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Autore: MrEvilside    07/11/2012    7 recensioni
«Perciò tu li hai portati qui perché io dovrei…?»
«Offrirci ospitalità».
«Certo».
Era del tutto comprensibile; quale supereroe, dopotutto, non accoglie la propria nemesi e prole al seguito?

Torna il MPLVST, il Mondo Perfetto in cui Loki si unisce ai Vendicatori e Scopa Tony.
[ Smartass Family: Loki, Jonmungandr, Hela, Fenrir e Tony ]
[ IronFrost, accenni di BlackHill ]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Okay, cosa posso dire, se non che non mi prendo le responsabilità per l’alto tasso di demenzialità di questa cosa? È la prima volta che sperimento questo stile (il mio di solito è un po’ più austero) e tutta questa roba è un esperimento (demenziale), però spero che piaccia almeno un po’. Anche se io non scrivo fluff, perciò è altamente probabile che sia un’immane stupidaggine (per non usare un bel francesismo).
Il racconto gronda mitologia da tutti i pori, quindi consiglio una visita a Wikipedia o siti specializzati nella mitologia norrena nel caso di incomprensioni – insomma, la parte di trama solo mia è quella stupida, per intendersi.
Spendo qualche parola anche per titolo e sottotitolo: essendo una classicista senza speranza, non potevo non inserire qualcosa di romanesco e, pensando a qualcosa come Cronache degli ultimi giorni di Tony Stark, ho optato per gli Annales (una raccolta stratificata di avvenimenti d’epoca romana) e, visto che si definiscono “Annales” anche i libri storici di Livio Ab urbe condita (“Dalla fondazione della città” – cioè Roma), ho messo insieme le cose e creato Ad mundi finem (“Alla fine del mondo”). Sì, è una cosa stupida.
E alla fine non è neppure tanto IronFrost quanto volevo, ma i bambini hanno preso il sopravvento. Comunque, avrebbe dovuto partecipare al contest Loki The Liesmith indetto da suni, ma alla fine, per mancanza di partecipanti, è stato sfortunatamente annullato. L'unica altra partecipante ad aver consegnato è stata vannagio, che ha scritto Ratatoskr. Il contest consisteva nello scrivere una storia su Loki (you don't say?) ispirandosi a una citazione tra quelle proposte dalla giudice; trovate la mia appena al di sotto del titolo.
Buona lettura.


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Annales
Ad mundi finem
 
La verità sta nelle sfumature.
-Charles Bukowski
 
Quando Loki si presentò alla porta del suo attico con una neonata in braccio, un serpente sulle spalle e un cucciolo di lupo al seguito, la prima, comprensibile reazione di Tony fu chiudergli la porta in faccia. Con forza.
Sfortunatamente, aveva chiuso la porta in faccia al mago più potente dei Nove Reami, al quale bastò un banale movimento delle dita per spalancare di nuovo il battente.
Il lupo si fece avanti e scoprì le zanne in un ringhio minaccioso; Tony gli lanciò un’occhiata, poi prese la saggia decisione di scostarsi e la bestia, compiaciuta, precedette il suo padrone all’interno del loft.
«Loki…» Gli mancarono le parole e se ne sorprese lui per primo, stupore che gli strappò diversi secondi di contemplazione – Tony Stark non rimane senza parole – in cui il semidio si limitò a fissarlo con le sopracciglia inarcate. «Cosa, uhm, ci fai qui?»
Loki gli rifilò uno sguardo pungente il cui evidente significato era che lo aveva preso per un ritardato. «Vengo in visita, naturalmente» affermò in tono pacato, quasi fosse quanto di più ovvio, giusto e inoppugnabile al mondo – come il fatto che lui sarebbe stato il miglior re che la razza umana potesse aspirare ad avere.
Tony si lasciò sfuggire uno sbuffo scettico e alzò gli occhi al cielo; un ringhio irritato riverberò nel ventre del cucciolo di lupo e l’uomo si affrettò a riportare lo sguardo all’altezza di quello del semidio, che ammansì la bestia con una carezza sul muso e non si diede neppure la pena di fingere di non essere compiaciuto.
Tony aggrottò la fronte, indispettito. Bastardo.
«Voglio dire, che cosa ci fai qui con loro
Loki inarcò le sopracciglia, ma, anziché ribattere con un commento sagace, parlò con freddezza, mortalmente serio. «Hanno un nome, Stark: Hela, Fenrir e Jonmungandr. A ogni modo, se li avessi tenuti ad Asgard, li avrebbero uccisi. Non sono riuscito a trovare un luogo più adatto di questo».
L’uomo si sforzò di non apparire turbato quanto era davvero, aveva una reputazione da mantenere, reputazione che era già venuta meno nel giro di pochi minuti.
Prima era rimasto senza parole, ora rischiava di mostrarsi turbato.
Non andava bene, la stampa avrebbe potuto insinuare che provava dei sentimenti e le donne avrebbero potuto tentare di approfittare di tale presunto sentimentalismo per sfilargli il denaro, oltre che i pantaloni.
Stupidi dei asgardiani, stupida magia; a lui non era mai piaciuta, la magia, la tecnologia era molto più affidabile e poggiava su basi solide, non come il potere di Loki, inspiegabile e misterioso, un potere che avrebbe potuto annodargli i polmoni così come limitarsi a strinargli le sopracciglia. Doveva essere il nervosismo generato da quella prospettiva a renderlo così incerto, senza dubbio. Perché era colpa di Loki, era sempre colpa di Loki, che il semidio fosse coinvolto o meno, Tony era troppo Tony Stark per avere la colpa.
«Uccisi?» gli fece eco, scettico. Se c’era una cosa che aveva capito di Loki, era che mentiva. Non era un patito di mitologia e aveva di meglio da fare che ascoltare le chiacchiere di Thor, ma quello, ormai, avrebbe saputo citarglielo a memoria persino Hulk. Loki mente. «E perché gli asgardiani dovrebbero fare fuori un cucciolo di lupo, un serpente e una neonata? È stagione di caccia?»
«Sono i miei figli» ribatté il semidio, gelido «e forieri del Ragnarok».
Poteva anche non essere un grande appassionato di leggende, ma qualche film l’aveva visto. Ragnarok, Doomsday, Armageddon, Apocalisse – nulla di particolarmente felice e carino.
Se all’inizio avrebbe quasi potuto provare pietà per i bambini, forse in un universo parallelo di un universo parallelo, all’improvviso era molto più solidale con gli asgardiani, ma qualcosa di feroce nello sguardo di Loki lo convinse a non pronunciarsi a riguardo.
«Perciò tu li hai portati qui perché io dovrei…?»
«Offrirci ospitalità».
«Certo».
Era del tutto comprensibile; quale supereroe, dopotutto, non accoglie la propria nemesi e prole al seguito? Tony dovette trattenersi dal levare gli occhi al soffitto.
Era esattamente quello che intendeva riguardo all’approfittare dei suoi sentimenti: solo perché qualche volta, per caso, gli era capitato di bere un po’ troppo, ma anche di essere sobrio, e di invitare Loki nella propria camera da letto, non significava che voleva sposarlo o assumere un ruolo importante nella vita dei suoi figli.
Era già abbastanza difficile nascondere a Fury il proprio coinvolgimento con il semidio, se avesse preso a scarrozzare in giro il frutto dei suoi lombi avrebbe anche potuto indossare una maglietta che recasse la scritta Loki Laufeyson è stato nel mio letto e, a capo, Ripetutamente e presentarsi disarmato nell’ufficio di Fury.
E poi nemmeno gli piacevano, i bambini, tantomeno quelli non umani.
«Come pensi che io possa offrirvi ospitalità?» domandò, ogni sillaba grondante sarcasmo. «Ti è sfuggito che dovremmo essere nemici?»
Nel mentre, il lupo si era acciambellato accanto al divano dopo un breve vagare, il serpente dormiva con il capo posato nell’incavo del collo del padre e dal fagotto in cui era avvolta la bambina non proveniva alcun suono, segno che probabilmente anche lei doveva essersi assopita.
Immerso nel sonno, il lupo appariva molto meno pericoloso, più simile a un cane domestico che a un predatore sanguinario; persino il serpente aveva appariva tenero e la bambina, per quel poco che ne aveva intravisto, gli era apparsa molto umana, dolce.
Forse non era vero che non gli piacevano i bambini, ma no, non avrebbe ospitato Loki e famiglia.
La vita gli piaceva ancora, e molto.
«Negli ultimi mesi mi sembrava che il tuo concetto di nemico fosse diventato molto… singolare» obiettò il semidio, con una punta di malizia nella voce insinuante che non sfuggì a Tony, in particolare non a quel lato a cui andare a letto con Loki non era mai dispiaciuto. Lato che corrispondeva a buona parte di lui, a voler essere precisi, o se non altro alla parte con cui prendeva decisioni più spesso, compresa tra ombelico e ginocchia.
Finse tuttavia di essere una persona retta e virtuosa e di avere ogni diritto d’indignarsi per il comportamento del semidio. «È per questo che sei venuto a letto con me? Per trarne vantaggio?»
Loki piegò le labbra in un sorriso paziente. «Non recitare, Stark. Il ruolo della povera vergine abusata non ti si addice» lo schernì con il tono di chi stia smascherando la marachella di un bambino. «Oltretutto, eri consenziente, nonché consapevole della mia natura di Dio dell’Inganno. Non ho alcuna colpa».
Sorreggendo la bambina con un solo braccio, le accarezzò il visino per scostarle una ciocca di capelli dalla fronte, una scena quasi commovente subito controbilanciata dalla minaccia di cui si tinse la sua voce melliflua mentre commentava con disinvoltura: «Vuoi forse correre il rischio che la notizia giunga all’orecchio sbagliato, Stark? Non sarebbe molto più semplice acconsentire ad aiutarmi? Senza dubbio i tuoi compagni Avengers verrebbero mossi a compassione dal fatto che, dall’alto della tua magnanimità,» sottolineò il concetto con non troppo velato sarcasmo «hai voluto dare rifugio a tre cuccioli sfortunati».
Tony aveva la sgradevole impressione di essere impallidito al pensiero di chi avrebbe potuto essere il proprietario di quell’orecchio sbagliato: se fosse stato Rogers, tanto valeva dare le dimissioni come Avenger; se fosse stato Fury, poteva considerarsi morto e sepolto; la cosa peggiore, però, era che non riusciva a figurarsi un futuro così orribile come quello di cui sarebbe stato vittima se l’orecchio fosse stato di Thor.
Valutò le proprie opzioni, pur essendo consapevole di non averne molte, né tantomeno vantaggiose.
C’era la sua preferita, che consisteva nel rifiutare, ma non era più praticabile; c’era poi la possibilità di accettare, che avrebbe significato avere un semidio folle e assetato di sangue e la sua prole disumana in giro per la casa.
Avrebbe dovuto dare ascolto a quell’anfratto di lui che gli aveva sconsigliato altamente di finire a letto con Loki Laufeyson.
«Bene» si arrese con un sospiro. «Farò portare una culla…» Esitò. «Una cuccia e una… teca di vetro?» Lanciò un’occhiata incerta al serpente. «Una grossa, confortevole teca di vetro».
Il semidio inclinò il capo da un lato e socchiuse gli occhi, e Tony non riuscì a fare a meno di pensare che somigliava terribilmente a Jon- Jonmun- al serpente. «Perfetto».
Poi, con quel suo incedere maestoso ed elegante, lo oltrepassò, si accomodò sul divano, accanto al lupo assopito, e si depose in grembo l’involto di stracci che teneva fra le braccia. Sollevò Jonmungandr, sciogliendo la presa dell’animale sul suo collo, e lo appoggiò accanto alla bambina; con un pigro guizzo, il serpente avvolse la neonata tra le proprie spire e si riappisolò quasi subito.
Dormivano come se avessero intuito che potevano rimanere, piccoli geni del male.
Nel rendersi conto che Tony lo osservava incredulo, Loki lo incalzò con un gesto impaziente. «Suvvia, Stark, non sono sempre così quieti. Il lungo viaggio li ha spossati: devi approfittarne».
Tony, però, non riusciva a distogliere lo sguardo da quell’immagine assurda che avrebbe dovuto cominciare a considerare una comune scena familiare.
Solo quando Loki minacciò di costringerlo a imboccare Fenrir si riscosse e si affrettò a chiamare Pepper, cercando in contemporanea una scusa qualsiasi che fugasse ogni sospetto circa il motivo per cui aveva improvvisamente bisogno di una culla, di una cuccia e di una teca di vetro.
Sarebbe stata una lunga, difficile convivenza, ma lui era Iron Man.
Poteva farcela.
 
 
«Unisciti agli Avengers, avevano detto» mugugnò tra sé, girando la manovella del lavandino. L’acqua fredda scorse tra le sue mani allungate sotto la bocca del lavabo, sciacquò via la mistura viscida che le imbrattava. «Fa’ il supereroe, sarà divertente, avevano detto. Divertente un cazzo».
Una volta stabilito che aveva eliminato ogni possibile residuo fermò il getto dell’acqua, scrollò con forza le mani e le asciugò con fervore con un panno. Non voleva rischiare il contagio con una qualche pestilenza interstellare.
Incrociò il proprio sguardo nello specchio e con l’indice tracciò il profilo degli occhi, che sembravano scavati in due pozzi di occhiaie violacee. Imprecò tra sé e lasciò il bagno, non sbatté la porta solo per timore di svegliarli e che la tortura ricominciasse.
Lui odiava i bambini.
Per fortuna non aveva mai avuto una relazione seria – Pepper a parte – non voleva neppure immaginare come sarebbe stato se avesse avuto un figlio.
Al confronto, Loki il Dio del Male pazzo avrebbe potuto essere il suo amico del cuore.
E quella era solo la prima notte.
Se non avesse saputo che il semidio si sarebbe volentieri sottoposto a seppuku piuttosto che chiedergli aiuto, avrebbe sospettato che si trattava di un complotto per impedirgli di salvare il mondo. Non riusciva a concepire come avrebbe potuto fermare Doctor Doom se non si reggeva in piedi dal sonno.
Nell’attraversare l’attico per tornare in camera, fu costretto a passare vicino al divano. Si sforzò di non fare rumore, ma presto realizzò che era inutile.
Non che non se lo aspettasse, in fondo, in parte perché nessuno sulla Terra aveva mai visto il semidio dormire, in parte perché era disumanamente impossibile che qualcuno mancasse di udire il pianto di Hela, ma la speranza è sempre l’ultima a morire e citazioni cinematografiche-slash-letterarie annesse.
Per fortuna le pareti del loft erano insonorizzate, preferiva che gli altri venissero a sapere della presenza di Loki e famiglia davanti a un buon caffè, non perché erano stati tirati giù dal letto alle tre di notte dai singhiozzi di sua figlia.
Il semidio era seduto sul sofà, le gambe senza fine allungate sul tavolino di fronte – una prospettiva niente male, prese nota la gran parte di Tony – e le braccia stese sul bordo dello schienale, piegate a livello del gomito.
Al suo emergere dall’oscurità del corridoio che dava sul bagno e sulla camera improvvisata per i bambini, Loki increspò le labbra in un sorriso strano, in cui a Tony parve di riconoscere una certa perplessità, emozione insolita per il Dio dell’Inganno, i cui lineamenti sembravano incerti su come flettersi per darne mostra.
«Non credevo che saresti stato tu il primo ad accorrere» osservò in tono pacato, sebbene i sottintesi nel verbo accorrere fossero evidenti.
Era proprio ciò che Tony aveva osato sperare di scampare: che Loki lo canzonasse per il suo presunto istinto paterno. Tony Stark non ha istinti paterni.
«Loki, sono le quattro» sbottò di malumore. «Non sono in grado di sostenere una conversazione in questo momento. E comunque è inutile che mi guardi in quel modo, le tue battute non mi toccano. Piangeva come se le stessero strappando l’anima, come pretendevi che non andassi? Dormire mi diverte ancora, sai?»
Di norma preferiva trascorrere la notte in attività più produttive del riposo, ma con la prole del semidio in casa invitare qualcuno era fuori discussione e lo stesso Loki fino ad allora aveva mostrato più interesse per i figli che per lui.
Seconda ragione del suo malumore.
È come convivere con una madre single… Che palle.
«No, ti prego, permettimi di comprendere a fondo la situazione. Dopotutto si tratta di mia figlia. D’altra parte, consentimi di dissentire: ritengo alquanto plausibile che non esista orario in cui tu non sia in grado di blaterare a vuoto, Stark».
Tony alzò gli occhi al cielo: l’espressione del semidio non presagiva niente di buono – o comunque niente che non prevedesse torture e scherno. «Hela non riesce a dormire solo quando ha bisogno di essere cambiata. Ciò significa che tu hai adempiuto a questo compito, o mi sbaglio, forse?»
Tony era sicuro che la risposta avrebbe condizionato la sua vita per sempre – che, prevedibilmente, Loki gliel’avrebbe rinfacciato finché non si fossero uccisi a vicenda durante il suo ennesimo tentativo di radere al suolo New York. Tacere, però, era una conferma almeno quanto parlare, e parlare gli riusciva molto meglio. «Perché, dubitavi che sapessi farlo?»
Per la verità, all’inizio aveva esitato, indeciso sul da farsi; alla fine aveva risolto di affidarsi ai film e, a parte il trauma di dover toccare con mano il pannolino sporco, il risultato era stato piuttosto soddisfacente. Supponeva. Sperava.
«Al di là di questo,» replicò Loki «non avrei mai detto che Tony Stark si sarebbe preso cura di mia figlia. Sono sorpreso, tutto qui».
«Beh, abituati, sono un uomo dalle mille risorse» citò, uno dei suoi sorrisi per la stampa dipinto in volto, sfregiato dalle occhiaie profonde e da una ruga scavata dalla spossatezza e dall’irritazione all’angolo della sua bocca.
Arresosi all’idea di dover sostenere quella conversazione, finì con lo stravaccarsi accanto al semidio, bene attento a non calpestare Fenrir, e decise che quantomeno avrebbe approfittato dell’apparente quanto transitoria disponibilità di cui Loki stava dando prova. «Come funziona questo Ragnarok? E come fai a essere sicuro che, se gli asgardiani li trovassero, li farebbero fuori subito?»
Tony Stark, monumento al tatto.
Il semidio si irrigidì, le spalle contratte, le labbra tese, ma quando parlò era stranamente, stonatamente calmo: «Si dice che un giorno io debba portare il Ragnarok. Esso sarà anticipato dal Fimbulvetr, un inverno che durerà tre anni, al termine dei quali i figli saranno messi contro i padri, i fratelli contro i fratelli, e l’universo sprofonderà nel Caos e nelle mani delle sue creature. Si narra che Fenrir, imprigionato da catene di uru, lo stesso metallo con cui è stato forgiato Mjolnir, verrà liberato e ucciderà Odino, Jonmungandr invece è destinato a uccidere Thor e Hela marcerà contro Asgard al comando delle sue armate di dannati e abbatterà le difese approntate sul Bifrost, permettendo alle forze dei Nove Regni di invadere la Città Eterna». Esalò l’ombra di una risata amara. «E così, i valorosi dei di Asgard hanno deciso di ucciderli ora, finché sono troppo piccoli e deboli per rappresentare un pericolo. Senza dare loro neppure la possibilità di difendersi come meritano».
Tony boccheggiò, senza parole.
Non conosceva le leggi di Asgard, ma conosceva Thor ed era certo che lui non avrebbe mai acconsentito a compiere una simile carneficina sulla base di una superstizione. Lui avrebbe atteso che i bambini fossero cresciuti e solo allora, se avessero rappresentato una minaccia, avrebbe agito di conseguenza.
Forse Thor non era la persona più intelligente che avesse mai incontrato, ma era buono.
«Thor…»
«Thor» lo interruppe bruscamente Loki «è il cane fedele di Odino. Qualsiasi cosa l’All-Father gli ordini, è legge».
«Sono i suoi nipoti» protestò Tony con voce flebile, troppo inorridito per poter credere che uno dei suoi compagni si sarebbe macchiato di una strage simile.
«Tecnicamente no» gli ricordò il semidio, aspro. «E la sopravvivenza di Asgard è più importante delle vite dei miei figli».
Tony si strinse nelle spalle per reprimere un brivido. Non riusciva a concepire che si potesse decidere spontaneamente di destinare tre bambini a un fato così assurdo e orribile. In fondo non avevano compiuto alcuna scelta, la loro unica colpa era essere nati figli di Loki.
«Li terrò qui» promise, quasi con gentilezza – rispetto al solito atteggiamento arrogante e/o sarcastico, s’intende. «Ma non posso prometterti che riuscirò a nasconderglieli a lungo. Non so nemmeno come facciano a controllarci, cioè, hanno uno specchio magico o una sfera o…?»
Il semidio aggrottò la fronte e distolse lo sguardo da lui per affiggerlo verso un punto indefinito nell’oscurità. Che cosa stesse pensando trascendeva ciò che Tony poteva comprendere. «Ti ringrazio, Stark».
Era onesto, più onesto di quando gliel’aveva detto guardandolo negli occhi.
«Oh, a proposito…» Tony si schiarì la gola, impaziente di mettere fine a quel momento di pericolosa socievolezza. «Chi è la madre?»
Nella sua ottica, la donna che aveva scelto di avere figli da lui doveva essere molto disperata, oppure molto stupida.
Loki inarcò le sopracciglia, perplesso, poi un ghigno strano si allargò sul suo volto, come se all’improvviso avesse capito qualcosa che invece a Tony rimaneva oscuro. «Non credo che madre sia la parola adatta, Stark. I miei figli sono nati dal cuore di una gigantessa, che ho divorato per portare a termine un rito magico».
Tony impiegò una manciata di secondi a cogliere fino in fondo le implicazioni di quell’affermazione. Quando alla fine le sue geniali sinapsi arrivarono a una conclusione, per un lungo momento si limitò a fissare il suo ospite come se di colpo gli fossero cresciuti i tentacoli sulla fronte.
«Cioè, tu… tu li hai partoriti
Non era sicuro se essere più disgustato o affascinato, né tantomeno se il semidio lo stesse prendendo in giro oppure no.
Loki scrollò le spalle con enigmatica noncuranza. «Chissà? Sono il Dio delle Menzogne: come puoi essere certo che io sia sincero o meno?»
«Okay…» Tony fu tentato di insistere, poi scosse con decisione il capo. «Okay, non voglio saperlo. Ho bisogno di dormire. E domani di bere caffè. Molto caffè».
Sospettava che, se il semidio non fosse stato così algido, sarebbe scoppiato a ridere. Invece, gli rifilò a malapena un’occhiata per manifestare il proprio scarso interesse verso di lui. «Buonanotte, allora».
«Notte». Barcollando per la stanchezza, Tony caracollò fino alla porta che si affacciava sulla sua camera da letto, non resistette e si volse un’ultima volta. «No, sul serio, come… come hai fatto?»
Loki non si voltò nemmeno. «Buonanotte, Stark».
 
 
Gli altri Avengers impiegarono meno di ventiquattro ore a scoprire che Tony stava ospitando clandestinamente un semidio ricercato per tentata conquista e i suoi pargoli. Non che l’uomo ne fosse stupito, dopotutto i compagni convivevano con lui nella torre, che, da Stark Tower, era stata ribattezzata Avengers Tower per ordine di Fury.
Dovete rimanere insieme ed essere sempre pronti ad affrontare un’emergenza, l’aveva liquidato con freddezza il direttore quando Tony aveva espresso le sue lamentele a riguardo.
Neppure gli altri erano stati troppo entusiasti di quella decisione e, nei primi tempi, la convivenza era stata piuttosto complicata: ancora turbato dal controllo mentale di cui era caduto vittima, Clint tendeva a scagliare frecce contro qualsiasi cosa lo cogliesse alla sprovvista, dall’apparizione improvvisa di qualcuno all’accendersi inaspettato della televisione; le manie di persecuzione di Bruce, che aveva visto l’obbligo alla vita in comune come un tentativo di tenerlo d’occhio, erano peggiorate al punto che una volta aveva sospettato che Fury avesse montato delle telecamere nel suo bagno; Steve aveva ancora delle difficoltà a controllare la propria forza e ogni tanto, per sbaglio, distruggeva qualcosa – forse anche perché a livello teorico la torre apparteneva ancora a Tony ed era lui a dover pagare le spese; e Thor, quando non era impegnato ad Asgard, era Thor, e tanto bastava.
La prima a essersi adattata alle nuove disposizioni era stata, prevedibilmente, Natasha, anche se la prima volta che aveva portato a casa Maria e, supponendo dovessero parlare di lavoro, Tony era entrato in camera senza bussare e le aveva scoperte in atteggiamenti piuttosto intimi, Black Widow, fedele al suo nome, l’aveva quasi divorato vivo.
In compenso, però, dopo un anno la convivenza li aveva temprati e i suoi compagni avevano reagito con notevole flemma al trasferimento a tempo indeterminato della famiglia Laufeyson.
Gran parte del merito – Tony doveva ammetterlo – andava ai bambini. Gli Avengers non erano disposti a fidarsi di Loki solo perché lui prometteva di non provare a trucidarli nel sonno, ma non avevano avuto il cuore di sbattere i tre cuccioli in mezzo a una strada, come predetto dal loro padre – o madre; no, Tony non voleva pensarci.
Clint e Steve avevano una predilezione per Fenrir e di tanto in tanto, con il permesso di Loki, lo addestravano in palestra; inaspettatamente, Natasha adorava Jonmungandr o, almeno, Tony supponeva che, per una donna imperscrutabile come lei, tornare da una missione portando con sé della carne e nutrirlo di persona dovesse significare adorarlo – e no, non aveva mai chiesto se quella fosse carne umana, né aveva intenzione di farlo. Hela, che era la più simile a un essere umano, si era conquistata le simpatie di tutti.
Tony non sapeva se l’aspetto più ridicolo fosse che l’Avengers Tower era diventata uno zoo o che gli Avengers si fossero inconsciamente eletti a zii dei figli di Loki, acconsentendo persino a nascondere la loro presenza a Thor – che fino ad allora, per fortuna, non si era mai presentato – e a Fury.
Maria stessa – la più fidata agente del direttore – aveva promesso di non farne parola, a patto che le permettessero di prendere in braccio Jonmungandr.
Ciononostante, i compiti più ingrati gravavano sulle spalle di Tony: mentre gli altri si divertivano a fare gli zii, lui comprava pannolini, cambiava pannolini, si alzava a orari improponibili se uno dei tre – o, peggio, due o anche tutti e tre – si svegliava e attaccava a spolmonarsi, costruiva passeggini a tre adatti per neonati, lupi e serpenti con cui Loki li portava a passeggiare nelle lande di Jotunheim, di nascosto dall’occhio vigile di Asgard, lavava cuccia, culla e teca e salvava il mondo da occasionali supercattivi malati di mente.
Ed era anche quello che aveva più probabilità di essere preso di mira da Thor per giocare a Midgardball, quando il Dio del Tuono fosse tornato sulla Terra.
È stata una tua idea, era stata la lapidaria, insensibile reazione di Steve Ho-Un-Cuore-Grande Rogers, da cui Tony si era aspettato di ricevere delle rassicurazioni e, se possibile, una mano. Da incorruttibile Soldato del Bene, Steve era diventato una diabolica mente criminale, senza dubbio suggestionato dalla presenza di Loki.
Alla fine, giunse l’ultimo giorno della vita di Tony Stark e Thor emerse da un portale dimensionale nel soggiorno dell’attico di Tony.
Di norma non se ne sarebbe nemmeno reso conto – al contrario, era grato che il Dio del Tuono avesse smesso di sfondare la finestra del loft e avesse acconsentito a una più modesta entrata in scena – ma quella volta era diverso.
Quella volta Jonmungandr e Fenrir stavano giocando di fronte al divano, da dove Tony poteva tenerli d’occhio, seduto con Hela in braccio che beveva avida dal biberon, e Loki non c’era.
Al manifestarsi del portale, Tony, pietrificato dall’orrore, valutò la possibilità di fingere di essere stato colto alla sprovvista da un assalto dei tre bambini, ma era improbabile che Thor fosse così idiota da credere che tre neonati avessero sorpreso Iron Man e la posizione in cui si trovava era troppo inequivocabile per convincere il Dio del Tuono di un’assenza di coinvolgimento sentimentale da parte sua.
Coinvolgimento che non c’era davvero, ma non un solo Avenger aveva voluto dargli credito.
Clint aveva persino cominciato a chiamarlo papà, sghignazzando in un modo che faceva sospettare a Tony che Loki avesse lasciato qualcosa di sé in Hawkeye quando l’aveva posseduto, oppure che quest’ultimo fosse per natura un insidioso supercriminale alla stregua di Goblin o Doom.
La sfiga doveva amarlo particolarmente, perché, nel momento stesso in cui Thor mise piede in soggiorno, un miscuglio di spire e zampe pelose rotolò tra i suoi stivali tra ringhi e sibili, troncando sul nascere il suo roboante Uomo di Metallo, quale gioia rivederti!.
Il Dio del Tuono abbassò lo sguardo a terra, corrugò la fronte, guardò Tony, poi di nuovo a terra, poi lanciò un’occhiata a Hela, poi ancora a Tony. E a Tony. E a Tony.
E Tony pensò: Oh, merda, sono fottuto.
Poi la sua mascella corse il serio rischio di sganciarsi da dove si trovava e crollare a terra, perché Thor si piegò su un ginocchio, districò con calma Jonmungandr dal fratello, li raccolse entrambi fra le braccia e i due animali si allungarono per leccarlo affettuosamente, del tutto incuranti che il Dio del Tuono avrebbe dovuto voler ucciderli.
Anche il diretto interessato, però, doveva esserne incurante, perché accolse le loro effusioni con una risata di gola in cui risuonava, tonante, l’amore.
«Piano, piano, adorati nipoti!» li riprese, sepolto sotto il loro entusiasmo, per quanto un uomo di quella stazza potesse definirsi sepolto. «Anche io sono felice di rivedervi!»
Fenrir fece perno sul suo petto con le zampe anteriori e sul suo avambraccio con quelle posteriori per lappargli la guancia, scodinzolante, e Jonmungandr si raggomitolò intorno al suo collo, che era la sua posizione preferita quando doveva dimostrare affetto.
Anche Hela dovette riconoscere suo zio, perché gettò via il biberon e tese le braccia sottili verso di lui, emettendo quei suoi gridolini eccitati che facevano sciogliere di tenerezza chiunque – persino Tony, nonostante conoscesse bene anche le terribili urla di morte di cui era capace quando aveva bisogno di essere cambiata.
Thor si avvicinò a grandi passi e Tony gli passò la bambina senza neppure far caso a quello che stava facendo, paralizzato dalla consapevolezza che la sua testa era ancora ben incollata al collo.
«Tony Stark,» il Dio del Tuono prese la neonata con delicatezza e le trovò senza difficoltà un posto nell’incavo delle sue braccia robuste «non sapevo che Loki avesse portato i miei nipoti. Da quanto tempo si trovano su Midgard? Era da tanto che non avevo occasione di vederli…»
«Ma».
Tony non riuscì ad andare oltre quel ma, si sforzò di farfugliare qualcosa d’intelligibile, ma il risultato migliore che ottenne fu un’occhiata stranita da parte del suo interlocutore, che evidentemente sospettava non si sentisse bene.
Alla fine riprese il controllo di sé, inghiottì il groppo che gli ostruiva la gola e riprovò: «Ma tu non li vuoi uccidere perché, che so, da grandi sono destinati a portare il Ragnarok?»
Per una volta, lo sguardo che Thor gli rivolse lo fece sentire stupido, cosa che lo mise di pessimo umore, perché era degradante che uno come Thor considerasse stupido uno come Tony.
«Chi te l’ha raccontato?» si informò il Dio del Tuono, oscillando a destra e a sinistra per cullare i nipoti. «Gli asgardiani non si abbasserebbero mai a uccidere dei cuccioli innocenti per timore di affrontare un nemico più potente. Se il loro fato è dare inizio al Ragnarok, così sia: gli asgardiani resisteranno e combatteranno con onore fino alla caduta».
La sua espressione si era indurita, la mascella contratta, gli occhi azzurri sfolgoravano d’indignazione al pensiero che Tony avesse insinuato una simile viltà e di istinto protettivo nei confronti dei bambini che stringeva fra le braccia.
«Nessuno della stirpe di Odino avrebbe mai l’ardire di toccare una creatura impotente con l’intento di farle del male, Tony Stark. Chi ti ha detto una cosa simile?»
Che era esattamente quello che aveva congetturato anche lui, salvo poi dare fiducia a Loki.
Loki. Loki, che mente. E lui si era fidato delle sue parole.
«Loki» pronunciò in quello che era un ibrido tra un ringhio e un sibilo, un connubio di Fenrir furioso e Jonmungandr indispettito, proprio mentre il diretto interessato faceva il suo placido ingresso nel soggiorno, del tutto ignaro di quanto avveniva.
Nell’istante in cui riconobbe suo fratello e il suo ospite intenti a parlare, Thor con i suoi figli in braccio e Tony con un’espressione nient’affatto amichevole, elaborò in fretta le circostanze e accompagnò il proprio arrivo a un leggero tossicchiare di cortesia.
«Thor, Stark» li apostrofò con estrema flemma, nonostante lo sguardo di Tony si fosse affisso su di lui con l’intento di trapassarlo da parte a parte, allucinato e omicida.
«Mi hai mentito» fu il saluto dell’uomo, allegramente mortale.
«Non è propriamente così» si difese il semidio con una scrollata di spalle. «Al principio, il consiglio di Asgard aveva preso in considerazione la possibilità di togliere la vita ai miei figli…» Fece una pausa, riprese: «… Possibilità successivamente bocciata, come ti avrà già raccontato Thor. È improprio affermare che io abbia mentito, Stark. Diciamo che ti ho propinato una diversa sfumatura della verità».
Tony mosse un passo verso di lui, senza sapere bene lui stesso che cosa avesse intenzione di fare, se colpire il semidio alla vecchia maniera oppure attivare il Mark VII o, ancora, limitarsi a discutere.
Nessuno seppe mai che cosa avrebbe scelto, perché in quel momento si levò una voce sottile e acuta che gracchiò «Papà» e fermò il mondo.
Thor abbassò lo sguardo, incredulo, e Tony si voltò di scatto verso la fonte di quel suono; persino Loki, colto a metà dell’atto di richiamare lo scettro per rispondere all’assalto, era immobile, pietrificato dallo stupore, e fissava Hela con le sopracciglia inarcate e le labbra socchiuse in una manifestazione di pura meraviglia.
«Cosa?» gracidarono i tre adulti, quasi all’unisono, scrutando la bambina che protendeva le braccia verso Tony, la fronte aggrottata e la boccuccia atteggiata a un broncio, come se avesse percepito la sua ira.
Trascorse un secondo di silenzio, poi Hela ripeté «Papà!» in uno strepito stizzito, agitò le mani e fu più che mai evidente che si stava rivolgendo a Tony.
Questi, guidato dall’istinto, si avvicinò a Thor e si riprese la bambina che richiamava la sua attenzione; lei si acciambellò tra le sue braccia, si infilò il pollice in bocca e premette la guancia contro il suo petto, di colpo calma, ora che papà si stava occupando di lei come richiesto.
Seguì un istante di tensione incredula a cui fu Thor a mettere fine.
«Questo significa…» Era palese che il Dio del Tuono non aveva idea di come porre la domanda, resa esplicita dalla febbrilità con cui i suoi occhi correvano da Tony a Loki e viceversa. «Voi due… voi…?»
«No».
Tony non aveva dubbi che, se sua figlia non avesse appena pronunciato la sua prima parola, lui sarebbe già stato trucidato e Thor avrebbe ricevuto una risposta pregna di veleno; al contrario, la voce di Loki era calma, quasi serena, e il suo viso segnato da un’emozione indefinibile mentre osservava Hela che sbadigliava nel grembo di Tony.
«Non osare immaginare niente del genere» rincarò dopo un secondo di troppo, riscuotendosi dalla contemplazione.
Scoccò un’occhiata di ghiaccio a Tony, e d’un tratto fu di nuovo Loki lo psicopatico serial killer.
«Tu e io dobbiamo parlare, Stark».
 
 
«Bene, Thor». Un sorriso compiaciuto piegava le labbra di Loki mentre si rivolgeva al suo imbronciato fratello maggiore. «Sembra che io abbia vinto anche questa scommessa».
«Non è giusto» sbuffò il Dio del Tuono, costretto, suo malgrado, a confermare quelle parole. «Non avrei mai detto che proprio tu saresti riuscito a fare breccia nel cuore dell’Uomo di Metallo, fratello… Sei persino più astuto di quanto ricordassi».
Il fratello esalò una risatina compiaciuta. «È stato anche più semplice del previsto».
C’era, però, qualcosa che non aveva saputo anticipare: i suoi figli si erano affezionati a Stark quanto lui si era affezionato a loro e, dopo Hela, anche la prima parola di Jonmungandr e Fenrir era stata papà, riferita a due soggetti diversi.
Thor incrociò le braccia al petto, contrariato. «Avrei dovuto proibirti di sfruttare i miei nipoti».
Sulla soglia della stanza, Tony lo guardava a bocca aperta, appena tornato dal supermercato con una scatola di pannolini sottobraccio.
C’era Thor dietro tutto quello, Thor, Loki e una scommessa. Thor. Il suo cervello sembrava incapace di distogliersi da quell’unica parola. Thor. Thor che lo fregava.
Il Ragnarok stava davvero arrivando.

  
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