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Autore: Colli58    01/11/2012    6 recensioni
Castle si sentì stupido all’improvviso.
Aveva il paradiso tra le dita e lui non poteva nemmeno avvicinarsi all’idea di avere qualcosa di così bello, perché era un meschino bastardo, solo come un cane, e non avrebbe mai capito il valore di una relazione così intensa.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Kate si svegliò di soprassalto, colpita da qualcosa. Si alzò a sedere e lasciò che gli occhi si abituassero alla poca luce della stanza. Tutto era tranquillo se non per il respiro affannoso di Castle, che accanto a lei dormiva acciambellato in posizione fetale e con il sonno piuttosto agitato. Non era da lui dormire in quella posizione. Lui era un uomo da sonno a macchia d’inchiostro. Si allargava occupando più spazio possibile, disteso e sereno. Anche quando c’era lei accanto a lui, si addormentava abbracciandola ma tendeva a girarsi e occupare il letto per la sua diagonale.  Ma non in quei giorni. Putroppo stava di nuovo facendo un brutto sogno, quell’incubo che lo tormentava quasi tutte le notti.
Percorse con lo sguardo tutta la stanza da letto. La grande foto dell’elefante si vedeva abbastanza chiaramente sul muro davanti a lei nonostante la poca luce.
Si avvicinò a lui e posò delicatamente una mano sul suo viso sudato. Lo accarezzò e poi mise una mano sulla sua spalla per destarlo. Non avrebbe permesso che quell’incubo continuasse.
“Castle svegliati… svegliati. E’ solo un brutto sogno.” Gli parlò scuotendo la spalla.
Lui trasse un profondo respiro e si svegliò spalancando gli occhi.  Lentamente si distese allungando le gambe e raddrizzando la schiena.
Era spaventato, affannato e madido di sudore. La maglietta che indossava era fradicia e i capelli si erano incollati alla fronte.
Lui si alzò mettendosi a sedere, e lasciandosi accarezzare senza pronunciare parola. Le sue mani su di lui erano confortanti. Gli stavano dando sollievo ed era tutto quello che desiderava.
Kate gli sorrise sollevandogli i capelli bagnati dalla fronte e appoggiando la sua a quella dell’uomo. Fece scivolare le mani sulle sue spalle e lo strinse a sé.
Lui continuò a respirare profondamente come se stesse riprendendosi da una lunga apnea.
“Va tutto bene, è solo un brutto sogno.” Lui annuì deglutendo, ma sebbene Kate non potesse vedere distintamente i suoi occhi, poté percepire tutta l’angoscia che lo stava pervadendo. Sentì i muscoli sulle sue spalle tesi e vibranti come dopo un lungo sforzo.
Lei lo baciò dolcemente. Dovevano parlare di quanto era accaduto Era giunto il momento. Castle da qualche settimana, dopo il caso che lo aveva visto coinvolto di persona dal triplo omicida, aveva avuto spesso notti così agitate. Sapeva che il motivo era quello.
In due settimane aveva rifatto l’impianto di sicurezza di casa, spendendo una fortuna in migliorie, aveva cambiato conti bancari e aveva passato ore al poligono di tiro. Aveva fatto eseguire una meticolosa bonifica ambientale del loft, e si era accordato con la ditta per compiere quell’operazione una volta al mese. Era evidente che non si sentiva sicuro. Nemmeno in casa propria.
Lei lo strinse ancora una volta prima di allontanarsi quel poco per potergli parlare dolcemente. “Che cosa hai sognato? Era così spaventoso?” mormorò lei cercando di portarlo alla realtà.
“E’ la fuori Beckett, e ha usato me, mi ha usato per scappare.”
Lei scosse la testa. “Gli hai sparato, è morto. E’ finita…” mormorò per cercare di convincerlo, o quantomeno per tranquillizzarlo. Anche lei dubitava di quelle parole ma non voleva che Castle lo sapesse, avrebbe avuto incubi anche peggiori e non desiderava ingigantire le sue paure. Voleva tranquillizzarlo e non poteva certo farlo assecondando le sue paure.
Castle sospirò scuotendo il capo.
Kate si sporse verso il comodino alla sua destra e accese la lampada. Poi tornò a guardarlo. Aveva i capelli arruffati e lo sguardo spaventato. Quello sguardo da ragazzino impaurito che aveva già visto quando lo avevano rinchiuso in quella cella al distretto e che l’aveva commossa.
Il respiro di Castle si normalizzò. Lui si passò una mano sul viso e con l’altra mano si staccò la maglietta madida dal petto.
“Forse è il caso che mi faccia una doccia” mormorò sospirando.
“Che cosa hai sognato?” Chiese nuovamente Kate andando a mettersi di fronte a lui e tornando ad accarezzare il suo viso.  Castle rimase in silenzio raccogliendo i pensieri. Strinse la sua mano a quella di lei posata sulla propria guancia e chiuse gli occhi.
“Voleva ucciderti, lo stava per fare…”
“Lo hai fermato, sei stato bravo.” Rispose lei di getto. Castle si avvicinò e la baciò trattenendo il suo viso vicino al proprio.
“Ho paura che possa accadere di nuovo” mormorò a bassa voce. “Ho paura che possa prendere di mira Alexis, o a te, a mia madre o ai nostri amici. Ci ha colpiti due volte e se l’è sempre cavata, potrebbe rifarlo.”
Kate scosse il capo. “No, non potrà più farlo.” Lui scrutò nei suoi occhi in cerca di sicurezza e Kate desiderò di essere sufficientemente credibile. Lui sapeva vedere i suoi dubbi, non voleva percepisse i suoi timori su quella dannata storia.
Il corpo non era stato trovato ed il caso archiviato. Il dubbio però era legittimo. Castle poteva aver ragione. Il triplo omicida poteva aver architettato tutto non solo per vendicarsi di Castle, ma per divertirsi a giocare con loro, per poi sparire platealmente facendosi credere morto. Si sarebbe di nuovo fatto cambiare i connotati? In quel caso Kate si auspicò che il bastardo crepasse sotto i ferri per una plastica facciale non andata a buon fine. Castle aveva dovuto sborsare una cospicua cifra come sanzione per la sua fuga, e Kate aveva ringraziato mentalmente il suo avvocato per aver procurato quel qualsiasi cosa che aveva tenuto il suo uomo lontano da celle di detenzione preventiva. Quel figlio di puttana ci era andato vicino a rovinare la sua vita, e mettere anche lei in condizioni di dubitare della sua lealtà.
“Lui ci ha spiati, ci ha guardato fare l’amore… lui ha violato tutto quello che ritengo più personale al mondo: la mia casa, la mia storia con te, la mia famiglia.”
Kate annuì. Quell’aspetto infastidiva molto anche lei. Sapere che qualcuno si fosse intrufolato nelle loro case per spiarli in un momento così intimo e in cui erano così vulnerabili la inorridiva e la faceva imbufalire allo stesso tempo. Il bastardo che aveva messo quella dannata paura nel cuore di Castle stava bene sotto tre metri di terra o mangiato dai pesci dell’Hudson.
Quella rivelazione aveva portato entrambi, ma soprattutto Castle, a sentirsi a disagio a casa propria, nel proprio letto, persino nel fare l’amore con lei. Nelle prime notti insieme, dopo quel maledetto giorno, non riusciva nemmeno a rilassarsi, non dormiva. Restava vigile e teso, e dopo una settimana sembrava sfinito. Un po’ alla volta lo stava logorando e non avrebbe permesso che la situazione andasse oltre. Rivoleva il suo uomo caldo e passionale come lo era sempre stato. Voleva fare l’amore con lui in assoluta libertà, senza quelle paure.
“Lo so, è orribile. Ma non potrà più farci del male. Te lo prometto…”
“Kate…” mormorò piano l’uomo, sospirando. Forse lui aveva percepito il suo dubbio, ma ora doveva percepire solo la sua rabbia perché i suoi occhi la fissavano preoccupati.
“Come si impara a vivere con questo?” La sua richiesta era quasi una preghiera.
“Ci si abitua. Prima di tutto questa gente è feccia e non ci si può fare annientare la vita dalla paura che cercano di infonderci…” Lui la guardò serio.
“Noi siamo i buoni. Non possiamo farci spaventare dalle minacce, altrimenti non riusciremmo in questo lavoro. Non saremmo in grado di farlo.” Lei gli sorrise.
C’erano stati casi in cui Castle aveva vissuto da vicino il fallimento. I caso del triplo omicida per primo aveva messo davanti agli occhi di Castle il dilemma del lavoro del poliziotto in uno degli aspetti più cruciali come il fallimento. Poteva accadere, erano umani in fondo. Quella situazione rendeva labile lo sforzo fatto da tutti e dava quella sensazione di precarietà che faceva paura, che instillava il dubbio. Ma se ci si lasciava catturare da quella paura a nulla sarebbero serviti gli sforzi per essere dalla parte delle vittime, perché si finiva col vivere come vittime, e non come fautori di speranza e giustizia. Qualcuno doveva portare giustizia alle vittime e speranza ai superstiti.
“Noi siamo i buoni… Ma possiamo diventare vittime, dobbiamo lottare quotidianamente per non diventarlo.” Disse Castle abbassando il capo.
“Già. E non lo diventerai. Non lo diventeremo.” Kate pronunciò con forza quelle parole. Aveva vissuto il dramma dell’omicidio di sua madre vivendo per una mezza vita come vittima. Non ci sarebbe ricaduta e non voleva che Castle finisse per essere tormentato da quel pensiero.
Non lui, lo spensierato, infantile ed egocentrico uomo che amava. Lo amava così e lo rivoleva indietro.
“Mi ha risparmiato la vita due volte perché con me si diverte? Come il gatto con il topo?” Questa volta, dal tono della voce, Castle sembrava più arrabbiato che impaurito. Lei gli alzo il viso imbronciato con la mano, e gli sorrise di nuovo. “Sei stato in gamba nell’arrivare a lui la prima volta, ti ha considerato una buona sfida. Ma non ha fatto i conti con la nostra squadra, noi siamo quattro e lui uno solo. Castle abbozzò un sorriso. “Nostra?” sottolineò con una punta di curiosità nello sguardo. Stava uscendo dal momento di crisi.
“Beh, sì. Ma non montarti troppo la testa.” Rispose stringendogli la mano, ancora aggrappata al lenzuolo umido.
Stavolta fu lui a baciarla. Un bacio dolce e pieno di gratitudine.
Il sonno se n’era andato definitivamente.
“Vai a farti la doccia. Cambio le lenzuola e poi preparo un caffè…” mormorò sulle sue labbra. Erano solo le tre e mezza di notte, ma era chiaro che entrambi non avevano bisogno di dormire, almeno non subito. “Ok.” Replicò Castle alzandosi dopo di lei e levandosi la maglietta. “E’ così fradicia che la posso strizzare…”
“Non qui!” Replicò lei sorridendo e scambiando uno sguardo con lui prima di dirigersi verso l’armadio della biancheria. Era più rilassato.
“Grazie” rispose avvicinandosi e baciandola prima di eclissarsi in bagno.
In altre circostanze Kate lo avrebbe raggiunto sotto la doccia per dimostrargli quanto lo desiderasse. Quanto voleva riavere le loro notti, che fossero fatte di passione bruciante o di serena tranquillità nello stare l’uno nelle braccia dell’altro. Doveva cercare di sciogliere quel nodo di paura nel suo cuore, e l’unico modo era parlarne, fargli capire che non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male. Per troppo tempo lei e Castle si erano limitati a ignorare gli eventi che erano accaduti, che li avevano coinvolti entrambi personalmente e questo aveva complicato sempre tutto. Non avrebbe permesso ad un maniaco omicida di rovinare il loro tempo insieme.
E poi dovevano rallegrarsi del fatto che Ryan, Esposito e Lanie erano al corrente della loro relazione e nessuno aveva accennato a complicare le cose con domande o situazioni imbarazzanti. Avevano capito ed accettato la situazione senza farla sentire a disagio. L’aveva confessato lei stessa a Lanie, si era trovata in una situazione emotiva troppo difficile da gestire da sola e la sua amica non si era schierata, ma l’aveva portata a riflettere. Lei conosceva a fondo Castle? Sì, lo conosceva e sapeva che non era in grado di fare certe cose. Lanie l’aveva lasciata sfogare così che fosse libera di pensare lucidamente.
Così, in men che non si dica in quel momento difficile era riuscita a liberarsi di un notevole peso che gravava sulla sua anima, facendola sentire meglio. Era felice che loro sapessero, ci sarebbero state meno menzogne, meno sotterfugi e di conseguenza meno tensione. Non poteva ora accettare quella nuova situazione, il disagio e la sensazione di essere stati violati nella loro intimità si sarebbe risolta solo parlandone. Dovevano affrontare il demone e Castle doveva accettare i fatti accaduti provando a non farsi sopraffare. Era la vita del poliziotto ed ora a Castle era ben chiaro quanto fosse difficile.
 
L’acqua calda gli scorreva addosso e gli portava sollievo così come le mani di Kate sul suo corpo poco prima. Il vapore aveva appannato le pareti di vetro del box doccia e lui ne approfittò per scrivere il suo nome. Lo scrisse più volte e sorrise tra se. Era bello scrivere il suo nome. Accanto al nome scrisse un “ti amo” e poi osservò la scritta imbarazzato. Stava diventando maledettamente romantico. Appoggiò la testa sul vetro proprio sulle parole appena scritte e chiuse gli occhi ascoltando il rumore dell’acqua. Si sorprese a desiderare di avere il suo coraggio e la sua determinazione. Sarebbe stato più facile in quel momento.
Pensò alle sue parole e al fatto che davvero quella dannata situazione lo stava logorando. Non voleva darla vinta a quel maniaco con la faccia di plastica. Il problema è che l’aveva punto sul vivo e la cosa proprio non riusciva a digerirlo. Tre punti di rabbia e altrettanti di umiliazione. Aver perso di nuovo con il triplo omicida gli rodeva, ma l’umiliazione di essere stato usato lo facevano ribollire. No davvero Kate aveva ragione, doveva evitare di lasciarsi manipolare da quello che era successo, avrebbe fatto il gioco di quel bastardo.
Ogni poliziotto era di fronte a effetti collaterali spiacevoli come quello per aver fatto il proprio lavoro ma aver fallito. Era anche peggio quando il poliziotto era troppo in gamba e si faceva molti nemici. Era il caso di Kate? Sì. Lei era davvero in gamba e lui era il suo partner lo sapeva bene.
“Molti nemici, molto onore” mormorò pensando ad un vecchio detto. Era stanco di avere quegli incubi. Riviveva nitidamente quel momento in cui inerme, dietro le sbarre della cella, Tyson si faceva beffe di lui raccontandogli cosa vedeva in casa sua, o quando lo seguiva per la città. Riviveva il momento in cui aveva preso Kate in ostaggio e puntava una pistola al suo petto. Doveva essere morto e invece…
Scusse la testa e l’infilò sotto il getto dell’acqua sciacquandosi il doccia-schiuma. Quando riemerse desiderò che quella sensazione di disagio se ne andasse del tutto.
Sono parte della squadra…” pensò infine. I pensieri si affollavano nella sua mente, tumultuosi e con troppe domande a cui dare risposta.
Come aveva potuto seguirlo come un’ombra senza che nessuno si accorgesse di lui, entrare in casa sua senza problemi. Seguirlo nei suoi movimenti. Sapeva quando andava fuori città per gli incontri con i fans nelle librerie, conosceva ogni minimo spostamento. Quanto tempo aveva dedicato a seguirlo e a studiare le sue mosse?
E per fortuna che c’era Kate, la sua fantastica donna. Senza di lei che sarebbe successo? Lei lo aveva difeso, gli aveva creduto quando tutto sembrava contro di lui, tutta la squadra lo aveva sostenuto quando era scappato. Aveva capito le sue indicazioni, si era ricordata e quando era comparsa in biblioteca sola, Castle avrebbe voluto gridare al mondo quanto fosse fantastica la donna che amava. Lei gli credeva. Si era presentata sola, credendo fino all’ultimo nella sua innocenza e rischiando in prima persona.
E poi quell’abbraccio vero, tanto desiderato. Aveva desiderato baciarla, stringerla di più ma non c’era stato il tempo. Se non ci fosse stata lei chissà che fine avrebbe fatto.
Ripensò anche alla Gates. Aveva avuto la netta impressione che lei non avesse calcato la mano nei suoi confronti. Durante l’interrogatorio aveva avuto la sensazione che lei non credesse veramente alle accuse mosse nei suoi confronti. Chissà forse, bamboline a parte, aveva finito per affezionarsi a lui. Non lo aveva aggredito come faceva di solito. Era stata anche piuttosto comprensiva.
E per fortuna che nelle foto scattate dal triplo omicida non c’era nulla di compromettente per lui e Beckett. La Gates lo avrebbe “dimesso” a tempo di record. Almeno non li aveva fotografati mentre stavano a letto. Era nella possibilità di farlo, ma forse non era interessato a quell’aspetto della sua vita. Voleva solo ferirlo e vendicarsi.
Usarlo. La rabbia tornò a ribollire nel suo petto. Strinse i denti e diede un colpo sordo con la mano sul vetro facendolo tremare.
 
Kate aprì la porta del bagno e lo vide appoggiato al box doccia con il capo chino. Prese l’accappatoio dell’uomo e aprì il box destandolo dai suoi pensieri.
“Forza, esci ed asciugati, poi parliamo un po’…” gli disse incrociando quello sguardo ferito.  Kate avrebbe fatto di tutto pur di non vedere quegli occhi così tormentati.
Quando Castle riemerse dal bagno, la stanza da letto era in ordine. Il letto rifatto con lenzuola pulite e sentiva il profumo del caffè nell’aria. Quanto era stato in bagno a crogiolarsi in quei pensieri?
Sul letto Kate aveva preparato un paio di boxer puliti e una t-shirt che indossò lasciando cadere l’accappatoio sulla poltrona accanto alla porta. Aveva pensato a tutto. Era adorabile.
Quando raggiunse la cucina, Kate stava seduta sul bancone, indossando una sua maglietta e sorseggiando il suo caffè.
“Va meglio?” chiese quando lo vide arrivare.
“Sì” rispose lui senza troppa convinzione, raggiungendola.
“Castle, non sai mentire bene” rispose lei sorridendogli dolcemente, allungando la mano verso i suoi capelli arruffati e ancora umidi.
Entrambi risero stemperando la tensione. Lui appoggiò i gomiti al bancone accanto a lei, che gli passò una tazza di caffè fumante. Ne bevve alcuni sorsi prima di parlare. Era così bello stare accanto a lei, lo stava coccolando in fondo.
“Avanti…” disse lei rompendo il silenzio e invitandolo a chiedere.
“Sei davvero convinta che lui sia morto? Chiese Castle scaldandosi le mani sulla tazza del caffè.
“Castle…” prese a dire lei ma lui la fermò con un gesto della mano.
“Non c’era sangue, ho colpito al petto e non alla testa. Se aveva un giubbotto antiproiettile se l’è cavata Kate…” disse d’un fiato. “E niente corpo…”
Lei prese un altro sorso del suo caffè. Era inutile negare l’evidenza dei fatti che, purtroppo, Castle stava sottolineando con veemenza, ma doveva calmarlo.
“E’ caduto sotto i colpi di quanti proiettili? Cinque? Gli hai scaricato mezzo caricatore addosso. Anche con il giubbotto antiproiettile quei colpi li ha comunque accusati, erano in pieno petto. Cadendo nell’acqua stordito da tutti quei colpi, come pensi che possa essersi salvato?” lei replicò analizzando la situazione.
Si guardarono intensamente. Lui era maledettamente dolce e vulnerabile in quel momento. Lo accarezzò di nuovo. “Non lo so, ma so che è vivo.” Replicò lui sospirando.
“Ammesso che lo sia, credi davvero che voglia tornare a darci fastidio? Gli abbiamo dato del filo da torcere”.
“Gli ho dato l’opportunità di scappare e ricominciare a uccidere altrove.” Rispose lui tristemente. Era la seconda volta che succedeva.
Kate appoggiò la tazza al bancone e prese il suo viso tra le mani. “Non sei stato tu. Tu l’hai scoperto, hai fatto quanto sia stato in tuo potere per fermarlo. Non hai colpe.” Le sue parole erano dette dolcemente, ma nascondevano rabbia e frustrazione.
“Non potrà cambiare volto per sempre, non potrà sottoporsi ancora per molto a quel tipo di intervento. E’ già una maschera informe…” replicò lei cercando di farlo sorridere.
Lui scosse il capo. “Se è ancora vivo, starà lontano da noi. Gli conviene. Perché se solo si avvicina di nuovo nessuno di noi due colpirà al corpo, ma dritto alla testa.” Disse lei riprendendo a fissarlo negli occhi. Sapeva che le ore al poligono erano per allenarsi a sparare alla testa. Lo aveva visto e aveva capito.
“Credi davvero che abbia paura di me? Di noi?” Chiese ancora. “Io non penso. Per lui noi non siamo mai stati un problema, siamo oggetti nelle sue mani” sbottò frustrato cercando qualsiasi appiglio ma vedeva tutto nero.
Lei invece aveva occhi determinati e la sua forza lo fece sentire meglio. Sentì una delle sue mani abbandonargli il viso alla ricerca del suo caffè.  Lei prese la sua tazza e ne bevve un lungo sorso. “Sì, se è vivo dovrà avere paura di noi. Non ci ha diviso, non è riuscito a rovinare Ryan prima, e nemmeno te.  Ma ora noi siamo molto, molto arrabbiati con lui” disse, abbassando la voce in tono grave.
“Oh sì, deve averne…” aggiunse rialzando la testa e con gli occhi carichi di sfida. “Lo abbiamo fermato già due volte. Se mai farà la sua ricomparsa, dovrà pentirsene amaramente.”
La sua detective stava tirando fuori tutta la sua grinta e lui rimase ammaliato da tanta forza d’animo, da tanta bellezza. Era una fiera pronta a sfoderare gli artigli. Si ricordava nitidamente quell’episodio a Los Angeles, dove lei aveva inchiodato l’assassino del suo amico e collega Royce. Si ricordava perfettamente lo sguardo determinato che aveva avuto nel portare avanti quel caso. Splendida e letale. Aveva lo stesso sguardo deciso.
“Uragano Kate.” Replicò Castle sorridendo. Era riuscita a metterlo almeno di umore migliore.
Lui posò la sua tazza di caffè e si guardò intorno. La sua bella cucina era illuminata da alcuni led accesi sopra il bancone. Finalmente si sembrò di essere tornato a casa. Lei era avvolta da una luce morbida, proveniente dall’alto, e che e la faceva sembrare un angelo. “Sei davvero incredibile, non hai paura…”
“Ho smesso di averne tempo fa. Vedrai andrà tutto bene. “ Lo tranquillizzò.
Lui avvicinò il viso al suo e appoggiò il naso alla sua guancia, strofinandolo lentamente. Se non fosse stata troppo presa dal calore di quel contatto, Kate avrebbe giurato di aver sentito Rick fare le fusa.
Lei passò la mano nei suoi capelli. Lo rivoleva, lo desiderava incredibilmente.
“E’ stato a guardare mentre facevamo l’amore…” sussurrò lui con tono sommesso.
Lei si impose di sorridere. “Allora credo che abbia imparato qualcosa” replicò cercando di rendere quell’argomento più leggero. Sapeva che se fosse stata una cosa meno importante tra loro, non avrebbe giocato un ruolo così significativo nello sgomento subito da Castle. La loro relazione era molto diversa da quelle che avevano vissuto in precedenza, e la loro intimità aveva un valore diverso per entrambi, era molto di più che sesso.
Sebbene avessero vissuto quei momenti in modo giocoso e trasgressivo allo stesso tempo, erano consci che c’era qualcosa di più. C’era la passione, l’eccitazione fisica e soprattutto c’era amore: la differenza abissale tra il fare l’amore e il semplice sesso. Capiva ed era lei stessa inorridita da quella violazione della loro privacy, ma non per questo avrebbe lasciato che la paura la privasse di quella libertà di amare che era riuscita a conquistarsi da poco. Per il momento doveva trovare un modo per rendere quell’idea meno grave al suo uomo.
“Che intendi dire” replicò Castle con curiosità. Kate si avvicinò più a lui, cercando le sue spalle.
“Intendo dire che non siamo proprio due principianti in quel genere di cose…” replicò mordendosi il labbro inferiore a pochi centimetri dal suo viso, provocandolo deliberatamente.
“No, direi di no…” rispose lui allontanandosi dal bancone per lasciare che Kate gli cingesse i fianchi con le sue gambe nude. Accompagnò i suoi movimenti facendole scivolare le mani sulle cosce, completamente rapito dalla sua  sensualità.
“Al massimo può aver avuto bisogno di prendere aria” mormorò lei con fare suadente. Lui si stava lasciando andare. Le sue spalle tornarono ad essere rilassate e lo sentì inspirare profondamente.
“Maniaco omicida e voyeur... un sacco di virtù” disse, quasi divertito.
Si sorprese di essere arrivato quasi a riderne in pochi minuti. Lei lo stava facendo distrarre dai pensieri bui e ci stava riuscendo anche molto bene.
Non era mai stato il tipo d’uomo da farsi problemi in campo sessuale, aveva ben pochi tabù, ma lei era una cosa diversa, lei era speciale e credeva profondamente alla loro unione. Era stato complicato tra loro, ma così gratificante averla finalmente accanto. Avevano entrambi il loro passato, avevano avuto molte esperienze e lui doveva ancora scoprire quale fosse il cartone delle cose legate al passato selvaggio di Kate. Chissà, uno alla volta, i veli del loro passato sarebbero caduti, ma non aveva alcuna fretta. Il bello stava proprio nello scoprirsi insieme. Era stuzzicato da quel loro giocare, amarsi e giocare di nuovo. Detestava l’idea di essere stato spiato con lei perché sapeva di essere diverso e occhi attenti l’avrebbero capito. Ora lei era lì, senza paura e lo stava apertamente cercando. E lui si era fatto distrarre da quel maniaco. Castle si sentì stupido all’improvviso.
Aveva il paradiso tra le dita e Tyson non poteva nemmeno avvicinarsi all’idea di avere qualcosa di così bello, perché era un meschino bastardo, solo come un cane, e non avrebbe mai capito il valore di una relazione così intensa.  Loro stavano insieme, e qualsiasi cosa lui aveva cercato di fare per dividerli, erano rimasti insieme. Questo è quello che contava.
“Beh, credo che possa essere stato invidioso” aggiunse lui con una luce furba negli occhi, mentre le sue mani scivolavano sotto la sua maglia.
“Sei così bella da togliere il fiato…” mormorò infine cercando di raggiungere la sua clavicola con le labbra. Lei mormorò a bassa voce. “Oh sì…” sospirò con un gemito di piacere sommesso. Lui la sentì sciogliersi sotto le sue dita.
“E non mi dire che ti vergogni ad essere visto nudo. Non sei stato forse tu a rubare un cavallo a Central Park, ed a cavalcare senza vestiti in pieno giorno?” Lo stuzzico nuovamente Kate, riprendendosi da quel momento di piacere. Lo stava portando a liberarsi dei suoi timori. Non era un uomo che si vergognava di sé stesso, doveva tirare fuori il suo lato egocentrico. Quello che lo faceva essere vanesio e incredibilmente sfacciato. Ma anche sexy e provocante e deliberatamente spudorato tra le lenzuola.
Castle sgranò gli occhi, sorpreso. “Te lo ricordi ancora?” Chiese stupito, stringendola a se per sentire i loro corpi a contatto. Kate sentì quel calore crescerle in corpo, quel calore che nasceva dal desiderio e non voleva controllarlo.
“Certamente Castle. La tua fedina penale è un file che tengo costantemente aggiornato sul mio smartphone…” replicò provocandolo di nuovo con gli occhi.
“E, per la cronaca, mi sarebbe piaciuto vederti” aggiunse sorridendo maliziosa.
“Non vale, tu hai la mia fedina penale ed io non ho la tua…” disse prima di fargli scivolare la lingua sul collo.
“Non ho fedina penale sporca, sono un bravo sbirro…”
“Tutte scuse detective!” replicò di nuovo prima di baciarla. Stavolta non aveva nulla di casto. La divorò in un bacio passionale e languido. Kate si aggrappò al suo collo e sentì le mani dell’uomo scivolarle sulla schiena e trattenerla con più forza. Sentiva ora il corpo di lui stringersi al suo con quel desiderio inconfondibile di fondere i loro corpi. Si avvinghiò con più forza attorno alla sua vita, informandolo che desiderava solo che lui continuasse.
“Credi di resistere fino alla camera da letto?” apostrofò Castle tra un bacio e l’altro, prendendola in braccio.
“Non credo…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

  
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