Diario
di un
massacro
Qualche anno
fa siamo
andati da mio nonno, ero piccolo. Lui abitava in Emilia Romagna, era un
maestro
in pensione e prima di fare il maestro era stato un soldato in un campo
di
concentramento a Pola. Lui mi raccontava sempre tante storie e a me
piacevano tanto.
Beh, tranne quella che mi ha raccontato a febbraio tre anni fa. Stavano
addobbando la casa per il mio compleanno e lui era seduto sulla
poltrona a
parlare con dei miei cugini. Mi chiamò vicino a
sé e mi chiese se volessi
sentire una delle sue storie. Io risposi di sì e lui
iniziò a raccontarmi di
quando la Seconda Guerra Mondiale finì e fu preso dai
partigiani di Tito.
“La guerra era finita e mi sono
consegnato prigioniero al
comando slavo. Mi hanno portato con la forza in un campo di
concentramento
vicino a Pola. Prima di partire per Barban i partigiani di Tito si sono
divertiti
a farmi mangiare pezzi di carta ed a ingoiare dei sassi. Poi mi hanno
sparato
qualche colpo vicino all'orecchio e si sono divertiti a vedermi
sobbalzare.”
Mi ricordo che da quel punto
mio nonno iniziò
ad avere la voce tremante e si asciugò spesso le lacrime
dagli occhi. Io non
capivo perché facesse così e tutto quello che
riuscii a fare fu abbracciarlo
forte forte. Poi continuò:
“Insieme ad altri compagni sono finito
a Pozzo Vittoria,
nell'ex palestra della scuola. Lì ho visto cose che
farebbero inorridire
chiunque ed è proprio lì che sono diventato sordo
da un orecchio. Dopo ci hanno
portato a Fianona ,dove ci hanno rinchiuso in un’ex caserma.
Eravamo in venti
in una stanza di tre metri per quattro. Anche lì siamo stati
picchiati da uno
slavo. Hai presente Ercole? Ecco, lui gli assomigliava tanto. Mentre ci
gridava
contro ho visto entrare due persone in divisa. Poi ho girato lo sguardo
sui
miei compagni: avevano la
schiena che
sembrava dipinta di rosso (ma era sangue). Il gigante mi ha preso per i
capelli
trascinandomi davanti a uno dei soldati. Lui ha estratto con calma la
pistola e
poi con il calcio dell'arma mi ha spaccato la mascella. Poi ha preso di
nuovo
il filo di ferro e lo ha stretto attorno ai nostri polsi, legandoci a
due a
due. Ci hanno fatto uscire ed è incominciata la nostra
marcia verso la foiba.”
Per
la
seconda volta mio nonno fu costretto a fermarsi. Il ricordo di quelle
ore non
era sicuramente d’aiuto per i suoi nervi, quindi si
alzò e andò a prendere le
pastiglie. Stava tremando dalla testa ai piedi e a malapena riusciva a
tenere
in mano il contenitore. Io ero preoccupato per lui, sapevo che, se mi
stava
raccontando una storia del genere, era per insegnarmi qualcosa, ma non
potevo
fare a meno di piangere ripensando a cosa aveva passato il mio povero
nonno. A
questo punto si voltò e guardandomi con aria di compassione,
si avvicinò a me.
Si sedette e mi mise sulle sue ginocchia, dicendomi:
“Piccolino
mio, non piangere. Ormai tutto questo è passato e come vedi
sono sano e salvo.
Vuoi che continui?”
Io
scossi la testa per dire sì e lui, dopo avermi asciugato le
lacrime, continuò:
“Il
destino era segnato ed avevo solo un modo per sfuggirgli: gettarmi
nella
voragine prima di essere colpito da un proiettile. Io, appena ho
sentito il
crepitio dei mitra mi sono tuffato dentro la foiba. Sono precipitato
sopra un
alberello sporgente. Non vedevo nulla. Sono riuscito a liberare le mani
dal
filo di ferro e ho incominciato a risalire. All'improvviso le mie dita
hanno
afferrato una zolla d'erba. Ho guardato meglio: erano capelli. Li ho
afferrati
e ho trascinato in superficie un uomo. Siamo gli unici italiani ad
essere
sopravvissuti alle foibe. Si chiamava Giovanni, "Ninni" per gli
amici. Purtroppo è morto in Australia qualche anno fa. Non
piangere piccolo. Tu
devi essere forte, ricordati sempre quello che ti ho appena detto.
Ricordati di
rispettare sempre chi ti sta attorno e, anche se non ti piace quello
che pensa
o quello che dice, rispettalo. Ora sei grande abbastanza per capire
quello che
è giusto e quello che è sbagliato: mi prometti di
non dimenticare mai?”
Mio nonno era Graziano Udovisi, uno dei pochi sopravvissuti alle foibe. Era un uomo sempre sorridente e pronto ad accettare le diversità, attento ai bisogni della sua famiglia e dei suoi amici. Aveva un solo problema: si svegliava spesso la notte per gli incubi. Nonostante tutto, ha vissuto per 84 anni.
Angolo
dell'autrice: E' una storia che ho scritto per un giornalino
scolastico. Siate clementi e gentili con i commenti! :)