Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Nocturnia    06/11/2012    2 recensioni
L'ombra della colpa si era fratturata, diventando schegge d'uno specchio che si rifutavano di riflettere, ma incidevano ogni barriera.
Si era conclusa con una morsa al petto e un singulto affranto, le braccia di Arden attorno alle tue spalle e il suo profumo sulla pelle.
Dopo tanto tempo, le sue mani ti erano sembrate davvero rassicuranti e tiepide.

[Quinta classificata nel "Contest dei cinque sensi" e vincitrice del premio "Tema e contesto". Il contest è stato indetto da Kim NaNa sul forum di Efp.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
dbgsg
Disclaimer: Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto e i personaggi rappresentati sono copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


La vita, la sventura, l'isolamento, l'abbandono, la povertà, sono campi di battaglia che hanno i loro eroi, eroi oscuri a volte più grandi degli eroi illustri."

- Victor Hugo -

Amitto

Halloween

Ha i colori dell'autunno la festa del Samhain, il tenue dorato delle foglie appena cadute e il cremisi del tramonto di una stagione.
Le senti scricchiolare sotto i tuoi piedi, pergamene ingiallite di una vita che mai come ora ti appare priva di significato.
Il vento che spira tra le lapidi del cimitero è pungente, quasi a volerti ricordare che l'inverno è vicino.
Che neppure la neve avrà pietà di te.

Qualcosa crepita al tuo fianco, un passo pesante e due spalle larghe che consideravi un muro infrangibile.
Invece sono state le prime a piegarsi.

"Ciao."
È il silenzio la parola con la quale ricambi un amore vissuto e assorbito fino all'ultima goccia.
Non puoi parlare, perché altrimenti dovresti passare alla fase cinque, come la chiamava quel medico supponente e arrogante.
Dovresti accettare.
E tu non sei mai stata brava a incassare i colpi.
Men che meno questo.

Christian era l'esempio classico del ragazzo di sedici anni.
Sfidava l'autorità, come era giusto e sacrosanto che fosse alla sua età, e mostravo il capo fiero di tutta quella forza, di tutto quel dissennato coraggio.
D'una bellezza scura e incisa nei lineamenti mediterranei del padre, pareva mutare pelle ogni giorno.
Si muoveva contro le pareti del mondo e lì lasciava parte della sua muta, un serpente d'ossidiana e argento che perdeva libbre di carne e d'infanzia, per diventare l'esangue scheletro di un futuro mai giunto.
Era un guerriero e si alzava dal letto già impugnando le sue armi, con le quali dava battaglia anche durante la colazione.
Peccato solo fossero un telefono con cui far finta d'ignorarvi e un cucchiaio per motteggiare le sue idee, brandito poi come uno scettro.
C'era sempre un momento, tra l'età adulta e l'adolescenza, in cui ti sentivi davvero un eroe invincibile, in cui l'alterigia d'esser giovane ti l'illudeva anche d'essere immortale.
Non la pensava allo stesso modo l'auto che l'aveva investito, schiacciandolo contro l'impiantito di New York City e lì lasciandolo.

"Theretia..."
È un mormorio che sa di caldo e notti passate sotto le coperte a ridere insieme, osteggiando la neve che cominciava a cadere.
Sanno d'arancia le sue labbra quando ti depositano un bacio sulla tempia, probabilmente il gusto della sua gomma da masticare preferita, quella con cui scaricava sempre la tensione del momento.

"Piantala." gli avevi sibilato a metà tra il divertito e l'infastidito, controllando il numero che era segnato sul foglietto.  
Aveva ridacchiato Arden, passandosi una mano tra i capelli scuri e ingoiando la gomma.
"Come vuoi. Tanto sei tu a dovermi sopportare."
"Non puoi agitarti anche per l'esame del sangue."
Aveva inarcato un sopracciglio, scuotendo il braccio con fare melodrammatico.
"Odio gli aghi e svengo sempre. Basta e avanza."
Un sorriso ti aveva allora addolcito i lineamenti, rendendoli eleganti e luminosi.
Una luce che si era spenta solo pochi anni dopo, diventando brace d'una vecchia fiamma.
Diventando cenere.

"Ciao Arden..." avevi poi sussurrato, ma era ormai troppo lontano per sentirti.
Troppo lontano per raccoglierti.
E il cielo aveva vomitato tutte le sue lacrime.

4 Luglio

Grida quell'America che ti ha portato via un figlio.
Esulta d'una indipendenza necessaria e sancita nel sangue di centinaia di persone.
È felice anche Alexander, che dal fratello ha preso l'inesauribile voglia di sfidare la storia.
"A che ora torni?" senti chiedere da Arden
"Uhm...per le due?"
Silenzio. Probabilmente, se conosci tuo marito, sta guardando vostro figlio come se fosse diventato uno strano insetto che ha sparato la barzelletta più bella del mondo.
"Facciamo all'una?"
"Meglio. Prendi il cellulare e rispondi."

Click.

La porta d'ingresso di chiude con un tonfo sordo.

Clack clack clack.

Arden chiude le serrature di sicurezza e viene a sedersi al tuo fianco, come sempre.
Per alcuni istanti non vi guardate neppure, poi afferra il telecomando e ti chiede:
"Vuoi vedere qualcosa?"
È così difficile parlare?
Ti sembra di avere un pugno di vetri giù per la gola, che alla prima sillaba ti squarceranno la trachea, soffocandoti.
Annuisci e sullo schermo prendono forma le immagini di un telefilm sugli zombie.
Una smorfia ti distorce i lineamenti, ma è rapido come il frullar d'ali d'un tenero uccellino.
Pallida come un'illusione.
Un fantasma.

Accade una cosa strana dopo che una famiglia subisce un lutto come quello della morte di Christian.
Accade che il dolore di uno basta per entrambi e si cercano colpe dove non ci sono.
C'è qualcosa di tragico e biblico nel perdere il primogenito, il sapore amaro della prima sigaretta e del primo guaio veramente grosso.
Il primo è sempre un coacervo d'errori e speranze riposte, uno strano esserino che possiede la tua stessa pelle e che porta inciso nelle sua genetica anche un pezzettino di te.
Sbagli e sbagli ancora, rendendolo quasi un tuo pari prima del tempo, caricandolo delle tue stesse incertezze e debolezze.
Il primo possiede la bellezza di tutte le prime cose, unica e irripetibile.
Non è solo una questione d'affetto, anzi, non lo è quasi mai perché un figlio è qualcosa a cui ti leghi in utero ancor prima di sapere che faccia avrà, ma più un fatto di futuro annientato.
Quando se ne va, rimani un guscio vuoto.
E il tuo possedeva capelli neri e occhi troppo pieni per svuotarsi davvero.

Arden aspetta la fine del telefilm per alzarsi e allungarti la mano, in un gesto rassicurante e che reitera da infinite sere.
L'afferri, perché la distanza che si è venuta a creare tra voi due è un rostro spietato e crudele, un'unghia nerastra che fruga in vecchie e nuove ferite.
Vorresti parlare: vorresti davvero.
Vorresti piangere, ma farlo significherebbe dare dimensione e nome a un dolore che non vuoi - non puoi - accettare.
Ti abbraccia e riposi il capo contro il suo petto, chiudendo gli occhi.
Bruciano, ma si rifiutano di lasciare andare sia stilla che sale.
Sospira e tra le sue costole batte un cuore che ti ama ancora.
Che ti ha sempre amato, nonostante i tuoi silenzi e i tuoi spigoli.

La verità è solo uno scomodo tappeto di vetri infranti, su cui inciampi continuamente.
È una pietra ruvida e grezza, capace di grattare via libbre della tua patetica menzogna.
È uno specchio impietoso dell'animo umano e il tuo ti aveva appena rimandato l'immagine sconvolta d'una donna distrutta.
Una donna che doveva ancora accettare.

Halloween - un anno dopo

Non l'hai fatto.
Quest'anno non hai portato la classica zucca sulla lapide di Christian, nessun dolcetto a lascito di una festa tanto adorata e nessuna foglia calpestata.
Gli hai regalato solo una rosa e un pensiero muto, il silenzio un cancro che ti sta corrodendo dall'interno.
Quando rientri in casa è il rimprovero tagliente di Arden che squarcia quel velo, scuotendoti da un torpore ovattato, pastoso.
"Dovremmo parlarne."
Taci ancora qualche istante e vedi chiaramente il sospiro spezzato di Arden, nonché le sue spalle che fanno per andarsene.
"Hai ragione." mormori con voce roca "Hai sempre avuto ragione."
Si volta tuo marito e ti guarda come fossi diventata un alieno.
Si schiarisce la voce e incrocia le braccia al petto, aspettando.
Come sempre.

È un attimo, un'onda improvvisa, come una scossa tellurica che infrange l'ultimo mattone della diga.
Tremi tutta fin quasi scioglierti e ti copri il viso con le mani.
Era stata colpa tua.
Solo tua.

Succede che quando litighi e poi tuo figlio muore vorresti solo scomparire.
Succede che dopo un fatto come questo vizi il tuo secondogenito in modo ignobile, concedendogli praticamente tutto.
Perché lo vuoi vedere felice e pensi che se dovesse uscire di casa arrabbiato con te potrebbe non esserci una seconda occasione per rimediare.
Perché la colpa non si chiede e non di domanda, semplicemente ti percuote, come un pugno divorante.
Ti lascia steso a terra a bocconi, denti rotti e sulla lingua il fiele della sconfitta.
E tu avevi appena cominciato a rialzarti.

Il lutto attraversa diverse fasi.
La negazione, nella quale fissavi una lapide grigia e vuota, scuotendo la testa e rifiutando una realtà inconsolabile.
La rabbia, durante la quale bruciavi come un rogo annichilente.
Urlavi e speravi di liberarti da tutto quel dolore con quelle grida, ma avevi solo inferto tagli su tagli, incidendo la polpa morbida di chi ti amava davvero.
Avevi privato sia Arden che Alexander di te stessa, sebbene anche loro avessero perso un figlio e un fratello.
La contrattazione non l'avevi neppure contemplata, per poi scivolare in un silenzio ottuso e risoluto.
Tu non patteggiavi, perché era roba per i deboli di stomaco e di cuore.
La chiamavi "la salvezza", ma era solo il lato più oscuro della depressione.
La fossa più profonda della disperazione.

L'accettazione era avvenuta dopo un'emorragia di parole, un vomito incoercibile di sentimenti e frasi sconnesse.
Era avvenuta in mezzo al salone da pranzo, con ancora il cappotto addosso e le chiavi della macchina tra le dita.
L'ombra della colpa si era fratturata, diventando schegge d'uno specchio che si rifutavano di riflettere, ma incidevano ogni barriera.
Si era conclusa con una morsa al petto e un singulto affranto, le braccia di Arden attorno alle tue spalle e il suo profumo sulla pelle.
Dopo tanto tempo, le sue mani ti erano sembrate davvero rassicuranti e tiepide.
Aprivi gli occhi e scoprivi che il dolore non si cancella e non di dimentica: semplicemente rimane, fino a trasformarsi in storia e sfregio, una cicatrice indelebile.  
L'avevi baciato, perché di tutti quei futuri strappati non volevi lasciar andare via anche quello, e avevi sentito il sapore salato di una lacrima sulle tue labbra.
Non avresti saputo dire a chi appartenesse dei due, perché il sale di una ferita trova sempre il modo di dividersi equamente, ma ti faceva sentire meno sola.
E per adesso poteva bastare.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Nocturnia