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Autore: midorijpg    04/11/2012    2 recensioni
"Stone Cold Crazy era proprio la canzone adatta a lui: veloce, molto rock, che somigliava abbastanza al tipo di musica che faceva di solito. La cantava con il suo stile, con la sua voce rauca e metal, agitando la lunghissima chioma al vento e tenendo il microfono come se fosse una bottiglia e stesse bevendo a canna.
John se ne stava al suo posto, faceva il suo lavoro, seguiva il suo ritmo. Quando James si avvicinò alla batteria durante l’assolo, lui si spostò. Sembrava quasi avere paura di lui, un piccolo topolino indifeso contro un feroce leone pronto a ruggire con tutto il fiato che aveva in gola.

Non era la stessa cosa."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, John Deacon, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nick: Midori Meddows (sia su EFP che sul forum)
Titolo: But there’s something inside that’s turning my mind away
Pairing: John Deacon/James Hetfield
Rating: Giallo
Warnings: slash, missing moment
Battuta scelta: “È il mio modo di dimostrare affetto!”
Prompt scelto: Collo
Note dell’autore: ok, eccomi. Uff. *sospirone* Allora. So già che sarà un fallimento, ma ci devo provare. Come giustificazione posso dire che questo è il mio primo contest e che quindi sono ancora candida e innocente riguardo questi argomenti. :3 Magari può non essere l’idea più originale del mondo, ma mi sembrava sensata, sebben troooppo surreale.
Ho deciso di inserire Brian, proprio comparsa istantanea, poi:
*è un riferimento al concerto di Knebwort, quando John scagliò il basso contro gli amplificatori in un momento (si crede) di rabbia improvvisa;
**mi riferisco alla morte di Cliff Burton, bassista dei Metallica fino al 1986.
Il titolo è tratto da It’s Late, al cui testo è ispirata un po’ tutta la storia.
That’s it. Speriamo bene.
P.S.: alla fine del documento ho scritto anche il finale alternativo, come da regola. Spero di aver afferrato bene tutti i concetti. o_o
 

But there’s something inside that’s turning my mind away

 
 
- John, mi puoi dare una mano con gli amplificatori? -
- Aah, John, il cavo è troppo corto! -
- Cazzo! John, mi è di nuovo ceduto il charleston! -
Lo immaginava, eccoli che ricominciavano a reclamare. Ma dove cavolo finivano i tecnici della crew quando gli altri avevano bisogno di loro? A volte gli sembrava di essere una specie di ‘sostituto’, quando questi si dileguavano misteriosamente senza alcun motivo.
Lui, l’ingegnere del gruppo. Il bello era, però, che il suo classico self-control non lo faceva arrabbiare o imprecare o addirittura bestemmiare, come tante persone di sua conoscenza - quindi faceva volentieri tutto quello che gli veniva chiesto col sorriso sulle labbra. Era sempre disponibile e, sebbene certe volte i suoi colleghi fossero veramente asfissianti, veniva ripagato in modo gentile e generoso.
Era bello, poi, vedere tutte quelle persone correre da una parte e dall’altra per far sì che quello diventasse il più grande concerto di sempre. E c’era da dire che, tecnici inefficienti a parte, ci stavano riuscendo, e anche bene! Poi, incontrare tutti quegli artisti, amici, tutti insieme per rendere omaggio ad una delle persone più importanti per loro gli dava una gioia immensa.
Eppure, in mezzo a tutta quell’attività, quell’allegria, quell’elettricità che faceva sprizzare tutti come delle molle, John sentì che qualcosa dentro di lui stava cambiando. Abbassando gli occhi, pensò malinconico che Freddie non c’era più. E non era la stessa cosa senza di lui. Volse lo sguardo verso il suo Fender nero pece e accarezzò piano le quattro corde. Ne avevano passate un bel po’, insieme. Circa gli ultimi sei o sette anni della sua carriera, se si ricordava bene. Ridacchiò osservando l’ammaccatura che gli aveva provocato, scagliandolo contro l’amplificatore. Che matto che era stato, seppur sotto l’effetto di alcolici! Accidenti a lui che aveva convinto Ratty a farsi mettere un mini-bar vicino agli amplificatori*.
Mentre giocherellava con le levette per regolare il volume, pensò che quasi sicuramente quella sarebbe stata l’ultima volta. Non poteva, non riusciva ad andare avanti. Beh, era stato bello finché era d...
- Deaky!! -
In quel momento, un urlo potente interruppe i suoi viaggi mentali, facendolo sobbalzare come una molla. Avrebbe voluto voltarsi, ma non aveva fatto in tempo perché due braccia forti e possenti lo avevano preso, sollevato in aria e fatto girare come una trottola.
Appena posò i piedi a terra, vide tutto roteare intorno a lui, ma gli strapazzi non erano ancora finiti: lo strano tipo che lo aveva stritolato adesso gli strofinava i corti capelli ormai grigi con un pugno e continuava a dire:
- Ma sei tu, sei proprio tu, il mio bassista preferito! Quasi non ti riconoscevo! -
A quel punto lo lasciò. Il povero John barcollò per un pochino, poi si scosse, ancora leggermente sconvolto. Quei saluti lo lasciavano sempre un pochino disorientato; ma proprio leggermente. E, sfortuna sua, conosceva una sola persona in grado di salutarlo così, facendosi riconoscere non difficilmente.
- Ti sono mancato? -
Stavolta il tono era completamente differente, bassissimo. Aveva ridotto quella frase ad un sussurro, quasi percepibile, che gli era arrivato direttamente sul collo, una brezza tiepida che lo aveva fatto trasalire e diventare più rosso di un pomodoro. Proprio come quella volta...
- Hey, James. - era riuscito a dire, senza girarsi. Strano, aveva pensato di non riuscire a spiccicare parola, appena se lo fosse ritrovato di fronte.
La verità era che John non aveva desiderato rivolgergli la parola. L’aveva promesso a se stesso. Non si sarebbe lasciato abbattere.
- Ma lasciati guardare in faccia, nanerottolo! - esclamò subito James mettendosi di fronte a lui. - Caspita, se sei cambiato! Ti sei fatto grande, eh? -
- Sì, sì... Beh, sono stato contento di vederti, James, ora scusa, ma devo tornare... - cercò di allontanarsi, ma il chitarrista lo acchiappò per il colletto della maglietta.
- Hey! Dove credi di andare? - rise. - Io avrei bisogno di aiuto con la mia bambina, se non ti dispiace. -
John alzò lo sguardo di scatto e arrossì fino alle unghie dei piedi.
- La tua... Bambina? -
- Sì, la mia chitarra, scemotto! - lo strapazzò ancora.
Il bassista si batté una mano contro la fronte e concesse, sebbene con una leggera malavoglia:
- E va bene. Dov’è? -
 

***

 
- Sai, credo che abbia qualche problema... Non riesco più ad accordarla bene. - affermò James tirando fuori la sua Gibson Explorer, nera come il basso di John.
- Beh, forse ci sono dei problemi con le chiavette per l’accordatura... Fa’ vedere. -
L’altro gliela porse e si mise ad osservarlo. Vederlo tutto concentrato su quei lavori così difficili lo aveva sempre affascinato. E gli era mancata tanto quell’espressione assorta che aveva sempre avuto quando gli venivano affidati incarichi del genere. 
Si sedette vicino a lui e gli disse, con una nota di emozione nella voce:
- È da tanto tempo che non stiamo soli io e te, vero? -
John si bloccò per un secondo e rispose, incominciando a sentir caldo:
- Già... T-tanto... -
Stava già incominciando a balbettare, cazzo. Non doveva lasciarsi andare alle emozioni ma soprattutto ai ricordi, che ormai lo stavano assalendo come le api verso i campi in fiore. 
- E... - James si avvicinò a lui, riusciva a sentirlo. - ... Mi sei mancato tanto, Johnny. - 
Il bassista alzò finalmente la testa e guardò l’altro. Vide che sul suo volto si era dipinto un sincero sorriso e che i suoi occhi erano perfino lucidi. Allora aveva un cuore, quell’essere
Non sapeva se disprezzarlo per ciò che aveva fatto oppure se smettere di trattenersi e buttarsi tra le sua braccia forti. Ovviamente, non era in grado di fare nessuna delle due azioni. Non riusciva nemmeno a spiccicare parola.
I due restarono a guardarsi per un tempo indeterminato, in silenzio. John non sapeva che dire, fare, pensare.
- Io... - mormorò. James lo guardò, emozionato e ansioso. - Devo andare. -
Così si alzò e si diresse verso la porta del camerino.
- John, aspetta! - esclamò mettendogli una mano sulla spalla, vicino alla scollatura della maglietta. - Mi dici che hai? -
L’altro sentì un violento brivido scorrergli lungo la schiena: quella sola, piccola presenza, vicino al collo, lo faceva quasi sobbalzare. Il cuore gli batteva forte, sentiva caldo e allo stesso tempo aveva i brividi. Non poteva dimenticare. Non si girò, non fece niente. Strinse i pugni, cacciò le lacrime che stavano per arrivare e si avviò deciso fuori dalla porta. 
L’altro provò a fermarlo, ma fu tutto inutile, chiamò il suo nome, ma fu solo il brusio delle star, dei tecnici e del pubblico a rispondergli. 
- Cazzo. - borbottò, passandosi una mano nei capelli. Fece per chiudersi in camerino in attesa della sua esibizione, ma una voce lo fermò. 
- James? -
Il nominato si girò.
- James, va tutto bene? - gli chiese Brian, avvicinandosi.
- Oh, ciao. Sì... Sì, va tutto alla perfezione... - rispose, piuttosto vago.
- E allora perché ho visto John uscire di qui con le lacrime agli occhi? -
Il biondo abbassò lo sguardo, colpito e affondato. 
- Vieni, ti spiego. - 
Brian entrò nel camerino e chiuse la porta. 
 

***

 
I Metallica si esibirono per primi, quel giorno. Preciso spaccato, quando fu il momento James si diresse verso il palco, accompagnato dai suoi compagni di band. 
Dietro le quinte, il chitarrista passò vicino a John, che stava appunto tornando, appena pronunciato il discorso di apertura. Lo guardò amorevole e gli sussurrò all’orecchio:
- Bel discorso. Augurami buona fortuna. -
Il bassista non rispose e volse lo sguardo altrove. L’altro sentì una fitta dentro, come se quello sguardo vagante fosse uno stiletto che lo aveva appena trafitto. Trafitto al cuore.
 

***

 
Ormai l’esibizione era quasi finita e John non poteva aspettare. Adorava vederlo suonare, e le poche volte che lo aveva assistito, aveva provato delle emozioni fantastiche. Mandò per un secondo affanculo la malinconia e si affacciò al palco, da dietro le quinte. 
Gli era sempre piaciuto da matti vederlo suonare, così selvaggio e irrequieto. Era proprio tutto il contrario di lui. Eppure, quando suonava il suo capolavoro, sembrava docile come un agnello - cantava quasi con umiltà e con una concentrazione strabiliante. Come quando era abbattuto, non riusciva a nascondere molto i suoi sentimenti.
Era proprio così che si erano conosciuti, pensò. 
In un pub, lui felice per l’uscita di A Kind Of Magic, l’altro depresso per la morte del suo amico bassista**. Si conoscevano solo di vista, ma in quell’occasione John aveva avuto modo di approfondire i loro rapporti. L’aveva consolato e aiutato ad uscire da quella depressione causata dal lutto. Aveva scoperto che James era un tipo simpatico e affidabile, ma dopo aveva scoperto che il loro rapporto andava ben oltre l’amicizia. 
Si erano letteralmente innamorati, reciprocamente. Purtroppo, l’unico lato negativo era che dovevano vedersi di nascosto, siccome John aveva già moglie e figli da portare avanti. 
E poi era successo. Anni dopo, un giorno James l’aveva tradito. Lo aveva visto in giro con una ragazza e, senza farsi notare, aveva osservato i suoi spostamenti. I due stavano limonando che era un piacere, e poi il suo James aveva iniziato a baciarla sul collo. John sentì il suo cuore spezzarsi in due, letteralmente, a causa di quel semplice gesto. In seguito, James gli aveva fatto una confessione: non potevano più andare avanti così. C’erano troppi problemi, la loro era una relazione che non era destinata ad andare avanti, a volte passavano dei periodi lunghissimi senza che si vedessero, e lui non ce la faceva più ad andare avanti così. Ma John sapeva che quelle erano solo frottole. 
Si ricordava persino le sue parole, pronunciate ormai quando il suo self-control se ne era fuggito, insieme al suo amore.
C’è una donna, non è così? Cazzo, James, dimmelo!” 
E purtroppo la triste verità era quella. Senza neanche lasciarlo, l’aveva subito rimpiazzato. Bella vita. Niente più baci sul collo, niente più chiacchierate lunghe ore, niente più James, in tutto e per tutto.
Da quel momento non si erano più visti. Ognuno per la propria strada, divisi come erano prima di conoscersi. E John non aveva dimenticato quei momenti, quando l’aveva rivisto per il Tribute.
Intanto, l’esibizione era finita. Ora toccava ai Def Leppard, e il bassista ritornò alla realtà.
 

***

 
Era arrivata la sera, e con essa l’esibizione di James con i Queen. 
Stone Cold Crazyera proprio la canzone adatta a lui: veloce, molto rock, che somigliava abbastanza al tipo di musica che faceva di solito. La cantava con il suo stile, con la sua voce rauca e metal, agitando la lunghissima chioma al vento e tenendo il microfono come se fosse una bottiglia e stesse bevendo a canna. 
John se ne stava al suo posto, faceva il suo lavoro, seguiva il suo ritmo. Quando James si avvicinò alla batteria durante l’assolo, lui si spostò. Sembrava quasi avere paura di lui, un piccolo topolino indifeso contro un feroce leone pronto a ruggire con tutto il fiato che aveva in gola. 
Non era la stessa cosa.
La canzone finì. Appena Roger fermò i piatti, un boato esplose dal pubblico e Brian presentò James guardandolo negli occhi. Il chitarrista dei Metallica, per un secondo, ricambiò lo sguardo, capendo, poi strinse la mano a tutti i membri sul palco.
Tutti, tranne uno, che accidentalmente si trovò girato di spalle.
 

***

 
Il concerto terminò in un modo semplicemente spettacolare. Liza aveva superato se stessa con We Are The Champions, e tutti si erano riuniti. Solo per Freddie. Che apoteosi.
Sfinito, il bassista si sedette su una panchina fuori dello stadio, che sembrava isolata dal mondo intero. Quella notte non c'era neanche una nuvola, ma faceva piuttosto freddo. Si strinse nel giubbotto e si mise a guardare in alto, verso le stelle. 
Improvvisamente, sentì una presenza vicino a sé. Si girò e vide James, il viso rivolto verso la luna, i lunghi capelli biondi che gli ricadevano gentili sulle spalle, coperte da un giubbotto di pelle nera.
- Bella serata, eh? - chiese, senza guardarlo. 
- Già... - mormorò il bassista. Sospirò. Non sapeva che dire, ma ormai era inutile fuggire. Decise di rimanere e affrontare la realtà.
- Poi... Il concerto è stato fantastico. - continuò il chitarrista. - Cioè, hai visto Robert? Un mito, davvero. E David? Cavolo, con Annie è stato mitico. - 
John non rispose. Si rimise a guardare il cielo e sospirò.
- ... John? -
Si girò. Stavolta gli era più vicino, e lo guardava negli occhi. 
- Mi dici che cos'hai? - chiese, mettendogli un braccio intorno alle spalle. - Sono... Sempre stato tuo amico. Sai che ne puoi parlare, con me... -
- Lo sai che cos'ho, James. - asserì l'altro, freddo, togliendosi il suo braccio di dosso. 
- E allora perché non ne vuoi parlare? - lo strinse di nuovo. - Sono già passati un po' di anni, John, possiamo metterci una pietra sopra... Ti va? - 
Aveva pronunciato queste parole in un sussurro, piano, dolcemente, e poi gli aveva lasciato un delicato bacio sul collo. L'altro, scosso, diventò peggio di un pomodoro maturo e si sciolse frettolosamente dall'abbraccio.
- No, James!! - urlò quasi. - Non possiamo metterci una pietra sopra! ... Io non posso. E poi cosa sono tutti questi modi confidenziali?! -
- Cazzo, Deaky... È una vecchia storia! - si passò una mano tra i capelli e lo guardò. - Poi ormai mi conosci! È il mio modo per dimostrare affetto! E tu lo sai! -
Il bassista si mise una mano sulla fronte. Aveva gli occhi lucidi e si stava trattenendo dal piangere come una fontana da un momento all'altro.
- Per me non è una vecchia storia. - mormorò alzando lo sguardo. - Io ti amavo, James, per me contavi veramente! -
Stavolta fu l'altro a guardare da un'altra parte, di fronte a quell'affermazione.
- ... Contavo anche più della tua famiglia? - 
Silenzio. Minuti infiniti del più oscuro silenzio. Perché non si decideva a rispondergli, cazzo?! 
Solo dopo un pochino, capì di aver fatto qualcosa. Qualcosa di sbagliato.
Lo sentì singhiozzare. Si girò e lo vide con la testa tra le mani e i gomiti sulle ginocchia, che piangeva. Non l'aveva mai visto piangere. Gli mise amorevole una mano sulla schiena e John si calmò leggermente. 
- Tu... Per me contavi più di qualsiasi cosa. - mormorò tirando su il viso e strofinandosi il naso. - Io ti amavo... Ma tu non l'hai mai capito. -
James spalancò gli occhi. Sentì una fitta dentro. 
- E adesso... Adesso non so più che fare. -
Il chitarrista spalancò gli occhi. Di che cosa stava parlando? 
- Con... Con me, intendi? - provò a dire. 
- Sì. - il bassista lo guardò. - Da quando mi hai lasciato la mia vita è diventata uno schifo. E poi Freddie è morto. Non sono più riuscito... Non riesco più a reggere. -
- E allora... - deglutì. - Cosa intendi fare... ? -
Ci fu un minuto di silenzio. La tensione era alle stelle e James non si accorse neanche di star trattenendo il fiato. 
- ... Io me ne vado. -
Il chitarrista sentì il mondo cadergli addosso. 
- Che vuol dire? - disse, con il respiro che gli mancava.
- Vuol dire che è finita, James, basta, chiuso, kaput! - urlò John, la pazienza che ormai era andata a farsi benedire. - Io non voglio continuare a vivere nel dolore. E il mio è un dolore che non si scorda facilmente! -
Il chitarrista abbassò lo sguardo, demoralizzato. Ora la fitta che sentiva dentro era aumentata di intensità, e faceva male. Tanto.
- Mi... Mi dispiace... - balbettò. Non doveva mettersi a piangere, anche se la tentazione era irresistibile. - Io... Non voglio vederti sparire per sempre... Io... - 
Il bassista rimase in silenzio. L'altro alzò la testa, lo guardò per un secondo e poi si buttò su di lui, a lacrimare disperato, con la faccia nascosta tra la sua spalla e il suo collo.
John sospirò. Non poteva odiarlo, non ci riusciva - anche se gli aveva fatto il torto più grande della sua vita, lui lo amava. Ancora.
Così lo strinse delicatamente e gli accarezzò i capelli. Poi lo guardò dritto negli occhi e mormorò:
- Addio, James. -
Poi si alzò. L'altro lo guardò e ritornò a respirare normalmente, sebbene con qualche singhiozzo qua e là. 
- ... Ricordati di me. - disse, finalmente. 
John si bloccò, ma restò in silenzio. James non poteva aspettarsi di sentire un “anche io”. E aveva ragione. 
Infine, il bassista si avviò verso la sua macchina, nella notte, con la luna più splendente che mai. Senza dire una parola.
James non lo rivide mai più.
 
 
Finale alternativo:
- ... Contavo anche più della tua famiglia? - 
Il bassista rimase spiazzato. Veronica. La sua Veronica. Eppure, era sempre stato sicuro di amare sinceramente James, sin dal primo momento in cui lo aveva visto. Ma sua moglie...
Sua moglie era stata la prima a capirlo, ascoltarlo, amarlo. Perché in quel momento, lui si era deciso a lasciarla perdere per andare con Hetfield? 
Abbassò lo sguardo, demoralizzato. Era di nuovo a corto di parole, ma sapeva che dentro di sé James aveva ragione.
- Amico mio, - mormorò questo ripassandogli il braccio intorno alle spalle. - una famiglia è uno dei doni più grandi che si possano ricevere. Io ti amavo, certo, e ti amo ancora, ma il desiderio di creare qualcosa di mio senza coinvolgere te, perché sapevo che ti avrebbe urtato dentro, era più forte. Io non ho mai smesso di amarti, John, - gli prese le mani e lo guardò negli occhi. - e tu rimarrai per sempre una delle persone più importanti della mia vita. -
Il bassista rimase in silenzio. Di fronte a quel discorso, sentì che il suo cuore era ritornato a battere, come quando l'aveva conosciuto. Solo che adesso provava un altro tipo di sentimento. Nei suoi confronti ora non sentiva più un'attrazione amorosa, piuttosto quella destinata a mutarsi in una solida amicizia. E sapeva di aver ragione.
Lo guardò negli occhi, azzurri come il cielo terso, e d'istinto lo abbracciò. Il chitarrista lo strinse sorridendo, e sfiorò il suo collo con il naso, inspirando il suo odore.
- Ora ho capito, James. - disse il bassista guardandolo. - Grazie. Tuttavia, non credo di poter rimanere... -
- Che cosa intendi? - alzò un sopracciglio l'altro.
- Il tuo discorso mi ha fatto capire che io devo stare con loro più che posso. E poi, senza Freddie, non è più lo stesso... - la sua aria si fece di nuovo malinconica.
- Mi stai dicendo... Che te ne vuoi andare? -
John sorrise, il primo sorriso sincero dell'intera serata. 
- Mi ricorderò. - affermò semplicemente, sfiorandogli i baffi da rider con un dito. 
- Mi mancherai. - disse James abbracciandolo, con la voce che già tremava. 
- Abbi cura di te. -
Infine, John si alzò e si diresse verso la sua macchina. James non disse nulla, restò a fissarlo mentre spariva nella notte buia.
Quando si sedette al posto del guidatore, il bassista si toccò il collo con le dita, dal lato destro. Era sicuro che il segno del suo primo bacio non sarebbe sparito così facilmente.
   
 
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