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Autore: eloise de winter    04/11/2012    0 recensioni
Scritta per un compleanno.
Per una delle persone più importanti della mia vita, anche se non te l'avevo mai detto, lo sei.
Per Cristina.
Ora e sempre.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A te, per il tuo compleanno.
In ritardo come al solito, 
ma ti voglio bene.
 
 
 
 
 
 
Effimera.
 
C'era una volta una ragazzina così piccola e minuta che la scambiavano ancora per una bambina, ma, a dispetto di tutto ciò che la sua figura poteva indurre a credere, era una fanciulla molto ragionevole e assenata.
 
Era cresciuta nel Regno di Faldras, in un paesino nei dintorni della capitale, figlia di un'antica ma piccola casata nobile; vissuta nonostante tutto sempre negli agi che il suo, seppur piccolo, patrimonio le permetteva, le sue passioni erano state influenzate dal figlio della balia, il suo migliore amico.

Abilissima ad andare a cavallo e a tirare di scherma, veniva sempre però rimproverata per la sua condotta didsdicevole per una signorina erede della sua casata.

Nonostante ciò, lei continuava a mettesi i calzoni da uomo e a cavalcare tra i boschi che circondavano la magione, esercitandosi insieme all'amico con la spada.

Passava così i suoi giorni, tra una lezione di grammatica e i pomeriggi nei boschi, vivendo libera e selvaggia.

Venne però il giorno in cui le sue uscite pomeridiane non vennero più tollerate dalla madre, che, pur di toglierle l'insana abitudine, la fece rinchiudere nella sua stanza con la sola compagnia della sua solitudine.

La reclusione continuò fino a quando l'amico non venne mandato nella Vecchia Capitale per frequentare l'Universitas, fatto che lasciò la fanciulla a piangere lacrime amare nella sua stanza vuota, mentre sfogava la sua rabbia contro il mondo urlando tutta la sua indignazione a pareti fredde e silenziose.

Gli anni successivi passarono lenti e monotoni, tra i tentativi della madre di fare della figlia una fanciulla degna di questo nome, come era solita ripetere la donna, attraverso noiose lezioni di ballo e di altre inutili sciocchezze.

Finalmente venne novembre, il freddo, le prime nevi e soprattutto il giorno del sedicesimo annivesario della sua nascita.

Il suo compleanno.

Nonostante tutte le congiure ordite dalla madre contro la sua, inevitabile come lo era la morte per gli umani, sempre più imminente partenza per lo Studium, la fanciulla era riuscita ad ottenere dal padre i documenti necessari per la sua iscrizione all'Universitas degli Studentes.

«Vittoria per esasperazione», l'aveva definita la madre, con un tono di voce più consono all'annuncio della morte di un caro che alla partenza della figlia per la Vecchia Capitale.

Di fatto, la fanciulla aspettò non oltre il giorno del suo compleanno per fare i bagagli e partire in vista della Capitale, con nel cuore l'ansia di non ritrovare l'amico come era sempre stato, ma cambiato, irriconoscibile e indifferente a lei.

Quell'anno il Duca della Chiave, Rafael Valance, aveva fissato l'inizio delle Feriae Matricularum per il quindici dicembre, quindi aveva tutto il tempo per sistemarsi nel suo collegio con calma e ambientarsi in città. 

Il viaggio passò tranquillo e veloce, e l'attesa della fanciulla venne certamente soddisfatta: la Vecchia Capitale si presentò ai suoi occhi nel cuo momento migliore della giornata, in cui tutto si tingeva di sfumature sanguigne e i tetti dei palazzi signorili si stagliavano neri nel cielo vermiglio: il tramonto sulla Capitale era qualcosa di meraviglioso e persino le creature più antiche tra i redivivi tentavano di scorgerne i colori, sfidando la maledizione che da tempi immemori li condannava all'oscurità.

Il Collegio di Faldras era un posto allegro e chiassoso, in cui ogni angolo era ricoperto, dove possibile, da rampicanti lussureggianti anche il quel periodo dell'anno.

Dalle cucine si levava in profumo di dolci capace di risvegliare i morti, quelli veri, ovviamente.

Gruppi di feluche e mantelli scuri camminavano ridendo in direzione del collegio tra schiamazzi e risa, attirati dal suddetto invitante odore.

Dalle bifore che si affacciavano sulla strada provenivano le note di un violino e di un pianoforte, impegnati in un'aria lenta e complicata.

In poco tempo alla melodia dei soli strumenti si aggiunse una voce femminile lieve ed intonata, quasi infantile.

Mentre i servi del collegio scaricavano i suoi bagagli, tra i quali era riuscita ad infilare, non vista, la sua fedele spada e i suoi amati calzoni da uomo, si guardò intorno in cerca di un viso familiare.

Delusa e senza averlo visto, venne condotta da una signor vecchia e pasciuta alla sua camera. Il letto era già fatto, i suoi bauli accatastati in un angolo in attesa di essere svuotati e le candele accese.

Non avendo fame, preferì saltare la cena, durante la quale avrebbe certamente dovuto sedere da sola, vista la sua mancanza di amicizie.

A sera inoltrata, finiti di sistemare i bagagli e avendo nascosto per bene i suoi completi maschili sul fondo dell'armadio, si azzardò a uscire dalla sua camera per andare nelle cucine a chiedere una tazza di tè.

Scendendo le scale in fretta, in modo da non dover incontrare nessuno, arrivò alle cucine dove, oltre al tè, le vennero offerti dalle cuoche anche biscotti di tutti i tipi: burrosi, al cioccolato, alla cannella, alla vaniglia...

Mentre cercava un modo gentile di riufitare le continue offerte di cibo, una voce divertita la sorprese alle spalle, spaventandola a morte.

«Penso che la signorina mangerebbe veramente tutto quello che le state offrendo, se non riuscisse a trovare un modo cortese di riufiutare entro poco, mi sbaglio, milady?», il giovane era alto, di qualche anno più grande di lei, grandi occhi neri illuminavano il viso dai tratti delicati, coperti a tratti da qualche ciocca scura che ne celava il luccichio divertito con il quale la guardava.

Non era un viso che le era noto, ma il suo mantello era inconfondibile: portava le insegne dei Princeps dello Studium.

«Mio Princeps, credo di sapere da me in che modo e se rifiutare ciò che mi viene offerto.  Col vostro permesso, credo che prenderò un biscotto alla cannella. Grazie mille per il tè» disse poi rivolta alle cuoche, che la guardavano intenerite ed un poco intimorite dal tono con cui si era rivolta a quello che sembrava essere, lì dentro, la persona più importante e autorevole di tutto il Collegio.

Dannazione.

Maledicendosi in tutte le lingue conosciute, la fanciulla iniziò a sorseggiare il tè bollente, sempre fissando incuriosita lo sconosciuto, che, interdetto, optò per un approccio diverso, presentandosi con un inchino e sfoggiando tutti i titoli di cui era provvisto in modo da chiarire alla ragazza quale fosse il suo posto nella scala sociale meritocratica dello Studium.

«Marcus Von Brecht, Societas delle Arti, Magister dell'Ordine della Penna», accompagnò la presentazione con un sorriso da far girare la testa.

«Phoebe O'Connor, tra qualche settimana, Matricula», il sarcasmo non era la cosa più adatta da sfoderare con un Princeps, lei lo sapeva bene, ma il suo cervello, dopo quel maledetto sorriso, era veramente andato.

Maledizione, era colpa sua, non poteva prendersela con lei, dannazione!

Cominciava male.

Inaspettatamente il giovane scoppiò a ridere, gettando la testa all'indietro in un movimento che lei si scoprì ad osservare come incantata.

Riscossasi, finì velocemente il suo tè e il suo biscotto, poi si voltò e con un inchino si congedò dal Princeps, che, nonostante avesse ancora l'ombra della risata sul viso, la rincorse su per la scalinata centrale del Collegio, per invitarla ad unirsi a lui e ai suoi amici per un sorso di vino alla Locanda della Luna Piena, nella Cittadella.

Inarcando un sopracciglio, la fanciulla, ferma a metà delle scale, rispose irriverente al Princeps moro «Non credo sarei ben accetta, non sono nemmeno un'umile matricola, come potrei anche solo pensare di unirmi alla vostra compagnia di studenti anziani? Persino parlando con voi sto infrangendo almeno un terzo delle regole gerarchiche dello Studium, quindi col vostro permesso io tornerei alle mie stanze».

Scuotendo la testa, il giovane replicò «Allora permettetemi almeno di accompagnarvi alle vostre stanze, milady».

Lei annuì, perdendo un battito al cuore quando un nuovo sorriso piegò le labbra del giovane.

La raggiuse baldanzoso e la affiancò, porgendole il braccio e conducendola sulle scale. Ogni studentes che incontravano salutava il giovane al suo fianco con un cenno rispettoso, e squadrava lei con curiosità.

Arrivati davanti alla porta della stanza della ragazza, scese un silenzio imbarazzato.

«Non mi fa entrare, mia signora?»

«Non credo sarebbe...appropriato, Princeps. Non vi conosco quasi», lei si strinse nelle spalle.

«Vi sbagliate: qui tutti conoscono me, ma nessuno conosce lei, mia signora, per questo siete molto più al sicuro
da ogni tipo di disonore o scandalo di quanto non lo sia la mia persona».

Sconfitta, lei aprì la porta, ed entrò. Sedette sul letto, composta ed impettita, osservando il ragazzo chiudere la porta e togliersi il mantello, appoggiandolo su di una sedia vicino al camino.

Non capiva cosa le era preso: era nella sua stanza nel Collegio di Faldras con un giovane pressochè sconosciuto, ma che la attirava come una falena vicino ad una lanterna.

Rischiava di bruciarsi.

Con un movimento calcolato, lui sedette sul letto con lei, arrivando con la mano ad un soffio dalle dita della giovane, ma non osando sfiorarla.

«Vi conosco da poco, Lady Phoebe, ma credo di poter affermare con sicurezza che mai sono stato più affascinato da altra creatura come da voi. Chiedono perdono per questo, ma mi è inevitabile».

Si allungò verso di lei, di scatto, e la baciò.

Posò solo le labbra sulle sue, cauto, per vedere come avrebbe reagito. Non ottenendo un diniego, iniziò a muovere le labbra sulla bocca rossa della fanciulla, lasciando piccoli baci.

Non ottenendo nulla, socchiuse allora le labbra, lasciando che la sua lingua toccasse la bocca immobile della giovane. Al primo tocco umido, Phoebe si scostò di poco da lui, per fissarlo negli occhi scuri per lunghissimi secondi.

Trovò una risposta al suo turbamento in quelle iridi d'ebano, uan risposta che le piacque molto, a dir la verità.

C'era solo sincerità. Quel ragazzo aveva gli occhi pieni solamente di sincerità.

Lo prese bruscamente per la giacca e, a labbra socchiuse, lo baciò.

Si avvinghiarono l'uno all'altra, le mani di lui nelle onde lisce e chiare di lei, le dita della ragazza che si impigliavano cercando di districare la chioma disordinata del giovane.

Passarono i minuti stretti l'uno all'altra, a respirare la pelle dell'altro e a baciarsi con la passione che solo due giovani possono avere.

Scostandosi un poco per baciargli la guancia, Phoebe sussurrò all'orecchio del ragazzo «Dormi con me, stanotte, sono sola».

Lui annuì, guardandola con occhi luminosi e felici.

Dormirono abbracciati, quella notte, fino a che la notte non lasciò spazio all'alba.
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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