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Autore: Medea00    05/11/2012    2 recensioni
Prompt di Rin: Blainofsky e questa frase, che poi ho usato come titolo della storia.
Non è esattamente la mia ship, quindi spero di non averla delusa con questa OS. Visti paring e titolo mi è venuta in mente quasi subito una scena post cough syrup, e ho pensato che alla fine fosse una cosa piuttosto carina, anche se non eccessivamente esplicita.
Insomma, hope you like it!
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Dave Karofsky
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Promptami'
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Titolo: Siamo più simili di quanto immaginassi.
Autore: Me medesima.
Parole: 1344
Prompt: Il titolo e il pairing, commissionatemi da Rin.
Rating: Giallo per accenni a tematiche forti e di violenza.
Avvertenze: Blainofsky, ambientato dopo il tentato suicidio di Dave.




 
Forse non era stata una buona idea.
Kurt aveva appena lasciato l’ospedale, per via di una chiamata con suo padre; era stato lì per le precedenti due ore, prima di convincersi che fosse arrivato il momento di tornare a casa. Aveva già fatto tutto il possibile per Karofsky; prima di andarsene mi offrì un passaggio, io rifiutai gentilmente dicendogli che si era già messo in moto mio padre per venire a prendermi. Non era vero, perdonami Kurt, in quel momento non mi era venuto nient’altro da dirti. In realtà, era da tre giorni che aspettavo il momento per poter stare da solo con Karofsky: continuavo a fissare quella porta, ad ascoltare le sue lacrime scivolare da quella sottile fessura, e dentro di me sentivo di dover far qualcosa. Forse, perché anche io mi sentivo in parte responsabile per quanto successo: dopotutto ero il ragazzo di Kurt. Era per causa mia, o almeno, così pensavo, che lui avesse evitato tutte le sue chiamate, perché non voleva farmi ingelosire inutilmente.
Oppure, forse, era perché sentivo come una voce, dentro di me, che mi spingeva ad aprire quella maledetta porta e trovarmi faccia a faccia con lui.
Così feci.
Vedere David Karofsky sdraiato su un lettino e collegato ad una flebo mi diede una strana sensazione: continuava a riproporsi di fronte a me l’immagine di quel bullo che aveva minacciato di morte Kurt, che mi aveva spintonato contro una ringhiera del McKinley e con cui avevo quasi rischiato di fare a botte durante la notte dei negletti. Non eravamo di certo partiti col piede giusto noi due, e fino ad allora io l’avevo visto soltanto come una persona che non era degna della mia attenzione, come un ragazzo debole, che si era permesso di trattare male me e una persona a me cara.
La stupidità di un ragazzino, immagino. Adesso, di quel David Karofsky che avevo così tanto detestato non ne era rimasta nemmeno la forma: il suo corpo era debole, dimagrito. I suoi occhi chiari erano scavati da delle profondi e tristi occhiaie. Sul suo viso cosparso da un sottile strato di barba era impresso un’espressione incolore, una di quelle indecifrabili, che soltanto a vederla mi fece venire i brividi.
Era il volto di qualcuno che non aveva più paura di morire.
“Ehi.”
Come inizio di conversazione non fu granché, ma insomma, ero già abbastanza imbarazzato di mio; lui, dal canto suo, non fece molto per rompere il ghiaccio, tranne guardarmi intensamente per poi borbottare con voce roca: “Che vuoi Blaine.”
Già, era piuttosto difficile da spiegare a parole. Perché mi trovavo lì? Perché mi sentivo in colpa? Perché mi faceva pena?
“Io… volevo solo vedere come stavi.”
Che cosa stupida da dire a un ragazzo che aveva appena tentato di togliersi la vita. Non ho mai avuto molto tatto in certe cose.
“Beh – scherzò lui – sono vivo.”
Sorrisi. Almeno non aveva perso quel briciolo di sarcasmo che lo aveva sempre contraddistinto. Con molta calma mi misi a sedere sulla sedia accanto al suo letto, fissandomi le mani, non avevo la più pallida idea di cosa fare ora che mi trovavo a pochi centimetri da lui; Kurt, sicuramente, lo avrebbe saputo. In fondo lo conosceva, anche se in modo piuttosto particolare.
Per coincidenza, o per uno strano scherzo del destino, evidentemente anche Karofsky in quel momento pensò a lui: inclinò leggermente la testa, parlando con tono calmo e esitante.
“Comunque ci terrei a dire che… non l’ho fatto… sì insomma, non è stato lui.”
Non afferrai il concetto al primo colpo: fui costretto a chiedergli di ripetere, di spiegarsi meglio.
“Kurt in tutto questo non c’entra”, riuscì finalmente a dire, “Insomma, un po’ sì, ma è un discorso più… generale.”
“Oh.”
Dovevo sentirmi sollevato, felice? A dire il vero mi sentii ancora più inutile. Ancora più dispiaciuto: anche in un momento del genere, quel ragazzo stava facendo in modo che nessuno si preoccupasse di lui. Non voleva né pietà, né empatia. Forse, voleva solo stare da solo.
“Ok. Non l’ho mai pensato, comunque.”
“No?”
Sembrò piuttosto sorpreso dalla mia risposta; tanto che, acquisito un po’ di coraggio, affermai: “Certo. Insomma, non ti devi preoccupare di questo. Tu pensa solo a-“
“A fare cosa, Blaine? A rimettermi in sesto? A stare meglio?”
Ovviamente, non era questione di ricovero fisico, lo sapevo bene. Ma la sua sfacciataggine mi faceva sentire ancora più indisposto, perché non rendeva assolutamente le cose facili.
E infatti lui notò la mia reazione; osservò come i miei occhi scesero lentamente a terra, come le mie mani si intrecciarono tra di loro, intimidite. Lo sentii emettere un piccolo sospiro, prima di mormorare, con tono pacato: “Mi… mi dispiace. Non volevo-insomma, è solo che tutto questo mi dà sui nervi va bene? Io e te non ci siamo mai sopportati. Io ho cercato di massacrarti.”
“Non ce l’ho con te per questo.” Lo interruppi quasi subito, guardandolo dritto negli occhi. “Cioè, ammetto che in passato magari non mi piacevi per niente, ma anche io ho la mia fetta di colpa. Non dovevo darti addosso in quel modo la prima volta che ti ho visto. Ti ho quasi spinto a fare outing in mezzo a tutta la scuola.”
Aspettai qualche secondo, in attesa di una sua reazione: non avvenne. Semplicemente, continuò a fissarmi, e io ne approfittai per terminare il piccolo discorso che era nato nella mia mente: “Ero talmente occupato a pensare a Kurt che non mi sono nemmeno preoccupato di come potessi sentirti. Sono stato un egoista.”
“Non potevi saperlo.” Tentò di dire.
“Sì invece. Ci sono passato. So bene cosa vuol dire aver paura di uscire allo scoperto. Sono stato picchiato a sangue una settimana dopo il mio coming out.”
I suoi occhi si ingrandirono, ma solo per un secondo: chissà, magari se lo aspettava. Dopotutto, era così facile sostituire la sua immagine a quella dei miei bulli nella vecchia scuola, veniva quasi spontaneo.
Ma Karofsky non era come loro. Non più, ormai. E non si può vivere rinfacciando costantemente il passato.
“Insomma, per quanto riguarda me, e Kurt, e chiunque altro tu abbia importunato… non ci devi pensare, adesso. Non è compito tuo accollarti anche le nostre vite. Devi prima riuscire a sistemare la tua, un poco alla volta.”
“Ma come posso farlo?”
Ed ecco, il vero Karofsky che nessuno aveva mai avuto la fortuna di incontrare.
Un ragazzo timido, un po’ impacciato, che adesso sembrava completamente perso nei suoi ricordi e in balìa di qualsiasi cosa io dicessi. No, non io: si sarebbe aggrappato a chiunque gli avesse dato un po’ di affetto, perché era ancora troppo debole, troppo vulnerabile e, sì, anche troppo solo.
“Non sei solo.”
La mia mano andò automaticamente a cercare la sua; un gesto piccolo, di conforto. Un gesto che in quel momento avrebbe fatto qualsiasi amico, e in quel momento pensai si addicesse a due come noi.
“Ti aiuteremo. Io ti aiuterò. Non puoi affrontare tutto questo da solo. E ce la puoi fare.”
Karofsky strinse forte la mia mano, sviando per un attimo lo sguardo.
“Vorrei solo non sentirmi così uno schifo.”
 
E fu allora che capii. Fu allora che i miei occhi ambrati si spalancarono, andando a posizionarsi esattamente su di lui.
Anche lui era scappato. Esattamente come me, due anni prima. Anche lui aveva affrontato un mondo crudele, e non era stato in grado di affrontarlo perché troppo debole, troppo stanco, troppo triste, da non riuscire a vedere il buono che c’era in lui.
Karofsky aveva sopportato tutto quello da solo, in silenzio.
Se non avessi incontrato Kurt, probabilmente, sarei stato su quel lettino accanto a lui.
Non era un cattivo ragazzo. Solo, aveva fatto delle scelte sbagliate; ma la sua strada non era finita. Sarebbe stata un po’ tortuosa, magari, e con molte salite. Ma avrebbe trovato anche lui un posto in cui stare bene; ne ero sicuro.
Il cuore cominciò a battere un po’ più velocemente perché, in quel momento, mi rivolse un piccolo sorriso e non ci fu più nient’altro da aggiungere.
Alla fine, siamo più simili di quanto immaginassi.





   
 
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