You Belong
with Me
Kurt amava il silenzio. Il silenzio
era rassicurante. Il
silenzio lo aiutava a dimenticare quell’orrenda giornata
piena di rumori, che
aveva segnato per sempre la sua vita.
Per questo non parlava. Mai. Parlare era brutto. Parlare significava
riportare
la mente all’ultima volta che lo aveva fatto, e lui non
voleva. E parlare
significava raccontare a suo padre quello che era successo, e non era
pronto
nemmeno per quello.
Così si era costruito un muro di silenzio, che lo tenesse
lontano da tutte le
orrende parole che lo facevano stare male, lontano dai ricordi, e
lontano da se
stesso.
Odiava la scuola. Era troppo piena di rumori, di parole, di ragazzi che
usavano
la bocca solo per sparare frasi d’odio verso di lui. Prima
forse, Kurt avrebbe
ignorato quelle frasi e sarebbe andato avanti a testa alta. Ma adesso
quelle
parole lo riportavano a quella orribile giornata, facendogli venir
voglia di
vomitare.
Kurt non era sempre stato
così. Prima era un ragazzo
normale, in basso alla scala sociale, con qualche granita al lampone
tirata in
faccia, ma nel complesso un ragazzo felice. Perché aveva le
tre cose che amava
di più al mondo: i suo padre, il glee club e la musica.
Non urlare,
stupida
ragazzina, tanto nessuno ti verrà a salvare. Quelli come te
non meritano di
essere salvati.
A volte, quando i pensieri nella sua
testa sono troppo
confusi o diventano spiacevoli, fa come gli ha detto la psicologa:
pensa al suo
glee club. Ricorda i tempi in cui andava in giro con dei ponci
colorati, scarpe
alla moda e cappellini eccentrici. Ricorda quando i suoi compagni, anzi
che
prenderlo in giro, scherzavano un po’ con lui e lo ammiravano
per la sua
originalità. Vede Rachel
lo fulmina con
lo sguardo, quando ottenie più attenzioni di lei, Mercedes che lo costringe
ad andare a fare
shopping con lei o Brittany che gli chiede se quella è
l’ultima moda tra gli
unicorni.
Però arriva sempre quel momento in cui deve interrompere
prepotentemente i
ricordi, perché arriva sempre il momento in cui si ricorda
di Brad, il
pianista, che suona le prime note di una canzone, e si deve costringere
a
scacciare il ricordo prima che qualcuno inizi a cantare.
Perché le canzoni sono piene di parole, e lui odia le
parole. Odia le canzoni,
e odia non poter stare nel glee club.
Mercedes aveva tentato più
volte di portarlo nell’aula canto,
perché sperava che stare li lo avrebbe aiutato a superare il
trauma e tornare a
parlare. Aveva chiesto a Puck di portarcelo di peso, ma una volta
entrato
nell’aula, Kurt aveva urlato con tutto il fiato che aveva in
corpo. Era stato
il primo suono che aveva emesso dall’orribile giornata.
In quel momento Kurt era sdraiato sul
suo letto, con le
braccia distese sui fianchi e lo sguardo rivolto al soffitto.
Attualmente la sua
camera era la soffitta, la stanza più silenziosa della casa.
Nella sua vecchia
camera, al piano di sotto, non poteva più dormire,
c’era troppo rumore.
La soffitta era uno spazio grande, un po’ consumato e
trascurato, ma con il
tocco di Kurt era più accogliente. Il suo letto da una
piazza e mezzo poggiava
su una delle quattro pareti. Alla destra del letto aveva una grande
finestra
che dava sulla casa accanto alla loro, mentre sulla sinistra
c’era la
cassettiera, che un tempo usava per i suoi trattamenti alla pelle, e la
porta.
Di fronte al letto aveva il suo grande armadio e una scrivania
nell’angolo, che
non usava mai poiché preferiva studiare sul letto.
Gli piaceva la sua nuova camera, li è al sicuro. Suo padre
aveva il divieto di
salire, tranne nei casi di emergenza, e nessuno lo veniva mai a
disturbare.
Ma c’era un altro motivo per cui Kurt adorava la sua nuova
camera. E dalla luce
che proveniva dalla casa accanto alla sua poteva capire che era appena
arrivato
a casa.
I pensieri sul suo vicino di casa si accavallarono uno
sull’altro, e Kurt usò
la tecnica della psicologa per calmarsi.
Ricordò quando gli Anderson si trasferirono la prima volta a
Lima, un anno fa.
Era un fenomeno curioso, visto che dal punto di vista di Kurt bisognava
essere
pazzi per abitare in quella città di spontanea
volontà.
Ma quando aveva visto quella folta chioma di capelli ricci, aveva
ringraziato
che esistesse qualcuno di così pazzo.
Ricordò quando aveva
pensato che il figlio degli Anderson,
Blaine fosse speciale. L’aveva intuito dalle fossette che si
formavano sulle
guance quando sorrideva, dal suo essere perennemente allegro, e dai
suoi occhi
dolci. Kurt non l’aveva mai visto da vicino, troppo timido
per andare da lui e
fare amicizia, ma immaginava che i suoi occhi fossero nocciola scuro. O
chiaro.
Tuttavia, quando concentrava i
pensieri su Blaine, il metodo
della dottoressa non aveva intoppi. Kurt non interrompeva mai i ricordi
che ha
di Blaine, troppi per un ragazzo che non conosceva nemmeno di persona.
E la cosa più curiosa di questi ricordi era che buona parte
sono del vicino di
casa che cantava. Che apriva un poco la finestra della sua camera e si
esibiva
in assoli di Katy Perry e di lui che, al piano di sotto, apriva di
nascosto la
finestra per far entrare un poco di quella musica in camera sua.
Era rimasto sorpreso quando si era reso conto che ricordare Blaine che
cantava
non lo faceva stare male, ma lo tranquillizzava.
Da quando l’aveva capito, aveva la finestra della soffitta
quasi sempre aperta
così quando il vicino di casa cantava, lui lo poteva sentire
e, trovandosi
entrambi allo stesso piano, la musica arrivava più chiara
alle sue orecchie.
Kurt non si era mai preoccupato del fatto che Blaine potesse vederlo da
camera
sua, perché semplicemente non credeva che lo avesse mai
notato.
Quando percepì la luce
della camera di Blane accendersi, si
voltò verso la finestra con un grande sorriso. Fu sorpreso
di non vedere il
solito ragazzo allegro e spensierato, ma uno arrabbiato che urlava al
telefono.
Kurt ebbe un forte capogiro, perché la casa era abbastanza
vicina da far
sentire le urla di Blaine. E Kurt odiava le urla, quanto le parole.
saltò giù dal letto e chiuse la finestra,
rischiando di inciampare sulla borsa
che aveva abbandonato accanto al letto.
Si accasciò contro la parete sotto la finestra e mise la
testa tra le mani.
Brutto
Frocio di
Merda. Non meriti di vivere. Persone come voi non devono esistere.
Tutta colpa di tua madre che ti ha fatto nascere.
Non si era accorto delle lacrime che
avevano iniziato a
scendere, finchè non sentì qualcosa colpire la
sua finestra. Spalancò gli occhi
sorpreso, e rimase immobile. Quando di nuovo qualcosa colpì
la sua finestra,
capì di non esserselo immaginato.
Si pulì velocemente la faccia, e si alzò piano
piano.
Blaine lo fissava con apprensione, dalla sua camera. –tutto
okay?- gli chiese,
a voce alta.
Kurt arrossì imbarazzato. Lo aveva visto? Aveva visto il
terrore nei suoi occhi
quando aveva chiuso la finestra?
Il ragazzo cercò velocemente il suo blocco di fogli tra i
libri sul letto.
Afferrò un pennarello grosso e scrisse qualcosa.
Tranquillo,
sto bene
Sentì per l prima volta la
risata di Blaine. Era così
limpida dolce e perfetta, che Kurt sapeva che sarebbe stato il primo
ricordo a
cui aggrapparsi nella prossima crisi.
Lo vide cercare qualcosa in camera sua. Per suo grande dispiacere il
ragazzo
scomparve dalla sua visuale, ma tornò quasi subito con un
blocco molto simile
al suo.
Ti ho
disturbato?
Aveva scritto sul foglio. Kurt
sorrise. Per un attimo aveva
avuto paura della solita insopportabile domanda “perché non parli?”.
No,
figurati. Brutta
giornata?
Si azzardò a chiedere.
Ho litigato
con il mio
ragazzo.
Mi dispiace,
stai
bene?
Si, grazie.
penso di
lasciarlo .
Kurt evitò accuratamente
di lanciare un gridolino
soddisfatto, e si affrettò a scrivere
qualcos’altro sul suo foglio.
Sono
contento di
parlare con te
Ma quando si voltò verso
la camera del suo vicino, le tende
erano tirate.
˜--˜
Quella fu solo l’inizio di una serie di chiacchierate tramite
“foglio”. Si
parlavano così quasi tutte le sere, finché uno
dei due non crollava dal sonno o
doveva studiare.
Kurt si accorse, e come lui suo padre, che era felice per la prima
volta da
tanto tempo. Quella mattina si era perfino avvicinato al glee club,
quando
avevano finito le prove.
Entrò sorridente in camera sua, e sbirciò dalla
finestra la camera del suo
amico. Lo vide seduto con il blocco in mano che scriveva qualcosa. Kurt
afferrò
un vecchio tappino di penna, e lo lanciò contro la sua
finestra, per chiamarlo.
Il riccio sussultò, poi gli regalò uno dei suoi
meravigliosi sorrisi.
Che
scrivevi?
Gli
chiese Kurt curioso. Sapeva che quel blocchetto lo usava solo
per parlare con lui.
Nulla di
che. Pronto per il ballo di fine anno?
Non ci vado,
non mi
interessa.
Mentì Kurt. Non voleva
dirgli che le chiacchiere e la musica
sarebbero state troppo da sopportare per lui.
Peccato.
Speravo che
venissi.
Hummel sussultò, sorpreso
da quello che aveva appena letto.
Non sapeva che cosa rispondere, così scrisse la prima cosa
che gli venne in
mente.
Alzò lo sguardo e vide che Blaine se ne stava andando, dopo
avergli fatto un
cenno con la mano. Kurt rispose con un saluto e guardò
curioso dove stesse
andando.
Notò la decappottabile blu davanti a casa Anderson, guidata
da un bel ragazzo.
Blaine salì senza esitazione, e lo sconosciuto gli
circondò le spalle con un
braccio.
Kurt pianse sulla frase che aveva scritto.
I love you
˜--˜
Ormai era
arrivata la sera del ballo. Kurt sapeva che Blaine non
sarebbe andato con il suo ragazzo, che lo aveva mollato davanti a tutta
la
scuola sul campo da football, ma non poteva andare.
Blaine era in camera sua, bellissimo con quel gilè e il
papillon nero, e pronto
per andare.
Vieni sta
sera?
Sapeva
già la risposta, ma sperò comunque in un
cambiamento di
programma.
No, studio.
Vorrei che
ci fossi.
Kurt gli
sorrise malinconico, e attese che il ragazzo uscisse
dalla camera, prima di buttarsi sul letto, sconsolato.
Lo sguardo cadde inevitabilmente sul vecchio foglio che aveva scritto
giorni
fa, e capì qual era la cosa giusta da fare.
˜--˜
La sala era piena di ragazzi che
ballavano, urlavano per
sovrastare la musica assordante e che si ubriacavano senza nessun freno.
Era il regno del caos e del rumore, quindi che ci faceva li vestito di
tutto
punto? Credeva forse che non sarebbe arrivata una nuova crisi pronta a
colpirlo?
Schifoso
bastardo, io
odio i tipi come te. Dovreste finire tutti all’inferno!
Le gambe di Kurt tremarono, mentre
gli occhi divennero
lucidi e la vista annebbiata. La testa gli girava
Ti
ucciderò, come
merita ogni essere come te.
I
ricordi riaffioravano
prepotentemente nella sua mente.
Sai
cos’ho nella
giaccia? Un coltello, e non vedo l’ora di scoprire quando
deve scendere in
profondo sulla tua carne prima di farti sanguinare.
L’uomo
che lo aveva
colto di sorpresa mentre usciva da uno dei pochi bar gay della
città, e lo
aveva trascinato in quel magazzino buio.
La musica a palla che proveniva dal locale accanto, dove ragazzi come
lui si
stavano divertendo, ignari di ciò che accadeva a pochi passi
da loro.
NON URLARE
CHECCA
ISTERICA, LE PERSONE COME TE MERITANO SOLO DI SOFFRIRE!
Non era più al ballo, era
di nuovo in quel magazzino, con
quel pazzo omofobo fuggito dalla prigione di Columbus, che lo aveva
preso di
mira senza un perché.
Delle braccia lo afferrarono e lui si
dimenò, convinto di
trovarsi nel magazzino con l’uomo che gli aveva lasciato
quelle cicatrici sia
nella pelle, che nella testa.
Solo quando lo chiamò ripetutamente per nome, si accorse che
non era più nel
magazzino, e che quello era Blaine.
Gli lanciò uno sguardo supplichevole, e il riccio lo
portò fuori dalla sala,
incurante degli sguardi dei suoi compagni, o
dell’indignazione del suo ex.
L’unica cosa che importava era aiutare Kurt, subito.
Accompagnò il ragazzo alla
panchina dell’autobus di fronte
alla scuola e attese che si calmasse.
-Kurt, perché sei qui? Non dovevi stare a casa per
studiare?- gli chiese
apprensivo, quando si fu calmato.
Kurt prese dei lunghi respiri profondi e finalmente smise di tremare.
Guardò Blaine negli occhi, e ci trovò la calma e
la forza di cui aveva bisogno.
Lentamente sfilò il foglietto che teneva nella tasca interna
della giaccia, lo
aprì e glielo mostrò.
I love you
Blaine fissò il foglio tra
un misto di sorpresa e felicità.
Non disse nulla, lasciando Kurt a trattenere il fiato, e
sfilò un foglio simile
al suo dalla tasca del pantalone.
I love you
Kurt non ebbe il tempo di realizzare
quello che era
successo, che Blaine si era fiondato sulla sua bocca. Le labbra del
riccio
erano calde e carnose, mentre quelle di Kurt, per l’umido
della sera, erano
fresche e screpolate.
Da un semplice sfioramento di labbra, divenne un bacio più
caldo e passionale,
dove le loro lingue si scontravano e si esploravano a vicenda.
Un giorno, Kurt avrebbe spiegato a
Blaine perché non
parlava. Gli avrebbe detto che era stato aggredito da un pazzo e
omofobo
carcerato, all’uscita di un bar. Gli avrebbe raccontato che
l’unico modo che
aveva di superare i brutti ricordi era sentirlo cantare.
Un giorno, Blaine gli avrebbe detto
che i suoi genitori si
erano trasferiti li perché si vergognavano di mostrare loro
figlio in giro. Gli
avrebbe spiegato che aveva litigato e mollato il suo ragazzo
perché era
innamorato del suo silenzioso vicino di casa dal primo momento che
l’aveva
visto. Gli avrebbe raccontato che una volta l’aveva sentito
cantare al glee
club, e si era innamorato della sua voce.
Un giorno, si sarebbero aiutati a
vicenda fino a essere
finalmente felici.
Ma adesso, Blaine apparteneva a Kurt,
e Kurt apparteneva a
Blaine, ed era l’unica cosa di cui avevano bisogno.
Miky’s corner
Eccomi qui con questa nuova klaine!
Sono parecchio nervosa,
è la prima volta che scrivo qualcosa di questo genere,
quindi vi prego non
siate cattivi ^^
Mi scuso con i fan di Taylor Swift per aver scritto la canzone (che
è dolce e
allegra) in versione angst. Mi ha ispirato verso questo genere e non ci
ho
fatto nulla.
Ci tengo a precisare che non sono fatta per l’angst, e quindi
mi scuso anche
con i veri fan di questo genere per la mia inesperienza ^^
Bene adesso vado. Se mi faceste spere
che ne pensate sarei
tanto felice, ci tengo molto a questa one shot, ed è bello
sapere che ne
pensate.
miky