Debt
of Gratitude
Ennesima e
alquanto futile discussione con Sirius
Black e per l’ennesima volta l’argomento del
discorso era ricaduto su Remus
Lupin.
Era da
parecchio tempo che il brillante ma schivo
Severus Piton sospettava che il popolare gruppo di sciocchi Grifondoro
nascondesse qualcosa di grosso, eppure non era ancora riuscito ad
accumulare
indizi necessari per poterli smascherare.
Ma quel
pomeriggio, in uno dei Corridoi del Sesto
Piano, si era pericolosamente avvicinato alla soluzione del mistero.
“Mocciosus,
se proprio vuoi divertirti, perché domani notte non vai al
Platano Picchiatore
e schiacci quel nodo nascosto fra i rami?”
Severus
sapeva perfettamente che la maggior parte
delle frasi che uscivano dalla bocca del rampollo di Casa Black non
erano altro
che insulse fesserie, ma il fatto che fosse stato così
preciso lo fece
riflettere parecchio. Sarebbe stato impossibile, per uno come Black,
inventarsi
delle indicazioni così accurate nel giro di pochi secondi.
Dunque era
lì che Potter, Black, Minus e Lupin,
soprattutto Lupin, sgattaiolavano una volta al mese; gli mancava
solamente di
scoprire il motivo di quelle fughe notturne, ma avrebbe avuto la sua
risposta
il giorno successivo.
E
così, finalmente, a causa di un errore di Black,
che a quanto pare non riusciva a tenere a freno la lingua, avrebbe
avuto la sua
rivalsa sugli studenti che non avevano fatto altro che sottoporlo a
continui
tormenti già dal primo anno.
Molto
più in fretta di quanto si potesse
immaginare, giunse il nuovo giorno, e nella testa di Severus non
facevano altro
che ripetersi in continuazione le parole pronunciate da Black. Nulla
servì a
distrarre il Serpeverde, nemmeno la lezione di Pozioni con il vecchio
Lumacorno, materia in cui il giovane eccelleva e che lo entusiasmava la
maggior
parte delle volte, ma quella mattina no. No, era troppo impegnato a
pensare a
cosa avrebbe fatto da lì a poche ore. Il piano non era
complicato: sarebbe
dovuto uscire dal Dormitorio dopo che tutti si fossero addormentati,
avrebbe
dovuto evitare il Custode e dirigersi verso il Platano Picchiatore, una
volta
giunto lì doveva evitare di farsi ammazzare da quel
maledetto albero, cercare
quel maledetto nodo di cui parlava Black e schiacciarlo, forse con un
bastone
sarebbe stato più semplice.
Era un ottimo
mago, lui, ce l’avrebbe fatta senza
troppi intoppi.
Per non
destare sospetti in nessuno, quel
pomeriggio, concluse le lezioni, si comportò esattamente
come faceva sempre:
andò verso i Sotterranei ed entrò nella Sala
Comune e, sedendosi su una
poltrona con le gambe incrociate, si mise a studiare, ignorando i
compagni e i
loro insulsi discorsi da immaturi.
Dopo cena
tornò di corsa verso il Dormitorio di
Serpeverde e indossò il pigiama liso sopra i vestiti, e si
mise sotto le
coperte, fingendo di dormire.
Quando vide
che i suoi compagni erano già caduti
tra le braccia di Morfeo, si tolse velocemente il pigiama, prese la
bacchetta e
tenendo le scarpe in mano, uscì in punta di piedi e
silenziosamente arrivò sino
al Salone d’Ingresso.
Adesso poco
lo separava dal Platano Picchiatore,
giusto qualche metro nei bui giardini della scuola. E se Black e i suoi
stupidi
amici gli avessero giocato solamente un brutto scherzo? E se Lupin non
nascondesse nulla di inquietante? Immerso nei suoi pensieri per un
istante
pensò di abbandonare tutto e di ritornarsene a dormire, ma
testardo com’era
preferì andare avanti e concludere. Di qualunque cosa si
fosse trattata, verità
o semplice burla, lui l’avrebbe dovuto scoprire. Lui voleva assolutamente scoprirlo.
E
così, stando attento a non far troppo rumore
nell’aprire il portone che, stranamente, era aperto (i
Grifondoro erano già
passati di lì?), per la prima volta infranse una regola e
uscì di nascosto
dalla scuola. Se qualcuno l’avesse dovuto scoprire sarebbe
stata la fine.
Appena messo
fuori piede una ventata di aria gelida
gli sferzò il viso giallino e smunto, scompigliandogli i
capelli corvini. A
grandi passi il Serpeverde percorse lo spazio che lo separava da quel
dannato
albero, bagnato solamente dalla luce bianca della Luna, che quella
notte era
piena e ben visibile nel cielo nero.
Il Platano
Picchiatore era ad ormai pochi metri da
lui, si mantenne tuttavia a debita distanza finché non trovo
un bastone e così,
si mise a cercare quel nodo, stando attendo a non farsi travolgere da
un colpo
violento assestatogli dalla pianta.
Quando
finalmente riuscì ad individuarlo, con il
viso sudato per la concentrazione, gli occhi piccoli e scuri come il
fondo di
un pozzo gli si illuminarono, la bocca aperta in
un’espressione di muta
sorpresa.
L’albero
si era fermato. Completamente bloccato
dopo che aveva schiacciato il nodo. Allora Black parlava sul serio! Era
vicinissimo alla soluzione, e una sensazione di vittoria lo pervase,
facendo in
mondo che un ghigno soddisfatto gli increspasse le labbra sottili.
Troppo
euforico per rendersene conto, Severus non
si accorse subito della scura fessura che stava alle radici
dell’albero, che
ancora non aveva accennato a riprendere a menar frustate avanti e
indietro,
sferzando l’aria.
Quando la
vide, però, il volto nuovamente
illuminato, non riuscì a trattenere una debole risatina, e
incurante di ciò che
lo aspettava, si fiondò all’interno dello squarcio
alle pendici dell’albero,
acquistando un insolito coraggio.
Cadde con
molta poca eleganza sul terreno coperto
di foglie secche, picchiando il fondoschiena; si guardò
attorno, si trovava in
una specie di antro, particolarmente buio e freddo, si strinse nel
mantello e
si alzò in piedi.
Fece solo
pochi passi quando sentì un rumore. Non
era solo. Quel rumore, che aveva ricondotto ad un passo pesante, venne
accompagnato da alcuni versi che assomigliavano a latrati di un cane
molto
grosso. Ma fu quando udì chiaramente un uggiolio seguito da
un ululato che
comprese che non si trattava di un cane, ma bensì di un lupo.
Ed eccolo,
davanti a lui, un Remus Lupin non del
tutto trasformato, con il corpo quasi interamente coperto da pelo
scuro,
striato, il volto allungato e con gli occhi piccoli e gialli.
A Severus
bastarono solo pochi secondi per capire:
Lupin era una Lupo Mannaro, e assieme ai suoi tre amici usciva durante
le notti
di luna piena e si trasformava in quel passaggio segreto che dal
Platano
Picchiatore portava alla Stamberga Strillante.
Se fosse
uscito vivo da lì, probabilmente avrebbe
atterrato Lupin con uno Schiantesimo, avrebbe rivelato il terribile
segreto a
tutti, così che il Grifondoro venisse espulso e lui avrebbe
avuto la sua
rivincita.
Il Mannaro
guardò qualche istante in direzione di
Piton, e poi, ringhiando, si avventò senza il minimo preavviso sul
Serpeverde,
il quale si sentì strattonato verso l’alto.
Severus
Piton, ancora sotto shock, capì ciò che era
successo solo dopo il colloquio avuto con il Preside Silente, nel quale
aveva
giurato di non far parola a nessuno di quanto aveva visto. Che
decisione stupida!
Ma a salvarlo
dal Lupo Mannaro era stato Potter, insopportabile
quasi quanto Black, così pieno di sé da avere il
costante bisogno di pavoneggiarsi,
sempre occupato a correre dietro a Lily Evans o a giocherellare con
quel suo stupido
Boccino d’Oro.
Era lui a cui
Severus Piton doveva un debito di gratitudine.