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Autore: LaniePaciock    05/11/2012    5 recensioni
Non vi siete mai chiesti come sia nata la grande famiglia Castle, come ogni personaggio abbia trovato il suo attore perfetto? Non vi siete mai chiesti come tutto è iniziato?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'How it all began'
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Cap.3 Martha Rodgers


“Pronto?”
“Ehi, parlo con la tra poco più che famosa detective Beckett?” esclamai allegro. Sentii Stana ridere dall’altra parte del telefono. Notai che aveva una bella risata. “Come stai?”
“Ciao Nathan! Io bene e tu?” rispose. Ora che ti ho sentita meglio. “Tutto bene. I tuoi?” domandai ancora. Subito dopo averle confermato il ruolo, Stana era partita per il Canada per passare un paio di giorni con i suoi parenti. A quanto ne sapevo, doveva essere tornata a Los Angeles la sera prima.
“Bene anche loro. Gli ho raccontato di Castle e ne erano entusiasti” replicò felice.
“Ottimo” risposi. “Uhm… senti, hai da fare stasera?” Ci fu un secondo di silenzio dall’altra parte del telefono in cui, per qualche motivo, io entrai nel panico. “No, non pensare male!” aggiunsi subito preoccupato. “Solo che, ecco, ti ricordi che Andrew ci ha consigliato di uscire un po’ insieme, no?” Era vero. Marlowe c’è lo aveva chiesto per avere più intesa possibile per Castle e Beckett. Lo facevamo per la serie. Io comunque non mi lamentavo di certo. Avevo una scusa in più per vedere Stana. Un momento… da quando mi serviva una scusa per combinare un appuntamento??
“Sì, mi ricordo” dichiarò lei cauta, evidentemente non capendo bene dove volessi andare a parare.
“Beh, ecco, ehm, siccome domani ci saranno i provini per Martha, la madre di Rick, e nei giorni successivi quelli degli altri personaggi e saremo stanchi, mi chiedevo quindi se stasera ti sarebbe andato bene uscire, sempre che ovviamente tu non sia stanca, certo, allora potremmo sempre rimandare e…”
“Nath respira!” mi fermò lei con tono divertito. Avevo detto la frase tutta d’un fiato. Da quando mi innervosivo a parlare con una donna?? “Comunque va bene.” Sorrisi come un cretino.
“Davvero?” domandai un po’ troppo allegro. Mi schiarii la gola e cercai di calmarmi. “Voglio dire, sicura di non essere stanca per il viaggio?”
“Tranquillo, Nath, ieri ho dormito un po’ in aereo e stamattina me la sono presa comoda” replicò ridacchiando.
“Ok, allora che ne dici se ti passo a prendere verso le otto?” domandai allora.
“Perfetto!” replicò. “Ma dove hai intenzione di portarmi?” chiese poi curiosa.
“Se per te va bene, niente di troppo ricercato. In realtà volevo chiederti se ti piaceva l’idea di hamburger e patatine…” risposi nervoso. Non era granché come appuntamento, ma in fondo non era un vero e proprio appuntamento, no? Serviva solo per conoscerci meglio. E il clima informale di un bar mi sembrava più adatto rispetto a quello di un ristorante.
“Scherzi, vero? Ne vado pazza!” esclamò subito. Io tirai un sospiro di sollievo.
“Ok, allora a stasera! Conosco un posto dove fanno degli hamburger fantastici” dichiarai.
“Ottimo, Nath, ma prima di riagganciare, non dimentichi un dettaglio che devi chiedermi?” domandò quindi Stana. Io aggrottai le sopracciglia confuso.
“Devo chiederti se stasera mi vuoi rimboccare le coperte?” scherzai. Lei rise. Avrei potuto scommettere che aveva appena alzato gli occhi al cielo.
“No” rispose con tono esasperato e divertito insieme. “Se devi venirmi a prendere, non devi forse chiedermi dove abito?” Ah, giusto.
 
Alle otto in punto quella sera ero davanti al suo palazzo. Mi ero messo comodo, niente di ricercato. Un paio di jeans blu scuro, camicia bianca con i primi bottoni aperti e giacca di pelle. Avevo lasciato anche un filo di barba. Facevo la mia bella figura rimanendo sportivo insomma. Appena parcheggiai, le mandai un messaggio per avvertirla che ero arrivato, quindi uscii dall’auto e mi ci appoggiai sopra con la schiena per aspettarla. Nemmeno due minuti dopo la vidi aprire la porta della palazzina e sorridermi felice. Io contraccambiai subito. Mentre si avvicinava a me, passai rapidamente lo sguardo sul suo corpo. Indossava un paio di jeans neri aderenti e una giacca scura che le arrivava a mezza coscia dal quale si intravedeva una maglia verde smeraldo. Il tutto insieme a un paio di scarpe col tacco nere. Aveva i capelli sparati volutamente un po’ ovunque che le incorniciavano bene il volto.
Le andai incontro e ci salutammo con una stretta di mano. Quindi la accompagnai alla macchina e cavallerescamente le aprii la portiera per farla salire. Io salii dal lato guidatore, misi in moto e partimmo. Dopo qualche secondo di silenzio un po’ imbarazzato, la spiai con la coda dell’occhio. Vidi che stava osservando con curiosità la mia macchina.
“Non ti convince la mia auto?” domandai scherzando. Lei arrossì leggermente e scosse la testa.
“No, no, figurati mi piace! Solo che… ehm… ecco…” esitò un momento. La vidi osservare dubbiosa il simbolo della marca dell’auto sul volante e capii la sua perplessità.
“Solo che ti stai chiedendo perché guido una piccola Chevrolet Aveo invece di un bolide Ferrari o Mercedes, vero?” la anticipai ridacchiando.
“In effetti sì” rispose lei annuendo e sorridendo imbarazzata.
“Tranquilla, se ti consola saperlo sono entrambe in garage insieme alla Porche e all’Hammer!” replicai con il tono più serio che mi riuscì. Stana spalancò gli occhi per un secondo incredula. Poi capì che la stavo prendendo in giro quando vide che mi stavo trattenendo dal ridere. Sbuffò e incrociò le braccia al petto. Nel vedere la sua faccia imbronciarsi come quella di una bimba, una bimba davvero carina, scoppiai a ridere. “Scusa…” riuscii a dire dopo qualche secondo, mentre ancora sogghignavo. Lei mi lanciò un’occhiataccia. “Ok, ok, vuoi la verità?” aggiunsi subito dopo più seriamente per non farla arrabbiare e non far partire subito con il piede sbagliato la serata. “In realtà ho questa auto, che uso sempre, e una Mercedes, ma quella la uso solo per occasioni particolari. Consuma troppo. Questa invece ha motore ibrido quindi aiuto anche un po’ l’ambiente!” esclamai fiero dando una leggera pacca al cruscotto dell’auto. A quelle parole la vidi illuminarsi.
“Ehi, sapevo che avevi co-creato una fondazione benefica per i bambini…” iniziò lei.
Kids Need to Read” dichiarai orgoglioso. Era stata una delle mie scelte migliori. Io non avevo bisogno di tutti i soldi che guadagnavo, me ne bastavano una parte. Loro sì. Stana annuì sorridendo teneramente.
“Giusto. Beh, sapevo di questo, ma non pensavo ti interessassi anche all’ambiente!” esclamò lei visibilmente sorpresa da quella scoperta.
“Eh, lo so. Sono un uomo da sposare!” scherzai. “Tra l’altro so che tra poco uscirà un nuovo modello di auto elettrica della Archimoto che mi interessa parecchio…” aggiunsi eccitato. Continuammo a parlare di beneficenza e ambiente per il resto della strada. Scoprii che Stana voleva far partire, possibilmente a breve, un ATP, Alternative TravelProject, ma che ancora aveva bisogno di alcuni permessi e collaboratori per dargli il via ufficialmente.
Arrivammo al pub che adoravo dieci minuti dopo. Si chiamava Maxie’s ed era un piccolo locale che assomigliava molto ad una taverna, con bancone, tavoli e sedie ancora interamente in legno. Mi piaceva l’odore della carne, che si sentiva sfrigolare dalla cucina, che permeava l’aria mischiato a quello del legname. Inoltre conoscevo il proprietario.
“Nate!” esclamò allegro un uomo piuttosto basso e corpulento con una folta barba scura appena varcai la soglia insieme a Stana. Io sorrisi e contraccambiai la sua forte stretta di mano.
“Maxie! Come te la passi, amico?” Maxie aveva quasi sessant’anni, ma ancora guidava il suo locale quasi senza nessun aiuto, a parte quello del figlio che lavorava in cucina, ed era apprezzato per la sua giovialità nonostante l’aspetto un po’ burbero. Lui sorrise da sotto la barba.
“Gli affari vanno a gonfie vele e mio figlio si è appena sposato, quindi direi tutto bene!” rispose felice.
“Ehi, non lo sapevo!” replicai sorridendo e dandogli una pacca sulla spalla. “Fai le congratulazioni a Andy da parte mia.” Lui annuì. In quel momento si accorse di Stana.
“Oh, ma questa bella donna insieme a te?” domandò lanciandomi uno sguardo furbo.
“Maxie, lei è Stana Katic” la presentai. “Sarà la mia partner nella prossima serie che gireremo” aggiunsi subito cercando di stemperare l’imbarazzo mio e di Stana e facendo capire all’uomo che non stavamo insieme. Lui annuì di nuovo e allungò la mano verso la donna che la strinse prontamente.
“È un piacere conoscerti. Nath mi ha detto faville dei tuoi hamburger” dichiarò lei lanciandomi un’occhiata divertita. Maxie fece un gesto con la mano come a dire che esageravo, ma sorridendo compiaciuto.
“Il tuo tavolo è sempre libero, Nate” disse poi l’uomo facendo un cenno verso la sala. “Sedetevi pure e tra un momento vengo a prendervi le ordinazioni.” Annuimmo e io guidai Stana verso il mio tavolo preferito. Era un tavolino quadrato messo in un angolo della sala. Era un po’ scostato e riparato dagli alti sedili che correvano tra un tavolo e l’altro lungo la parete della sala, il che dava abbastanza riservatezza. Tra l’altro il locale non era molto pieno, essendo un giorno settimanale, quindi c’era anche poca confusione. Due menù erano già sul tavolo. Li sfogliammo per qualche secondo, mentre Stana mi chiedeva consigli sulle salse nei panini. Dopo un paio di minuti Maxie si avvicinò a noi.
“Allora ragazzi, che vi porto?” domandò tirando fuori un blocchetto per gli appunti e una penna.
“Per me un hamburger al formaggio e patatine fritte” rispose Stana.
“Io il solito hamburger alla salsa barbecue e anche a me patatine” aggiunsi io.
“Da bere?” chiese ancora l’uomo, mentre finiva di scrivere.
“Cola” esclamammo in insieme. Io e Stana ci fissammo perplessi e divertiti per un momento. Maxie sorrise.
“Ok. Datemi il tempo di cottura e torno da voi” concluse l’uomo. Quindi riprese i menù e se ne andò verso la cucina. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, non sapendo bene di cosa parlare.
“Allora…” ruppe l’imbarazzo Stana. “Da quanto conosci questo posto?”
“Qualche anno” risposi con un’alzata di spalle. “Ci sono entrato per caso una delle mie prime volte qui a Los Angeles. Il cibo era eccellente, il proprietario un mio fan e io sono rimasto!” conclusi ridacchiando. Stana alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. “Ehi, ma sbaglio o quando hai fatto il provino Andrew ha detto che hai recitato in diversi ruoli recentemente?” Lei scosse la testa.
“Non sbagli. Ma sono piccoli ruoli in confronto a Castle. Non vedo l’ora di cominciare!” esclamò allegra. “Non ero così eccitata neppure per l’apertura di Sine Timore!”
Sine Timore?” domandai perplesso.
“È… beh, è la mia casa di produzione” spiegò tornando a quel lato timido che avevo conosciuto ai provini. “Significa ‘senza paura’. È in piedi solo da qualche mese, ma speriamo cresca presto.” Io le sorrisi.
“Se ne sei a capo tu, di certo non ci metterà molto!” replicai facendole l’occhiolino. Lei sorrise riconoscente con le guance un po’ rosse. In quel momento tornò Maxie con un vassoio contenente le nostre ordinazioni. Mangiammo chiacchierando tranquilli, scherzando e cercando di rubarci a vicenda il ketchup (io) e la maionese (lei) che ognuno di noi aveva in bustine per le patatine. Avevo appena finito di divorare l’hamburger e iniziato ad attaccare le patatine, quando Stana, che aveva finito solo un po’ più di mezzo panino, ricevette una telefonata.
“Scusami un momento” mi disse appena un attimo prima di schiacciare il tasto per la risposta, alzandosi allo stesso tempo dal tavolo. Mentre si allontanava la sentii dire salutare e poi dire allegra “Come stanno i miei dalmati?” Mi domandai se per caso avesse dei cani. E se magari il suo fidanzato glieli stesse tenendo. Mi venne un po’ l’amaro in bocca a questo pensiero e rimisi nel piatto la patatina che stavo per mangiare. Stana tornò poco più di un minuto dopo. “Scusa, era solo un saluto veloce” mi disse imbarazzata riprendendo in mano il suo panino. Io nascosi i miei film mentali dietro un sorriso.
“Tranquilla” replicai. “Senti, ma hai dei cani?” Lei mi guardò confusa. “No, è che ti ho sentito chiedere dei tuoi dalmati quindi mi domandavo se…” Un lampo di comprensione passò negli occhi di lei. Quindi scoppiò a ridere. Io la guardai imbronciato.
“Scusa” riuscì a dirmi poco dopo riprendendosi. Quindi scosse la testa divertita. “Non erano cani. Era la mia famiglia.” Io sgranai gli occhi sorpreso e confuso. “I miei sono Serbi della Croazia e mi sono sempre divertita a chiamare la nostra famiglia ‘Dalmati’” mi spiegò. Io annuì lentamente, capendo in quel momento perché era scoppiata a ridere.
“Fratelli o sorelle?” le domandai quindi curioso.
“Quattro fratelli e una sorella” rispose Stana. Io rimasi a bocca semiaperta. Ridacchiò alla mia faccia incredula. “Tu?”
“Un fratello solo” replicai con un chiaro tono che diceva ‘uno basta e avanza’. “Fidanzati?” domandai poi a bruciapelo cercando di mantenere la mia migliore faccia da poker e giocando con una patatina nel mio piatto. Lei alzò un sopracciglio, ma alla fine rispose.
“Nessuno per il momento.” Non so neanche io perché dentro di me emisi un sospiro di sollievo.
“Oh, entrambi single allora per il momento!” esclamai con un sorriso che non riuscii a nascondere ripetendo le sue parole. Fu in quel momento che mi accorsi che le mie patatine erano ancora da finire da quando Stana era uscita con il telefono. Ricominciai a mangiarle con gusto. “Ok, lo so che sono un rompiscatole, ma sono curioso… Il tuo nome, Stana, vuol dire qualcosa? Cioè è molto bello, mi piace, ma, insomma…” mi stavo impappinando, quindi chiusi la bocca, mentre lei mi guardava divertita. Si morse il labbro inferiore, cosa che ancora una volta mi fece provare uno strano calore.
“Sì, ha un significato: vuol dire ‘malocchio’” rispose. Questa volta fui io ad alzare un sopracciglio.
“Malocchio?” domandai perplesso.  Lei annuì, mentre inforcava la prima patatina dal sul mucchio e la infilava nella maionese.
“Sembra un nome porta iella, lo so, ma in realtà serve proprio per il contrario” mi spiegò. “Era il nome di mia nonna. Nella sua famiglia molti bambini morivano giovani e lei venne chiamata così per scongiurare un’altra morte…”
“Sembra che abbia funzionato” aggiunsi sorridendo.
“Già” disse lei ridacchiando. “E sembra funzioni tutt’ora per fortuna…” continuò. Ma poi si fermò. La vidi diventare più pensierosa. Il suo sguardo si perse sulla patatina con cui stava giocando.
“Stana?” la richiamai preoccupato. Lei alzò gli occhi su di me. Sembrava ci fosse un fondo oscuro nei suoi occhi… paura forse? “Tutto bene?”
“Io… sì. Sì, sto bene” disse facendomi un mezzo sorriso. “Sono solo stata fortunata con il lavoro e tutto. In fondo ora sto per essere anche la co-protagonista di una più che brillante serie, no?” aggiunse scherzosa. Vidi però che dai suoi occhi quella strana luce non accennava a diminuire.
“Non è solo questo però vero?” domandai seriamente. Lei mi guardò per qualche secondo, quindi sospirò.
“Mi sa che ti stai immedesimando troppo in Castle…” mormorò scuotendo la testa, ma con un mezzo sorriso. Io alzai appena le spalle e attesi che continuasse. Non l’avrei forzata a parlare se non avesse voluto. Dopo qualche secondo prese un profondo respiro. “Qualche anno fa” cominciò. “Mi hanno diagnosticato un tumore…” Io la guardai spaventato e preoccupato. Prima che potessi dire qualcosa però lei mi bloccò. “Tranquillo, era benigno! E comunque l’hanno tolto” aggiunse cercando di tranquillizzarmi. Io deglutii, ma mi calmai. “Sto bene ora. Solo che, quando l’ho saputo, mi sono un po’ spaventata, ma poi tutto è tornato normale. Solo io sono cambiata. O meglio, è cambiato il mio modo di vedere le cose, se vogliamo. Anche come attrice.”
“In che senso?” le domandai confuso. La vidi aggottare le sopracciglia per cercare le parole migliori per spiegarmi.
“Beh, quando senti la parola ‘tumore’ la prima cosa a cui l’associ è ‘morte’, anche se ti specificano che è benigno” disse cercando di mantenere un tono neutro con scarso successo. Doveva essersi spaventata parecchio la mia Stana. “Quando l’ho saputo ho subito pensato: cavolo ci sono ancora un sacco di cose che voglio provare, vedere, sentire e questa forse è l’ultima volta che ne ho l’occasione…” La vidi di nuovo farsi pensierosa e attesi paziente, stringendo i pugni di nascosto. Avrei voluto girare attorno al tavolo e abbracciarla, ma ci conoscevamo da troppo poco per poterlo fare e non volevo che pensasse che mi approfittassi di un suo momento di debolezza. Aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. Quindi si girò a guardarmi negli occhi. “Dovremmo apprezzare ciò che abbiamo. Anche solo l’essere vivi e avere i sensi che abbiamo. Perché non goderne?” domandò retorica, alzando appena le spalle. Si perse per qualche istante nei suoi pensieri e io rimasi incantato a guardarla. “Sono stata fortunata. Ma questa esperienza mi ha dato la voglia di vivere e provare tutto questo. La stessa voglia che credo ogni attore dovrebbe avere. Calarsi nei panni dei personaggi e provare e far provare ogni sfumatura possibile di emozione…” Si fermò e sbatté le palpebre un paio di volte, come se si fosse appena risvegliata da un sogno. Vidi quella strana oscurità regredire lentamente dai suoi occhi. “Beh, direi che per stasera abbiamo abbondato con gli argomenti tristi” disse quindi con un mezzo sorriso cercando di alleggerire l’atmosfera. Io continuai a guardarla per qualche secondo con sguardo perso. Poi scossi la testa per riprendermi.
“Sai” dissi pensieroso, ma con un mezzo sorriso, facendola alzare di nuovo gli occhi su di me. “Credo che ci sia molta più Kate Beckett in te di quanto immaginassi...” Mi guardò confusa e io mi spiegai. “C’è molto di più al di sotto della superficie rispetto a ciò che mostri al mondo. E devo ammetterlo, e non pensare male, ma non vedo l’ora di scoprirti…” Stana mi osservò con la bocca semiaperta e gli occhi sgranati. Quindi mi sorrise imbarazzata e arrossì, abbassando gli occhi sul piatto. “Allora, dicevi che la tua famiglia viene dalla Croazia, giusto? E la tua casa di produzione ha il titolo in latino… Per curiosità quante lingue parli?” Il mio improvviso cambio di argomento la spiazzò per un attimo. Speravo capisse che lo facevo per non farle pensare al male, per distrarle la mente da quei timori. Avrei voluto che sul suo viso ci fosse sempre il sole. Era così bella quando rideva. Capii che aveva compreso il mio intento quando mi sorrise riconoscente e mi rispose che parlava qualcosa come cinque lingue. A quella risposta la mia mascella cadde a terra.
 
Rimanemmo nel locale a parlare e scherzare per più di due ore. Alla fine chiesi a Maxie il conto, che rifiutai categoricamente di farle pagare anche solo per un centesimo, e la riaccompagnai a casa. Arrivati sotto al suo palazzo spensi l’auto e, come per l’andata, feci il giro dell’auto e le aprii la portiera per farla stavolta scendere. Quindi la accompagnai fino alla porta. Non erano che pochi metri, ma la compagnia di Stana mi piaceva. Non volevo lasciarla andare. Parlammo per qualche minuto davanti al portone, ma poi inevitabilmente tirò fuori le chiavi.
“Beh, allora grazie della bella serata Nath” mi disse sorridendo. Io sorrisi in risposta, anche se un po’ malinconicamente.
“Figurati, grazie a te. Per me è solo un piacere intrattenere una donna sexy come te” replicai. Lei roteò gli occhi e scosse la testa, ma non poté nascondermi il lieve sorriso sul suo volto. “Vuoi che ti rimbocchi le coperte?” aggiunsi poi con un sorrisetto furbo in volto. Lei alzò un sopracciglio in risposta. Io alzai le mani come ad arrendermi. “Ok, ok ho capito!” dissi ridacchiando. Abbassai le mani. Rimanemmo qualche secondo a guardarci in silenzio. Quindi mi avvicinai a lei e le lasciai un piccolo bacio sulla guancia. Quando mi scostai vidi la sua espressione sorpresa, la bocca semiaperta. “A domani allora” mormorai prima di staccarmi da lei e girarmi verso la macchina.
“A domani” mi rispose Stana con qualche secondo di ritardo. Io le sorrisi un’ultima volta, quindi mi infilai in macchina. Partii nello stesso momento in cui lei aprii il portone. Ero stupito di me stesso. Se fosse stata un’altra donna forse avrei osato di più, ma con lei no. Stana era diversa dalle altre. Non solo era bella, ma anche intelligente e divertente. Inoltre avrei dovuto lavorare con lei, se fosse andato tutto bene, per diversi anni. Non volevo rovinare da subito quella che sarebbe potuta diventare, ne ero sicuro, per lo meno una forte amicizia. Mentre ero perso in questi pensieri, mi chiesi se ci sarebbe effettivamente stata il giorno successivo per i provini per la madre di Castle.
 
La mattina dopo arrivai verso le nove agli studios. Siccome avrei provato di nuovo con tutte le aspiranti, stavolta avevo chiesto prima ad Andrew e Rob quante erano le candidate al ruolo. I due mi avevano assicurato che erano solo una quarantina, il che voleva dire finire tranquillamente per ora di pranzo. Passai al bar a prendermi un caffè e mi diressi verso i set. Stavolta i provini si sarebbero svolti sullo scenario, ancora in costruzione, del loft di Castle. Al momento era solo accennato. C’erano le pareti che contornavano le stanze già nella loro posizione definitiva, ma ancora gli interni erano tutti da allestire. Quando misi piede in quello che presto sarebbe diventato l’appartamento di Castle, vidi una grande libreria, al momento vuota, che divideva il suo studio dal salone, nel quale era invece presente un grande divano. Capii che sarebbe stato quello il luogo in cui avremmo provato perché davanti a questo avevano posizionato un tavolo con diverse sedie che non c’entravano nulla con il resto dell’arredamento.
“Ehilà, Nathan!” mi salutò Marlowe allegro da dietro le spalle. Mi voltai e gli sorrisi.
“Ciao Andrew!” risposi.
“Allora sei pronto per conoscere la tua futura madre?” mi domandò ridacchiando e dandomi una pacca sulla spalla. Io annuì e sospirai con finta espressione rassegnata.
“Non c’è ancora nessuno?” chiesi quindi indicando con un cenno il set quasi vuoto se non per alcuni operai che stavano sistemando quello che immaginai fosse il piano bar della cucina.
“Stanno arrivando” rispose lanciando contemporaneamente un’occhiata al set, probabilmente per vedere che fosse tutto in ordine. “Qualcuno doveva controllare i nominativi delle candidate, qualcuno voleva prendersi un caffè prima di cominciare e Rob stava stampando un’altra copia del copione visto che quello di prova me lo avete distrutto ai provini per Beckett…” Il tono era a metà tra il rimprovero e il divertito. Io alzai le spalle come se non ne sapessi nulla, nascondendomi dietro all’ultimo sorso di caffè. Mi chiesi se anche Stana sarebbe venuta ad assistere. Un pensiero improvviso mi passò per la testa.
“Oh, Andrew, prima che arrivino gli altri vorrei parlarti di una cosa…” Pensando a Stana, mi era venuto in mente il modo in cui ci eravamo salutati, o meglio come io l’avevo salutata. Proposi quindi a Marlowe di inserire un piccolo bacio sulla guancia di Castle per Beckett quando lui le regala la copia autografata e con dedica di Storm Fall. In fondo voleva essere un po’ un saluto e un po’ una richiesta di scuse preventiva per il fatto di averle appena rubato i documenti del caso da sotto il naso. Inoltre Rick aveva più o meno capito che la detective era una sua fan e quale fan non sarebbe stata contenta di ricevere un bacio dal proprio autore preferito? Appena finii di esprimergli la mia idea, gli altri cominciarono a tornare, Rob con copione in mano appena stampato compreso.
“Mm… sai che c’è? L’idea non mi sembra male. Ci penso e poi ti dico, ok?” dichiarò Andrew pensieroso un attimo prima che raggiungesse il resto del gruppo al tavolo. Sono molti i registi o gli scrittori da cui si sente questa frase, ma se c’è ne era uno su cui si poteva contare che dicesse sul serio, quello era proprio Marlowe.
A quel punto mi tolsi la giacca, buttandola su una sedia in più presente, e mi sedetti sul divano. Rob mi comunicò che questa volta le battute sarebbero state quelle all’inizio dell’episodio durante la festa per l’uscita del libro. Siccome non era una grande parte, avrebbero anche domandato alla candidata il tono con cui, su due piedi, avrebbe risposto a Beckett quando Martha e Alexis pagano la cauzione a Castle.
Anche questa volta fu Isabel ad avvertirci che era tutto pronto e potevamo partire.
 
Due ore e trentuno candidate dopo ero sfinito tanto quanto lo ero stato nel momento in cui era entrata Stana ai provini di Beckett. Parlare con donne giovani è molto più semplice che avere a che fare con donne più anziane. Quasi tutte avevano anni di esperienza sulle spalle e alcune ti trattavano come l’ultimo arrivato. Un paio avrebbero anche voluto cambiare copione perché ‘non gli si addiceva’. Avrei voluto spiegargli che erano loro che dovevano adattarsi al copione e non il contrario, ma mi ero morso la lingua. Avrei detto la mia a fine prove ed ero comunque sicuro che nemmeno Andrew e Rob ne fossero particolarmente entusiasti. Per fortuna c’erano anche quelle ben disposte nei confronti nostri e del copione. Nonostante tutto però, arrivati a quel punto non avevamo trovato ancora la Martha Rodgers perfetta. Io la immaginavo un po’ eccentrica, un po’ cacciatrice di uomini, ma in fondo una buona madre. Andrew aveva cercato di spiegare ogni volta il personaggio alla nuova venuta, ma sembrava fosse inutile. Quelle donne, nonostante gli anni di esperienza, non avevano capito che Castle non era un mammone. Avevano letto che Rick e Martha abitavano insieme, quindi avevano tratto le loro conclusioni. Certo, loro effettivamente abitavano sotto lo stesso tetto con Alexis, ma solo perché la madre non aveva trovato un’altra sistemazione e lui l’aveva ospitata. Eppure la maggior parte di queste donne nel recitare usava quel tono semiaccondiscendente che si usa con i bambini, prima di capire che non era questo che volevamo per Martha Rodgers.
Ogni volta che entrava una nuova candidata, io mi alzavo per salutarla e poi mi risedevo, lasciando comunque spazio sul divano per farle accomodare se avessero voluto. Loro si presentavano, facevano la lista dei film o telefilm in cui erano apparse e poi si rivolgevano a me. Alcune si sedevano, altre restavano in piedi e recitavamo. Ero stanco. L’unica cosa che mi tirava un po’ su era la presenza di Stana. Era arrivata più o meno all’ottava candidata per vedere come procedevano le selezioni e ora stava seduta nella sedia su cui avevo buttato la mia giacca. Ora che ci pensavo… quando l’avrei ripresa avrebbe profumato di lei. La trentaduesima candidata che entrò mi prese in questi pensieri.
“Susan Michaela Sullivan” si presentò. Io scossi al testa per riprendermi e osservarla meglio. Era una donna magra, abbastanza alta, anche se non più di me, e bionda. A differenza di altre che avevo visto in precedenza, lei sembrava portare le rughe d’età quasi con fierezza. Alcune candidate venute prima di lei sembrava fossero state immerse nel botulino. Lei invece pareva non preoccuparsi minimamente del tempo che passava. Questa cosa mi piacque. Inoltre, nonostante l’età, era ancora una bella donna. Inclinai appena la testa e socchiusi gli occhi. L’avevo già vista da qualche parte, ma non ricordavo dove. Quando nominò Dharma e Greg nel suo curriculum capii perché la sua faccia mi era familiare. Quella era una sitcom che avevo seguito e Sullivan vi aveva interpretato la madre di Greg. Quando finì con Marlowe si girò verso di me. Io mi alzai, le allungai la mano e mi presentai. Aveva una stretta decisa. Quindi le passai il copione, un po’ stropicciato, e mi risedetti. Lei rimase in piedi a studiare per un momento la parte. Qualche secondo dopo comunicò a Andrew di essere pronta. La prima battuta era mia, quindi iniziai a leggere. Solo in quel momento Susan dovette rendersi conto che avrebbe recitato con me perché all’inizio mi guardò sorpresa. Poi in malo modo. Io non seppi se preoccuparmi o meno. Sullivan mise la mano che reggeva il copione su un fianco e l’altra la allungò verso di me.
You!” mi chiamò minacciosa. “Up! Up!” disse con tono deciso facendomi anche segno con la mano di alzarmi. Io scattai in piedi. Vidi con la coda dell’occhio Stana che tentava di non scoppiare a ridere, come pure Andrew, Rob e il resto dei ‘giudici’. A quel punto Susan andò avanti a leggere la sua battuta come se niente fosse. Io all’inizio feci una mezza smorfia a quella improvvisata. Poi vidi che la donna attendeva la mia battuta sorridendo leggermente. Sorrisi anche io. Era quello che volevamo. Era quello il tono che mi immaginavo per Martha. Il tono di una madre che insegna al figlio come comportarsi, ma allo stesso tempo sa che è l’ultima a essere perfetta e ne ride. Senza esitare oltre lessi la mia battuta.
 
Finimmo di sentire tutte le candidate verso l’una. Andrew ci riunì prima di lasciarci andare a mangiare e a riposare. Dopo Sullivan c’era stata solo un’altra che aveva dato prova di essere una buona Martha. Parlandone però, ci accorgemmo che solo Susan aveva quel qualcosa in più che l’avrebbe resa perfetta. E non era solo l’avermi fatto scattare in piedi come un bambino sorpreso a fare una cosa sbagliata dalla mamma, come Stana ci teneva molto a ricordarmi ridendo, ma era quel qualcosa in più. Forse anche solo quella simpatia istintiva che avevo avuto verso di lei. Alla fine la decisione fu unanime. Susan Sullivan era diventata ufficialmente l’eccentrica attrice Martha Rodgers, madre di Castle.

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Xiao!!! :D
Lo so sono un poco in ritardo, ma ho pubblicato "The revenge" a mia discolpa!! XD Tra l'altro, ve lo dico già qui, il prossimo capitolo probabilmente verrà fuori tra un po' perché prima (spero vi interessi) scriverò il seguito di "The revenge"! XD
Una cosa sul capitolo... come avrete notato il titolo è per Martha, ma tutta la prima parte è su Nathan e Stana. Ecco non mi ricordo se l'ho precisato, ma oltre ai provini (veri o inventati che siano) metterò anche scorci degli attori fuori dal set per "vedere" appunto come sono diventati così amici... giusto per spiegare la mia idea! X)
Un mega grazie alle mie due pazze, sclerate e preferite consulenti Sofy e Katy!!!! :D:D:D Vi lovvo tanto ragazze!!!! <3<3<3
Beh, un commentino è sempre ben accetto!! X) A presto!! :D
Lanie
  
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