Sunburn (Guilty
Conscience)
by Coral
Dana Rose
La nostra splendida casa Babbana,
in Londra
un giorno di sole.
Figlio o figlia mia, qualsiasi cosa diverrai e
chiunque sarai in futuro,
quando leggerai questa lettera io non ci sarò più.
O forse ci sarò ancora, magari te l’avrò fatta
leggere così, una sera, tanto per farci quattro risate in famiglia, io, tu e
papà.
Ma è molto improbabile.
Perciò ritengo che tu debba conoscere tutta la
verità prima che sia troppo tardi, prima che tu ti illuda su ideali che non
vale la pena di infamare, da parte mia. Io posso solo dirti come sono andate le
cose, e affidare la cronaca alla pergamena, sperando sia davvero così paziente
da prestarmi ascolto. E sperando che la nostra casa non sia già bruciata per
quando verrà il tuo momento di apprendere la realtà per come io l’ho
conosciuta.
Come ti ho detto, se ti farò leggere questa lettera
in mia presenza, tanto per passare un po’ il tempo in modo piacevole, bhe…
troverai queste preoccupazioni piuttosto ridicole.
Ma non è tempo di perdersi in questo tipo di introduzioni. Ho troppa paura che il tempo sia poco, tesoro mio… e ho paura per te, che stai qua sotto la mia pelle, e che sei così fragile, così piccolo e indifeso… non c’è un briciolo di forza in te, non un solo briciolo, e tutto ciò che posso fare per salvarti è proteggere te, e me contemporaneamente, affinchè tu possa conoscere il mondo.
Ma ne vale davvero la pena?
Io posso dirti che sono felice d’aver conosciuto
questo mondo, ma ci sono state anche tante sofferenze, tesoro mio, sofferenze
tanto brutte che forse annullano la beltà profonda del resto delle cose che ho
conosciuto.
Tu non avresti dovuto essere concepito, tesoro mio,
lo sai?
Io avrei dovuto sposarmi con un altro uomo, diverso
dal tuo papà, perché i miei parenti ritenevano che il babbo fosse indegno del
suo ruolo e che io non potessi neanche avvicinarmi ad uno della sua risma.
Ah, non puoi immaginare quanto io abbia sofferto
per queste smisurate menzogne!
Le mie due amate sorelle comprendevano il mio stato
d’animo, ciascuna a modo loro… ma nessuna di loro voleva che io perseguissi i
miei sogni di una vita felice. Volevano che assecondassi il volere della
famiglia, tenendone alto l’onore e rispettando le tradizioni millenarie e
indistruttibili, con tutti i loro tabù.
Io mi sentivo asfissiata da tutto questo.
Tanto più che avevo conosciuto Ted, tuo padre. E non
volevo rinunciare a lui per delle regole che nessuno s’era mai curato di
giustificarmi con prove e argomentazioni che mi risultassero sufficientemente
attendibili. Ho sempre cercato di comprenderli, i miei parenti; per loro, che
si erano tramandati quasi senza fiatare le più antiche tradizioni, di
generazione in generazione, doveva essere difficile spiegare al mio animo
naturalmente inquieto il perché di tutto questo.
Fu in una cosa apparentemente banale che trovai la
risposta. Fu per una lacrima.
Fu il giorno in cui uscii di casa di nascosto, poco
dopo le diciassette, quando in estate era sempre giorno e non c’era quasi
nessuno in casa. Mi sbagliavo pensandolo. Qualcuno in casa c’era, la mia cara
sorella Narcissa.
Non so dove sia ora Narcissa, perché non mi rivolse
più la parola e io non volli più sapere della mia famiglia dal giorno in cui
fuggii, sebbene lei mi manchi, come in fondo tutti gli altri mi mancano, anche
se so che rappresentano una costante minaccia alla mia vita, perché da un
momento all’altro potrebbero venire qui e uccidermi.
Rispetteranno la cosa che ho in grembo?
Attenderanno? Potranno attendere…?
Quel giorno Narcissa mi seguì furtivamente fin quando
non giunsi nella radura dove io e tuo padre avevamo stabilito di incontrarci,
molto lontano da casa mia, dalla città. Narcissa era stanca, e la scoprii
proprio perché ansava, senza fiato.
Aveva visto io e Ted che ci baciavamo e questo l’aveva
fatta accasciare a terra, sull’erba che le macchiò il vestito.
La vidi piangere, e fui tanto partecipe del suo
dolore che pensai di poter sentire il sapore delle lacrime quando queste si
insinuarono, scivolando lentamente, fra le labbra di mia sorella.
Ma sapevo perché piangeva.
Io avevo rotto la tradizione che lei tanto
mitemente rispettava. Io avevo infranto il cristallo delle sue convinzioni e
soffiato sul castello di carta che era la sua anima, plasmata e modellata dai
parenti com’essi l’avevano preferita.
Diversamente era avvenuto per Bellatrix, l’altra
mia sorella. Aveva un carattere molto più forte, e non aveva mai avuto problemi
ad accettare le idee di tutti i suoi parenti e di tutti quelli che la pensavano
come loro, come una vera e propria morale da seguire a costo della vita e dell’onore.
Ma l’onore di Narcissa ora era distrutto e
calpestato. E io ne ero l’artefice!
Oh, perché non le avevo parlato, perché non avevo
fatto qualcosa per scoprire chi era la vera Narcissa e per convincerla a uscire
allo scoperto e a prevalere su quella falsa, che oggi, temo, è quella che ha
ottenuto la vittoria sull’altra sua metà? Ora è troppo tardi. Già allora era
troppo tardi. Io avevo distrutto ciò che per Narcissa era sacro.
Sacro perché su quei principi si basavano le sue
convinzioni.
E lei aveva bisogno di entrambe le cose. Principi e
condizioni. Elementi fondamentali nell’alchimia della sopravvivenza, figlio mio
o figlia mia. Ma tu cerca sempre di costruirteli da tè. Non ferire gli altri,
mai… ma i tuoi principi costruiscili di tuo conto.
Quando fuggii fu un colpo ancor più duro per tutti,
e ancora mi stanno cercando, temo, aspettando il momento propizio. Mi
cercheranno a lungo, amore mio, molto a lungo. Forse quando nascerai mi
staranno ancora cercando, e spero sinceramente, prego il destino che tu non mi
veda perire di loro mano! Sarebbe terribile che tu vedessi tua madre uccisa dai
tuoi nonni! Terribile.
Io però ricordo quel giorno come il giorno della
svolta positiva del mio essere, e non mi pento di niente di ciò che ho fatto,
perciò quando me ne andrò, andrò serena, e anche ora vado serena e mi preoccupo
solo di te e della tua incolumità e di quella di tuo padre, non di altro. Io ho
fatto la mia parte e i dubbi che mi erano dannosi li ho eliminati. Ancora poche
battute e la mia recita si concluderà.
Il sole tramonterà alle spalle del mio sepolcro di
pietra e sorgerà sulla tua culla e sul tuo corpo avvolto di trine e merletti. Vivrai,
amerai, come tutti soffrirai e avrai dei dubbi, ma sarai anche felice, amore, perché
hai un padre che ti adora e una madre che, se possibile, ti adora ancora di
più, e perciò vivrai molto più felice di me e di molti altri bambini come te.
Come ho detto, a volte soffrirai. Forse in questo
momento stai soffrendo.
Ogni volta che ciò accadrà, in ogni circostanza…
osserva le piccole cose. Ogni volta che ti senti avvampare d’ira o disciogliere
dalla tristezza, soffermati un istante a osservare un volatile in cielo, o le
stelle e la luna, o il sole al tramonto rossastro, o cose più piccole ancora,
come un filo d’erba, un fiore, qualsiasi cosa.
Non ti sto imponendo di crescere da sentimentale.
Io ho avuto la fortuna o sfortuna di esserlo, ma
vedi… voglio solo che tu sappia che la realtà delle cose si nasconde nei
particolari più piccoli, e ciò che impariamo dalla magnificenza dell’immenso e
da altre cose simili –in verità, a noi irraggiungibili, in quanto umani, e perciò
non perdere troppo tempo in cerca del dono dell’eterno o dell’infinito o di
chissà che altro, non ne vale la pena-, ebbene, ciò che impariamo da questa
magnificenza sublime non vale proprio niente, se non riusciamo a renderci conto
che tutta la nostra vita ha avuto inizio dalla cosa più piccola.
Tu eri la cosa più piccola quando sei nato in me.
Un piccolissimo frammento di essere, ma guarda poi come gli umani divengono
complessi e si evolvono in modo sconcertante! Noi siamo qualcosa d’importante,
tesoro mio, proprio perché abbiamo avuto origine dalla banalità di ciò che è
minuscolo e apparentemente indegno della nostra considerazione.
Ogni volta che cercherai delle risposte, perciò,
non perdere tempo interrogando Dio. Affida a lui le tue preghiere, se questo
può farti sentire meglio e sopperire alla mia mancanza, ma ricorda che Dio è
intangibile e che nessuno può darci prova della sua esistenza, detto con parole
semplici. Ma io non sono in grado di discorrere di questo e non sono nella
posizione di contestare Dio e la religione che gli uomini gli hanno dedicato,
dunque non posso che chiudere qui la situazione.
Se cerchi una risposta, non chiederla agli amici,
perché non sempre essi sono davvero per te ciò che fingono di essere; non
chiederla ai tuo padre o a me, se ancora ci sarò, perché noi ti vogliamo troppo
bene e non potremmo risponderti con coerenza, perché condizionati dall’immenso
amore per te; non chiederla nemmeno ai parenti, perché odiano me e odieranno te
con tutte le loro forze, o se ti ameranno, anch’essi non saranno in grado di
darti la risposta che una domanda davvero merita. No. Interroga la natura e gli
animali e le piante e ascolta il pianto della pioggia, la voce muta della neve
e il fruscio del vento, ascolta tutto ciò e un giorno tutto ti sarà chiaro e le
cose non saranno mai state così ovvie. Fidati di me. Fidati di te.
Perché noi, lo ripeto, siamo originati dalla più piccola parte della vita. Perciò è ad essa e alla sua impersonale semplicità che dobbiamo rivolgerci per una risposta chiara e sicura, perciò dobbiamo confidare nella natura che ci ha creati e in noi stessi, anche quando siamo nel torto, perché dobbiamo essere convinti di ciò che facciamo sempre e comunque, e nella vita non sono ammessi ripensamenti.
Questo vorrei che tu sapessi, tesoro mio
amatissimo, questo vorrei che tu tenessi a mente, perdonando il mio
sentimentalismo.
Fino alla morte ti amerò, e anche dopo la morte, se
mi sarà in qualche modo possibile. Sappilo sempre,
tua madre,
Andromeda.