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Autore: Casta    07/11/2012    1 recensioni
Sono in attesa del mezzo pubblico che mi porterà a casa dopo un’altra stortissima giornata a scuola. Vedo una foglia cadere e all’improvviso tutto sembra fermarsi. La folla di studenti urlanti e sorridenti mi passa accanto mi urta, probabilmente mi piglio pure qualche mala parola da alcuni coetanei a cui ho ostruito il passaggio. Poco mi importa, io sto fissando la foglia, così arancione, così unica e splendente sul grigio asfalto del parcheggio davanti al liceo che frequento.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sono in attesa del mezzo pubblico che mi porterà a casa dopo un’altra stortissima giornata a scuola. Vedo una foglia cadere e all’improvviso tutto sembra fermarsi. La folla di studenti urlanti e sorridenti mi passa accanto mi urta, probabilmente mi piglio pure qualche mala parola da alcuni coetanei a cui ho ostruito il passaggio. Poco mi importa, io sto fissando la foglia, così arancione, così unica e splendente sul grigio asfalto del parcheggio davanti al liceo che frequento.
Arriva il mio vicino di banco mi tira un ceffone sul collo: “ Ma ripigliati, sembri un coglione così imbambolato”. Detto ciò si avvia verso il resto della classe con me al seguito e mentre mi fa strada tira un calcio alla foglia che fino a due secondi fa stavo contemplando, cosa che di nuovo immobilizza il mondo attorno, come congelato, o come mi premettesse di avere il mio tempo per mettere a posto le idee…

Ripenso al calcio alla foglia e al mio compagno superficiale.

Viviamo in un mondo apatico. Un mondo dove chi si dimostra forte ha tutto ed invece chi è se stesso e si mostra più debole viene scartato dalla società stessa. “Lo mette in culo a tutti quanti, benvenuti nell’età dei figuranti” cantava (e canta ancora nelle cuffie del mio MP3) Caparezza, non poteva avere più ragione.  
Ogni giorno, ogni santissimo giorno, realizzo sempre di più quanto questo sistema sia marcio dentro.
Siamo uomini per diana! La forza dell’uomo non è mai stata fare l’individualista ma vivere in gruppo, appoggiarsi l’un l’altro, sostenersi a vicenda, servirsi della spalla di compagni nei momenti difficili e concedere la propria nel caso opposto.  E invece dove viviamo? In un mondo in cui l’unico motivo per cui esiste un amico sembra quello di poterlo tradire, quello di poter sfruttare le debolezze dell’altro per evidenziare le proprie forze, quello di poter mascherare la propria disumanità. 

A volte vorrei morire, morire per dieci ore.
Morire, lasciarmi tutto alle spalle.
Morire, staccarmi di tutta la insensibile feccia terrena.
Dio, come mi piacerebbe poter pensare di poter essere importante per la prima volta nella mia ex-vita.
Io reputo poche persone fondamentali nella mia vita, ma sono quelle poche che mi danno la forza di alzarmi ogni giorno da quel fottutissimo letto, luogo magico in cui ogni problema sembra scomparire.  Ecco dovessi scegliere il mio post mortem vorrei fosse il più simile possibile al mio letto. Ecco. Inizio a divagare, bruttissima cosa! Parlavo delle persone a cui tengo, quelle per cui darei non una, ma entrambe le mie braccia pur di continuare ad averle accanto fino all’ultimo dei miei giorni.

Ma cosa succederebbe se io morissi? Qui. Ora. Immediatamente.

Chi ci sarebbe ancora? Chi rimarrebbe? Chi non mi abbandonerebbe? 

A volte mi immagino cosa succederebbe, forse sono malato non so, ma non mi stupirei in fondo. Non so chi ci terrebbe a me così tanto da mancargli, in fondo sono sempre io a cercarli, quasi mai vengo cercato. E’ un modo indiretto e involontario di farti sentire solo.
E qui torno all’età dei figuranti che il cantautore pugliese cantava, nel suo caso parlando della televisione e del suo mondo falso, in ogni caso ben riconducibile alla realtà quotidiana che è ormai saturata dai personaggi, dagli stereotipi, dalla merda che quella scatola riversa nelle nostre teste. Un’età in cui non sai più a chi appoggiarti, di chi fidarti, a chi confidarti. Solo morendo ci si potrebbe accorgere di chi realmente tiene a te, chi realmente ha bisogno di te e non ti mollerebbe mai come tu non molleresti mai lei o lui.
E magari riuscirei nel marasma di sconforto attorno al mio freddo e spento cadavere a riconoscere un barlume di amore, quel malato sentimento mai definito.
Già cos’è l’amore? Domanda stupida, nessuno mai mi darà, ne vi darà, una definizione pragmatica dell’amore; se uno lo sapesse, bhe… sarebbe da compatire piuttosto che ascoltare.
L’amore non è considerabile come un qualcosa di concreto, ne di astratto. L’amore secondo me non è studiabile ne tantomeno quantificabile. Io non dichiaro il mio amore ad una persona perché ho intenzione di poter darle amore, ma per la “semplice” e fisiologica necessità umana di saper di essere importanti per una persona quanto lei lo è per noi. Ecco allora che l’amore assume una nuova connotazione… invece che sentimento può essere visto come una esigenza umana, un qualcosa che può essere frenato ma non arrestato, ferito ma non ucciso, travolgente, doloroso, bastardo, pericoloso ma estremamente fantastico e attraente allo stesso tempo. Un non so che di indefinibile,  una droga che sappiamo che una volta su cento fa il suo effetto portandoci all’estasi più pura, mentre negli altri casi ci fa rotolare nell’oblio del dolore e della depressione. Perché allora non ci arrendiamo all’evidenza di una improbabile storia a buon fine? Più ci rifletto e più arrivo ad un’unica soluzione: ne abbiamo fottutamente bisogno.
Dà un senso alle nostre vite, dà un senso a noi stessi. E’ la nostra ancora di salvezza e il nostro scoglio su cui ci schianteremo allo stesso tempo.

E’ arrivato il mio pullman, mi sveglio come da un sonno profondo, riconnetto con la realtà. Senza essermene accorto la fermata si è quasi svuotata. Tiro fuori il mio abbonamento da esibire all’autista, nel farlo mi cadono altri foglietti e trattenendo il rosario per miracolo mi chino a raccoglierli. Proprio in quel momento mi cade davanti un’altra foglia. Sorrido, senza un motivo.
Salgo sul mezzo, alzo il volume del lettore MP3 in modo da non sentire il chiasso che i primini fanno nel sedile dietro il mio e mi addormento. Ho ancora sulle labbra lo stesso ebete sorriso, e non c'è assolutamente un motivo per averlo.
   
 
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