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Autore: EvgeniaPsyche Rox    05/11/2012    7 recensioni
Nonostante da bambino sua madre gli avesse sempre letto un sacco di fiabe per farlo addormentare, Axel sa che non avrà mai il suo lieto fine.
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Medley.

 


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Sei troppo pigro, gli urla il prof, ma lui non se ne cura, non gli interessa, continua a rimanere in silenzio, a maledirlo mentalmente con gli occhi annoiati e inespressivi.
«Un disastro sei, ecco. Non arriverai mai da nessuna parte! Mi chiedo che cosa ci fai ancora qui!»
Lui non risponde, non gli interessa, fa finta che non gli interessa. Appoggia la testa sulle mani e si scrolla le spalle, è indifferente, fa l'indifferente e il prof si irrita ulteriormente.
«Sei un disastro!»
Glielo ripete ancora, a voce più alta, il professore urla e ha il volto rosso dalla rabbia, ma lui continua a rimanere impassibile anche se dentro è in frantumi.

 

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C'è profuma di vaniglia nell'aria.

 

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Axel si volta, gli occhi verdi luccicano di una strano e improvviso bagliore, il corpo sussulta, le mani tremano, si passa la lingua sulle labbra calde.
Si alza immediatamente, senza badare al professore che lo sgrida e alla lezione di ginnastica. 

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«Ehi, Roxas!»

 

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Urla, vuole farsi sentire e ci riesce, anche se solo in parte.
I suoi compagni lo guardano, ma ormai sono abituati alle sue scenate, alla sua voce imponente e squillante.
Anche gli amici di Roxas lo sentono; infatti si voltano, e così fa anche Roxas, la cartella bianca sulle spalle, gli occhi blu grandi e liquidi, pieni, pieni dentro, perché fuori non lasciano trapelare alcuna emozione, proprio come fa Axel quando i professori lo sgridano.
Gli fa un cenno con la testa e basta. Poi i suoi occhi tornano a brillare, le sue labbra si schiudono e ride, ride con i suoi amici e la sua espressione è un raggio di sole.
Axel abbassa il braccio e la testa, adesso sta guardando il prato verde: sta male, è vuoto dentro, il blu lo risucchia e lo perfora come mille lame, lo fanno sanguinare.
I suoi compagni lo osservano con attenzione. Non domandano, perché sanno già. Tutti sanno.
Tutti sanno che ad Axel piace il ragazzino dai capelli biondi come il grano e gli occhi blu come l'oceano.

 




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Click.
Silenzio, piano piano, non deve far rumore.
Click.
Ancora.
Click.
Sssh, sssh. Segreto, segreto.
Click. Click.
Axel stringe la fotocamera tra le mani, è nuova, l'ha comprata il giorno prima grazie ai risparmi del suo nuovo lavoro. Ci tiene tanto, gli piace scattare fotografie, le sue foto devono essere perfette, perché Roxas è perfetto e merita di essere rappresentato con altrettanta perfezione.
Vuole che la sua fotocamera raffiguri i suoi capelli dorati, i suoi occhi grandi e blu, la sua espressione ingenua, i suoi movimenti aggraziati, il suo corpo un po' acerbo per i suoi sedici anni, le sue gambe minute, tutto il suo essere, la sua perfezione.
Lui è un angelo, eppure non lo sa; invece Axel sì, lo sa, ma non glielo dice perché è un segreto.
Uno splendido segreto. E' suo, gli appartiene, nessuno deve saperlo, nessuno deve averlo.
Ha la pelle bianca come la neve, pallida e gelida in inverno, come il latte, quello che amano succhiare i bambini appena nati dai seni della madre e che amano bere i gatti mentre girano affamati tra i cortili di casa sua.
Roxas è un bambino: è innocente, ingenuo, si guarda attorno e cerca ancora di capire il mondo. E' bellissimo.
Roxas è un gatto: Axel vede la sua codina, è invisibile, ma lui la vede, e ci sono anche le orecchie. Vorrebbe tanto metterlo in una gabbia e portarlo a casa, tenerselo tutto per sé, dargli il latte da bere e coccolarlo, ma non può.
Roxas non è suo, e questo lo fa arrabbiare.
Click. Click.
Roxas sorride. Roxas è assorto. Roxas pensa. Roxas guarda il cielo. Roxas gioca a calcio. Roxas ride. Roxas è triste. Roxas si stropiccia gli occhi. Roxas è seduto.
Click.
Ma le foto sono sue. Quelle gli appartengono, sono tutte lì, nello scatolone che custodisce gelosamente sotto il suo morbido letto.

 




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Scivola tra le coperte, lo cullano in mezzo alla malinconia e alla tristezza che gli bacia ripetutamente l'anima tremante.
Sente sua madre bussare alla porta, lui rimane in silenzio, lei però insiste, lui allora urla, urla che sta uno schifo e che vuole essere lasciato in pace.
Sta male. Il blu si rovescia sul suo rosso, lo spegne. Non rimane che cenere di lui.
Continua a sbattere le palpebre, gli smeraldi galleggiano nell'alta marea, poi si sollevano e volano in cielo, però si sentono persi, la notte è così buia ed è senza stelle.
Axel si sente perso senza Roxas. Ogni notte è sempre la stessa storia. L'angoscia ha il respiro pesante, più pesante di qualsiasi altra cosa, respira e forma un tornado. Lo travolge. E' ovunque. Lo travolge, proprio come fa Roxas con il suo oceano.
Axel chiude gli occhi, tinge di nero i suoi smeraldi prima di spegnere la luce, mescola i due neri, è tutto buio, ma non per lui.
Quando si accende il buio anche la sua immaginazione si accende e inizia a creare. Vede dei capelli dorati e disordinati, un paio di occhi blu che lo guardano, guardano soltanto lui.
Splende un viso delicato e imbarazzato, mentre lui lo stringe, lo bacia, gli sfiora ogni centimetro della pelle, lo possiede, fa tutto quel che vuole perché è suo, gli appartiene, come le fotografie.
Stringe i suoi fianchi, li vede, sa perfettamente come sono fatti, morbidi e magri, chiari, è velluto, gli ricorda il velluto e c'è profumo di vaniglia nell'aria, nella stanza, è così intenso e al tempo stesso delicato.
Axel bacia Roxas, piano, poi più forte, la passione si accende e Axel sussulta, trema dall'eccitazione e dall'emozione che gli provoca quei pensieri.
L'immaginazione si spegne e si accendono i sogni, ancora più vivi e nitidi.
Axel non smette mai di baciare Roxas, neanche per un secondo.

Anche nei sogni gli appartiene e la notte non è più così buia.

 




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«Ho scordato il mio asciugamano.», lo dice frettolosamente, poi spintona involontariamente il suo compagno e svanisce dietro l'angolo, come un fulmine, alla velocità della luce.
Ha scordato il suo asciugamano perché tutti pensano che sia sbadato e distratto, ma lui sa che non è realmente così.
Axel lo fa di sua volontà, si scorda sempre qualcosa negli spogliatoi perché sa che nell'ora successiva c'è la classe di lui, del ragazzo biondo che gli piace tanto.
Sa che è lì e si cambia. Sa che è sempre il primo ad entrare e resta cinque minuti da solo prima che arrivino gli altri. E' rappresentante di classe e deve controllare che sia tutto in ordine.
Sono i suoi cinque minuti preferiti. Sono i cinque minuti speciali e magici.
Cinque minuti. Trècento secondi. Trècento secondi tutti per lui e Roxas.
Corre e scende le scale, sempre più veloce, rischia addirittura di inciampare e cadere, ma non gli interessa. Rischia di rompersi la gamba e pensa che forse sarebbe anche una cosa positiva, perché magari Roxas sarebbe andato a trovarlo, in ospedale. Gli avrebbe portato dei cioccolati e li avrebbero mangiati insieme. Poi lui sarebbe guarito magicamente grazie a Roxas, perché lui è perfetto ed è bellissimo.
Axel comunque non cade e non si rompe nulla; arriva negli spogliatoi sano e salvo, spalanca la porta e la richiude dietro di sé, è eccitato, emozionato come non mai.
«Ciao Roxas. Hai visto il mio asciugamano?», la voce è dolce, un po' bassa, come se gli stesse facendo un complimento e non una semplice domanda. Lo dice automaticamente e senza pensarci, poi vede che Roxas sta stringendo il suo asciugamano rosso e si illumina: pensa che non lo laverà mai più. Non avrebbe mai tolto quel dolce profumo di vaniglia.
«E' questo?», Roxas parla con aria sbrigativa, sembra un po' scocciato, ma cerca di non darlo a vedere, si sforza di essere gentile.
Axel annuisce e gli si avvicina, poi si morde le labbra. Se le morde forte, fortissimo, per trattenere i suoi impulsi, per trattenersi dalla voglia di spingere quel ragazzo contro il muro e baciarlo, possederlo lì, negli spogliatoi, in quei cinque minuti magici.
«Sì, grazie.», afferra lentamente l'asciugamano, il più lentamente possibile, vuole godersi quei trècento secondi, non vuole perderli, sono unici. Trècento secondi unici nella settimana.
Roxas non risponde, non sorride; si limita a voltarsi e a spogliarsi, pronto ad indossare la tuta.
Axel non si muove. Lo fissa, lo fissa insistentemente, se lo mangia con gli occhi, risucchia ogni centimetro di pelle con i suoi smeraldi, ha paura, non resisterà a lungo, vuole prenderlo e sbatterlo, lo vuole tutto per sé, ha caldo, molto caldo, è eccitato, brucia dentro e fuori.
Roxas fa per indossare la sua maglia quando sussulta, sentendo delle iridi verdi addosso a sé; si volta, gli occhi blu freddi e distaccati, l'acqua dell'oceano gelida. «Hai preso il tuo asciugamano, no? Adesso puoi tornartene in classe.»

L'acqua è veramente fredda e Axel la sente, gli fa male la pelle dal gelo, è inverno, la stanza è immersa nell'inverno, c'è neve ovunque, la pelle chiara come la neve di Roxas e i suoi occhi gelidi, l'acqua fredda e salata.
Roxas profuma di vaniglia anche se è salato.
Trècento secondi finiti.
Axel si volta, dovrà aspettare un'altra settimana per rivivere i suoi cinque minuti magici. Anche se poi non sono così magici come crede.
Sale le scale e qualche volta lancia fugaci occhiate al suo Roxas, mentre pensa a quant'è bello e perfetto.
Axel brucia nell'acqua e annega tra le fiamme.

 




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I suoi smeraldi riflettono all'infinito nel vetro dello specchio. Il verde si riflette in eterno, nel vuoto.
I suoi occhi sono vuoti. Se li sente vuoti e persi senza il blu. I suoi occhi si riempiono soltanto nell'oceano, altrimenti non hanno senso di esistere.
Respira velocemente, gli occhi verdi ora sono anche rossi, c'è di nuovo l'alta marea e altre gocce trasparenti gli bagnano le guance.
Axel piange e la morsa della tristezza gli brucia il petto.
Le mani gli tremano mentre si tocca i capelli e li afferra, cercando di farne una coda disordinata.
Il trucco è colato, ha il viso sporco di nero. Verde, rosso e nero. Che brutti colori, bruttissimi, in contrasto con il blu, il giallo e il bianco.
Così diversi.
Axel si odia, vuole essere di un altro colore. Vuole piacere a Roxas, vuole vederlo sorridere mentre gli parla.

Ma a Roxas non piace né il rosso, né il verde e nemmeno il nero.
A Roxas non piace Axel. Axel non si piace.
Sorride, ci prova, ne sente il bisogno tra le lacrime. Le labbra sono chiare, rosa perla, proprio come le sue.
Ha le sue stesse labbra. Axel è felice. Ha qualcosa in comune, il rosa. Non gli era mai piaciuto il rosa, ma adesso lo ama, lo ama alla follia.
Axel vorrebbe unire i due rosa.

 




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Luci. Colori. Musica. Fumo.
Axel si guarda attorno, ossessivamente. Tutti quei colori gli fanno venire il mal di testa, sono troppo forti, troppo intensi.
Incontra molti volti familiari. Lo salutano, ma lui non risponde. Non gli interessa. Lui non vuole conoscere nessuno.
Musica. Ancora fumo. Questa volta mescolato alla birra fresca. A lui non piace quell'odore. Puzza, tutto il posto ha un cattivo odore.
Si fa spazio tra schiene e spalle, spintona e impreca a denti stretti, vorrebbe che se ne andassero via tutti, vorrebbe urlare a tutti di stare zitti perché lui deve cercare. 

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Nevica.

 

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Axel lo vede. E' talmente piccolo che sembra invisibile. E' seduto in un angolino, sorseggia qualcosa e osserva. E' da solo.
Axel ama vederlo in solitudine. Vorrebbe dire alla solitudine di non abbandonarlo mai, così nessuno potrebbe avvicinarsi a lui. E' suo. Gli appartiene. Appartiene a lui e alla solitudine.
Spinge altre persone e gli si avvicina con un largo sorriso dipinto sulle labbra. Si piega sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza e appoggia una mano sulla sua coscia sinistra.
Non ha paura. Sente la vaniglia mescolata al vino. La vaniglia è rovinata dal vino. Ad Axel un po' dispiace e un po' no.
Il vino è forte, forse addirittura più della vaniglia. Roxas ha gli occhi liquidi, pieni, l'espressione persa, confusa e spaesata in mezzo al caos. Non sente la musica a tutto volume, ma si accorge comunque di Axel, della sua presenza e della sua mano.
Roxas abbassa gli occhi blu verso la propria coscia, nel punto in cui Axel lo sta toccando, dolcemente e lentamente. Rimane impassibile, non risponde, non sorride, non lo caccia.
Axel alza l'altra mano e gli prende il mento, poi lo bacia, unisce i due rosa, li mescola insieme alla propria lingua e continua ad accarezzargli la coscia.
Roxas non sente niente, non risponde, è fermo, immobile, l'acqua è calma, tiepida, forse addirittura troppo.
Axel trema, brucia, sente il cuore in gola e ha lo stomaco sottosopra, sta male dalla forte emozione, ma non smette, continua, lo bacia sempre con più passione, come nei suoi sogni, lo spinge contro il bancone e continua a baciarlo, non ha intenzione di smettere.
Minuti, minuti magici, questa volta per davvero. Minuti lunghi ed intensi, tutti per Axel, tutti per Axel e il suo Roxas.
Axel brucia nell'acqua anche se è calma, tremendamente calma.
Poi, lentamente, si allontana, poco, pochissimi centimetri, e lo guarda.
Roxas è fermo e Axel si sente triste, molto triste.
Vorrebbe sentire soltanto il profumo di vaniglia.

 




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«Ti amo.»
Axel è fermo di fronte al portone della scuola, ha l'ombrello in mano ma non lo ha ancora aperto.
Le gocce gli baciano i capelli rossi, la fronte, gli zigomi, le palpebre e le labbra.
E' bagnato, proprio come Roxas.
Roxas lo guarda, gli degna davvero di attenzione, per la prima volta.
Gli uccelli stanno emigrando e Axel lo sa, li sente urlare nel cielo, tra le nuvole grigie e la nebbia. Anche lui vorrebbe emigrare via, per sfuggire all'inverno, al freddo e alla neve, ma non può. Sa che non può, è impossibile.
«Lo so.»
Axel guarda gli zaffiri di Roxas. Sono blu, intensi, li vede pieni, davvero pieni.
«Lo sai?»
Roxas annuisce. «Si vede. Mi spiace, ma io ho altro per la testa.»
Axel annuisce. Il verde trema, annega tra le proprie fiamme. «Lo so.»
«Allora perché me lo dici?»
«Perché devo. Vorrei stare insieme a te.», Axel cerca di mostrarsi più sicuro, spera che la sua sicurezza travolga Roxas, spera di attrarlo a sé, tra le proprie braccia, vuole stringerlo forte.
«Mi spiace.», Roxas parla piano, scandisce bene le parole.
«Fa niente, io ti amo.»
«Vedrai che conoscerai qualcun altro.»
«Ti amo.»
«Devi soltanto dimenticarmi.»
«Io ti amo.»
«Ma io no.», questa volta Roxas alza la voce, è stanco e scocciato, l'insistenza di Axel lo infastidisce. L'acqua si è alzata e sta spegnendo il rosso.
Axel in un primo momento non risponde. L'oceano lo ha spinto con violenza contro uno scoglio: si è schiantato, ha sentito le propria ossa rompersi, tutte, tutte quante.
Gli fa male ovunque. Le ossa distrutte, a pezzi. Come farà ad aggiustarle? Forse non può.
«Sei tutto bagnato.», Axel parla di nuovo, la voce è un po' spenta, il rosso è meno intenso.
«Anche tu.»
«Fa niente.» 

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«Fa niente, io ti amo.»

 

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«Io comunque ho un ombrello. Se vuoi ti accompagno a casa, così non ti bagnerai più.», Axel continua a parlare, non smette, il fuoco è meno rosso ma cerca di bruciar lo stesso, di farsi strada tra il blu, quel blu assassino e così dolce al tempo stesso.
Roxas è riluttante, esita prima di parlare. Si innumidisce un poco le labbra rosa e non sa cosa fare. E' indeciso se mostrare o meno ad Axel dove abita. Axel che brucia, Axel che è rosso, anche se ora meno intenso. «Non importa, tanto sono già bagnato.»
Silenzio.
Axel li sente di nuovo. Gli uccelli che annunciano il loro viaggio, che salutano la città, arrivederci, dicono, torneremo in primavera, quando il sole splenderà e la rugiada sarà posata sui prati verdi, verdi come i suoi occhi.
«Ti amo. Posso accompagnarti a casa?», Axel non molla, non vuole, non può. Per lui è impossibile sfuggire all'inverno.
Axel aspetta una risposta da Roxas.
Il fuoco non è cenere, non ancora.
Axel lascia che i resti delle proprie ossa vengano trascinati via dalle onde del mare.

 




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Ha paura, è triste e gli dispiace.
Sono gli ultimi raggi che gli vengono regalati dal tramonto. Ultimo rosso, ultimo arancio, ultimo giallo.
Axel non vuole salutare il tramonto: non se la sente ancora, ma deve.
L'inverno è alle porte e non vedrà più il tramonto. Il cielo sarà sempre grigio, pioggia, poi neve, bianca, candida, come il latte, come la sua pelle.
Roxas deve partire, partirà domani. Axel lo sa perché lo ha sentito dalle solite voci che corrono, saltano tra le pareti della scuola fino a giungere nella sua classe, alle sue orecchie.
Le sue orecchie sempre pronte a registrare qualsiasi suono della voce di lui. Ha memorizzato tutto, tutte le parole che si sono scambiati, nessuna esclusa. Axel non vuole dimenticare, non vuole, non vuole lasciare Roxas, è suo, gli appartiene, non vuole salutare il tramonto, ma deve.
Quando la campanella è suonata ha deciso comunque di andare da lui. Era bellissimo, come sempre, con i suoi capelli disordinati e i suoi zaffiri lucenti.
Gli ha sorriso, gli ha fatto un complimento sull'abbigliamento anche se era la solita divisa scolastica. Anche se avrebbe voluto togliergli di dosso quei vestiti, quei maledetti vestiti che gli impedivano di vedere la sua splendida pelle.
Gli ha augurato buon viaggio e gli ha detto di tornare il prima possibile perché poi la nostalgia avrebbe potuto ucciderlo.
«Nostalgia di che cosa?», aveva chiesto Roxas, perplesso.
«La mia nostalgia. Quella che avrò per te. Mi mancherai.», avrebbe voluto accarezzarlo, riempirlo di baci, riempirlo del proprio respiro, stregarlo, drogarsi della sua vaniglia, ma si è limitato a sorridere di nuovo prima di andarsene.
Axel è riuscito a salutare Roxas, ma adesso ha l'anima a pezzi. I frammenti si sono uniti alle ossa, manca soltanto il rosso, il sangue, proprio come i suoi capelli.
Così diverso dal blu, giallo e bianco. Perché non può essere bianco anche lui?
Poi riflette. Axel dondola i piedi dal cornicione e si illumina, il suo volto è un raggio di sole.
Axel è felice. Il tramonto è giallo, arancio e rosso. Nel tramonto il giallo e il rosso sono insieme. Il giallo e il rosso sono compatibili.
Axel è contento come non mai. Sorride, ride addirittura, da solo, come se fotte matto, ma non se ne cura, perché sa che tutti sono matti quando sono felici.
Il giallo e il rosso insieme formano un meraviglioso tramonto. Due rosa. Giallo e rosso.
Axel saluta il tramonto sorridendo.
Roxas se n'è andato, ma è felice. Lo aspetterà, non ha paura. Vuole regalargli quattro rose al suo ritorno: una rossa, una gialla e due rosa.
Axel è felice di essere rosso, perché potrà unirsi al giallo per formare l'arancione.

 




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Axel disegna, è assorto, concentrato sul foglio.
Non gli è mai piaciuto disegnare. Lo trova stupido, infantile. Soltanto i bambini disegnano. Lo fanno perché non sanno parlare e non trovano altro modo per esprimersi.
Poi però si è ricordato che Roxas è bianco come il latte, quello che succhiano i bambini dai seni della madre. Si è ricordato che Roxas è un bambino ed è bellissimo.
E in quel momento anche lui si è sentito un po' un bambino. Non è riuscito a trovare altro modo per esprimersi e ha deciso di disegnare, anzi, di colorare.
Vuole subito colorare il foglio, non ha impugnato la matita. E' passato direttamente ai pastelli.
Si sente un po' strano, goffo quasi. Indossa ancora i jeans aderenti e la maglia rossa, non si è nemmeno cambiato. Ha voluto subito colorare.
Sembra davvero il disegno di un bambino. Le linee azzurre sono storte, le sfumature sembrano macchie che contornano il foglio, ma ad Axel non interessa.
Lui disegna. Disegna ciò che pensa. Rappresenta la neve, e dietro la neve disegna una linea mossa.
La neve è azzurra, è una sfumatura disordinata, confusa. Galleggia.
Poi c'è il mare. Neve e mare. Insieme. Strano. Assurdo. Ma non per Axel. Lui li ha visti entrambi, insieme, uniti. Uno spettacolo magnifico.
Colora in malo modo il mare, blu. Azzurro e blu. Tutto insieme.
Il cielo è rosso, arancio e giallo. C'è il tramonto anche se nevica. Axel pensa che dev'essere un luogo perfetto, senza alcun dubbio.
Sorride al pensiero. Un giorno ci andrà di sicuro, e non vede l'ora.
Poi impugna la matita. Deve farlo, perché sa che sbaglierà di sicuro. Disegna un volto tondo, poi lo cancella. E' impreciso, non va bene.
Due occhi. Li cancella. Troppo brutti.
Labbra. Le cancella. Troppo carnose.
Capelli. Li cancella. Non va bene, non va bene, non va bene.
E' tutto imperfetto. Lui è troppo perfetto, non si può disegnare.
Axel si arrabbia, ha perfino voglia di piangere. Non riesce a rappresentarlo. Non riesce a raffigurarlo. Non ci riesce, è troppo perfetto, troppo, troppo.
Si china sotto il letto e afferra il suo scatolone. Il suo scatolone segreto. Afferra una fotografia, una foto dove Roxas è felice. Ha i capelli al vento, le labbra sono appena schiuse in una prossima risata. Roxas è stupendo. Axel vorrebbe mettersi la fotografia sul cuore, dentro, chiuderla a chiave, ma non sa come si fa.

Incolla la fotografia al centro del disegno. E' perfetto. Ora è perfetto. Azzurro, bianco, blu, rosso, giallo, arancione, lui.
Nasconde il disegno nello scatolone, in mezzo alle miriadi di fotografie. Galleggiano nella scatola. Tutte insieme. Si tengono compagnia. Nella piccola stanza di Axel.
Poi Axel si volta e rovescia lentamente la bustina nel bicchiere d'acqua. Medicina. Si è preso un brutto raffreddore il giorno prima.
Granelli bianchi nell'acqua. Gli ricordano tanto la neve, sì, quella che ha appena disegnato. Nevica sull'acqua. Nevica sul mare. Bianco nel trasparente. Azzurro nel blu.
C'è Roxas nella sua medicina. Roxas è la sua medicina. Roxas lo ha ammalato e lo cura.
Granelli, piccoli granelli bianchi galleggiano nell'acqua. Li osserva per un po' e poi li mescola, giocano a rincorrersi insieme, la neve sta giocando con l'acqua.
Roxas è lì, lo vede, lo vede all'interno del bicchiere. La nostalgia lo fa impazzire, sta impazzendo, Axel lo sa, ma è colpa di Roxas, non sua.
Respira. Un respiro pesante, pieno, stanco. Beve la medicina. Beve la neve e il mare. Axel socchiude un occhio, non gli piace il sapore. E' amaro, ma al tempo stesso sa di menta.
Si aspettava la vaniglia.
Axel vorrebbe essere la neve per baciare l'oceano.

 




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Ha contato i giorni. Non ha mai smesso di contarli, neanche per un istante. Le ore, i minuti, i secondi. Li ha scanditi perfettamente.
Ogni sera, prima di coricarsi, ha fatto un segno rosso sul calendario. Si è lasciato abbandonare tra le braccia della nostalgia.
La nostalgia lo ha graffiato, tagliato, violentato, ma Axel sta bene, è contento, non vede l'ora di rivederlo.
Quindici giorni sono passati e Roxas ora è tornato.
Axel si alza, è allegro, di buon umore, e lancia larghi sorrisi a tutta la sua famiglia.
Si mette al volante e accende il motore. Niente può andare storto. E' perfetto, tutto perfetto, la giornata perfetta. Roxas è tornato e la neve è ovunque.
La neve è sugli alberi, sulle strade, sui tetti delle case. Axel è contento di vedere la neve. Presto rivedrà anche l'oceano e il pensiero lo emoziona parecchio.
Sfreccia nella città ancora addormentata. Non vede l'ora di arrivare a scuola. Vedrà Roxas. Lo abbraccerà. Lo farà di sicuro, non riuscirà a resistere, lo sa, Axel ne è più che sicuro.
Il pensiero lo diverte, sorride, ma prima deve comprare le quattro rose. Gliele regalerà al suo Roxas. Lo farà innamorare. Ne è sicuro.
Il rosso e il giallo sono destinati a stare insieme. Per forza. Devono formare l'arancione.
Axel corre con la sua macchina per strada, è così felice, socchiude gli occhi, scivola sull'asfalto, è felice, pensa al giallo, al blu e al bianco. Pensa alla neve e al mare.
Alla vaniglia. Sente profumo di vaniglia. Gli stuzzica le narici ed è bellissimo.
Axel poi riapre gli occhi, il sorriso gli si congela sul suo volto. Impallidisce, ha paura, cerca di girare il volante, scivola sulla neve, sente bang-bang.

 

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Deve ancora comprare i fiori. I fiori per Roxas. Per farlo innamorare.

 


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Axel ha chiuso gli occhi, di nuovo. Poi li riapre, di nuovo. Non capisce. Sta male. Ha paura di essersi rotto davvero le ossa. Tutte. Tutte quante.
Si immagina all'ospedale. Roxas lo verrà a trovare e sarà lui a regalargli le quattro rose. Pensa che va bene lo stesso.
Si toglie la cintura. La cintura lo ha salvato. Sta bene. Sta bene fisicamente. E' confuso, ma pensa che è ancora vivo. Respira. Il respiro è pesante.
Apre la portiera. C'è già qualche volto. Volti familiari. Gli chiedono qualcosa. Probabilmente se è ferito. Lui non risponde.
Axel non risponde. Axel non parla. Non più. Non ne è più capace. Si dimentica della propria voce. E' volata via. Se n'è andata.
Silenzio.
Axel si avvicina, lento, il più lentamente possibile. Magici minuti. Minuti letali. Minuti assassini. Secondi. Trècento secondi. Meno. Un secondo. Un attimo.
Axel guarda e congela.  

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Le ossa rotte, l'anima in frantumi. Adesso c'è anche il sangue.

 

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C'è del giallo mescolato al rosso sull'asfalto.
Ma nessun arancione in vista.
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*Note di Ev' Rox.*
Salve a voi, mie dolce creature che avete avuto la pazienza di leggere un'altra delle mie storie spazzatura.
Cioè, oh, scusate l'assenza, come sempre. Sono rimasta tipo undici giorni senza computer. Questa volta ho davvero cambiato il motore. Ha ancora parecchi problemi, infatti ho vomitato sangue per scrivere questa storia. Perché? Perché questo fottuto computer continua a spegnersi e a riavviarsi, cazzum.
Ma io sono una testa dura e ce l'ho fatta. Mentre preparavo l'HTML c'era la mia vocina bastarda interiore che continuava a dire ''Adesso sta a vedere che si spegne e il tuo lavoro andrà a puttane, sta a vedere, sta a vedere...''
Ecco, sì, uhm.
A parte questi momentanei scleri, avrete notato che sono in vena di tragedie sparse ovunque. No, non mi è bastato farvi piangere con ''Canti di Guerra al Tramonto'', uh-uh. <3
A proposito di quest'ultima storia: gente, grazie. Cioè, davvero, grazie di cuore per le vostre meravigliose recensioni, mi hanno commossa, davvero. E' bellissimo essere riuscita a trasmettervi emozioni così forti, è una cosa stupefacente, amo leggere le vostre recensioni e... Dio, spero di rispondere presto ad esse. Quando magari questo cazzo di computer smetterà di avere problemi, ohm. Non per nulla mi sa che comprerò un portatile, forse è la soluzione migliore.
Anyway, ho deviato eccessivamente il discorso.
Eccoci qua. All'inizio la storia avrei voluto intitolarla ''Vanille'', ma... Boh, non mi ispirava. Poi ho pensato alla parola ''Miscuglio''. In inglese ''Mixture'', però suonava troppo dura. Alla fine ho trovato un sinonimo: medley. Cazzum, mi sono detta, è perfetto, un titolo perfetto.
Niente... Mi ero scocciata dei: ''Ti amo!'' ''Ohm, anch'io!'' E così ho cambiato un po' la solita routine.
Questa storia è composta, come avrete notato, da frasi brevi, anche molto, e talvolta le virgole rendono la narrazione più lenta, ma è voluto. Questa storia si è scritta da sola gente, io ero sotto ipnosi mentre la scrivevo, quindi non prendetevela con me. Ahm, a proposito della grammatica: vi sono frasi in cui prima del ''ma'' non c'è la virgola. E' voluto, ve lo assicuro, questa storia si basa sulla lettura, sul modo in cui la si legge, quindi io ho messo a seconda di come suonava meglio.
Non credo di essere andata OOC nei confronti di Axel. Poi boh, magari mi sbaglio, ma io ce lo vedo benissimo nei panni di... Di... Mah, non saprei definirlo. Ama Roxas, ecco. Lo ama davvero, non è una cotta la sua. La mia storia non vuole essere sdolcinata, non lo è. Non è romantica, è una tragedia. Axel non è romantico, dice ciò che pensa, è insistente, si approfitta del fatto che Roxas è ubriaco e lo bacia, anche se poi ci sta male.
Roxas non è uno stronzo, è sincero. E' scocciato, detesta le attenzioni di Axel, e se non tenesse alle sue suddette ''buone maniere'' l'avrebbe già mandato a quel paese a calci in culo.
Axel soffre, sta di merda, è felice. Tutto per Roxas. La sua vita gira intorno a lui, ogni suo movimento, colore, tutto. E' letteralmente pazzo di lui.
Poi bum, il finale. Nella presentazione c'è scritto chiaro che Axel non avrà un lieto fine. E infatti non ce l'ha. Non perché Roxas non ricambia, ma perché il suo amore folle è risultato assassino. Questa storia un po' ha qualcosa di fiabesco. Cioè, c'è una morale. Diciamo che è una favola, forse è meglio. Axel ha fatto l'incidente per due motivi: aveva la testa fra le nuvole a causa di Roxas, del suo amore che prova per lui, e a causa della neve. C'è troppa neve, è inverno, neve ovunque, la neve è Roxas, quindi sempre qualcosa collegato a lui.
E spero che si sia capito che ovviamente quell'allegra macchia gialla sull'asfalto sono i capelli di Roxas.
Cosa ne penso di questa mia ennesima merda storia? Un po' fiera lo sono, suvvia. Anche se questa storia mi ha fatto scazzare come non mai con il mio computer, tralasciamo.

Gente, se avete letto, recensite. Mi fa piacere che mettiate le mie storie tra le preferite o tra le ricordate, mi lusinga, giuro, ma le recensioni restano sempre le recensioni. Commenti concreti. Voglio sapere che cosa avete provato. E' essenziale. Mi fa piacere. Siamo in un sito in cui ci si deve confrontare, don't forget it!

Non dico più cosa scriverò in futuro, perché sono imprevedibile anche a me stessa. Dico sempre che continuerò una storia, poi ne inizio una nuova, magari dell'orrore, o magari drammatica.
Alla prossima, gente!
E.P.R.

 

   
 
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