.
Cosimo Galantini, detto Mimmo, non aveva alcuna intenzione di amare qualcuno, se non sé stesso.

  
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