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Autore: Kwaku Ananse    06/11/2012    4 recensioni
Questa è una storia assolutamente demenziale scritta per aver perso una scommessa con due amiche XD non sono minimamente fan di Glee ma quel che conta in questa storia è semplicemente ridere e far divertire e spero di riuscire almeno in questo!
"Quella mattina, come tutte le mattine, Pavarotti si svegliò nella sua gabbietta dorata, così lucida da baluginare di ieratico fulgore, accogliendo i primi raggi nascenti dell'astro mattutino.
Come tutte le mattine, i suoi primi pensieri furono per la magnificenza e la bellezza della sua figura, di rado eguagliate, mai superate, né nelle ere del passato, né tanto meno, in quella presente o nelle epoche future, alla sua voce chiara e limpida come un vetro di Murano, varia come un diamante dalle molte sfacettature, capace di sciogliere il cuore più duro o far vibrare per l'emozione l'anima più negletta, alla sua sorte benevola e fortunata, l'unica, in effetti, che si confacesse ad una presenza così elevata e grandiosa come quella sua propria... E al motivo per cui il suo schiavo tardasse così tanto a giungere"
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Pavarotti:

 

Questa, signore e signori, è una triste storia, e, vorrei sottolineare, una storia vera. Narra di come, dalle più alte vette del benessere, dalle condizioni più felici e prive di affanni, si possa d'un tratto, per un tragico, sfortunato errore, per un crudele colpo di mano del destino, sprofondare nella più nera tenebra.

E' la storia di Pavarotti, l'usignolo.

Donne, voi, che avete meno vergogna dei vostri sentimenti che gli uomini orgogliosi e irsuti, vi invito: piangete pure senza ritegno tutte le vostre lacrime, perché questa storia le merita dalla prima all'ultima.

 

Quella mattina, come tutte le mattine, Pavarotti si svegliò nella sua gabbietta dorata, così lucida da baluginare di ieratico fulgore, accogliendo i primi raggi nascenti dell'astro mattutino.

Come tutte le mattine, i suoi primi pensieri furono per la magnificenza e la bellezza della sua figura, di rado eguagliate, mai superate, né nelle ere del passato, né tanto meno, in quella presente o nelle epoche future, alla sua voce chiara e limpida come un vetro di Murano, varia come un diamante dalle molte sfacettature, capace di sciogliere il cuore più duro o far vibrare per l'emozione l'anima più negletta, alla sua sorte benevola e fortunata, l'unica, in effetti, che si confacesse ad una presenza così elevata e grandiosa come quella sua propria... E al motivo per cui il suo schiavo tardasse così tanto a giungere.

Come rispondendo ad un suo silenzioso richiamo mentale, e spesso pensava fosse proprio così, egli si apropinquò, con la sua figura grande e goffa, alle sbarre, precauzione necessaria per mantenerlo lontano e al sicuro dal volgo vile e retrivo, e prese a inondarlo di moine, vezzeggiativi e dolci complimenti, come sempre dovrebbe fare uno schiavo devoto verso un padrone amorevole, provvedendo, intanto, ai suoi bisogni quotidiani di nutrimento e pulizia.

Concluse le abluzioni mattutine e consumato con dovizia e moderazione il primo pasto della giornata, fu finalmente pronto ad uscire e mostrarsi ai suoi affezionati ammiratori in tutta la sua gloria.

Lasciò, inoltre, che il suo schiavo, che rispondeva al nome di Kurt Hummel, figlio di Burt Hummel, un bravo padrone non dimentica simili particolari e si ricorda di tutti i suoi subordinati, coprisse la sua lucente dimora con un'elegante fodera di stoffa, un vero fastidio, ma purtroppo un fastidio necessario se non si volevano attirare le attenzioni indesiderate, e forse anche pericolose, della plebe urbana.

Come sempre il viaggio fu una noia mortale intervallate dai rozzi brontolii della città che si svegliava, dai barriti delle macchine in coda e dal fiume di parole che il suo servo spandeva dalla bocca per tranquillizzarlo, come se ce ne fosse bisogno, tuttavia non si poteva certo dire che non fosse un valletto fedele e sollecito, avrebbe dovuto ricompensarlo, prima o poi.

Dopo un tempo che gli parve un'eternità giunse finalmente nel luogo che lo schiavo Kurt Hummel

chiamava Dalton Accademy, dove centinaia di giovani adepti si addestravano costantemente ad imitare, senza molto successo per altro, il celestiale canto degli uccelli. Un' impresa lodevole, certo, e degna di ammirazione per i suoi alti scopi, per quanto destinata al fallimento.

Qui, dove si riunivano le menti più illuminate del genere umano, e doveva essere così se votavano la loro vita ad assomigliare agli uccelli, almeno nella voce, si era formato un gruppo di giovani virgulti promettenti, che rispondevano al nome di Usignoli, che lo avevano eletto a loro mentore e ispiratore, e Pavarotti ogni giorno si faceva condurre fin lì affinché lo adorassero.

Quella mattina come tutte le mattine, fu accolto da un inno innalzato dai suoi adoratori ed ebbe modo di apprezzare la loro intonazione e il talento del loro maschio alfa o, come veniva chiamato, del solista, la cui grossa facciona sorridente gli si presentò davanti non appena la sua dimora fu restituita alla luce del giorno. Era questi un giovane umano dal largo sorriso fanciullesco, strana capigliattura rigida e con ampi ciuffi pelosi a sovrastare gli occhi da cucciolo lattante.

Come maschio dominante, se gli umani rispettavano le leggi in voga presso le altre creature intelligenti, egli si era guadagnato il diritto di accoppiarsi, lui solo, con le femmine del branco, per cui era stato con un certo sconcerto che aveva appreso che comandava un branco di soli maschi, ma Pavarotti era un uccello mondano e simili preferenze non lo scandalizzavano affatto, dopo tutto, si diceva, non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Il suo schiavo provava desiderio per il maschio dominante, il cui nome, ben inteso, era Blaine Anderson, e questo per lui era, invece, molto seccante: era sempre difficile trovare buoni servitori e non se lo sarebbe lasciato sottrarre facilmente, anche a costo di affrontare l'uomo in singolar tenzone.

Immerso in simili e altre, ben più elevate, riflessioni, presto appena ascolto alle parole scambiate tra il maschio Anderson e il suo servo, Hummel, ma dal tono e dalle poche parole che ascoltò, si compiacque nel constatare un alterco possibilmente violento, ma ben presto i due si allontanarono e la sua sublime figura venne condotta in una stanza più appartata affinchè potesse riposare.

La tragedia si consumò pochi minuti più tardi, in quello stesso luogo. Accadde infatti che, dopo aver delicatamente deposto la gabbia, il suo galoppino si mettesse garrulamente a fischiettare, in un palese, quanto patetico tentativo di eguagliare la sua sublime ugola, al che Pavarotti si vide costretto, pena il suo onore di eccelso pennuto, di rispondere a tono: prese a cantare a sua volta, dando fondo a tutta la sua abilità e al suo estro, mostrando all'ineducato primate quale eccelsa vetta fosse costretto, da lungi, a rimirare, uno spettacolo magnifico, perfetto oltre ogni dire, commovente fino alle lacrime, vivace tanto da indurre alla danza, struggente fino al punto di perdersi nei meandri dei ricordi e della nostalgia, nulla poteva stargli al pari, nulla! La perfezione è un'arte destinata a pochi eletti. E proprio nel momento di più sublime ardore, oh male ne incolse!, l'emozione fu tale che svenne, il grande Pavarotti, scivolando tra le morbide braccia di Morfeo. Il risveglio, purtroppo, non fu altrettanto dolce. Quando riaprì gli occhi, la mente ancora avvolta dal calore delle sue recenti gesta, si trovò orrendamente circondato da solide pareti di scuro legno opaco, delicatamente poggiato su un morbido materasso viola. Era in una bara, la sua bara, il suo stupido servo lo aveva seppellito vivo. Pur in un momento così tragico e terribile non si fece prendere dal panico ma urlò e si agitò con quanta forza era contenuta nel suo titanico corpo, ma nulla, operò per il vuoto, non vi fu alcuna reazione. Finchè non sentì qualcuno bussare discretamente alla parete destra del suo sarcofago "Chi è?" disse recuperando in un solo istante eleganza e buone maniere, la classe è anche questa "Salve" sentì rispondere educatamente dall'altro lato "Sono il Diavolo, mi spiace disturbarla proprio ora ma devo informarla che è morto, il suo servo l'ha seppellita viva per sbaglio" Pavarotti si concesse un lungo sospiro teatrale "Ma non si preoccupi, signore, lei è destinato all'Inferno, per la sua condotta autorevole e altera,la sua guerra pluridecennale alla volgarità, alla massa e alla democrazia, per il suo carattere magnanimo e carismatico, per la giusta severità con cui approcciava i suoi schiavi e adepti. Lei è un'anima eletta, lontana dal popolino invidioso e vizioso e come tale all'Inferno sarà trattato con ogni riguardo avendo al suo servizio una coorte di imp servitori, diciotto gabbie di puro oro dei Nibelunghi e gemme, centosedici concubine che verranno sostituite ogni tre mesi con altre centosedici e ogni sera cenerà alla mia mensa e la servirò personalmente, una celebrità come lei va trattata con ogni riguardo" Pavarotti annuì soddisfatto che, dopo tutto, le sue qualità fossero universalmente apprezzate e tenute da conto, in effetti non avrebbe accettato un trattamento minimamente inferiore per la sua somma, illustre sorgente vitale. Ma ancora una domanda lo rodeva nel profondo "Non posso che ringraziarla per la sua squisita cortesia, signor Diavolo, nonché per la sua solerzia, ma avrei ancora una domanda per lei: dov'era il mio servo nel momento del maggior bisogno?" l'interlocutore scosse il capo sconfortato "Oh quanto mi dispiace, amico mio, darti un simile dolore: egli era sopra la tua tomba, un metro di terra più su, ma non ha udito il tuo richiamo d'aiuto perchè troppo impegnato ad amoreggiare con il maschio umano che risponde al nome di Blaine Anderson" a udire simili parole, le sue penne si arruffarono per l'ira "No! Vile fedifrago! Lascivo schiavo dei sensi! Neanche da morto posso permettere una simile insubordinzione ad un mio schiavo! Ti seguirò, Signore degli Inferi, ma ci sono ancora un paio di cose che dovresti fare per me".

 

Quella mattina, come tutte le mattine, Kurt Hummel si svegliò nel suo lettino, stiracchiandosi voluttuosamente con l'elegante noncuranza di un gatto siamese. Come tutte le mattine i suoi primi pensieri furono per la collezione primavera-estate di Alexander McQueen, a quanto sarebbe stato bello avere qualcosa di più, solo qualcosina, come un attico di trecento metri quadri soppalcato e letto con massaggiatore incorporato, alla sua pelle splendidamente perfetta, frutto di lunghe ore di cure attente e sacrifici, e agli occhi cucciolosi di Blaine.

Ancora mezzo preda del sonno, rotolò sul pavimento cercando di rialzarsi e nel contempo di trovare la strada per il bagno, operazione che richiese alcuni minuti. Quando finalmente, trovata l'entrata e chiusa la porta dietro di sé, si affacciò allo specchio, il suo cuore perse un battito: davaanti a lui, riflessa nel vetro, la sua faccia non era più la liscia superficie marmorea di una statua greca, ma un campo di battaglia butterato dove enormi brufoli rossi dcon un'orrenda punta bianca sporgevano da ogni spazio libero. Per alcuni minuti rimase immobile, incapace di reagire, le mani che tremavano in maniera incontrollabile, poi in un raptus di pura follia, afferrò il flacone dello scrub dall'armadietto e lo scagliò contro lo specchio mentre le sue grida strazianti rompevano il silenzio.

 

Quella mattina, come tutte le mattine, Blaine Anderson si svegliò, rigirandosi grugnendo, nel lettino del suo appartamento ricavato dal dormitorio di un monastero sconsacrato. Come tutte le mattine i suoi primi pensieri furono per la pace nel mondo, le caramelle gommose a forma di orsetto, Lady Oscar, paladina dei deboli e degli oppressi, suo modello di vita dalla tersa elementare, e per il culo di Kurt.

Dopo un'ultima esitazione, scalciò le coperte e si diresse in bagno fischiettando e adempiendo alle consuete necessità mattutine, l'ultima delle quali era imprigionare i ricci ribelli in una solida prigione di gel. La lotta fu dura, ma come sempre ne uscì vincitore e il risultato fu così soddisfacente da non potersi trattenere dal dirlo al suo alter ego nello specchio "Oggi sei veramente bellissimo" Le parole gli morirono in gola: la sua voce, di solito calda e vellutata come panno di seta, sensuale come una fanciulla d'Oriente, quella mattina era acuta e stridula come quella della gatta malefica de "Le follie dell'inperatore" "Oh mio Dio! Questa è la mia voce? Questa è la mia voce?!" lo shock fu tale da farlo cadere in ginocchio e a quel punto, come se rispondessero ad un segnale, sentì i suoi capelli liberarsi dalla loro prigione per drizzarsi a formare una palla pelosa e aggrovigliata attorno alla sua testa. Sbattendo la fronte sul pavimento, si mise a piangere.

 

"Vendetta! Oh dolce vendetta!"

 

Fine 

  
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