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Autore: Lauretta_Scribantina    06/11/2012    3 recensioni
Qualche anno fa siamo andati da mio nonno, ero piccolo. Lui abitava in Emilia Romagna, era un
maestro in pensione e prima di fare il maestro era stato un soldato in un campo
di concentramento a Pola. Lui mi raccontava sempre tante storie e a me
piacevano tanto.

E' una storia inventata basata sulla vera storia di Graziano Udovisi, uno dei pochi sopravvissuti alle foibe.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Novecento/Dittature
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Diario di un massacro

Qualche anno fa siamo andati da mio nonno, ero piccolo. Lui abitava in Emilia Romagna, era un maestro in pensione e prima di fare il maestro era stato un soldato in un campo di concentramento a Pola. Lui mi raccontava sempre tante storie e a me piacevano tanto. Beh, tranne quella che mi ha raccontato a febbraio tre anni fa. Stavano addobbando la casa per il mio compleanno e lui era seduto sulla poltrona a parlare con dei miei cugini. Mi chiamò vicino a sé e mi chiese se volessi sentire una delle sue storie. Io risposi di sì e lui iniziò a raccontarmi di quando la Seconda Guerra Mondiale finì e fu preso dai partigiani di Tito.

La guerra era finita e mi sono consegnato prigioniero al comando slavo. Mi hanno portato con la forza in un campo di concentramento vicino a Pola. Prima di partire per Barban i partigiani di Tito si sono divertiti a farmi mangiare pezzi di carta ed a ingoiare dei sassi. Poi mi hanno sparato qualche colpo vicino all'orecchio e si sono divertiti a vedermi sobbalzare.

 Mi ricordo che da quel punto mio nonno iniziò ad avere la voce tremante e si asciugò spesso le lacrime dagli occhi. Io non capivo perché facesse così e tutto quello che riuscii a fare fu abbracciarlo forte forte. Poi continuò:

Insieme ad altri compagni sono finito a Pozzo Vittoria, nell'ex palestra della scuola. Lì ho visto cose che farebbero inorridire chiunque ed è proprio lì che sono diventato sordo da un orecchio. Dopo ci hanno portato a Fianona ,dove ci hanno rinchiuso in un’ex caserma. Eravamo in venti in una stanza di tre metri per quattro. Anche lì siamo stati picchiati da uno slavo. Hai presente Ercole? Ecco, lui gli assomigliava tanto. Mentre ci gridava contro ho visto entrare due persone in divisa. Poi ho girato lo sguardo sui miei compagni: avevano  la schiena che sembrava dipinta di rosso (ma era sangue). Il gigante mi ha preso per i capelli trascinandomi davanti a uno dei soldati. Lui ha estratto con calma la pistola e poi con il calcio dell'arma mi ha spaccato la mascella. Poi ha preso di nuovo il filo di ferro e lo ha stretto attorno ai nostri polsi, legandoci a due a due. Ci hanno fatto uscire ed è incominciata la nostra marcia verso la foiba.”

Per la seconda volta mio nonno fu costretto a fermarsi. Il ricordo di quelle ore non era sicuramente d’aiuto per i suoi nervi, quindi si alzò e andò a prendere le pastiglie. Stava tremando dalla testa ai piedi e a malapena riusciva a tenere in mano il contenitore. Io ero preoccupato per lui, sapevo che, se mi stava raccontando una storia del genere, era per insegnarmi qualcosa, ma non potevo fare a meno di piangere ripensando a cosa aveva passato il mio povero nonno. A questo punto si voltò e guardandomi con aria di compassione, si avvicinò a me. Si sedette e mi mise sulle sue ginocchia, dicendomi:

“Piccolino mio, non piangere. Ormai tutto questo è passato e come vedi sono sano e salvo. Vuoi che continui?”

Io scossi la testa per dire sì e lui, dopo avermi asciugato le lacrime, continuò:

“Il destino era segnato ed avevo solo un modo per sfuggirgli: gettarmi nella voragine prima di essere colpito da un proiettile. Io, appena ho sentito il crepitio dei mitra mi sono tuffato dentro la foiba. Sono precipitato sopra un alberello sporgente. Non vedevo nulla. Sono riuscito a liberare le mani dal filo di ferro e ho incominciato a risalire. All'improvviso le mie dita hanno afferrato una zolla d'erba. Ho guardato meglio: erano capelli. Li ho afferrati e ho trascinato in superficie un uomo. Siamo gli unici italiani ad essere sopravvissuti alle foibe. Si chiamava Giovanni, "Ninni" per gli amici. Purtroppo è morto in Australia qualche anno fa. Non piangere piccolo. Tu devi essere forte, ricordati sempre quello che ti ho appena detto. Ricordati di rispettare sempre chi ti sta attorno e, anche se non ti piace quello che pensa o quello che dice, rispettalo. Ora sei grande abbastanza per capire quello che è giusto e quello che è sbagliato: mi prometti di non dimenticare mai?”

Mio nonno era Graziano Udovisi, uno dei pochi sopravvissuti alle foibe. Era un uomo sempre sorridente e pronto ad accettare le diversità, attento ai bisogni della sua famiglia e dei suoi amici. Aveva un solo problema: si svegliava spesso la notte per gli incubi. Nonostante tutto, ha vissuto per 84 anni.

Angolo dell'autrice: E' una storia che ho scritto per un giornalino scolastico. Siate clementi e gentili con i commenti! :)

  
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