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Autore: Sognatrice85    01/11/2012    1 recensioni
Sequel della one shot "Forget".
Dal testo:
"Per quanto possiamo insistere, l’amore ha una forza che non ha alcun controllo volontario.
Dipende da qualcosa che ti scatta dentro e non puoi fermare.
Perché l’amore è istinto.
È sacrificio.
È passione.
È portare un marchio sulla pelle a vita.
Ricordarsi di ogni istante trascorso insieme.
L’amore vero non può essere dimenticato.
E ogni giorni ti dice: Ricordami.
Ricordati di me."
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Remember me

Remember me”

 

 

“Un tuffo nel vuoto,
trema quel vento dentro me.
Di fronte all’immenso
Sento il silenzio e vedo che
È solo un momento
Che passa più lento.
Mi scivoli accanto
E scelgo te…”

(“Un tuffo nel vuoto” Pquadro)

 

 

E come tre anni prima, Eve si ritrovava a correre, questa volta in una città diversa.
Dublino. La sua nuova casa.
Questa volta però non fuggiva.
Questa volta rincorreva il suo cuore.
Nella speranza di riuscire a raggiungerlo.

Per quanto possiamo insistere, l’amore ha una forza che non ha alcun controllo volontario.
Dipende da qualcosa che ti scatta dentro e non puoi fermare.
Perché l’amore è istinto.
È sacrificio.
È passione.
È portare un marchio sulla pelle a vita.
Ricordarsi di ogni istante trascorso insieme.
L’amore vero non può essere dimenticato.
E ogni giorni ti dice: Ricordami.
Ricordati di me.

 

Eve lo aveva imparato a sue spese.
Tre anni prima aveva lasciato Londra, volando a Dublino col suo Josh e lasciandosi alle spalle tutta una serie di emozioni che le avevano fatto capire quanto, fino a quel momento, aveva solo finto di vivere.
In realtà, l’illusione era stata così reale che non ci aveva mai fatto caso.
Rideva, piangeva, amava, ma quel pizzico di follia che solo l’amore vero donava, le era sempre mancato.
Lei in fondo non poteva saperlo.
Da tre anni, Eve viveva con Josh in un appartamento a Brandon Road, vicino all’azienda, in cui lavorava il suo ragazzo.
Lei ogni mattina, percorreva a piedi quella strada per arrivare nei pressi del Pearse Memorial Park, dove era locata la sede dell’agenzia di viaggi presso cui la ragazza lavorava.
Per una serie di combinazioni sfortunate, Eve e Josh avevano dovuto rimandare il matrimonio a quell’anno. Difatti si stavano attrezzando per la cerimonia che, di comune accordo, avevano deciso si sarebbe tenuta alla fine dell’anno.
Quella mattina del mese di giugno, Eve stava pensando proprio al suo imminente matrimonio. Camminava a capo chino, con le mani incrociate sul petto, dove teneva custodite delle cartelline che aveva portato a casa da lavoro.
Si sentiva strana Eve.
Una sensazione che non provava da tempo.
Esattamente tre anni.
Chiuse gli occhi per un attimo, fermandosi sul ciglio della strada. Si portò una mano tra i capelli, cercando di spazzar via quella orribile sensazione, senza tuttavia riuscirvi.
Aspettò che il semaforo segnasse verde per poi attraversare sulle strisce pedonali.
Giunta dall’altro lato della strada, si accorse di qualcosa di insolito: all’angolo della strada un vecchio locale chiuso da mesi, era tappezzato di carte con su scritto: “Apertura nuovo bar”.
Eve corrugò la fronte, leggermente confusa.
Possibile che non se ne fosse accorta?
Eppure lei passava di lì ogni mattina.
Scosse la testa, accennando un sorriso disteso. Era evidente quanto in quel periodo, le sue attenzioni fossero rivolte altrove.
Alzò gli occhi verso l’insegna per appuntarsi mentalmente il nome, con l’idea di poterci entrare un giorno, ma quando lo fece rimase folgorata: sulla sua testa campeggiava in bella mostra la scritta “Al solito posto” e un cartello che indicava che esattamente una settimana da quella data, il bar avrebbe aperto.
Cos’aveva di strano quell’insegna?
Quel nome?
Eve fece involontariamente un passo indietro, cozzando col piede contro il lampione, mentre attorno a lei, le persone continuavano a camminare, ignare di quello che le stava accadendo.
La ragazza abbassò lo sguardo e si strinse nelle braccia, sentendo un improvviso brivido di freddo attraversarle tutto il corpo. Ecco che quelle orribili sensazioni facevano nuovamente capolino dentro di lei.
Tre anni prima, quando aveva conosciuto Ian, avevano sempre parlato nello stesso posto, in quel bar all’angolo di Oxford Street.
Ogni mattina, come un rituale, si ritrovavano lì per fare colazione insieme e scambiare due chiacchiere. Ben presto quella era divenuta un’abitudine e Ian, un giorno, le aveva detto: “Se mai riuscirò ad avere un locale tutto mio, lo chiamerò << Al solito posto >>, in onore dei nostri incontri che avvengono sempre qui. Nel nostro solito posto” e aveva sorriso in quel modo che faceva impazzire il cuore di Eve, allungando una mano per sfiorare la sua.
La ragazza riaprì gli occhi accorgendosi di stare tremando.
Scosse la testa e corse a lavoro, senza soffermarsi più a pensare a lui.
Erano solo coincidenze.

Forse…

 

Era trascorsa un’altra settimana, ma Eve continuava ad avvertire quella strana sensazione.
Aveva preso di nuovo a stare zitta durante le cene con Josh, a evitare il contatto con lui quando poteva, ritornando così indietro di tre anni, quando si era trasferita a Dublino.
Ricordava bene come si sentiva.
Ricordava lo smarrimento.
Ricordava le lacrime.
Ricordava l’amarezza.
Ricordava lui.
Ricordava il loro stare insieme.
Ricordava ogni singola cosa.

Ricordava e questo bastava a lacerarle l’anima.
E Josh, che non era uno sprovveduto, aveva capito che Eve era diversa; così una sera l’aveva portata a cena fuori, regalandole dei fiori. L’aveva fissata in quel modo così dolce e malizioso allo stesso tempo, che Eve si era sentita tremare il terreno sotto i piedi, come non succedeva da tempo.
E avevano parlato di tutto.
Lei aveva trovato il coraggio di raccontargli di Ian, delle sue incertezze, dei suoi sentimenti.
E lui l’aveva ascoltata attentamente.
Era ferito, non lo aveva negato, ma alla fine le aveva stretto la mano e le aveva sussurrato all’orecchio:”Andiamo a casa. A casa nostra” e Eve, emozionata e con gli occhi lucidi, aveva semplicemente annuito.
Quando erano arrivati nell’appartamento, Josh aveva posato le chiavi all’ingresso e si era voltato a fissarla.
Quella sera era bello.
Dannatamente bello.
Allora Eve si era avvicinata, gli aveva accarezzato il volto con una mano, soffermandosi sulle sue labbra con il pollice, poi si era alzata sulla punta dei piedi e l’aveva baciato. Lui, in risposta, l’aveva stretta più forte e poi erano finiti col togliersi i vestiti con foga.
Quella notte avevano fatto nuovamente l’amore.
Lentamente…dolcemente…
E Eve aveva ritrovato un po’ di quella se stessa che aveva perso a Londra, in quel bar.
Da allora, le cose erano andate per il meglio e Eve aveva solo accantonato il ricordo di Ian che si era sopito, ma non l’aveva mai abbandonata.
Erano state tante le volte in cui si era ritrovata a fissare il vuoto e a ricordarsi di quel sorriso mozzafiato che le aveva rubato il cuore, ma aveva continuato a vivere, illudendosi di poter ricominciare da dove s’era fermata.
Fino a quel giorno.
Quel dannato giorno in cui i suoi occhi si erano scontrati con quell’insegna.
Non era riuscita a resistere, così una mattina era uscita prima di casa, dicendo a Josh che avrebbe fatto colazione al bar perché doveva arrivare prima a lavoro.
In realtà, si stava recando “Al solito posto”.
Prima di entrare si era detta mentalmente di restare solo il minimo indispensabile, il tempo, cioè, di fare colazione e andare via.
Aveva aperto la porta provocando il trillo del campanello e trovandosi davanti un piccolo locale, dove la luce soffusa rendeva tutto così stranamente familiare e tranquillo. Si era guardata intorno, non scorgendo alcun volto noto.
Era sola.
Dopo aver sospirato, si era diretta a passo spedito verso il bancone, dietro il quale un ragazzo biondo le sorrideva speranzoso.
Ordinò un cappuccino, sorridendo tra sé e ritornando con la mente, indietro nel tempo.
Era rimasta lì dieci minuti, aveva consumato la sua colazione, aveva pagato per poi alzarsi e andarsene via.
Quando aveva chiuso la porta alle sue spalle, una figura alta dal fisico asciutto aveva fatto la sua comparsa in sala, fissando la porta con sguardo assorto.
Ian stringeva tra le mani un grembiule.
E così Eve era lì.
Ed era andata nel suo locale.
Distese le labbra in un sorriso amaro.
Coincidenza o si era ricordata di quello che lui le aveva detto anni addietro?
“Capo” il giovane voltò la testa verso il ragazzo al bancone.
“La nostra prima cliente è appena andata via” disse accennando un sorriso soddisfatto.
Ian rispose al sorriso e si voltò nuovamente verso la porta.
“Si…la nostra prima cliente” mormorò assorto.

 

Eve camminava a passo veloce diretta a lavoro.
Si stava dando mentalmente della stupida.
“Hai visto” diceva, muovendo le mani in modo esagitato.
“Non c’era lui. Era solo una coincidenza” e scuoteva la testa, sorridendo.
Un sorriso amaro, perché, in fondo al cuore, lei sperava di rivederlo.

 

La mattina era trascorsa in fretta tra una prenotazione ed un’altra, così era giunta l’ora di pranzo.
“Eve che ne dici di chiudere?” disse Mary, stiracchiandosi sulla sedia.
Eve in risposta aveva ridacchiato, portandosi una mano davanti alla bocca.
“Sei già stanca dopo sola mezza giornata di lavoro?” aveva poi domandato di rimando, chiudendo il computer.
Mary aveva fatto una smorfia con la bocca e aveva scosso la testa. Lei proprio non capiva come Eve potesse dedicarsi anima e corpo a quel dannato lavoro.
“Andiamo a mangiare nel bar che hanno appena aperto? La Signora Barton me l’ha consigliato” propose ignara dell’effetto che quelle parole avrebbero provocato in Eve.
Questa infatti, vibrò e annui, senza emettere alcuna parola.
Avevano chiuso l’agenzia e si erano incamminate verso la loro destinazione, parlando del più e del meno, senza soffermarsi su alcun argomento in particolare.
Quando erano entrate nel bar, Eve non si era guardata intorno come quella mattina, ma si era diretta spedita verso un tavolino in fondo.
Lo stesso ragazzo che le aveva preparato il cappuccino quella mattina, venne a prendere le ordinazioni.
“Un sandwich con tonno e pomodoro per me. E tu, Eve?” aveva detto Mary rivolgendosi alla collega.
“Per me…mmm…”rispose lei fissando il menù attentamente “Un panino con wurstel e patatine”.
Il cameriere s’era congedato assicurando alle ragazze che le loro ordinazioni sarebbero arrivate presto.
“E’ pieno di gente qui” mormorò Mary, fissando i tavoli vicini.
“A quanto pare” Eve non riusciva proprio ad essere loquace quando si trattava di quel posto.
“Mmm…e quello deve essere il proprietario. Interessante” disse maliziosa, leccandosi le labbra.
Eve aveva corrugato la fronte e seguito poi lo sguardo della collega.
Quel che vide le fece battere il cuore ad una velocità disumana.
Ian era lì e stava parlando con una ragazza, probabilmente una cliente.
Il solito sorriso stampato sul volto. Quello che arrivava fino agli occhi. I capelli raccolti in un codino e i piercing che lei aveva imparato ad amare.
E lui, come se avesse avvertito la sua presenza, alzò lo sguardo dirigendolo proprio verso quello di Eve.
I loro occhi si riconobbero immediatamente.
E anche i loro cuori.
Fu Eve la prima a distogliere lo sguardo, richiamata dalla collega.
Per un tempo imprecisato, parlò con Mary senza sapere cosa in realtà, si stessero dicendo.
Poi accadde qualcosa.
Mary ricevette una telefonata urgente dalla madre e corse via, lasciando Eve da sola e assicurandole che sarebbe rientrata in agenzia per orario di apertura.
La ragazza provò a non pensare a come si sentisse, seduta lì in quel bar, sapendo che lui era proprio alle sue spalle.
Sospirò, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie.
“E’ libero?” Eve riaprì di scatto gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte, fissando la persona che aveva parlato.
Ian si ergeva in tutta la sua altezza davanti a lei.
“Ian…” sussurrò a mezza voce, sbigottita.
“Posso…?” chiese lui, spostando la sedia.
Eve annuì e lui si accomodò.
Inizialmente rimasero entrambi in silenzio a fissarsi.
“Come stai?” chiese lui.
“Bene” rispose Eve, giocherellando con il piatto vuoto.
“E tu?” aggiunse poco dopo.
“Bene”.
E fu di nuovo silenzio.
Un silenzio carico di cose non dette.
Ian allungò una mano sul tavolo, sfiorando quella della ragazza, la quale sollevò lo sguardo d’improvviso, fissandolo smarrita.
“Perché sei qui?” chiese lei. La voce ridotta ad un sussurro.
Ian schiuse le labbra, passandosi poi la lingua su di esse in un gesto automatico e nervoso.
“Ho realizzato il mio sogno” rispose semplicemente. Avrebbe voluto dire altro, ma alla fine aveva optato per la risposta più banale.
Eve storse la bocca, lanciandogli un’occhiata accigliata.
“Perché qui? Perché a  Dublino!” esclamò, chiudendo la mano a pugno.
Ian la fissò per qualche secondo, cambiando espressione. E questo ad Eve non sfuggì.
“Ho trovato un’occasione e l’ho sfruttata. Questa città non è prerogativa tua, Eve!”  sbottò lui, digrignando i denti.
La ragazza annuì semplicemente, irrigidendosi ulteriormente.
In quei sei mesi di conoscenza, non avevano mai litigato. Mai.
“Capisco” mormorò lei in risposta, scostando la sua mano e alzandosi.
Lo fissò dall’alto della sua posizione, gli occhi lucidi.
“Sono felice per te…Ian” un soffio leggero, ma che fu in grado di far martellare il cuore del ragazzo.
Se ne stava andando di nuovo.
La stava perdendo. Ancora.
Eve gli diede le spalle, pronta ad uscire definitivamente dalla sua vita, ma la voce di Ian la costrinse a fermarsi.
“Sapevo che c’eri tu. O meglio” borbottò lui “ Speravo di trovarti. Ero certo che se tu fossi stata qui, avresti notato il bar, il suo nome e saresti venuta” mormorò con voce profonda e intensa.
Eve deglutì aria, tremando e chiudendo gli occhi.
“Da me” aggiunse poco dopo.
Eve si sentì solleticare il collo dal respiro di lui e comprese che era alle sue spalle.
Si voltò lentamente, riaprendo gli occhi, trovandosi così a fissare quelle iridi scure e tempestose.
“Ci faremo del male. Lo sai” sussurrò a mezza voce, trattenendo il pianto.
Ian alzò una mano, sfiorandole il volto con le nocche e sorridendole dolcemente.
“Voglio stare con te, Eve. Lo volevo all’ora e lo voglio tutt’oggi” disse convinto, non smettendo di guardarla e accarezzarla.
“Se per te non è cambiato niente. Se anche tu senti ancora di amarmi, domenica sera vieni qui all’orario di chiusura. Se ci sarai, capirò che hai scelto me” le sue parole erano velate di speranza.
Una speranza che aveva improvvisamente, il sapore del futuro.
Un futuro desiderato, sognato.
Sperato.
Eve scosse la testa, facendo un passo indietro.
Gli occhi umidi.
“A dicembre mi sposo” disse solo, prima di voltarsi e andare via.
Ian non la fermò.
Non questa volta.

 
 

Eve lavorò come una matta, quel pomeriggio afoso di giugno.
Nella testa un unico pensiero: Ian.
Le aveva dato tre giorni per riflettere dopodiché le loro strade si sarebbero definitivamente separate.
Quando quella sera lei rientrò a casa erano le otto e mezza passate, Josh era seduto sul divano che l’aspettava. Aveva lo sguardo fisso su di lei e la guardava in un modo che Eve non seppe descrivere.
Le tremavano le gambe e il cuore le martellava furioso nel petto.
“Credo che dovremmo parlare” esordì lui con voce incolore.
A quelle parole, Eve si rese conto che Josh aveva capito tutto, ancora una volta. Così annuì stancamente e si accomodò accanto a lui, rigida come un pezzo di legno.
Josh non cercò di consolarla o di calmarla, consapevole che la propria rabbia gli impediva di agire lucidamente.
“Stamane ti ho seguita” disse.
La ragazza spalancò gli occhi e stringe la gonna tra le dita.
“Ti ho vista entrare nel nuovo bar, ma non mi è parso strano. Eri semplicemente andata a fare colazione fuori per poi andare a lavoro. Quello che mi ha colpito è stato vedere chi era il proprietario” Josh seguiva attentamente ogni minimo movimento del corpo della ragazza, percependone ogni possibile variazione.
Fu inevitabile per Eve irrigidirsi maggiormente, la tensione in quella stanza poteva essere benissimo tagliata a fettine, ma la ragazza non osò pronunciare alcuna parola. Lasciò che Josh proseguisse.
“Ti chiederai come io abbia fatto a riconoscerlo, in fondo tu non mi avevi fatto una descrizione accurata del tipo per cui avevi stupidamente perso la testa tre anni fa, però ti sei premurata di portare con te a Dublino una sua fotografia…” c’era un velo di velenosa cattiveria nella voce del ragazzo che non sfuggì a Eve, la quale, a quelle parole e a quel tono, sussultò, sollevando il volto per fissare Josh, ignorando le lacrime che le rigavano le guance.
“Mi…”
“Sta zitta!” gridò lui, aggredendola verbalmente.
Eve tremò impercettibilmente e si ammutolì all’istante.
Josh si alzò in piedi, camminando in tondo per la stanza, manifestando tutto il suo nervosismo.
“La tenevi nascosta nel tuo diario, sotto i vestiti” scosse la testa ancora incredulo per quella situazione. Lei non si chiese neanche perché lui si fosse messo a sbirciare tra le sue cose, non ne aveva la forza. E quel possibile interrogativo morì sul nascere quando Josh si fermò e la guardò.
“Come hai potuto…”
A quel punto anche Eve si alzò in piedi e fece qualche passo in avanti, raggiungendolo, mantenendo una minima distanza.
“Non credevo fosse davvero lui il proprietario di quel bar! Non immaginavo che…” scosse la testa e chiuse gli occhi, disperata.
“Oggi l’ho incontrato e abbiamo discusso…mi ha dato tre giorni per decidere cosa voglio fare con…lui…” non riuscì più a reggere quello sguardo accusatore e lo abbassò, fissando il pavimento.
“Perché? Dannazione Eve, io ti ho perdonato! Abbiamo ricominciato daccapo, ma non ti è bastato! Sei tornata da lui!” gridò lui esasperato, serrando le mani a pugno per trattenere la rabbia.
Eve singhiozzò più forte, stringendosi le mani al petto, sentendo il bisogno di proteggersi da tutto quel dolore.
Lo percepiva così forte che pensò di crollare a terra da un momento all’altro.
“Non sono tornata da lui…” soffiò a mezza voce.
“Non dire stronzate! Non farmi anche questo…smettila di mentire a me e a te stessa. È ora che tu decida davvero con chi vuoi stare” disse, passandole accanto per dirigersi verso la porta d’ingresso.
“E questa volta fa che sia una scelta definitiva. O con me o con lui” aggiunse, chiudendosi poi la porta alle spalle con un tonfo.
 

 

Josh non rientrò quella sera, né la mattina successiva.
Eve era preoccupata e aveva provato a telefonargli più volte, ma il suo cellulare risultava spento. Così andò a lavoro con l’animo in pena e il cuore che sembrava battere sempre più flebilmente.
Quella giornata sembrava non passare mai.
Lente giravano le lancette dell’orologio, mentre Eve non riusciva a dare un senso logico a quello che le stava accadendo.
Cosa voleva davvero lei?
Cosa le suggeriva il suo cuore martoriato?
Quando neanche quella sera Josh si fece vivo, la ragazza capì: lui le stava lasciando il giusto spazio per decidere liberamente.
Allo stesso tempo però, voleva che lei sentisse la sua mancanza.
Ma la vera domanda era un’altra: la sentiva sul serio?
Sì, lui le mancava.
Le mancava l’abitudine di averlo accanto e questo di certo non significava che lo amasse sul serio. Eve ne ebbe la conferma quando il suo pensiero volò verso Ian: inutile negare che il cuore le giocò un brutto tiro, battendo più forte del normale al solo pensare che erano entrambi nella stessa città, a poche centinaia di metri di distanza.

Ciò che continuava a dividerli, però, era la paura di Eve di ricordare.

 
 

Così passarono i giorni seguenti e giunse la fatidica domenica.
Eve non aveva chiuso occhio. Aveva trascorso l’intera nottata a sfogliare album di fotografie, a ripercorre con la mente gli ultimi sette anni della sua vita, fermandosi al giorno in cui aveva visto per la prima volta Ian, alle strane sensazioni che aveva provato quando i loro sguardi si erano incrociati: fino a quel momento la sua vita era stata un quadro in bianco e nero, poi immergersi in quegli occhi aveva generato un’imprevedibile esplosione di vividi colori che avevano così completato un quadro fino ad all’ora scarno di particolari.
Era stato come cominciare a vedere sul serio e questo l’aveva in un primo momento, elettrizzata, poi con il passare dei giorni, la paura aveva prevalso, decidendo per lei.
E così era fuggita.
Ma non si può scappare all’infinito.
Non si può sfuggire ai ricordi; essi verranno con te, ovunque andrai, gridando:
Ricordati.

Ricordati di me!”
Ed Eve quella notte aveva, finalmente, ricordato sul serio.

 
 

Fu una fatica alzarsi dal letto, fare tutto normalmente.
Josh e Ian le avevano chiesto di prendere una decisione definitiva e lei lo aveva fatto. Seppure il corpo e lo spirito le dolessero, Eve era finalmente riuscita a capire.
Non si trattava di una scelta giusta o sbagliata, ma soltanto di capire cos’era giusto per lei.
Per la prima volta in vita sua, Eve aveva focalizzato la sua attenzione sulla sua persona e dopo lo stordimento iniziale, le lacrime e la paura, ora si sentiva pronta.
 

 
Dopo che si fu vestita, sentì la chiave nella toppa e la porta d’ingresso che si spalancava.
Josh era rientrato e si aspettava una risposta.
La ebbe non appena i loro sguardi si incrociarono.
Non ci furono parole, perché non ce ne fu bisogno.
Nonostante fosse a pezzi, lui la lasciò andare.
A che serve trattenere una persona che non ti vuole?
Così Eve uscì definitivamente dalla vita di Josh.

 

Una volta in strada, Eve corse verso il bar di Ian.
Una sorta di deja vu, questa volta però lei non stava scappando.
Sapeva che lui le aveva detto che doveva presentarsi alla fine del turno, ma Eve non voleva più perdere un solo attimo di tempo.
Così percorse a perdifiato quei metri che la dividevano dalla sua vera vita.

Dai ricordi che stavano per divenire il presente.
Quando spalancò la porta del bar, la calca di gente all’interno non si accorse di lei, ma Ian, attirato dal suono del campanello, si girò verso l’ingresso.
Bastò guardarla per capire.
Si andarono incontro con passo lento e studiato, zizzagando tra i tavoli e le persone.
Ian le sorrise, sollevò una mano e le accarezzò una guancia.
“Alla fine ti sei ricordata di me…” mormorò con dolcezza.
Eve chiuse gli occhi, muovendo il viso contro la sua mano, sorridendo.
“Ian, la verità è che io non ti ho mai dimenticato…” rispose, riaprendo gli occhi, annegando in quello di lui che la scrutavano con un’intensità che non le faceva più paura, ma le bruciava l’anima e il corpo.
Ignorando le persone attorno e il loro insistente chiacchiericcio, Ian si chinò sulle labbra di Eve e la baciò come sognava di fare da tempo, tranciandole il respiro di netto.
A sua volta, Eve si aggrappò con le mani al suo collo e si strinse a lui.
Da quel giorno, in quel bar cominciò la loro nuova vita insieme.

  

Esiste davvero una scelta migliore di un’altra?
L’unica certezza che abbiamo è che esiste l’amore e che se è vero non può essere dimenticato.
Reclama il posto che ha di diritto nella tua vita.
E lo fa dicendoti ogni giorni:
“Ricordami.
Ricordati di me!”

***

Non sopportavo l'idea di aver concluso la one shot separando Ian ed Eve.
E' un anno che ci lavoro su, ma non riuscivo a portarla avanti, non perché mi mancasse l'ispirazione.
Onestamente non rispecchia esattamente quello che era la mia idea originale, ma ho passato fin troppo tempo a cercare le parole giuste per raccontarvi la loro storia.
Mi rimetto al vostro sacro giudizio.
Nella speranza di ritornare presto a pubblicare qualche altra cosa (magari terminare le fan fiction in corso, che ne dici Maggie?), vi saluto.

Un bacio

Marghe 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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