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Autore: Gaia Bessie    02/11/2012    4 recensioni
Una pallina di vetro cadde sul pavimento, rompendosi in un milione di minuscoli frammenti. L’effige della regina Elizabeth I giaceva frammentata sul pavimento, una fiamma rossastra sul vetro che ricordava i capelli dell’antica regina. Un regalo del padre, di pessimo gusto, per lo scorso Natale. Il primo da sola, recitò mentalmente. E lui le aveva regalato tre palline come quella, dove le avesse prese restava un mistero, un regalo per festeggiare l’indipendenza della sua unica figlia. Sempre che fosse legittimo chiamarla indipendenza, dato che quella era una sistemazione più che provvisoria. Quella definitiva era prontamente stata rimandata alle calende greche, da qualcuno che era senza dubbio più importante di lei. Sbuffò, mentre raccoglieva i cocci e si feriva le dita delicate.
(...)Rachel ebbe la certezza che no, quello non era un caso. Di tre regine, una sola era rimasta. Forse la meno importante, quella dimenticata da tutti e che ora la scrutava con i suoi occhi dipinti. S’impose di respirare profondamente, liberando quell’aria che i suoi polmoni avevano imprigionato. In fondo non doveva per forza essere un segno, no?
{Apollo/Rachel | One shot | What if? | Possibile OOC}
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altro personaggio, Rachel Elizabeth Dare
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia sociA, la Gin
perché adesso siamo in due a shippare questo Pairing



Una pallina di vetro cadde sul pavimento, rompendosi in un milione di minuscoli frammenti. L’effige della regina Elizabeth  I giaceva frammentata sul pavimento, una fiamma rossastra sul vetro che ricordava i capelli dell’antica regina. Un regalo del padre, di pessimo gusto, per lo scorso Natale. Il primo da sola, recitò mentalmente. E lui le aveva regalato tre palline come quella, dove le avesse prese restava un mistero, un regalo per festeggiare l’indipendenza della sua unica figlia. Sempre che fosse legittimo chiamarla indipendenza, dato che quella era una sistemazione più che provvisoria. Quella definitiva era prontamente stata rimandata alle calende greche, da qualcuno che era senza dubbio più importante di lei. Sbuffò, mentre raccoglievai cocci e si feriva le dita delicate.
Di tre, solo una era sopravvissuta. Mary Stuart ed Elizabeth erano finite sul pavimento lucido del soggiorno, proprio ai piedi dell’albero, lasciando a Rachel l’ingrato compito di pulire. Solo una rimaneva, spavalda, appollaiata sul ramo più alto. Casualmente, era quella che Rachel odiava di più. Sbuffò, mentre controllava l’entità della ferita. Una goccia di sangue scarlatto macchiò il tessuto lieve ed inconsisente della vestaglia che indossava.
Rachel alzò lo sguardo, verso quell’ultima pallina, come se credesse che quella fosse sul punto di cadere. Forse lo sperava, in verità, oppure voleva solo dimostrare a sé stessa che quello fosse solo un caso. Un difetto dell’albero, magari, o di quelle orribili e pacchiane palline. Invece, dall’alto dell’albero di Natale, Anne Boleyn le restituì lo sguardo. E Rachel ebbe la certezza che no, quello non era un caso. Di tre regine, una sola era rimasta. Forse la meno importante, quella dimenticata da tutti e che ora la scrutava con i suoi occhi dipinti. S’impose di respirare profondamente, liberando quell’aria che i suoi polmoni avevano imprigionato. In fondo non doveva per forza essere un segno, no?



December, 23

A dicembre, la casa di Rachel Elizabeth Dare era la desolazione più totale. Un Natale solitario, in una casa provvisoria, suonava triste come la melodia stonata di un vecchio carillon. Fuori non nevicava, ma faceva così freddo che pochi avevano il coraggio di allontanarsi dalla tiepida consolazione del focolare domestico, per avventurarsi in quella foschia che avvolgeva la città. L’aria pesava addosso alla città come un giogo, impediva che le feste scorressero liete come al solito. Rachel sbuffò, mentre si stringeva in una vecchia coperta scarlatta che non le regalava nemmeno un briciolo di calore, l’orolo scucito da mani che non avevano niente di meglio da fare. I piedi rimanevano fuori, adagiati sul divano e prede di quel freddo che si attaccava alle ossa. Sfregò le mani fra di loro, sperando di ritrovare la sensibilità perduta.
-Freddo?- domandò una voce alle sue spalle e lei, in un attimo, si figurò quel sorrisetto compiaciuto che fin troppo bene conosceva. Sorrise quasi, anche i muscoli facciali si erano intorpiditi, quando lui scivolò sul pavimento, accanto a lei. Strano rapporto, il loro. Silenzi ostinati da parte di Rachel, parole ancora più ostinate da parte di Apollo. Probabilmente avrebero smesso durante quel famoso e, forse, definitivo giorno delle calende greche.
-Assolutamente no- ribatté Rachel, i denti che sbattevano producendo una strana musichetta. –Stavo proprio per uscire, dato che qui fa così caldo.
Apollo sorrise, sinceramente divertito, mentre le dava un buffetto sul ginocchio. Non ritirò la mano, quando vide il viso di lei acquisire un po’ di colore. Rachel, però, non smise di battere i denti.
-Se vuoi ti accompagno- fu la risposta di Apollo. Si alzò, per scivolare accanto a lei sul divano, anche solo per trasmetterle quel poco di calore che il suo corpo tratteneva. Appoggiò la testa sulla sua spalla, come un uomo qualunque avrebbe fatto con una fidanzata. Il fatto che l’uomo fosse il Dio greco del sole e la ragazza l’Oracolo di Delfi, era del tutto irrilevante. Lo sguardo del Dio si posò sui cocci dispersi sul pavimento, rimasugli di un’infruttuoso tentativo di Rachel di togliere di mezzo gli ultimi resti di quelle palline.
-Cosa sono?- domandò, curioso.
Rachel fece per alzarsi, la prese di Apollo che la teneva legata al divano, lo sguardo puntato sull’unica superstite.
-I cocci di uno stupido regalo di mio padre- rispose Rachel, secca. –E’ stato un incidente.
Apollo annuì, sovrappensiero. –Addobbi?-  chiese, indicando con un gesto della mano appena accennato, quel che rimaneva della regina Elizabeth.
-Stupide palline di vetro- chiarì Rachel. –Su tre, una sola non si è rotta.
Apollo annuì, mentre con una mano sistemava un ciuffo ribelle di capelli biondi. Il suo sguardo cadde sulla pallina sopravvissuta, appesa in precario equilibrio, di proposito. Per qualche strano motivo, Rachel desiderava con tutta sé stessa che quell’orrore si disintegrasse, ponendo fine ai suoi dubbi.
-Anne Boleyn?- domandò Apollo, una nota di divertimento nella voce. –Non poteva scegliere meglio. Davvero appropriata.
Quasi rise, di fronte all’espressione perplessa di Rachel. Si fece più vicino, come se avesse dovuto svelarle qualche vergonoso segreto, che nemmeno i muri avrebbero dovuto udire.
-Aspeta, fammi indovinare. Era un tuo Oracolo?- chiese Rachel, divertita. –E magari Elizabeth non era figlia del re, ma una Mezzosangue figlia di Apollo.
Apollo fece un cenno di diniego con la testa, cercando di far trasparire un briciolo d’innocenza dai suoi occhi chiari e fallendo miseramente. –No- spiegò, calmo. –Era lei stessa una Mezzosangue, figlia di Afrodite. E questo, se ci pensi, spiega davvero molte cose.
-Perché si è lasciata giustiziare?- domandò Rachel, ricordando vagamente la storia di quella donna così, secondo il suo parere, poco interessante. –Non avrebbe potuto… combattere?
Apollo non rispose. Chiuse leggermente gli occhi, prima di scuote la testa e sorridere. –Non importa- disse, semplicemente. –E’ solo una vecchia storia di nessuna importanza.
Rachel annuì, mentre socchiudeva gli occhi, di fronte alla luce troppo chiara della luna che faceva capolino dalla finestra. Per un momento, Apollo pensò che Rachel fosse fatta di vetro. Poi si lasciò alle spalle quella sensazione, cercando di convincersi che fosse solo un’impressione dovuta a quella vecchia storia. Nessuno ne parlava mai.
(Non capisci, Rachel
Che non si può fare nulla
Per sfuggire dal destino?)

Di notte, Rachel dormiva poco, presa com’era a combattere contro i suoi incubi. Si svegliava all’una, ogni volta, cercando di ricordare che avvertimento aveva sognato. Raramente dimenticava i suoi sogni ma, in quel periodo, quelli iniziavano a sfuggirle come acqua fra le dita. Ricordava solo un bagliore perlaceo ed occhi neri che non riconosceva. Ed il vuoto che la divorava, lentamente. Quella notte si alzò in punta di piedi, per non svegliare il dio addormentato al suo fianco, il viso rosso ed i capelli pieni di nodi. Si trascinò fino al salotto, dove la pallina di Anne Boleyn continuava a resistere stoicamente, nonostante fosse nella posizione più precaria possibile. Rachel sospirò, mentre si rannicchiava sul divano, le braccia che cingevano le ginocchia.
-Non riesci a dormire?
Rachel annuì, convinta che lui fosse in grado di vederla, senza però crederci davvero. Chiuse gli occhi, cercando di arrestare il tremore che le aveva invaso il cuore.
-Posso farti compagnia, ancora è presto.
-Mi racconti una vecchia storia?- chiese Rachel, come una bambina. In quel momento, lei stessa si sentì fragile come quelle palline di cristallo. E si chiese se il suo destino fosse rompersi prima di quelle famose Calende Greche.



December, 24

Odiava la vigilia di Natale. Odiava il Natale. Un tempo l’aveva odiato per quelle cene che suo padre organizzava, ogni anno, e lei era obbligata a recitare il suo ruolo di unica figlia. Da quando si era provvisoriamente trasferita, suo padre non aveva fatto che cercare di convincerla a presenziare a tutte le sue cene di lavoro. E lei aveva cortesemente declinato i suoi inviti, ogni volta. Si diede della stupida, mentre le bollicine dello champagne le pizzicavano la gola.
Odiava il Natale. No, si disse. Odiava il Natale a casa dei suoi genitori, circondata dai nuovi imprenditori che non le ispiravano nessuna simpatia. Damerini, pensò divertita. In completi inamidati e con un sorriso falso. Combinazione perfetta.
Lo sguardo di Rachel si posò sull’albero di Natale di suo padre, pieno di palline rosse ed una sola che si differenziava da quella combinazione studiata. Anne Boleyn sembrava quasi ridere di lei, imprigionata in quella pallina di vetro.
-Bella, vero?- chiese un ragazzo dai capelli neri, indicando quell’addobbo di pessimo gusto. –Non ho mai visto niente del genere. Prima, Mr Dare ne aveva altre tre, ma credo che si siano  rotte…
Rachel trattenne il respiro, quasi del tutto involontariamente. Una sopravvissuta. Quasi urlò, quando il ragazzo sconosciuto le posò una mano sulla spalla.
-Sono Peter Johnson, piacere.
Rachel borbottò il suo nome a bassa voce, senza guardare negli occhi il suo interlocutore. Solo una sopravvissuta. Le altre due erano esplose in milioni di frammenti.
-Hai detto che ne aveva altre, di quelle?- domandò Rachel, perplessa. Indicò il volto dipinto sul vetro, la figlia di Afrodite, aggrottando le sopracciglia.
Peter annuì, senza scomporsi. –Quattro palline, me le ricordo bene- dichiarò, mentre la scortava fuori, senza che lei se ne accorgesse. –Quattro regine.
Rachel sobbalzò, quando una ventata d’aria gelida le rinfrescò il viso. –Devo andare- mormorò, quando lo vide farsi troppo vicino. Primo inconveniente dell’essere l’Oracolo di Apollo: non potere avere relazioni.
-Dai,  resta- disse lui, gentile. Le prese la mano, prima che lei potesse svignarsela.
-Scusa, potresti lasciare la mano della mia ragazza?-
Secondo inconveniente: non potere fare a meno della presenza del Dio stesso.
Con orrore, si accorse dell’espressione accigliata di Apollo e del suo braccio che le cingeva la vita. Gli lanciò un sorriso tremulo, che morì ancora prima di nascere.
-Rachel, tesoro, non dovevi aspettarmi?- chiese Apollo, con un sorriso appena accennato. –Mi stavo preoccupando.
Peter, nel frattempo, se l’era –per usare un’eufemismo- data a gambe. Rachel lanciò un’occhiata preoccupata al Dio, come se si aspettasse una vera sfuriata.
-L’unica regola, dolcezza- ossservò Apollo, semplicemente. –Per te, i ragazzi sono off limits.
(Non capisci, Rachel
Che non puoi tradirmi?)

Rachel sbuffò, piano, mentre il suo sguardo finì nuovamente su quella pallina di vetro.
-Ha detto che erano quattro- mormorò, sovrappensiero. –Quattro regine.
Apollo scoppiò a ridere, facendo voltare qualcuno dei presenti. –Sbagliato- rispose, semplicemente. –Tre regine ed un’amante.
Tese la mano e, sul palmo, giaceva la quarta pallina di vetro. Gli occhi azzurri di Elizabeth Blount sembravano quasi scintillare.



December, 25

Gliel’aveva detto sottovoce, quella notte, davanti al bagliore quasi accecante delle luci azzurrine dell’albero di Natale. Rachel non l’aveva nemmeno sentito o, almeno, così credeva.
-Lo sai, vero?- aveva chiesto, con una timidezza che non gli si addiceva.
-Cosa?- aveva domandato lei, perplessa. Fissava la pallina, in bilico su un ramo. Due palline superstiti.
-Quando hai scelto di diventare Oracolo, hai scelto di diventare mia- aveva detto lui, dandole un buffetto sul viso. –Solo… sta a te decidere dove vuoi arrivare.
Due palline superstiti, una regina ed un’amante, due scelte.
La mano di Rachel si serrò attorno alla pallina di vetro, quella dell’amante. Due scelte ed una delle due era quella giusta.
-E dove voglio arrivare?- aveva chiesto lei, senza pensarci.
(In verità, Rachel
tutte le strade portano a me)

Lui aveva scosso la testa, con fare… triste?
-Non lo so- era stata la risposta, semplicemente. –Dovresti essere tu a dirmelo.
Rachel aveva annuito, piano. In verità, lei, la risposta non la conosceva. Il suo sguardo tornò a perdersi in quello nero di Anne Boleyn



December, 25 (one hour later)

Si era veramente innamorata del suo re, Elizabeth Blount. Per essere gettata via, la sgualdrina di turno di cui si era stancato, e lei non si era nemmeno lamentata, innamorata com’era di quell’uomo che non sarebbe mai riuscito ad essere fedele ad una sola donna.
Anche Anne Boleyn l’aveva amato, si corresse Rachel. Aveva fatto carte false per conquistare l’uomo ed il re, il trono ed il cuore. In che ordine, non seppe dirlo. Lady Boleyn aveva usato le sue arti di figlia di Afrodite per conquistare il re e tenerlo legato a sé. Poi, le aveva spiegato Apollo, sua madre le aveva tolto il suo unico oggetto magico. Il girocollo con la “B” dei Boleyn, una piccola replica della cintura della madre. Un solo sguardo ed ogni uomo sarebbe caduto ai suoi piedi. Ma, quando la madre le aveva voltato le spalle, l’unica cosa che era caduta era stata la testa di Anne stessa.
Rachel rabbrividì, mentre soppesava con lo sguardo le due palline di vetro, appese allo stesso ramo dell’albero. Apollo rise, alle sue spalle.
-Hai scelto?- cantilenò, allegro come quando riusciva a far tacere tutti con qualcuno dei suoi discutibili Haiku.
Rachel lo guardò per un attimo, perplessa. Sospirò. –Se scelgo te – mormorò. – Mi ferirai?
(Ancora non hai capito, Rachel
che finirai sempre per scegliere me?)

Apollo le riservò un’occhiata desolata. –Sai che dovrò farlo, in entrambi i casi- rispose.
Rachel annuì, piano. Strinse nella mano una delle palline di vetro.
-Ho scelto- disse, semplicemente.
Poi, il volto di Elizabeth Blount cadde sul pavimento, in mille pezzi. Alle sua spalle, Apollo sorrise, come per dirle che aveva scelto bene.
Mentre, come calamitata da una forza oscura, finiva fra le sue braccia – essere un’amante era il suo destino e non poteva, né voleva cambiarlo- Rachel pensò che era meglio morire ed essere ricordati per come si era morti che non essere ricordati affatto. Apollo la fece stendere sul divano, delicatamente.
Forse, si disse Rachel, anche la sua sarebbe diventata una vecchia storia di cui nessuno parlava mai.


Si spense velocemente, come la fiamma di una candela gettata in una bacinella piena d’acqua – una sofferenza atroce per la fiamma,  ma chi l’aveva tirata non poteva comprenderlo- e ripescata solo alla fine.
Apollo era lì, con lei, il volto tormentato di chi stava per essere divorato dalle fiamme. Le teneva la mano, il pianto lieve di un bambino non sembrava riuscire a scuoterlo dai suoi gravi pensieri.
-Mi dispiace- mormorò, certo che lei non fosse in grado di sentirlo.
Rachel tossì, la fronte che bruciava per la febbre. Non provò nemmeno a salvarla, il Dio,  rispettò quella scelta azzardata che aveva compiuto anni prima. Se avesse potuto, le avrebbe evitato il patibolo.
-Shh- biascicò Rachel, semplicemente.
E chiuse gli occhi come una bambina, mentre il Dio si allontanava da lei, prendendo fra le braccia il bambino ancora sporco di sangue.
La guardò un’ultima volta, prima di vederla sparire, per recarsi nel tartaro. In bilico sul tavolo, anche la pallina di Anne Boleyn si ruppe.
Veniamo ricordati non per come abbiamo vissuto, ma per come ci congediamo dalla vita.





Bessie's Corner:
Buonsalve a tutti. Spero che questa shot vi sia piaciuta, perché è stata difficile da scrivere. Se non si fosse capito, l'ultimo frammento è ambientanto in tempi più lontani rispetto al resto della trama, come il primo che ambientato un po' prima :3
Ovviamente, sono caduta nell'OOC più totale. Evviva me xD
La frase "quando hai scelto di diventare l'Oracolo, hai scelto di diventare mia" è deliberatamente ispirata alla ff della Gin "Proud to be an Oracle" e vi consiglio caldamente di andarla a leggere. Spero che la mia sociA non me ne voglia u.u
Per quanto riguarda la storia di Anna Bolena, non mi pronuncio. Non potevo non inserirla. Sono un disastro.
E... niente, direi che ho detto tutto :3
Grazie e ricordate che una recensione fa la felicità xD
Bess
P.S. se non si fosse capito, le frasi fra parentesi sono squarci di pov di Apollo u.u

   
 
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