Anime & Manga > Inazuma Eleven
Ricorda la storia  |      
Autore: Eternal_Blizzard    01/11/2012    4 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al contest “Tokidoki” indetto da Caffelatte e Bloody Alice]
A volte, la sorte ci fa regali talmente grandi che ci sembra quasi scontato dire che ci cambino la vita. Regali che risultano fallaci.
A volte, le persone che si hanno intorno compiono piccoli gesti di cui non ci si rende conto, ma che cambiano la vita più di quanto si possa immaginare.

Avrebbe dovuto capirlo bene Fudou Akio, che, in fondo, era fortunato ad avere costantemente la presenza di quel "maledetto rasta" nella sua vita.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caleb/Akio, Jude/Yuuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Eternal_Blizzard
Titolo: Money, money, money
Pairing:NoPairing
Parole:3.290
Note(se lo ritenete necessario): E' stata un parto, ma ce l'ho fatta. Sicuramente non sono riuscita a trasmettre ciò che volevo e non ne sono totalment soddisfatta poiché credevo sarebbe venuta... diversa. Ma è già tanto che sono riuscita a finirla, quindi ne sono contenta @@ Non ho molto da dire, anche perché non ho tempo D: Spero vi piaccia almeno un po' ^^"
Desclaimer:I personaggi di questa fan fiction non appartengono a me, ma agli aventi di copyright.
 
A volte, la sorte ci fa regali talmente grandi che ci sembra quasi scontato dire che ci cambino la vita.
 
Sorrideva. Fudou Akio, quel Fudou Akio, stava sorridendo. Non ghignando, non ridacchiando, ma sorridendo. Sinceramente, con entrambi gli angoli della bocca all’insù alla stessa maniera e gli zigomi sollevati. Quanta impressione che gli faceva, al ragazzo con il solito mantello che lo fissava seduto sull’altalena. Non sembrava essersi accorto della sua presenza, tant’era preso a pensare a chissà cosa lo rendesse così gioioso in quel momento, quindi il giovane gli si poté avvicinare tranquillamente senza che facesse caso a lui.
«Non sapevo fossi in grado di fare quell’espressione» gli disse spuntandogli alle spalle e facendolo sobbalzare, tanto da fargli quasi perdere l’equilibrio sulla giostrina.
«Kidou? Che vuoi?» domandò cercando di usare il suo solito tono sprezzante che però gli uscì… diverso. Più allegro anche quello.
Il rasta lo sorpassò ed andò a sedersi su un piccolo separé di metallo posto di fronte all’altalena, che impediva ai bambini di avvicinarsi troppo mentre i loro amichetti vi si trovavano e rischiando quindi di beccarsi calci dritti sul volto. Tirò su con il naso e poggiò i gomiti sulle ginocchia, tranquillo. «Niente. Solo che ti ho visto tutto… “pimpante” e mi hai fatto senso» gli sorrise, facendo spallucce. Il semi pelato storse le labbra e distolse lo sguardo, vagamente infastidito.
«Sì, beh, e se anche fosse? Capita anche a me di essere felice» sbuffò incrociando le braccia al petto. «Oppure potete esserlo solo voi?» chiese inacidito. L’altro, da sotto gli occhialetti, roteò gli occhi seccato dalla solita indisponenzadell’amico, ma lasciò correre, abituato.
«Chi l’ha mai detto. Mi fa piacere che tu sia contento, scusami» sospirò alzandosi. Era inutile, non poteva sperare di intavolare una discussione normale con Fudou. Gli diede le spalle e lo salutò con un cenno della mano facendo per andarsene, ma venne bloccato da uno schiocco di lingua del compagno.
«Tutto qui? Non mi chiedi perché lo sono?» domandò scocciato, puntando lo sguardo sull’amico, che si fermò e voltò, inarcando un sopracciglio.
«Davo per scontato che me lo dicessi tu, se avessi voluto. Non bisogna sempre chiedere per ottenere risposte» rese noto finendo di voltare il corpo oltre la testa e portandosi le mani ai fianchi. «Sentiamo, perché sei tanto contento?» chiese, ma venne rimproverato. Fudou infatti si alzò dall’altalena, scuotendo testa e dito indice mentre, schioccando ripetutamente la lingua, gli andava incontro.
«”Contento” è riduttivo. È una cosa passeggera, del momento. Io sono “felice”» corresse.
«Addirittura. Insomma?» insistette sperando che si decidesse finalmente a dire la sua, cosa che in effetti avvenne. Fudou aveva ripreso a sorridere, anche se dal momento che Kidou era presente non allo stesso modo naturale di pochi attimi prima, così si guardò intorno e poi avvicinò la testa a quella del rasta, portandosi una mano alla bocca come se non volesse farsi sentire da orecchie indiscrete.
«Ho vinto. Alla lotteria, dico» informò in un sussurro. Kidou socchiuse la bocca stupito e si allontanò di un passo, così da poterlo guardare in faccia. Un mezzo sorriso gli uscì naturale di fronte la bella notizia.
«Sul serio? E quanto?» domandò sinceramente curioso. Se avesse vinto una semplice sommetta come mille yen o giù di lì, Fudou non avrebbe fatto tanto il sostenuto, quindi doveva trattarsi di una cifra significativa.
«Un milioncino e mezzo» disse con atteggiamento superiore, come se non lo riguardasse e quindi non gli interessasse cosa che, era palese, fosse falsa. Il sorriso di Kidou si allargò, ma non aggiunse nulla.
Sapeva quanto per Fudou i soldi fossero importanti e anche se per lui quella cifra era quasi “scontata”, per Akio erano davvero una salvezza. Il ragazzo non parlava mai della sua situazione famigliare, tanto meno di quella economica, perciò non sapeva se fosse ancora in difficoltà o  meno, ma era certo che quel denaro li avrebbe aiutati molto e ciò lo rasserenava.
«Sono contento per te» gli disse solo, annuendo mentre l’altro lo guardava indifferente. Quello si schiarì la voce ed infine tirò su col naso, facendo per andarsene. «Ma quanto puoi essere maleducato?» sbuffò l’occhialuto alla cui domanda Fudou si voltò, sghignazzò e poi riprese a camminare, ignorandolo. Gli era quasi venuta voglia di ringraziare Kidou delle sue parole, ma poi se ne sarebbe pentito, quindi evitò, mentre non riusciva nemmeno a pensare ad un qualche insulto o frase cattiva da dirgli; decise quindi di andarsene senza aggiungere altro, soddisfatto. Dopo un sospiro ed un ultimo mezzo sorrisetto, anche l’altro si voltò e se ne andò, tranquillo.
 
Eccolo lì, il Fudou Akio che aveva conosciuto per primo. Sguardo pieno d’odio, denti digrignati ed un’espressione furiosa in viso. Kidou l’osservò calciare il palo dell’altalena nello stesso parco in cui si erano incontrati il giorno precedente, ma il ragazzo era totalmente diverso. Non che si aspettasse, qualora lo vedesse, sempre il sorriso sul suo volto, per carità, ma… non solo l’espressione, anche le movenze violente del suo corpo, la sua postura, il suo atteggiamento, gli ricordavano in tutto e per tutto il Fudou che aveva conosciuto per la prima volta, appartenente alla Shin Teikoku. Per un attimo vederlo così gli aveva fatto raggelare il sangue, ma non aveva tempo di fermarsi: Haruna lo stava aspettando. Distolse lo sguardo e mosse un paio di passi nella direzione in cui doveva andare, ma si rifermò e ripuntò lo sguardo sul ragazzo che non aveva smesso  di tirare calci un secondo, mettendoci in mezzo anche qualche pugno di tanto in tanto. Strinse le labbra e guardò più volte prima in direzione della casa della sorella, poi del compagno di squadra e schioccò la lingua, entrando nel parchetto.
«Si può sapere che succede?» gli domandò, andandogli incontro. Sentendo la sua voce Akio bloccò il piede a mezz’aria, voltandosi furibondo, ma riprese subito a guardare e colpire il palo di legno con forza, non rispondendo in alcun modo. «…ti fai male» commentò Yuuto, serio. Vedendo che veniva nuovamente ignorato, frappose la sua gamba tra il sostegno e l’amico, spingendolo all’indietro appena il suo piede lo toccò. «Da quant’è che lo prendi a calci?» domandò, notando l’inizio di un grande e scuro livido al di sotto dei pantaloni, subito sopra il collo della scarpa.
«Si può sapere che cazzo vuoi da me? Quel che faccio forse ti riguarda?» ringhiò Fudou, sollevando appena i piede della gamba destra. Fermandosi, aveva iniziato a sentire dolore alla gamba, ma non l’avrebbe ammesso.
«Giochi a calcio. Se vai a rovinarti le gambe così è ovvio che ti fermi, no?» disse ovvio, baccandosi un “ma vaffanculo” come risposta. Doveva essere successo qualcosa di grosso; non che gli piacesse quell’idea, ma ormai lo conosceva bene ed aveva visto in lui un cambiamento radicale da quando l’aveva incontrato a quando era entrato a far parte dell’Inazuma Japan, tempo prima. Non che fosse diventato gentile, ma aveva smesso di insultare pesantemente ed indiscriminatamente tutti, aveva iniziato a moderare il linguaggio e si era sostanzialmente calmato. Eppure in solo una frase e mezzo Akio aveva già sputato fuori due parolacce. I due si guardarono in cagnesco per qualche istante e poi Kidou ruppe nuovamente il silenzio per primo: «Dov’è finita la tua felicità di ieri?» ritentò.
«Nel cesso» decretò l’altro, lasciandosi cadere sull’altalena e massaggiandosi piano la parte che aveva iniziato a dare ancora più fastidio. Kidou attese in silenzio che fosse il castano ad iniziare il suo racconto spontaneamente, ma si rivelò una speranza vana. Si sedette sull’altalena accanto a lui e gli domandò nuovamente cosa fosse accaduto, provocandogli un sonoro sbuffo. «Ho perso i soldi. Ho perso quei fottutissimi soldi» sibilò.
«…che hai fatto? Come..?» domandò incredulo Yuuto, sgranando gli occhi.
«Ho perso i soldi, devo dirtelo una quarta volta?!» sbraitò Fudou, dandosi un pugno sulla coscia. «”Come” non lo so, ok? Erano in camera mia e puff, stamattina  non c’erano più. Contento?!» soffiò inacidito. Il ragazzo col mantello si portò una mano al mento ed aggrottò le sopracciglia, preoccupato.
«I tuoi genitori? Non è che li hanno presi loro per metterli, che so, in banca?» propose, ma l’altro scosse la testa.
«Macché, quei due manco lo sapevano. Glielo volevo dire oggi…» confessò.
«Capisco… Comunque, sai di averli persi in casa, giusto?» indagò il rasta e l’altro annuì. «D’accordo» disse dopo qualche secondo di silenzio, alzandosi. «Andiamo» gli disse, facendogli cenno col capo di alzarsi.
«Dove?» chiese l’altro, confuso.
«A casa tua, no? Ti aiuto a cercarli» informò mentre estraeva il telefonino dalla tasca, iniziando a digitare qualcosa. Fudou l’osservò, stringendo gli occhi e scosse il capo.
«Scordati di auto invitarti. Verresti solo per farti due risate alle mie spalle» rispose quello, sobbalzando appena sentì il telefonino di Kidou squillare. Quello lesse il messaggio appena arrivato e lo mostrò al compagno.
«Come vedi, ho appena rinunciato a un appuntamento con Haruna per venire ad aiutarti, quindi non si discute» impose. «E smetti di dire sciocchezze, sai che non lo farei, io» disse piccato. Akio schioccò la lingua, distogliendo lo sguardo dal telefonino e si alzò a sua volta, scocciato. Diede un pugno sul braccio a Yuuto e sbuffò.
«Muoviti» ordinò, precedendolo.
Arrivarono in fretta all’appartamento – la gamba di Fudou non aveva rallentato il passo nemmeno per un istante, visto il furore che metteva nel camminare – ed entrarono senza tanti complimenti dato che i genitori non erano in casa. Akio fece strada fino in camera sua e mostrò dove aveva riposto il denaro, per poi mettersi ad ispezionare ogni angolo della stanza, inutilmente. Si spostarono, per sicurezza, anche in altre stanze e controllarono ciascun metro quadro dell’abitazione, non trovando comunque nulla.
Kidou domandò dove fossero riposti i soldi e quando si sentì rispondere che erano in una busta, domandò questa come fosse fatta, dopodiché chiese chiedendo se il denaro era in contanti e, infine, se avesse già speso qualcosa o se il milione e mezzo fosse rimasto intatto dal giorno precedente. La risposta che arrivò fu affermativa e il ragazzo annuì, rimettendosi a cercare. Tuttavia, nonostante l’impegno, non riuscirono a trovare nulla in nessun luogo. «Niente anche qui…» sussurrò Kidou, alzando per l’ennesima volta un cuscino del divano.
«Merda. Basta, mi sono rotto di cercare» sibilò Fudou, nuovamente nervoso. «E tra poco torneranno i miei, non voglio che pensino che sono amico di gente come te quindi vedi di sparire da qui» gli disse, buttandosi sul divano appena controllato.
«Spero tu stia scherzando. Ho faticato oggi per aiutarti, sai?» affermò seccato Yuuto.
«E bravo, nessuno te l’ha chiesto però» commentò l’altro, voltandosi su un fianco.
«Sei un caso disperato. Mi sembrava utopistico pensare che tu fossi cambiato» roteò gli occhi.
In realtà però sapeva quanto realmente lo fosse. Fudou Akio era cambiato, davvero. Ma non per quello bisognava fargli passare tutto per un attimo di nervosismo. Era una brutta giornata, lo poteva anche capire, ma non aveva il diritto di trattarlo come se fosse l’ultima pezza da piedi. Non si aspettava certo di ricevere un “grazie Kidou” o una parola gentile da parte sua, ma quand’era troppo era troppo. «Devo andare. Ti saluto» concluse, uscendo dalla stanza ed infine dalla casa, senza che l’altro aggiungesse o facesse niente.
 
Vero. Si era vagamente alterato con Fudou un paio di giorni prima, ma a mente fresca aveva capito che per lui quel denaro significava davvero molto e averlo perso così, nel nulla, era probabilmente la cosa peggiore che potesse capitargli in quel momento. Hibiki tempo prima gli aveva raccontato che suo padre si era dovuto prendere carico di tutti i debiti del suo ex datore di lavoro e quindi quello aveva portato la sua famiglia molto, ma molto vicina alla rovina. Era stato uno sciocco a non pensarci subito, quella somma poteva rappresentare un’ancora di salvezza per lui e i suoi. Era stato quel pensiero a spingerlo a fare ciò che aveva fatto: il giorno prima, infatti, era tornato a casa sua quando lui non c’era e, facendo il vago con sua madre, era andato a sistemare una busta identica a quella descrittagli dall’altro con dentro la somma perduta in un posto che gli era venuto in mente non avessero controllato. Fatto ciò era subito tornato a casa e gli aveva inviato un messaggio piuttosto vago suggerendogli di controllare in quel posto che, a ripensarci, non avevano visto. Poi se l’avesse fatto per davvero non lo sapeva, visto che l’altro non si era degnato di rispondere, ma almeno era più tranquillo.
Tranquillo finché non sentì il campanello suonare ed andò ad aprire, beccandosi un pesante calcio nello stomaco che lo fece cadere sulle ginocchia. Tossì ed alzò lo sguardo, vedendo un Fudou nuovamente furioso che gli tirò in faccia la busta contente il denaro.
«Cos’è, ti facevo pena?!»sbraitò, stringendo gli occhi fino a ridurli a due fessure. Dopo un ultimo colpo di tosse Kidou si rialzò e lo guardò, tenendosi la parte lesa.
«Non capisco di che parli…» abbassò lo sguardo sulla busta. «Hai ritrovato la busta, vedo» disse facendo finta di nulla, ma l’altro tirò un pugno sulla porta, digrignando i denti.
«Non prendermi per il culo, credi che sia stupido?! Quei soldi sono tuoi!» ringhiò.
«Su che basi puoi dirlo?» chiese rassegnato il rasta, chinandosi a raccogliere la busta, riporgendogliela. «Non sono il tipo che va a dare soldi come se nulla fosse» dichiarò, ma Akio diede uno schiaffo alla mano che teneva l’oggetto, che non cadde solo per i riflessi pronti di Kidou.
«Smetti di raccontare balle» sbottò. «Mi fate schifo, voi figli di papà che pensate di fare la carità a noi “poveracci”. Beh, nessuno vuole niente da te!» soffiò, mentre l’altro scuoteva la testa.
«Ti ho già detto che-»
«Piantala!» l’interruppe il semi pelato. «Ero venuto solo a dirti questo» informò, dandogli le spalle e schioccando la lingua, prima di correre via. Il rasta aveva gridato il suo nome ed aveva teso la mano verso di lui, ma non aveva ricevuto attenzione com’era prevedibile. Sospirò, osservando la sua figura allontanarsi ma non si mosse; l’ultima cosa di cui aveva bisogno Fudou in quel momento era che gli corresse dietro e lo facesse alterare più di quanto non fosse già. Abbozzò un sorriso amaro. Lo capiva più di quel che credesse e la cosa lo inquietava abbastanza, ma allo stesso tempo gli sembrava tremendamente naturale. Chiuse la porta e tolse le banconote dalla busta. Se era vero che lo capiva così bene, come aveva fatto a pensare che si lasciasse ingannare facilmente?
Mah, forse sperava solo che li accettasse senza fare storie… ma anche quello, era impensabile.
«Che stupidi» sospirò.
 
Non pensava, ma dormire “alla buona” per strada era peggio di quel che credesse. Si tirò a sedere sulla panchina dove aveva dormicchiato quella notte e si grattò la parte senza capelli della testa, guardandosi intorno. Ultimamente andava spesso in quel parco, forse perché non passava mai nessuno, ed era stato il primo luogo a cui aveva pensato quando aveva deciso di scappare di casa, pochi giorni prima, subito dopo aver sbroccato a casa di Kidou. Si cacciò una mano in tasca e ne estrasse duecentodieci yen, che guardò torvo. Gli sarebbero bastati a fare colazione? Probabilmente per un paio di giorni, se gli andava bene. E se si fosse trovato un lavoretto? Rabbrividì all’idea, ributtando gli spicci nei pantaloni ed andando a distendersi per terra, sul prato umido della mattina vicino all’altalena dove per due volte aveva incontrato quel dannato rasta. Solo a ripensare a quello che aveva fatto gli montava una tale rabbia… ma, in fondo in fondo, era grato di quel gesto anche se non lo avrebbe mai ammesso. Inspirò profondamente e chiuse qualche istante gli occhi, per poi riaprirli quando sentì un rumore di passi dietro di lui. li sgranò quando vide Kidou in piedi oltre la sua testa, intento a guardare un punto indefinito di fronte a sé.
«Tua madre è preoccupata, sai?» disse senza guardarlo, pacato. «Lasci mai questo parco?»
«…dall’altro giorno, questa è casa mia» informò. «Se quindi vuoi lasciarmi solo…» provò, accavallando le gambe e portando entrambe le mani sullo stomaco, osservando il compagno che andava a poggiarsi con la schiena sul palo di legno che Fudou aveva preso a calci pochi giorni prima.
«A me sembra un parco pubblico ed in quanto tale sono liberissimo di starci» replicò, portandosi le mani in tasca e continuando a non guardarlo. Akio l’osservò, ma poi spostò lo sguardo sul cielo, storcendo le labbra.
«Non ero davvero arrabbiato con te. O meglio, sì, ma l’incazzatura maggiore era per quell’infame di mio padre» iniziò a parlare, aggrottando le sopracciglia. «Noi non siamo mai stati una famiglia imbottita di soldi, ma quand’ero piccolo mi ricordo che vivevamo tranquillamente, finché mio padre non s’indebitò perché costretto a prendersi colpe che non aveva. Da allora – e ti parlo di diversi anni fa – abbiamo vissuto in un modo tremendo, senza che ti dico i dettagli» tagliò corto, stringendo le labbra per un secondo, prima di riprendere. «Era per questo che ero felice di quella vincita, perché volevo fargli una sorpresa e dargli quel denaro così che i creditori ci lasciassero in pace…» confessò. «Poi ho capito che non avevo “perso” i soldi quando ho sentito litigare mio padre e mia madre. Lei sbraitava perché lui si era permesso di giocarsi i miei soldi e lui si giustificava dicendo che l’aveva fatto per moltiplicarli e che la colpa era mia che non gli avevo detto di averli vinti. Lì non ci ho visto più» sospirò. «E infine, ho trovato i tuoi soldi e mi sono incazzato anche di più. Però non ti chiederò scusa, te lo sogni» concluse. Kidou, che aveva ascoltato il tutto in silenzio, inclinò il capo poco convinto.
«Perché mi hai raccontato tutto ciò? Io non ti avevo chiesto nulla» palesò l’occhialuto.
«Mah, una volta qualcuno mi ha detto che per dare risposte non bisogna sempre aspettare le domande» buttò lì, chiudendo gli occhi. Il rasta faticò per trattenere una risata e si coprì la bocca con il pugno, sorridendo appena.
«E adesso, il denaro?» chiese.
«Perso ai cavalli».
«E bastava per ripagare tutti i debiti?»
«…Mh. Fatti gli affari tuoi».
«D’accordo… E a casa quando pensi di tornarci?»
«Mai?» fece spallucce da per terra. «Non torno a vivere sotto lo stesso tetto di quel mentecatto» sibilò.
«E allora dove pensi di andare?» roteò gli occhi Yuuto.
«Qui si sta bene. Oppure, non tanto lontano da qui abita la tua amata Haruna, no? Male che vada mi trasferisco da lei…» disse, sornione.
«Devi solo provarci!» sbottò allora Kidou, staccandosi dal palo e guardandolo in cagnesco, suscitando un sonoro sghignazzo di Akio. Si fece uscire un lamento dal petto e poi, sospirando, mosse qualche passo verso di lui, tendendogli una mano. «…forza» gli disse, ma quello non capì.
«…che vuoi?» domandò, guardando schifato la mano.
«Non condivido la tua scelta di fuggire di casa, ma non posso costringerti a tornarci, se non vuoi» spiegò. «Quindi, siccome non voglio la morte di un barbone sulla coscienza, puoi venire a stare da me per quanto ti serve» dichiarò. Fudou spalancò gli occhi, incredulo, e dopo diversi istanti mostrò un mezzo ghigno, afferrando la mano che usò per tirarsi su.
«Barbone lo diventi tu, caro» disse acido.
«La vedo improbabile» commentò il ricco.
«Beh, per questa volta sorvolerò e ti concederò la mia compagnia» affermò il mezzo pelato, portandosi le mani dietro la testa e precedendolo. Kidou, senza dire nulla, scosse il capo ma poi sorrise.
Ne era certo, se ne sarebbe pentito.
 
A volte, la sorte ci fa regali talmente grandi che ci sembra quasi scontato dire che ci cambino la vita. Regali che risultano fallaci.
 
A volte, le persone che si hanno intorno compiono piccoli gesti di cui non ci si rende conto, ma che cambiano la vita più di quanto si possa immaginare.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: Eternal_Blizzard