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Autore: jaybird    06/11/2012    2 recensioni
« A-Arthur! V-vuoi fare piano? Cavolo! »
« … Come se lo facessi apposta. »
« Devi solo essere delicato e fare piano, mh… »
« Ci sto provando. »
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno come un altro? E’ così che poteva dire?
Era passato parecchio tempo da /quella/ conversazione, per essere precisi, era passato poco meno di un misero mese e, se doveva essere sincero, quella situazione ( che si aspetta venisse travolta da un particolar cambiamento ), sembrava essere immutata, deludente. Non che si aspettasse realmente qualcosa, eh! Aniz, tanto meglio… come dice sempre: una seccatura in meno.








« A-Arthur! V-vuoi fare piano? Cavolo! »
« … Come se lo facessi apposta. »
« Devi solo essere delicato e fare piano, mh… »
« Ci sto provando. »

Un tono apparentemente tranquillo, ‘nevvero? In realtà, stava seriamente  perdendo la pazienza.  E la conversazione che l’inglese e l’americano stavano avendo, sembrava essere apparire equivoca, eh?

« Nh─ Arthur! F-Fa piano! »
« ... LA VUOI PIANTARE DANNAZIONE?! E’ SOLO UNO STUPITO COMPUTER! »
« Ma stai premendo i tasti come se dovessi schiacciare un insetto! Guarda che anche i computer hanno dei sentimenti! »

Mai avrebbe pensato di sentire una stupidaggine più assurda, Arthur,  e mai avrebbe pensato che sarebbe andato a finire a maneggiare un computer, ‘’aiutato’’ dal minore. Certo, il rapporto  che l’inglese aveva con  la tecnologia,  era paragonabile a quello che provava per Francia: d’odio puro.

« … Non iniziare con le tue solite sciocchezze. E’ colpa di questo coso che non fa come gli dico. »
« Guarda che lui non può fare niente. Sei  tu che devi schiacciare i tasti giusti e muovere il mouse! »
« E’ quello che sto facendo. »
« No, stai solo fissando lo schermo. »

Un sospiro, quasi arreso da parte del nostro americano, questa volta,  andando a piazzarsi di fianco  al maggiore, in piedi con tanto di braccia conserte contro il petto. E dire che si stava gasando nel sapere una cosa che l’altro non conosceva, e prendere il posto da ‘’maestrino’’ e cercare di fargli capire determinate basi del computer—anche se solo ora si rendeva conto di quanto poteva essere snervante  insegnare una cosa all’inglese. Specialmente sul campo della ‘’tecnologia’’.

« Ahh, man! Sei proprio vecchio! Meno male che c’è l’Eroe ad insegnarti tutto~ »
« … Guarda che sei stato tu a piazzarmi su questa sedia, mettendomi qui davanti  iniziando a dire stupidaggini sul fatto che mi devo ‘’modernizzare’’. »

Rantola, rispondendo al tutto,  andando a lanciare una semplice e omicida occhiataccia all’altro che, nel frattempo, quasi non andava a sorridere soddisfatto, convinto che abbia ben ignorato le parole appena dette dal londinese.  Era anche impossibile il fatto di essersi lasciato convincere nel piazzarsi  su quella sedia a fissare quello schermo, maledetto, accompagnato da quei tastini ( luridi )  incapibili, paragonabili a dei geroglifici—per lo meno, per lui. Un sospiro, un’imprecazione che si smorza in gola e  le gambe  scattano per alzarsi dal posto, con tanto di aria palesemente seccata.

« Basta così. »

Uno schiocco di lingua, secco e freddo come una frustata, andando a rendere l’espressione ancora più burbera, mentre Alfred sembrava non approvare quel  comportamento da testone, tant’è da andare ad impedirgli di muoversi troppo, andando a bloccargli istintivamente il polso con una veloce presa con la destra.

« Ma perché? Non ci hai nemmeno provato! »

Alfred era fatto così: prima di decidere di arrendersi ( cosa molto rara ), /doveva/ almeno provarci: che fosse una cosa stupida  o importante, non era rilevante. Il silenzio, quindi, calò dopo quella domanda che aspettava una risposta, evidentemente .
Gli occhi verdi si puntano verso il basso, su quelli azzurri del minore, andando a guadarlo  con fare interrogativo, non sapendo bene come rispondere a tutto ciò. Le palpebre che si chiusero un paio di volte, mentre il proprio polso non dava ancora segni di rifiuto per quel contatto, per quella presa, nessuna liberazione—solo una smorfia seccata dopo quei lunghi istanti. Il naso che si arriccia e il polso che, finalmente, va a riacquistare la propria libertà.

« Hmph. Se non  riesci fin dall’inizio a fare una cosa, tanto vale smettere dubito, no? Non si perde tempo… e poi non sono affari tuoi! »

Non si perdeva tempo nell’illudersi di riuscirci, ecco. Ma, in realtà, Arthur, non voleva ammettere che un po’ gli rodeva il fatto di non essere riuscito ad imparare le tecniche basilari di un apparecchio stupido come un computer che, oggi giorno, usano tutti—ma giusto per far finta che la cosa non lo toccasse, doveva fare il ‘’duro menefreghista.’’

« Eh? Guarda che i problemi non si risolvono i questo modo, sai? »
« E’ solo uno stupido pc, piantala. »

Che fosse solo per imparare ad usare un apparecchio o meno, Alfred, probabilmente, alludeva  nel generale. Arthur, dopo tutto, era quel tipo di persona che accumulava e accumulava problemi su problemi, non avendo, poi, alcune intenzione di risolverli, lasciandoli coì, in quell’angolo a crescere, senza nemmeno accorgersi della montagna che era andato a formare.

« No. »
« No, cosa? »
« Non è solo per il pc. »
« Ah? »
« Fai così per ogni cosa. Che ti costa provare a risolvere i tuoi problemi? »

Certo, non lo aveva sottolineato: ma, ad aiutarlo, ci sarebbe stato anche Alfred stesso.
Arthur non potette che emettere u mugolio di sorpresa, quasi, in contrasto con un rantolo di disapprovazione. Poteva essere vero che le stesse insicurezze dell’inglese non riuscivano ad andare a risolvere quei mostri, quelle paure che, via via col tempo, non avevano fatto altro che ingrandirsi, andando a divorare in un semplice boccone quelle che poteva rappresentare le sue ultime e piccole speranze.  Non voleva di certo ammettere di essere una persona fragile ed insicura, eh. Le sopracciglia che, in un’istante, si aggrottano e la muraglia che, sotto forma di orgoglio, va ad inalzarsi, pronto a difendersi con tanto di parole acide.

« Sei tu il mio unico problema. »

Parole che, forse, era meglio non far uscire nonostante non fossero pienamente vere—ma necessitava di sputare veleno sull’altro, quasi come se in gola stesse risalendo un vomito indesiderato e quasi come se lo stesso Alfred gli avesse detto qualcosa di offensivo. E dato che Arthur era una persona che fraintendeva se stesso e gli altri, per tanto, aveva capito che il minore gli stesse dando del debole nel non riuscire a risolvere i propri problemi.

« … questo non è vero— »
« No? Dovresti ritenerti speciale per qualcosa? »

Come già detto:  Alfred aveva una limitazione nel ribattere parole e domande del genere con uno come Arthur, specialmente in questi casi di tensione. Poteva rispondere in modo strafottente  e far ‘’innescare’’ la bomba interna del maggiore, oppure starsene zitto.

« Certo. »

Ovviamente la strafottenza era di casa per l’americano. Ed era anche inutile provare a dire quanto poteva sembrare estenuante e fastidioso. Ma nonostante quelle parole sicure sicure, schermate, protette dalla strafottenza,  aveva paura. Ogni giorno aveva paura che Arthur si potesse allontanare maggiormente da lui—ma dopo quell’episodio di appena un mese fa, gli aveva dato come una spinta nell’andare ad osare di più, a mettere tutto se stesso per  venir ricambiato dal maggiore. Certo, non aveva una spiegazione del perché desiderava così tanto nel stare dietro ad un tipo scontroso come lui. Sapeva solo che il suo ego doveva essere soddisfatto. E quel suo ego da ‘’eroe’’ veniva soddisfatto e sfruttato solo grazie ai problemi complessati  del maggiore.  Desiderava aiutarlo e desiderava stargli accanto più che mai. Lo eccitava l’idea che poteva essere /l’unico/ a saper e a poter aiutare uno come Arthur e, allo stesso tempo, lo faceva sentire bene con se stesso.

« … Ah, davvero? Illuminami, allora, con le tue stupidaggini: perché lo saresti, mh? »
« Perché è il nostro stesso rapporto ad essere speciale. »

Una strana risposta per uno che sapeva che, entrambi, passavano più tempo a litigare che a parlare civilmente. Il peccato di Alfred era che, forse, era parecchio positivo ed ottimista—ma essere positivi non significa che si è sempre pervasi da un entusiasmo concentrabile e un sorriso incessante. Essere positivi è affrontare le avversità con la voglia di emergere, la fede che se solo lo si vuole tutto si  può affrontare. Cala nuovamente il silenzio, allora, dando solo l’ennesima sensazione di vuoto, in quelle parole, all’inglese, che andò a strabuzzare nuovamente gli occhi, con tanto di sopracciglio inarcato e braccia al petto.  Possibile che ogni volta che Arthur si aspettava una qualche stupidaggine da parte dell’altro, questo, quasi, riusciva solo a zittirlo oltre che a sorprenderlo.

« … Che— »
« Si. »

Un mugolio interrotto dal maggiore e, in contrasto, con tono più sicuro, una sola parola che rappresentava la positività per ogni cosa. Anche per Alfred era frustate una cosa del genere— dopo tutto Arthur si ostinava a tirar fuori problemi che prima non c’erano e complessi che potevano venir facilmente sistemati, senza contare di quell’amore che  ‘’rimaneva lì’’  a fare cosa non si sa. Sapeva  solo che era uno spreco, avere tanto Amore dentro e tenerselo per sè. Quando si amava, non si riusciva mai a capire se fosse giusto o meno dare tutto di se stessi. Ma, come detto prima: bisognava provare per riuscirci—e America aveva intenzione di continuare il tutto. Voleva rivedere quel sorriso che, secoli fa, vedeva ogni giorno, voleva rivederlo felice— e guarire quel piccolo cuore malato. Il cielo, allora, si scontrò con la terra, andando a fissarlo senza avere alcuna intenzione di  fermarsi. Una smorfia leggera e amareggiata, va a disegnarsi sul suo volto, facendo che avvicinarsi con cautela, quasi, al corpo altrui.

« Litighiamo sempre— ma c’è un qualcosa che si è formato, non lo senti? »

Domanda, approfittando di quel silenzio, sperando solo che Arthur vada a dargli una risposta positiva—ma, conoscendolo, non avrebbe nemmeno risposto, oppure, avrebbe semplicemente mentito; gusto per complicare maggiormente la situazione. Tutta via, quel ‘’qualcosa’’ era  impossibile da descrivere anche per Alfred.  Poteva descriverlo in modo rozzo, paragonandolo come quando uno ha la gola tremendamente secca e l’unica cosa che ti farebbe star bene è una bottiglia d’acqua ghiacciata. Arthur era così: insipido come l’acqua ma indispensabile. Totalmente indispensabile.

« Sento il nervoso che mi fai venire ogni volta. Ecco cosa—»

Borbotta, con un tono apparentemente tranquillo ma udibilmente confuso, non potendo che chiedersi a che cosa si riferisse l’altro, incuriosito anche da che cosa poteva provare. Lo sguardo restava corrugato, mentre le braccia si sciolsero dal proprio petto, facendole ricadere lungo il proprio corpo, secco, andando a mugugnare qualcosa di poco comprensibile tra se e se, voltando gli smeraldi verdi di lato, quasi come se si fosse offeso. Alfred non potette fare a meno di farsi scappare una risata, mentre osò avvicinarsi ancora alla figura più esile, dato che non aveva provato ad allontanarsi come la prima volta, per poi, sempre con estrema delicatezza, andò ad allungare la destra, verso la mano altrui, con l’intenzione di andare a sfiorarla. Era una cosa che aveva desiderato fare da parecchio tempo: prendergli la mano, reggerlo e proteggerlo e tenerlo accanto a se—come facevano secoli fa. Gli occhi, quindi, dell’americano quasi istintivamente, andarono a seguire i suoi stessi movimenti, seguendo i propri polpastrelli che, dopo tanti agognati istanti, andarono a sfiorare, in un secondo, la  pelle diafana e fredda dell’altro… cosa che, ovviamente, Arthur sentì: tanto da andare a volgere, anche lui, lo sguardo verde verso la propria mano, che quasi non ebbe una scossa nel sentir quel tepore caldo, in contrasto con la sua freddezza. 

« Ti faccio arrabbiare? »
« Per forza: sei un’idiota.»
« Non è vero~»
« Peggio. »
« Peggio? »

Un piccolo discorso detto quasi a voce bassa, mentre entrambi andavano solo a far caso ai movimenti delle proprie mani. E, chissà perché, Arthur non aveva nemmeno pensato un secondi di scostarsi, mentre quelle dita calde, lo sfioravano e, impacciatamente, Arthur, andò a drizzare a scatti, l’indice di quella mancina, quasi come se anche lui volesse provare a sfiorare  l’altro, non capendo nemmeno il perché di questo bisogno, sentendosi solamente tanto stupido e basta.

« Si, sei un’idiota. »
« Lo hai già detto, ahah~. »

Arthur rantolò, facendo che alzare lo sguardo verso l’altro solo per andare a guardarlo storto, mentre non si accorse minimamente che le proprie dita erano andate ad intrecciarsi con quelle altrui in un gesto impacciato e, a quel punto, anche Alfred andò a sollevare lo sguardo, ritrovandosi un’inglese imbronciato, mentre lui non poteva che sorridere come uno stupido, andando a fare qualche altro piccolo passo, tanto da poter percepire quel profumo di tea al limone e scones lievemente bruciati, rabbrividendo, quasi.  Ennesimo silenzio in quello che venne riempito da un semplice scontri di sguardi, mentre le dita continuavano a reggersi l’une con l’altra a quelle di America, iniziando a sentire quelle sensazioni provate poco meno di un mese fa: il cuore che batteva forte e il respiro quasi pesante, mentre il pizzichio ritornò ad infastidire le guance lentigginose dell’inglese e un’inspiegabile impazienza lo travolse.  Che aspettava realmente qualcosa dall’altro? Si, che magari la smettesse di fissarlo, ecco.

« Shut up— »

Bofonchiò, potendo quasi soffiare sulla pelle altrui, sentendosi sfiorare la punta del naso, anch’essa fredda, sempre in contrasto con il calore del minore, mugugnando ancora, quasi come se avvertisse di venir lentamente coperto da una coperta calda—una sensazione rilassante, ecco cos’era: talmente rilassante che lo stesso Arthur, senza nemmeno accorgersene, aveva preso ad avvicinarsi sempre di più a quella pelle dall’odore dolce, andando a socchiudere appena gli occhi, mentre le labbra, ansiose, andarono a sporgersi appena.

« Arthur… »

Il timbro della voce del minore, sussurrato in quella maniera, quasi non fece aumentare i battiti cardiaci del maggiore e stringere maggiormente la presa a quelle dita intrecciate con le sue, quasi per paura che quello che stava realmente succedendo, sarebbe svanito da un momento all’altro.

« Arthur…? »

Ancora.

« … Che hai sulla faccia? Sei pieno di puntini! Non li avevo mai notati! Ahah—!»
« … »

In un momento del genere, si potevano notare solo le lentiggini di Arthur? Inutile dire che quest’ultimo si pietrificò, assordato solo da quella che era la risata del minore nell’indicargli la zona tra il setto nasale e le guance. Dopo di che,  quasi come sei fosse svegliato grazie a quel commento totalmente sciocco, si accorse di quella tremenda vicinanza, deducendo che, questa volta, era stato lui stesso a volerlo baciare—e Alfred era un’idiota e basta, tant’è che non rispose nemmeno a parole ma, semplicemente, quella stretta alla mano, si fece improvvisamente violenta, andando a stringere le dita altrui quasi come se fosse un foglio di carta, senza alcuna pietà e la risata venne improvvisamente rotta dai versi di dolore di America, cosa che si era meritato, no?

« AHI AHI AHI AHI— ARTHUR, CHE DIAVOLO FAI!? L-LA MIA MANO—  AHI! »

In un attimo, la situazione cambiò, tornando praticamente al punto di partenza,  lasciandosi dietro quegli urletti di dolore, andando a stringere maggiormente la presa a quelle dita che, al momento, avrebbe staccato, mentre svariate venuzze sbucarono improvvisamente sul volto infuriato dell’inglese.

« YOU ARE AN IDIOT. »

Se l’era cercata, giusto? Era Alfred che aveva deciso di interrompere quella ( piacevole ) situazione con uno dei suoi soliti interventi insensati e fastidiosi, dannazione! Arthur, ora come ora, non poteva che sentirsi come un’idiota: se solo andava a ripensare che a momenti stava per baciarlo, sarebbe andato a sbattere la testa da qualche parte.

« M-MA CHE HO FATTO?! A-ARTHUR, MI STAI FACENDO MALE! »

Stupido lui che nemmeno provava a pensare al danno che aveva appena fatto,  ma non ci era nemmeno arrivato che Arthur volesse un bacio dato che non aveva detto nulla e boh,  era un’inglese strano e basta!  Il tempo di dare un ultimo strattone a quella manaccia, ecco che il maggiore andò finalmente a lasciarlo, con tanto di fiato corto dalla foga, quasi, continuando a guardarlo con fare assassino.

« Vai al diavolo, deficiente! »

Un altro insulto, urlato in faccia all’americano che sembrava essere davvero perplesso del perché di quella rabbia improvvisa, insomma, si stavano tenendo per mano, era tutto tranquillo e Arthur si stava avvicinando un po’ troppo a lui e—e forse il nostro americano ha avuto il lampo di genio, signore e signori.

 « … Non è che volevi un bacio? »

Incredibili come erano sviluppate le capacità deduttive del nostro americano, eh? Ma dopo tutto, non si aspettava di certo che Arthur volesse una cosa del genere, dato che l’ultima volta che lo aveva baciato non sembrava essere stato molto entusiasta, per evitare ulteriori problemi, aveva deciso di non baciarlo in modo avventato o senza un permesso da parte del maggiore, nonostante il desiderio di assaporare quelle labbra dal sapore di bruciato era parecchio forte.

« E-Eh? Perché diavolo avrei voluto un bacio!? Ovvio che no! »

Arthur sbottò nuovamente nel sentire quella domanda decisamente imbarazzante, tant’è da ritornare con un color rossastro sulle guance ed espressione burbera. Nel frattempo, il minore aveva smesso di massaggiarsi la mano dolorante, scrutando per bene ogni  reazione  del maggiore, notando con piacere quell’imbarazzo che si era andato a formare sulle guance, andando a tirare un sorrisetto compiaciuto, checché fastidioso per il nostro povero inglese, sfortunato, che lo notò all’istante, facendo digrignare i denti, accompagnato da quel solito tic all’occhio destro.

« Ma davvero? ~ »
« … Che diavolo hai da sorridere? »
« Nulla, nulla. ~ »

E, nel frattempo, dimenticandosi totalmente che fino a qualche istante fa stava per rimettersi una mano, America  fece che riavvicinarsi a quella figura scorbutica, mentre lui teneva su quel sorriso da uno che la sapeva decisamente più lunga.

« … »

Ennesimo tic nel vederlo ancora avvicinarsi a se, con quel sorrisetto furbo che peggiorava solo quella che era la situazione, andando a spalmare la destra, in modo molto poco delicato in faccia all’altro, impedendogli di fare un altro passo.

« Non.Ti.Avvicinare.Di.Un.Altro.Passo. »
« Eh? Ma perché? Vuoi un bacio, no? »
« Non voglio un bel nulla. »
« Eddaaaaaaaaaaai~»
« No, vattene! Sei fastidioso! »
« I want a kiiiiii~iiiss! »
« Nope. »

Un rantolo e l'ennesima negazione della conversazione che, probabilmente, sarebbe continuata a fino a tarda serata.
  
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