“Remember me”
“Un tuffo nel vuoto,
trema quel vento dentro me.
Di fronte all’immenso
Sento il silenzio e vedo che
È solo un momento
Che passa più lento.
Mi scivoli accanto
E scelgo te…”
(“Un tuffo nel vuoto” Pquadro)
E
come tre anni prima, Eve si ritrovava a correre, questa volta in una città
diversa.
Dublino.
La sua nuova casa.
Questa
volta però non fuggiva.
Questa
volta rincorreva il suo cuore.
Nella
speranza di riuscire a raggiungerlo.
Per quanto possiamo insistere,
l’amore ha una forza che non ha alcun controllo volontario.
Dipende da qualcosa che ti
scatta dentro e non puoi fermare.
Perché l’amore è istinto.
È sacrificio.
È passione.
È portare un marchio sulla
pelle a vita.
Ricordarsi di ogni istante
trascorso insieme.
L’amore vero non può essere
dimenticato.
E ogni giorni ti dice:
Ricordami.
Ricordati di me.
Eve
lo aveva imparato a sue spese.
Tre
anni prima aveva lasciato Londra, volando a Dublino col suo Josh e lasciandosi
alle spalle tutta una serie di emozioni che le avevano fatto capire quanto,
fino a quel momento, aveva solo finto di vivere.
In
realtà, l’illusione era stata così reale che non ci aveva mai fatto caso.
Rideva,
piangeva, amava, ma quel pizzico di follia che solo l’amore vero donava, le era
sempre mancato.
Lei
in fondo non poteva saperlo.
Da
tre anni, Eve viveva con Josh in un appartamento a Brandon Road, vicino
all’azienda, in cui lavorava il suo ragazzo.
Lei
ogni mattina, percorreva a piedi quella strada per arrivare nei pressi del
Pearse Memorial Park, dove era locata la sede dell’agenzia di viaggi presso cui
la ragazza lavorava.
Per
una serie di combinazioni sfortunate, Eve e Josh avevano dovuto rimandare il
matrimonio a quell’anno. Difatti si stavano attrezzando per la cerimonia che,
di comune accordo, avevano deciso si sarebbe tenuta alla fine dell’anno.
Quella
mattina del mese di giugno, Eve stava pensando proprio al suo imminente
matrimonio. Camminava a capo chino, con le mani incrociate sul petto, dove
teneva custodite delle cartelline che aveva portato a casa da lavoro.
Si
sentiva strana Eve.
Una
sensazione che non provava da tempo.
Esattamente
tre anni.
Chiuse
gli occhi per un attimo, fermandosi sul ciglio della strada. Si portò una mano
tra i capelli, cercando di spazzar via quella orribile sensazione, senza
tuttavia riuscirvi.
Aspettò
che il semaforo segnasse verde per poi attraversare sulle strisce pedonali.
Giunta
dall’altro lato della strada, si accorse di qualcosa di insolito: all’angolo
della strada un vecchio locale chiuso da mesi, era tappezzato di carte con su
scritto: “Apertura nuovo bar”.
Eve
corrugò la fronte, leggermente confusa.
Possibile
che non se ne fosse accorta?
Eppure
lei passava di lì ogni mattina.
Scosse
la testa, accennando un sorriso disteso. Era evidente quanto in quel periodo,
le sue attenzioni fossero rivolte altrove.
Alzò
gli occhi verso l’insegna per appuntarsi mentalmente il nome, con l’idea di
poterci entrare un giorno, ma quando lo fece rimase folgorata: sulla sua testa
campeggiava in bella mostra la scritta “Al solito posto” e un cartello che
indicava che esattamente una settimana da quella data, il bar avrebbe aperto.
Cos’aveva
di strano quell’insegna?
Quel
nome?
Eve
fece involontariamente un passo indietro, cozzando col piede contro il
lampione, mentre attorno a lei, le persone continuavano a camminare, ignare di
quello che le stava accadendo.
La
ragazza abbassò lo sguardo e si strinse nelle braccia, sentendo un improvviso
brivido di freddo attraversarle tutto il corpo. Ecco che quelle orribili
sensazioni facevano nuovamente capolino dentro di lei.
Tre
anni prima, quando aveva conosciuto Ian, avevano sempre parlato nello stesso
posto, in quel bar all’angolo di Oxford Street.
Ogni
mattina, come un rituale, si ritrovavano lì per fare colazione insieme e
scambiare due chiacchiere. Ben presto quella era divenuta un’abitudine e Ian,
un giorno, le aveva detto: “Se mai riuscirò ad avere un locale tutto mio, lo
chiamerò << Al solito posto >>, in onore dei nostri incontri che
avvengono sempre qui. Nel nostro solito posto” e aveva sorriso in quel modo che
faceva impazzire il cuore di Eve, allungando una mano per sfiorare la sua.
La
ragazza riaprì gli occhi accorgendosi di stare tremando.
Scosse
la testa e corse a lavoro, senza soffermarsi più a pensare a lui.
Erano
solo coincidenze.
Forse…
Era
trascorsa un’altra settimana, ma Eve continuava ad avvertire quella strana
sensazione.
Aveva
preso di nuovo a stare zitta durante le cene con Josh, a evitare il contatto
con lui quando poteva, ritornando così indietro di tre anni, quando si era
trasferita a Dublino.
Ricordava
bene come si sentiva.
Ricordava
lo smarrimento.
Ricordava
le lacrime.
Ricordava
l’amarezza.
Ricordava
lui.
Ricordava
il loro stare insieme.
Ricordava
ogni singola cosa.
Ricordava e questo bastava a
lacerarle l’anima.
E
Josh, che non era uno sprovveduto, aveva capito che Eve era diversa; così una
sera l’aveva portata a cena fuori, regalandole dei fiori. L’aveva fissata in
quel modo così dolce e malizioso allo stesso tempo, che Eve si era sentita
tremare il terreno sotto i piedi, come non succedeva da tempo.
E
avevano parlato di tutto.
Lei
aveva trovato il coraggio di raccontargli di Ian, delle sue incertezze, dei
suoi sentimenti.
E
lui l’aveva ascoltata attentamente.
Era
ferito, non lo aveva negato, ma alla fine le aveva stretto la mano e le aveva
sussurrato all’orecchio:”Andiamo a casa. A casa nostra” e Eve, emozionata e con
gli occhi lucidi, aveva semplicemente annuito.
Quando
erano arrivati nell’appartamento, Josh aveva posato le chiavi all’ingresso e si
era voltato a fissarla.
Quella
sera era bello.
Dannatamente
bello.
Allora
Eve si era avvicinata, gli aveva accarezzato il volto con una mano,
soffermandosi sulle sue labbra con il pollice, poi si era alzata sulla punta
dei piedi e l’aveva baciato. Lui, in risposta, l’aveva stretta più forte e poi
erano finiti col togliersi i vestiti con foga.
Quella
notte avevano fatto nuovamente l’amore.
Lentamente…dolcemente…
E
Eve aveva ritrovato un po’ di quella se stessa che aveva perso a Londra, in
quel bar.
Da
allora, le cose erano andate per il meglio e Eve aveva solo accantonato il
ricordo di Ian che si era sopito, ma non l’aveva mai abbandonata.
Erano
state tante le volte in cui si era ritrovata a fissare il vuoto e a ricordarsi
di quel sorriso mozzafiato che le aveva rubato il cuore, ma aveva continuato a
vivere, illudendosi di poter ricominciare da dove s’era fermata.
Fino
a quel giorno.
Quel
dannato giorno in cui i suoi occhi si erano scontrati con quell’insegna.
Non
era riuscita a resistere, così una mattina era uscita prima di casa, dicendo a
Josh che avrebbe fatto colazione al bar perché doveva arrivare prima a lavoro.
In
realtà, si stava recando “Al solito posto”.
Prima
di entrare si era detta mentalmente di restare solo il minimo indispensabile,
il tempo, cioè, di fare colazione e andare via.
Aveva
aperto la porta provocando il trillo del campanello e trovandosi davanti un
piccolo locale, dove la luce soffusa rendeva tutto così stranamente familiare e
tranquillo. Si era guardata intorno, non scorgendo alcun volto noto.
Era
sola.
Dopo
aver sospirato, si era diretta a passo spedito verso il bancone, dietro il
quale un ragazzo biondo le sorrideva speranzoso.
Ordinò
un cappuccino, sorridendo tra sé e ritornando con la mente, indietro nel tempo.
Era
rimasta lì dieci minuti, aveva consumato la sua colazione, aveva pagato per poi
alzarsi e andarsene via.
Quando
aveva chiuso la porta alle sue spalle, una figura alta dal fisico asciutto
aveva fatto la sua comparsa in sala, fissando la porta con sguardo assorto.
Ian
stringeva tra le mani un grembiule.
E
così Eve era lì.
Ed
era andata nel suo locale.
Distese
le labbra in un sorriso amaro.
Coincidenza
o si era ricordata di quello che lui le aveva detto anni addietro?
“Capo”
il giovane voltò la testa verso il ragazzo al bancone.
“La
nostra prima cliente è appena andata via” disse accennando un sorriso
soddisfatto.
Ian
rispose al sorriso e si voltò nuovamente verso la porta.
“Si…la
nostra prima cliente” mormorò assorto.
Eve
camminava a passo veloce diretta a lavoro.
Si
stava dando mentalmente della stupida.
“Hai
visto” diceva, muovendo le mani in modo esagitato.
“Non
c’era lui. Era solo una coincidenza” e scuoteva la testa, sorridendo.
Un
sorriso amaro, perché, in fondo al cuore, lei sperava di rivederlo.
La
mattina era trascorsa in fretta tra una prenotazione ed un’altra, così era
giunta l’ora di pranzo.
“Eve
che ne dici di chiudere?” disse Mary, stiracchiandosi sulla sedia.
Eve
in risposta aveva ridacchiato, portandosi una mano davanti alla bocca.
“Sei
già stanca dopo sola mezza giornata di lavoro?” aveva poi domandato di rimando,
chiudendo il computer.
Mary
aveva fatto una smorfia con la bocca e aveva scosso la testa. Lei proprio non
capiva come Eve potesse dedicarsi anima e corpo a quel dannato lavoro.
“Andiamo
a mangiare nel bar che hanno appena aperto?
Questa
infatti, vibrò e annui, senza emettere alcuna parola.
Avevano
chiuso l’agenzia e si erano incamminate verso la loro destinazione, parlando del
più e del meno, senza soffermarsi su alcun argomento in particolare.
Quando
erano entrate nel bar, Eve non si era guardata intorno come quella mattina, ma
si era diretta spedita verso un tavolino in fondo.
Lo
stesso ragazzo che le aveva preparato il cappuccino quella mattina, venne a
prendere le ordinazioni.
“Un
sandwich con tonno e pomodoro per me. E tu, Eve?” aveva detto Mary rivolgendosi
alla collega.
“Per
me…mmm…”rispose lei fissando il menù attentamente “Un panino con wurstel e
patatine”.
Il
cameriere s’era congedato assicurando alle ragazze che le loro ordinazioni
sarebbero arrivate presto.
“E’
pieno di gente qui” mormorò Mary, fissando i tavoli vicini.
“A
quanto pare” Eve non riusciva proprio ad essere loquace quando si trattava di
quel posto.
“Mmm…e
quello deve essere il proprietario. Interessante” disse maliziosa, leccandosi
le labbra.
Eve
aveva corrugato la fronte e seguito poi lo sguardo della collega.
Quel
che vide le fece battere il cuore ad una velocità disumana.
Ian
era lì e stava parlando con una ragazza, probabilmente una cliente.
Il
solito sorriso stampato sul volto. Quello che arrivava fino agli occhi. I
capelli raccolti in un codino e i piercing che lei aveva imparato ad amare.
E
lui, come se avesse avvertito la sua presenza, alzò lo sguardo dirigendolo
proprio verso quello di Eve.
I
loro occhi si riconobbero immediatamente.
E
anche i loro cuori.
Fu
Eve la prima a distogliere lo sguardo, richiamata dalla collega.
Per
un tempo imprecisato, parlò con Mary senza sapere cosa in realtà, si stessero
dicendo.
Poi
accadde qualcosa.
Mary
ricevette una telefonata urgente dalla madre e corse via, lasciando Eve da sola
e assicurandole che sarebbe rientrata in agenzia per orario di apertura.
La
ragazza provò a non pensare a come si sentisse, seduta lì in quel bar, sapendo
che lui era proprio alle sue spalle.
Sospirò,
chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie.
“E’
libero?” Eve riaprì di scatto gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di
volte, fissando la persona che aveva parlato.
Ian
si ergeva in tutta la sua altezza davanti a lei.
“Ian…”
sussurrò a mezza voce, sbigottita.
“Posso…?”
chiese lui, spostando la sedia.
Eve
annuì e lui si accomodò.
Inizialmente
rimasero entrambi in silenzio a fissarsi.
“Come
stai?” chiese lui.
“Bene”
rispose Eve, giocherellando con il piatto vuoto.
“E
tu?” aggiunse poco dopo.
“Bene”.
E
fu di nuovo silenzio.
Un
silenzio carico di cose non dette.
Ian
allungò una mano sul tavolo, sfiorando quella della ragazza, la quale sollevò
lo sguardo d’improvviso, fissandolo smarrita.
“Perché
sei qui?” chiese lei. La voce ridotta ad un sussurro.
Ian
schiuse le labbra, passandosi poi la lingua su di esse in un gesto automatico e
nervoso.
“Ho
realizzato il mio sogno” rispose semplicemente. Avrebbe voluto dire altro, ma
alla fine aveva optato per la risposta più banale.
Eve
storse la bocca, lanciandogli un’occhiata accigliata.
“Perché
qui? Perché a Dublino!” esclamò,
chiudendo la mano a pugno.
Ian
la fissò per qualche secondo, cambiando espressione. E questo ad Eve non
sfuggì.
“Ho
trovato un’occasione e l’ho sfruttata. Questa città non è prerogativa tua,
Eve!” sbottò lui, digrignando i denti.
La
ragazza annuì semplicemente, irrigidendosi ulteriormente.
In
quei sei mesi di conoscenza, non avevano mai litigato. Mai.
“Capisco”
mormorò lei in risposta, scostando la sua mano e alzandosi.
Lo
fissò dall’alto della sua posizione, gli occhi lucidi.
“Sono
felice per te…Ian” un soffio leggero, ma che fu in grado di far martellare il
cuore del ragazzo.
Se
ne stava andando di nuovo.
La
stava perdendo. Ancora.
Eve
gli diede le spalle, pronta ad uscire definitivamente dalla sua vita, ma la
voce di Ian la costrinse a fermarsi.
“Sapevo
che c’eri tu. O meglio” borbottò lui “ Speravo di trovarti. Ero certo che se tu
fossi stata qui, avresti notato il bar, il suo nome e saresti venuta” mormorò
con voce profonda e intensa.
Eve
deglutì aria, tremando e chiudendo gli occhi.
“Da
me” aggiunse poco dopo.
Eve
si sentì solleticare il collo dal respiro di lui e comprese che era alle sue
spalle.
Si
voltò lentamente, riaprendo gli occhi, trovandosi così a fissare quelle iridi
scure e tempestose.
“Ci
faremo del male. Lo sai” sussurrò a mezza voce, trattenendo il pianto.
Ian
alzò una mano, sfiorandole il volto con le nocche e sorridendole dolcemente.
“Voglio
stare con te, Eve. Lo volevo all’ora e lo voglio tutt’oggi” disse convinto, non
smettendo di guardarla e accarezzarla.
“Se
per te non è cambiato niente. Se anche tu senti ancora di amarmi, domenica sera
vieni qui all’orario di chiusura. Se ci sarai, capirò che hai scelto me” le sue
parole erano velate di speranza.
Una
speranza che aveva improvvisamente, il sapore del futuro.
Un
futuro desiderato, sognato.
Sperato.
Eve
scosse la testa, facendo un passo indietro.
Gli
occhi umidi.
“A
dicembre mi sposo” disse solo, prima di voltarsi e andare via.
Ian
non la fermò.
Non
questa volta.
Eve
lavorò come una matta, quel pomeriggio afoso di giugno.
Nella
testa un unico pensiero: Ian.
Le
aveva dato tre giorni per riflettere dopodiché le loro strade si sarebbero
definitivamente separate.
Quando
quella sera lei rientrò a casa erano le otto e mezza passate, Josh era seduto
sul divano che l’aspettava. Aveva lo sguardo fisso su di lei e la guardava in
un modo che Eve non seppe descrivere.
Le
tremavano le gambe e il cuore le martellava furioso nel petto.
“Credo
che dovremmo parlare” esordì lui con voce incolore.
A
quelle parole, Eve si rese conto che Josh aveva capito tutto, ancora una volta.
Così annuì stancamente e si accomodò accanto a lui, rigida come un pezzo di
legno.
Josh
non cercò di consolarla o di calmarla, consapevole che la propria rabbia gli
impediva di agire lucidamente.
“Stamane
ti ho seguita” disse.
La
ragazza spalancò gli occhi e stringe la gonna tra le dita.
“Ti
ho vista entrare nel nuovo bar, ma non mi è parso strano. Eri semplicemente
andata a fare colazione fuori per poi andare a lavoro. Quello che mi ha colpito
è stato vedere chi era il proprietario” Josh seguiva attentamente ogni minimo
movimento del corpo della ragazza, percependone ogni possibile variazione.
Fu
inevitabile per Eve irrigidirsi maggiormente, la tensione in quella stanza
poteva essere benissimo tagliata a fettine, ma la ragazza non osò pronunciare
alcuna parola. Lasciò che Josh proseguisse.
“Ti
chiederai come io abbia fatto a riconoscerlo, in fondo tu non mi avevi fatto
una descrizione accurata del tipo per
cui avevi stupidamente perso la testa tre anni fa, però ti sei premurata di portare
con te a Dublino una sua fotografia…” c’era un velo di velenosa cattiveria
nella voce del ragazzo che non sfuggì a Eve, la quale, a quelle parole e a quel
tono, sussultò, sollevando il volto per fissare Josh, ignorando le lacrime che
le rigavano le guance.
“Mi…”
“Sta
zitta!” gridò lui, aggredendola verbalmente.
Eve
tremò impercettibilmente e si ammutolì all’istante.
Josh
si alzò in piedi, camminando in tondo per la stanza, manifestando tutto il suo
nervosismo.
“La
tenevi nascosta nel tuo diario, sotto i vestiti” scosse la testa ancora
incredulo per quella situazione. Lei non si chiese neanche perché lui si fosse
messo a sbirciare tra le sue cose, non ne aveva la forza. E quel possibile
interrogativo morì sul nascere quando Josh si fermò e la guardò.
“Come
hai potuto…”
A
quel punto anche Eve si alzò in piedi e fece qualche passo in avanti,
raggiungendolo, mantenendo una minima distanza.
“Non
credevo fosse davvero lui il proprietario di quel bar! Non immaginavo che…”
scosse la testa e chiuse gli occhi, disperata.
“Oggi
l’ho incontrato e abbiamo discusso…mi ha dato tre giorni per decidere cosa
voglio fare con…lui…” non riuscì più a reggere quello sguardo accusatore e lo
abbassò, fissando il pavimento.
“Perché?
Dannazione Eve, io ti ho perdonato! Abbiamo ricominciato daccapo, ma non ti è
bastato! Sei tornata da lui!” gridò lui esasperato, serrando le mani a pugno
per trattenere la rabbia.
Eve
singhiozzò più forte, stringendosi le mani al petto, sentendo il bisogno di
proteggersi da tutto quel dolore.
Lo
percepiva così forte che pensò di crollare a terra da un momento all’altro.
“Non
sono tornata da lui…” soffiò a mezza voce.
“Non
dire stronzate! Non farmi anche questo…smettila di mentire a me e a te stessa.
È ora che tu decida davvero con chi vuoi stare” disse, passandole accanto per
dirigersi verso la porta d’ingresso.
“E
questa volta fa che sia una scelta definitiva. O con me o con lui” aggiunse,
chiudendosi poi la porta alle spalle con un tonfo.
Josh
non rientrò quella sera, né la mattina successiva.
Eve
era preoccupata e aveva provato a telefonargli più volte, ma il suo cellulare
risultava spento. Così andò a lavoro con l’animo in pena e il cuore che
sembrava battere sempre più flebilmente.
Quella
giornata sembrava non passare mai.
Lente
giravano le lancette dell’orologio, mentre Eve non riusciva a dare un senso
logico a quello che le stava accadendo.
Cosa
voleva davvero lei?
Cosa
le suggeriva il suo cuore martoriato?
Quando
neanche quella sera Josh si fece vivo, la ragazza capì: lui le stava lasciando
il giusto spazio per decidere liberamente.
Allo
stesso tempo però, voleva che lei sentisse la sua mancanza.
Ma
la vera domanda era un’altra: la sentiva sul serio?
Sì,
lui le mancava.
Le
mancava l’abitudine di averlo accanto e questo di certo non significava che lo
amasse sul serio. Eve ne ebbe la conferma quando il suo pensiero volò verso
Ian: inutile negare che il cuore le giocò un brutto tiro, battendo più forte
del normale al solo pensare che erano entrambi nella stessa città, a poche
centinaia di metri di distanza.
Ciò che continuava a
dividerli, però, era la paura di Eve di ricordare.
Così
passarono i giorni seguenti e giunse la fatidica domenica.
Eve
non aveva chiuso occhio. Aveva trascorso l’intera nottata a sfogliare album di
fotografie, a ripercorre con la mente gli ultimi sette anni della sua vita,
fermandosi al giorno in cui aveva visto per la prima volta Ian, alle strane
sensazioni che aveva provato quando i loro sguardi si erano incrociati: fino a
quel momento la sua vita era stata un quadro in bianco e nero, poi immergersi
in quegli occhi aveva generato un’imprevedibile esplosione di vividi colori che
avevano così completato un quadro fino ad all’ora scarno di particolari.
Era
stato come cominciare a vedere sul serio e questo l’aveva in un primo momento,
elettrizzata, poi con il passare dei giorni, la paura aveva prevalso, decidendo
per lei.
E
così era fuggita.
Ma
non si può scappare all’infinito.
Non
si può sfuggire ai ricordi; essi verranno con te, ovunque andrai, gridando:
“Ricordati.
Ricordati di me!”
Ed
Eve quella notte aveva, finalmente, ricordato sul serio.
Fu
una fatica alzarsi dal letto, fare tutto normalmente.
Josh
e Ian le avevano chiesto di prendere una decisione definitiva e lei lo aveva
fatto. Seppure il corpo e lo spirito le dolessero, Eve era finalmente riuscita
a capire.
Non
si trattava di una scelta giusta o sbagliata, ma soltanto di capire cos’era
giusto per lei.
Per
la prima volta in vita sua, Eve aveva focalizzato la sua attenzione sulla sua
persona e dopo lo stordimento iniziale, le lacrime e la paura, ora si sentiva
pronta.
Dopo
che si fu vestita, sentì la chiave nella toppa e la porta d’ingresso che si
spalancava.
Josh
era rientrato e si aspettava una risposta.
La
ebbe non appena i loro sguardi si incrociarono.
Non
ci furono parole, perché non ce ne fu bisogno.
Nonostante
fosse a pezzi, lui la lasciò andare.
A
che serve trattenere una persona che non ti vuole?
Così
Eve uscì definitivamente dalla vita di Josh.
Una
volta in strada, Eve corse verso il bar di Ian.
Una
sorta di deja vu, questa volta però lei non stava scappando.
Sapeva
che lui le aveva detto che doveva presentarsi alla fine del turno, ma Eve non
voleva più perdere un solo attimo di tempo.
Così
percorse a perdifiato quei metri che la dividevano dalla sua vera vita.
Dai ricordi che stavano per
divenire il presente.
Quando
spalancò la porta del bar, la calca di gente all’interno non si accorse di lei,
ma Ian, attirato dal suono del campanello, si girò verso l’ingresso.
Bastò
guardarla per capire.
Si
andarono incontro con passo lento e studiato, zizzagando tra i tavoli e le
persone.
Ian
le sorrise, sollevò una mano e le accarezzò una guancia.
“Alla
fine ti sei ricordata di me…” mormorò con dolcezza.
Eve
chiuse gli occhi, muovendo il viso contro la sua mano, sorridendo.
“Ian,
la verità è che io non ti ho mai dimenticato…” rispose, riaprendo gli occhi,
annegando in quello di lui che la scrutavano con un’intensità che non le faceva
più paura, ma le bruciava l’anima e il corpo.
Ignorando
le persone attorno e il loro insistente chiacchiericcio, Ian si chinò sulle
labbra di Eve e la baciò come sognava di fare da tempo, tranciandole il respiro
di netto.
A
sua volta, Eve si aggrappò con le mani al suo collo e si strinse a lui.
Da
quel giorno, in quel bar cominciò la loro nuova vita insieme.
Esiste davvero una scelta
migliore di un’altra?
L’unica certezza che abbiamo è
che esiste l’amore e che se è vero non può essere dimenticato.
Reclama il posto che ha di
diritto nella tua vita.
E lo fa dicendoti ogni giorni:
“Ricordami.
Ricordati di me!”
E' un anno che ci lavoro su, ma non riuscivo a portarla avanti, non perché mi mancasse l'ispirazione.
Onestamente non rispecchia esattamente quello che era la mia idea
originale, ma ho passato fin troppo tempo a cercare le parole giuste
per raccontarvi la loro storia.
Mi rimetto al vostro sacro giudizio.
Nella speranza di ritornare presto a pubblicare qualche altra cosa
(magari terminare le fan fiction in corso, che ne dici Maggie?), vi
saluto.