Was
it a dream?
Ciao a tutti, non so nemmeno
io x’ ho scritto questa storia e non so dove andrà a finire. Ho comunque deciso
di pubblicarne la prima parte, così giusto per sapere cosa ne pensate quindi
buona lettura. Besos.
Prima
parte….
Era ubriaco, di nuovo, come
quattro giorni su sette ormai da quasi tre mesi a questa parte, ma non di
burrobirra, no, con quella ci avrebbe messo una vita e a lui non piaceva
sprecare il suo inutile tempo. Il firewhisky, invece, quello sì che faceva al
caso suo, bastava che se ne scolasse una bottiglia intera e poi.....dritto nel
fantastico mondo dell’ebbrezza, dove ogni pensiero si annullava, dove tutto il
dolore magicamente spariva e lui si sentiva leggero come una piuma, la sua testa
completamente vuota e priva di ogni pensiero. Era così che avrebbe voluto
sentirsi ogni giorno, ogni ora, per sempre. E invece il sole sorgeva di nuovo
senza il suo permesso e il suo dannato, debole corpo rigettava fino all’ultima
goccia di quella che era la sua unica cura restituendolo alla realtà e doveva
cominciare tutto daccapo il giorno dopo.
Blaise dopo averlo
tormentato per le prime due, tre settimane sembrava finalmente aver rinunciato a
volerlo redimere ad ogni costo e lui gli era grato per questo anche se non
sapeva per quanto ancora l’amico avrebbe sopportato di averlo in giro per casa
ridotto in quello stato. Era più forte di lui, non poteva farci nulla, non ne
poteva più delle sue inutili frasi di circostanza, non aveva bisogno di una
balia, né della sua amicizia, né del suo conforto, anzi ogni tentativo da parte
sua di stargli vicino lo irritava.
In questo periodo aveva solo
bisogno di un tetto sopra la testa dato che non sarebbe tornato da sua madre, in
quella prigione dorata, per nulla al mondo, sua madre lo avrebbe letteralmente
soffocato, l’appartamento di Blaise era l’ideale e finora era grande a
sufficienza da lasciare ad ognuno il proprio spazio.
E poi, che diamine, era
abbastanza uomo per decidere in che modo rovinarsi la vita glielo aveva ripetuto
migliaia di volte, tanto niente di tutto quello che avrebbe potuto o voluto fare
gli avrebbe restituito l’unica cosa al mondo che lui rivoleva quindi perché
tentare inutilmente?
Pansy....bhè non credeva che
gli avrebbe mai più rivolto la parola dopo tutto quello che le aveva sputato
addosso fuori di sé dalla rabbia e dal dolore, rintanato nell’ombra della sua
stanza come un animale feroce costretto dentro una gabbia in attesa di sbranare
la sua prima vittima non appena riacquistata la libertà, riassumendo il suo
primordiale istinto.
Quella frase era stata di
una crudeltà assassina, doveva ammetterlo: - Come puoi venire a dirmi che mi
capisci, che comprendi il mio dolore se mai sei stata amata in vita tua! Forse
non te ne sei accorta, ma ti usano solo per qualche scopata, niente di più, e
poi tanti saluti Pansy! Ti sei mai chiesta il perché?
-
Aveva pianto scappando
lontano da lui sbattendo la porta e Blaise le era corso dietro dopo averlo
incenerito con il suo sguardo blu intenso. Da quel giorno non gli aveva più
rivolto la parola e lui, in verità, non aveva mai cercato né il suo perdono, né
tanto meno aveva tentato di ricucire una amicizia che durava dall’inizio della
scuola.
Anche per questo Blaise, in
qualità di migliore amico, si sentì in dovere di fargli una bella ramanzina,
facendogli capire quanto ingiustamente l’avesse ferita, ma a lui non importava
ed era certo di non aver nemmeno ascoltato quello che gli aveva detto cercando
di farlo ragionare, era troppo occupato a ravanare nel frigo alla ricerca di
qualcosa che gli bagnasse il gargarozzo, possibilmente con una decina di gradi
alcolici.
Lui voleva Harry, soltanto
lui, gli mancava come l’aria, ogni respiro gli costava un’immane fatica, i suoi
polmoni sembravano vuoti e aridi, e il suo cuore, sebbene apparentemente fosse
completamente insensibile ad ogni emozione sembrava non voler smettere mai di
sanguinare. Perché era così difficile da capire? Perché non riuscivano a capire
che, senza di lui, niente sembrava abbastanza importante perché valesse la pena
farlo, né mangiare, né bere, né….vivere.
Ormai aveva smesso da tempo
di illudersi, - i miracoli non esistono - si ripeteva, Harry non sarebbe
ricomparso magicamente dietro la porta di casa sua, e non era vero per niente
che il tempo guariva tutto, lui avrebbe sofferto sempre, terribilmente, senza
tregua. Il suo angelo era andato via, gli era stato portato via da un destino
infame e nulla lo avrebbe riportato da lui. Eppure il suo intero essere si
ribellava ancora all’idea della morte, al fatto che lui aveva cessato di
esistere. Nel profondo della sua anima sentiva agitarsi qualcosa, un informe
presentimento, che gli sussurrava che c’era ancora
speranza.
Prima o poi sarebbe riuscito
a farlo annegare nell’alcool quel maledetto, oh sì era sulla buona strada, gli
mancava tanto così.
Era furioso con Harry, lo
avrebbe odiato se non l’amasse ancora così disperatamente, molte volte aveva
pensato che, se mai se lo fosse ritrovato di fronte, per prima cosa lo avrebbe
preso a schiaffi e avrebbe tempestato il suo petto di pugni furiosi
maledicendolo per averlo costretto a fare a meno di lui per così tanto tempo. Lo
aveva lasciato quando gli aveva giurato di restare con lui per sempre, lo aveva
abbandonato a sé stesso, al relitto umano che era diventato senza di lui, quando
invece gli aveva promesso di proteggerlo anche e soprattutto da sé stesso, di
amarlo scaldandogli l’anima e il cuore che ora sentiva gelati come iceberg alla
deriva.
Per un po’ si era perfino
lasciato prendere da una sorta di folle intento, era un mago a tutti gli effetti
ora, (con tanto di certificato autenticato niente po po di meno che dal
Ministero della magia) e piuttosto in gamba. Avrebbe dedicato il resto dei suoi
giorni alla ricerca di un modo, un incantesimo o qualsiasi dannata magia potesse
riportare in vita una persona, ma quel matusa idiota di Silente gli aveva
tarpato immediatamente le ali. Chissà per quale strano motivo si sentiva in
dovere di dannargli l’anima anche dopo aver messo piede fuori da
Hogwarts.
+ Nemmeno la magia può
sconfiggere la morte, siamo anche noi degli esseri umani Draco, sebbene sia
penoso la morte ci accomuna tutti, maghi e non e anche se ci fosse un modo
potresti perdere la tua vita nel tentativo e la persona che hai perso potrebbe
non tornare nel modo in cui desideri
+.
Tutte cazzate pensava Draco
e allora dove sta la differenza? Dov’è il vantaggio di avere dei poteri magici
se non si può usarli per una cosa così importante? Perché quel mostro di
Voldemort aveva avuto più di una possibilità per tornare in vita nonostante
fosse ridotto a poco più di un informe rifiuto vivente e il suo Harry invece era
dovuto scomparire dalla faccia della terra senza nessuna altra scelta?
"Grandissimo idiota"
biascicò macinando ancora qualche metro coi suoi passi zigzaganti per le strade
silenziose di una Londra sonnecchiante nel caldo tepore
dell’estate.
Si era anche illuso di vederlo svolazzare in giro come il Barone Sanguinario, o Sir Nicholas, ma ancora una volta sentiva nella sua testa la voce di Silente ripetergli che Harry non aveva nessun motivo per restare sospeso fra la vita e la morte in forma di fantasma perché aveva assolto ogni suo compito, anzi il compito per il quale era nato, sconfiggere lo stregone cattivo per il bene di tutta la strafottuta comunità magica e non, a costo della sua vita, della sua giovane vita. Quella stessa vita che avrebbe legato alla sua per sempre di lì a qualche giorno, il ventuno luglio, se lo ricordava bene.
E lui allora? Lui non era un
motivo sufficiente per rimanere ancorato a questo ignobile mondo? Si rifiutava
di pensare che, dovunque lui fosse, avesse già smesso di amarlo dimenticandosi
di lui.
Quante volte si era
rinchiuso in camera sua, rannicchiato nella penombra come in un bozzolo
rassicurante, fissando instancabilmente la più bella foto di loro due insieme,
non sapeva dirlo. Erano così felici in quel ritratto animato, gli occhi di Harry
sembravano gridargli tutto l’amore che aveva per lui con quel loro brillio verde
acceso, quella scintilla ardente che Draco vedeva ogni volta che socchiudeva gli
occhi prima di baciarlo, ogni volta che giaceva su di lui unendo i loro corpi in
un meraviglioso e appassionato amplesso.
Ricordava come fosse ieri il
momento esatto in cui era stata scattata, era il giorno di S. Valentino. I suoi
occhi avrebbero potuto focalizzare e ricreare quell’immagine in ogni suo
particolare eppure qualche volta non sapeva resistere e, recuperando il suo
pensatoio nascosto nell’armadio si rituffava in quel meraviglioso ricordo anche
se questo lo faceva soffrire cento volte di più quando ritornava nello squallore
della sua stanza vuota.
Per l’occasione Harry lo
aveva portato in un piccolo ristorante italiano ad Hogsmeade nascosto in un
vicolo che mai aveva notato e mai avrebbe visto se non ce l’avessero portato di
proposito. Non ci andava molta gente e questo era un vantaggio dato che ovunque
andasse Harry aveva fissi su di sé gli occhi di tutti, colmi di aspettativa per
l’impresa che lo attendeva, di speranza, ma per la maggior parte, pieni di una
morbosa curiosità per quella sua piccola saetta, quella che ti toglie l’aria e
il sonno, che ti riduce ad una foto in prima pagina sull’ultimo numero della
Gazzetta del profeta con la tua cicatrice in bella mostra zoommata almeno due
volte.
La prima cosa che Draco
aveva pensato era stata, - se non ci va nessuno ci sarà pure un motivo - si
aspettava una bettola squallida e deserta e questa teoria sembrò essere
confermata a tutta prima dall’insegna pericolante che pendeva insicura dal
tetto, dai muri scrostati delle pareti e dai vetri scuri di polvere delle
finestre che davano sulla strada. Invece, non appena varcò la soglia quello che
gli si presentò davanti fu un delizioso locale arredato con semplicità, pulito e
accogliente, disseminato di tavolini tondi coperti da leggere tovaglie color
acqua marina, ciascuno con una rosa rossa al centro. Tutti, tranne quello che
Harry aveva fatto riservare per loro. Draco adorava le rose bianche e vide con
piacere che sul loro tavolo faceva bella mostra di sé un piccolo bouquet,
risplendente come un’alba accesa sul rosso scarlatto della tovaglia sicuramente
scelta dall’animo e dal “buon gusto” grifondoro di Harry.
Scoprì che Harry conosceva
il proprietario del locale, Alfredo, un vecchio mago italiano che aveva subito
il fascino elegante ed etereo di una bellissima strega inglese che aveva
costretto il suo cuore a non allontanarsi mai più. Draco guardandola non poté
che dargli ragione, Ester era una donna di una eleganza innata che gli ricordò
quella di sua madre, i capelli biondi come il grano maturo striati appena da
qualche sottile filo argenteo, i lineamenti delicati sulla carnagione chiara e
gli occhi di un nero profondo che ti catturavano non appena si posavano nei
tuoi.
Osservandoli insieme il
serpeverde si sorprese ad immaginare come sarebbero stati lui ed Harry a
cinquanta, sessant’anni, il loro amore sarebbe stato ancora forte e inteso come
lo era in quel momento? Sorrise figurandosi loro due seduti su una panchina al
parco, l’uno accanto all’altro, mano nella mano, sarebbero diventati due arzilli
vecchietti ancora teneramente innamorati.
Nessun altro avrebbe
mangiato in quel ristorante quel giorno, era tutto per loro, niente scocciatori.
Qualche volta aveva sorpreso la coppia di ristoratori mentre guardavano lui ed
Harry, inteneriti, con quel loro sguardo complice, consapevoli, forse, che anche
loro due seppur così giovani, condividevano un amore della stessa intensità del
loro. Era stato proprio lui, il loquace mago d’oltremanica a scattare loro
quella foto. Non si erano messi in posa, era una foto rubata, quelle che di
solito si dice vengano meglio perché colgono appieno la spontaneità delle
persone. Draco, quando la vide, pensò che effettivamente era vero. Lui ed Harry
erano seduti al tavolo l’uno accanto all’altro, la mano destra del compagno
racchiudeva dolcemente il suo viso solleticandogli lo zigomo e i suoi occhi
verdi lo guardavano come se fosse la cosa più importante del mondo. Poco dopo le
sue labbra avevano catturato le proprie in quello che Draco considerò il più bel
bacio che gli avesse mai dato, dolce e intenso allo stesso tempo, le loro labbra
sembravano modellarsi perfettamente le une sulle altre come fossero una cosa
sola. Quando si erano separati Harry gli aveva sorriso raggiante come un caldo
sole estivo e Draco capì in quel preciso istante di amarlo follemente, di non
poter nemmeno immaginare di fare a meno di quel sorriso fosse stato anche per un
giorno soltanto. Strinse le mani del compagno nelle sue e nel farlo sentì una
piccola e fredda costrizione attorno al suo anulare, quando abbassò lo sguardo
vide un anello, la fascia argentata si univa nel centro con due mani che
racchiudevano un cuore la cui punta era rivolta verso l’interno sormontato da
una corona. Harry ne indossava uno identico. Doveva averglielo infilato mentre
ancora lo baciava, lui non si era accorto di nulla. Rimase senza parole e
l’unica cosa che fu capace di fare fu cercare le labbra del compagno per
baciarlo di nuovo, forse più intensamente di prima.
Ogni volta che fissava
quell’immagine sentiva il suo cuore stringersi in una morsa dolorosa e le
lacrime scendevano copiose e brucianti dai suoi occhi stanchi, senza sosta fin
quando non si prosciugavano.
Era questo tutto quello che
gli restava, una foto di loro due insieme innamorati e felici, con una promessa
di amore eterno svanita nel nulla, nient’altro?
Doveva andare con lui quella
sera, era sicuro di essere riuscito a convincerlo, ma lui lo aveva ingannato,
lasciando un vuoto incolmabile dalla sua parte del letto e nel suo cuore. Era
andato da solo incontro al suo destino lasciandolo in preda ad una tormentosa
angoscia che lo aveva logorato, divorato per ore, fin quando Lupin, di ritorno
da quello che aveva chiamato “il campo dell’ultima battaglia” gli diede il colpo
di grazia.
Mai aveva urlato così forte
la sua disperazione come quella notte maledicendo tutti quelli che aveva
accanto, perché erano ancora vivi e incolumi e coloro che amavano erano accanto
a loro, sani e salvi.
Avrebbe distrutto l’intera
casa se non l’avessero privato della sua bacchetta, l’avrebbe ridotta ad un
mucchietto di macerie polverose.
Quella sera, come tante
altre ormai stava cercando di tornare a casa inciampando ad ogni metro nei suoi
stessi piedi avvolto nel mantello dell’ invisibilità di Harry, valutò che
mancavano ancora due isolati, forse, i suoi occhi non ne erano affatto sicuri e
stringerli in due fessure come un miope per cercare di focalizzare meglio quello
che gli stava attorno non funzionava. Si appoggiò con la schiena alla
saracinesca di un negozio per riprendere fiato, era incredibile come l’alcool lo
facesse sentire come un cinquantenne che ha salito due rampe di scale senza
sosta. Accarezzò la stoffa scura del manto che lo copriva come per attingervi un
po’ di sicurezza e poco dopo riprese il suo incerto cammino. Aveva stregato quel
prezioso mantello rendendolo, alla vista dei babbani, un comunissimo mantello
nero per poterlo indossare senza alcun problema per le strade affollate della
città, non se ne separava mai.
Certo era semplicemente
assurdo andare in giro con quel mantello sulle spalle anche con quel caldo, se
ne rendeva conto, ma a lui non importava e le occhiate della gente gli
scivolavano addosso senza lasciare traccia, al massimo lo avrebbero giudicato un
po’ stravagante, ma nulla di più. Indossarlo era un modo come un altro per
illudersi di averlo ancora vicino, di sentirsi avvolto nel suo caldo abbraccio.
Lupin lo aveva ritrovato poco lontano dalla lapide di Ridde senior e quando
glielo aveva riportato Draco lo aveva stretto a sé così forte quasi da
strapparlo e non aveva permesso a nessuno di toccarlo, nemmeno per sottoporlo
agli incantesimi di controllo degli auror. Non sarebbe diventato una reliquia
magica da appendere nell’ufficio del Ministro della Magia o da conservare in una
tecla di vetro in pasto agli occhi dei curiosi durante un giro turistico per i
corridoi del Ministero. Quegli ipocriti avevano persino pensato per un attimo di
dedicare un’ala dell’edificio alla memoria di "Harry Potter il salvatore del
mondo magico". Già immaginava la sua scopa appesa al muro con tanto di targhetta
commemorativa per le numerose vittorie sportive ottenute a quidditch, magari
anche un manichino a grandezza naturale con tanto di saetta sulla fronte per
rendere il più possibile fedele la somiglianza. Pensare a tutto quello gli
faceva venire il voltastomaco.
Ogni volta che non riusciva
a prendere sonno raggomitolava vicino a sé quel lembo di stoffa e se lo
stringeva al petto come farebbe un bambino col suo orsacchiotto di peluche.
Merlino c’era ancora il suo profumo intriso nelle trame del magico tessuto e
Draco lo respirava come se fosse un concentrato di essenza vitale che penetrava
il suo corpo e la sua anima.
Un uomo di mezza età gli
passò accanto barcollando,per poco non gli rovinò addosso, riuscì a
scorgere per un attimo i suoi occhi celesti nascosti da un paio di occhiali a
mezza luna. La sua mente volò spedita all’immagine rassicurante del vecchio
preside e le sue labbra si piegarono di rimando in una smorfia
disgustata.
Per fortuna Silente aveva
avuto il buon senso di non tornare più a Grimmauld Place dopo quella sciagurata
sera e Blaise non parlava mai di lui in sua presenza se non voleva rischiare di
diventare un bersaglio mobile per tutti gli utensili della cucina.
Quando scorse sul suo viso
bonario quell’espressione addolorata e comprensiva che dispensava così
generosamente risollevando e commovendo l’animo dei più, Draco aveva invece
avvertito chiaramente una intesa staffilata di collera e si era sentito
travolgere da un odio soffocante. Per la prima volta si pentì di non averlo
ucciso quella notte sulla torre d’astronomia, e pensò che forse lo avrebbe fatto
in quell’istante, accecato dall’ira se non l’avessero
trattenuto.
A Draco non importava un
emerito della sua comprensione, poteva infilarsela su per quel suo culo flaccido
insieme a tutte le buone parole che aveva cercato di inculcargli nella testa
illudendosi che potessero aiutarlo per qualche assurda
ragione.
Con che coraggio pretendeva
di consolarlo, lui, il grande e potente mago, l’unico che Voldermort avesse mai
temuto che aveva mandato un ragazzo nel fiore dei suoi anni al macello,
addossandogli un peso enorme, insostenibile. Silente non era migliore del primo
ministro della magia, né di tutti quelli che avevano tormentato Harry senza
tregua vedendo in lui solo quella stupida cicatrice come la loro unica ancora di
salvezza da un male che nessuno di loro aveva il coraggio di accettare ed
affrontare a proprie spese.
* ma la profezia Draco
parlava chiaro * suggerì la sua vocetta interiore.
Sapeva benissimo cosa diceva
la profezia, ma per Merlino era stata pronunciata dalla Cooman! Quella donna non
avrebbe azzeccato le previsioni del tempo per il giorno dopo nemmeno se avesse
osservato un cielo plumbeo carico di minacciose nuvole nere!
Draco era più che convinto
che un Avada Kevadra avrebbe comunque fatto il suo effetto anche se non fosse
scaturito dalla bacchetta di Harry, ma erano tutti convinti del contrario, a suo
parere non erano altro che dei codardi.
Finalmente si fermò davanti
all’entrata, la testa gli girava da morire e il suo stomaco emetteva il
famigliare brontolio che lo avrebbe fatto restare in ginocchio accanto alla
tazza del bagno per almeno un quarto d’ora buono.
Le sue gambe malferme lo
tradirono ancora e stavolta si ritrovò in un batter d’occhio accasciato a terra,
sentì a malapena il mantello scivolare giù dalle spalle raccogliendosi ai suoi
piedi in un mucchio di pieghe impalpabili.
Sbronzo com’era anche il
marciapiede sarebbe stato un accettabile giaciglio e lui non aveva la minima
voglia di trascinarsi fino al suo appartamento e da lì in camera sua e poi dove
cazzo aveva messo le chiavi? pensò ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni
senza trovare nulla.
Si addossò al muro incerto
sul da farsi.
A un tratto gli parve di
udire dei passi avvicinarsi, ma il continuo ronzio nelle orecchie poteva
benissimo tradirlo facendogli sentire rumori e suoni indistinti solo nella sua
testa. Però percepì chiaramente due braccia sollevarlo da terra rimettendolo in
piedi e infine avvolgerlo stretto in un confortevole sostegno. La sua mente
registrò come proprietario di quelle forti braccia il suo instancabile amico
Blaise che più di una volta lo aveva ripescato fuori dal portone borbottando
qualcosa su come si fosse ridotto male, se lo caricava sulle spalle
trascinandolo quasi a peso morto per due rampe di scale e lo metteva a letto
nella sua stanza lasciandolo al suo pesante torpore post
sbronza.
Draco si rannicchiò contro
il petto del suo soccorritore che ora lo aveva preso in braccio e si dirigeva
sicuro verso la porta, un lieve rumore metallico e questa si aprì lasciandoli
passare. Non sollevò lo sguardo fin troppo certo che la sua vista, al momento,
era peggio di quella di una talpa e poi le palpebre sembravano pesare quanto un
troll adulto sui suoi occhi stanchi. Quando sentì il suo corpo adagiarsi sulla
morbida superficie del letto riuscì a mettere insieme due parole, quelle che
rivolgeva sempre al suo paziente amico.
“Grazie Blaise” anche se il
suo naso aveva percepito un profumo diverso, che non aveva niente a che fare con
Blaise e il suo naso non era ubriaco. Il suo olfatto al momento era l'unico
senso rimastogli che fosse ancora in condizioni decenti, ma la sua mente
archiviò subito la cosa, stanca e ansiosa di spegnersi in un sonno
ristoratore.
Non udì il suono dell’uscio
che l’amico richiudeva alle sue spalle subito dopo, ma….
“Buona notte amore mio”, gli
parve anche di sentire il tocco leggero di una mano che scostava piano le
ciocche bionde che gli ricadevano sugli occhi socchiusi e un bacio leggero
posarsi sulla sua fronte, ma non vi prestò molta attenzione. Quelle parole
sussurrate appena nel suo orecchio potevano voler dire qualsiasi cosa e lui
forse nemmeno le aveva sentite per davvero, e quel tocco lo aveva sicuramente
confuso col forte pulsare nella sua testa pesante.
Quando aprì gli occhi però
quello che si ritrovò di fronte non fu la penombra della sua stanza, ma due
lucenti e limpidi smeraldi che lo guardavano inteneriti e
preoccupati.
Si sfregò più volte gli
occhi col dorso delle mani, di sicuro un’altra allucinazione ben congeniata dai
fumi dell’alcool pensò, e invece li vide di nuovo, meravigliosi e vividi, lì
davanti a lui.
“Harry?” bisbigliò, allungò
una mano davanti a sé con la stupida illusione di poter toccare l’angelo dagli
occhi verdi che era ancora lì accanto a lui, le sue dita sfiorarono qualcosa di
morbido e le sentì tremare quando le fece scorrere in quella trama setosa,
scendendo poi a percorrere la fronte liscia, gli zigomi lievemente spigolosi e
le labbra piene e calde.
Che meravigliosa illusione o
indicibile tortura era quella?
Grosse e cocenti lacrime
scesero sul suo volto mentre si abbandonava ormai al sonno ed al torpore
dell’alcool, i suoi occhi non riuscirono a distinguere più nulla se non il
brillio di quelle iridi smeraldine.
“Harry, sei tu, sei tornato
da me” sussurrò con la voce tremante prima di cedere allo stordimento, era certo
che il suo amore lo aspettasse in sogno per stringerlo fra le sue braccia e al
momento non desiderava altro, quindi chiuse gli occhi e scivolò nel
sonno.
Un sogno, quello era ciò di
cui aveva bisogno, dove loro due erano insieme, di nuovo. Forse la sua storia
con Harry era stata solo un sogno, un bellissimo sogno dal quale si era
svegliato troppo presto e la realtà, era quella che stava vivendo
ora.
Avrebbe dato qualsiasi cosa
per ritrovare Harry accanto a sé al suo risveglio, ma sapeva che non poteva
accadere, non nella vita vera. Lui ed il suo angelo potevano continuare ad
amarsi solo nei sogni.
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML Editor