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Autore: Hailie98    04/11/2012    0 recensioni
"Ricordo che quell'estate persi quasi totalmente la passione per il disegno. Così, da un momento all'altro, di fronte al foglio bianco, capii di non avervi mai avuto particolare attitudine.
Erano settimane che tentavo di riprodurre la stessa immagine. Restava fissa nella mia mente, precisa in ogni minimo particolare. Ma il tratto era rigido, erano rigide le mie dita, e quelle che tentavo di raffigurare. Eppure ero così sicura si trattasse di qualcosa di originale.
I ragazzi che camminavano avrebbero dato le spalle all'osservatore. Lei avrebbe avuto capelli scuri, ricci ed inverosimilmente lunghi. Sarebbe stata ricercata nel vestiario e graziosa nella posa, pur tradendo l'insicurezza in quell'esitazione nel passo. Al suo fianco, più speditamente, un ragazzo alto avrebbe camminato in bilico su un muretto. Avrebbe vestito sportivo, non curante, la divisa da calcio. Ed avrebbe avuto capelli lunghi e scompigliati.
Non riuscii mai ad essere soddisfatta. Non fui mai in grado di riprodurre la scena che nascondevano i miei pensieri. Restavano lì, bloccati e muti. Mai diedi vita a quei due ragazzi, che erano uno l'opposto dell'altro, ma che, nonostante ciò, si tendevano le braccia e camminavano mano nella mano, guardando avanti."
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Eravamo arrivati nella grande radura solo da qualche minuto. Tutte le torce erano accese nonostante i capigruppo insistessero perché le spegnessimo. Senza la luce di quei minuscoli fari, infatti, ci accorgemmo immediatamente dello splendore di quel cielo notturno, di una nitidezza abbagliante e gelida allo stesso tempo. Le stelle sembravano enormi viste da lì, lo spettacolo a naso all'insù era mozzafiato. 
- Quella è Sirio, - sentivo ripetere in lontananza una voce familiare. Mi ero estraniata dai miei compagni ma quelle parole avevano richiamato leggermente la mia attenzione. - O forse è quella più giù, quella meno luminosa... Te l'assicuro, qualche tempo fa sapevo riconoscerla al primo sguardo. 
Lorenzo e il Riccio sembravano chiacchierare spensieratamente di quella che poteva essere un'astronomia molto poco oggettiva e ciò sarebbe stato anche buffo se proprio in quel momento non fossi stata colta da un'inaspettata e profonda malinconia. Ai miei occhi quelle due figure nel buio che gesticolavano indicando il cielo, più che a persone, assomigliavano a sagome di cartone in uno squallido teatrino. L'uno si faceva bel bello delle sue tutt'altro che precise conoscenze mentre l'altro prestava orecchio svogliatamente ed ostentando un interesse fittizio. I suoi piedi irrequieti scalpitavano per poter tornare verso il gruppo, mentre l'amico si illudeva di intrattenerlo. Per un momento mi sentii ridicola ed esageratamente critica verso il mondo circostante. Purtroppo, però, la consapevolezza di una finzione costante delle maschere della vita di tutti i giorni non poteva che opprimermi il respiro, più che altro per la certezza di stare partecipando anch'io, con ogni mio atteggiamento, a quella triste messinscena. 
Fra gli alberi ormai nascosti nelle tenebre, l'aria profumava d'erba bagnata e terra, e sebbene fossimo in piena estate, era fredda in una maniera pungente.
Si diedero da fare ed accesero un modesto falò, intorno al quale mi sedetti accanto alle mie amiche. Era un intreccio di felpe e coperte, il fuoco non ci scaldava affatto. Ci stringemmo fra noi ed assistemmo a quell'ultima assemblea. Ero ormai stanca del campeggio e sognavo anche fin da prima di quella sera, il soffice letto di casa mia. Ovviamente, dovetti mostrarmi felice e non potei esprimere la mia nostalgia con nessuno, sentendomi per l'ennesima volta un fantoccio nel solito teatrino. 
Era da poco mezzanotte quando gli interventi terminarono ed intirrizziti, ci alzammo tutti quanti, intorno alle fiamme sempre più basse. 
Iniziava solo adesso il tempo di giocare. I più piccoli erano contrariati e desideravano in tutte le loro lamentele di poter fare ritorno alla baita, mentre quelli che si sentivano veterani se ne restavano impassibili ad osservare lo sviluppo della situazione. Un po' avevo sempre odiato quel momento. Sentivo che sarebbe trascorso un altro quarto d'ora buono prima che fossimo riusciti a decidere il da farsi. Io non mi sarei pronunciata in alcuna maniera: mi adattai alle decisioni della maggioranza. Restai alla radura e mi sedetti in cerchio con gli altri dove l'erba era più rada.
- Stasera si fa Maharaja - annunciarono i capigruppo. Si trattava di un gioco di gruppo piuttosto particolare ma che, a quanto pareva, riusciva a divertire più o meno tutti. I soliti erano seduti in cerchio ed aspettavano l'inizio per potersi muovere un po', scacciare il freddo ed il torpore. I soliti, invece, restavano distaccati e non si immischiavano in quello che ritenevano un passatempo frivolo e sciocco. 
Maharaja era un gioco in cui al centro del cerchio, sarebbe dovuta sedere una ragazza. Scelta questa, un partecipante a caso avrebbe chiamato i nomi di altri due ragazzi, stavolta un maschio ed una femmina, ai quali spettava il primo duello. Lo scopo del ragazzo era quello di baciare a tutti i costi la ragazza seduta al centro, l'altra, sua avversaria, doveva impedirglielo bloccandolo a sua volta con un bacio.
Negli anni passati, per le mie ridicole ed assurde inibizioni moraliste, avevo sempre rifiutato di partecipare. Quell'estate, però, non mi feci pregare troppo e decisi che avrei giocato anch'io, se non altro non sarei morta dal freddo. Mi ero sistemata a terra a gambe incrociate e per non cadere addormentata in attesa di essere chiamata, mi ero appoggiata avanti anche sui palmi delle mani. Quando sentii il contatto con l'erba bagnata, rabbrividii. Sapevo bene, però, che non era solo quella sensazione di viscido ad avermi scosso.
Quella sera, quasi non avevo affatto pensato a lui. Ma fu proprio in quel momento che udii la sua voce alle mie spalle ed instintivamente mi voltai incrociando il suo sguardo di ghiaccio. Abbassai subito gli occhi sentendo pesare il suo odio sui miei pensieri innocenti. Strinsi i ciuffi d'erba fra le dita. Mi voltai di scatto, tornando a fissare i miei piedi. Aveva notato la mia reazione. Doveva averla notata. Quel vuoto tornò a pesarmi nel petto, com'era stato per i giorni precedenti. Fu come quando si è costretti a sentire un rumore continuo ed assordante che smette all'improvviso; non ebbi nemmeno il tempo di godere della pace ritrovata che già era tornato a tormentarmi.
Era una sensazione di vuoto tanto grande quanto incomprensibile, come quando si ricevono pugni nello stomaco. Cos'è che avevo fatto per meritare tanta avversione da una persona che in realtà quasi non conoscevo?
Con la coda dell'occhio, lo vidi allontanarsi fra gli alberi e raggiungere una panchina piuttosto isolata dal resto, a passo spedito. Aveva fra le mani la torcia che si affrettò a spegnere con fare stizzito.
Riccardo era diventato più alto negli ultimi tempi. Era bello. Di corporatura robusta, aveva il viso di un angelo. Gli occhi erano chiarissimi ed infossati, variavano dal verde all'azzurro ad ogni minimo cambiamento della luce. I capelli erano anch'essi chiari, castani. Erano ricci e non troppo corti. Ciò che di lui mi aveva sempre incuriosito maggiormente, però, era la voce. Si trattava di un suono piuttosto comune: cupa, ma conservava una sfumatura che restava ostinatamente giovanile. Rauca, sembrava volesse mantenere un tono costantemente burbero, non solo verso me ma verso tutti, che però gli conferiva un'aria misteriosa non indifferente. Non riuscii mai a capire se ne fosse davvero consapevole. 
Sentii l'umidità dell'erba scivolare sulla mia pelle. Il freddo non m'intimoriva più dopo quello sguardo. Sentivo il calore avvamparmi sulle guance e le lacrime riempirmi gli occhi. Quella sensazione fresca che restava fra le mie dita, forse, era l'unica fonte di pace alla quale potevo aggrapparmi. Strinsi ancora i ciuffi e provai una delle più bizzarre sensazioni che ebbi mai la fortuna di sentire. Per un momento, ma solo per un istante fulmineo, mi ero sentita felice. In tutti quei pensieri, in tutto ciò che a quell'età avrei chiamato "dolore", ascoltai un profondo legame con le emozioni.
Ad un tratto, in quella stretta fresca, avevo sentito tutta la malinconia trasformarsi in gioia inaspettata ed insolita. In un istante, avevo sentito tutto il mio amore verso la vita, da quei ciuffi d'erba bagnata dalla pioggia del giorno prima. 
  
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