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Autore: Midori Haruka    07/11/2012    2 recensioni
Masamune, il padre di Murasakibara Atsushi.
Il dolore di una perdita, visto dagli occhi di un padre che ha deciso di vivere unicamente per la propria famiglia.
Sono tutti personaggi originali, a parte un piccolissimo Atsushi.
Spero possa piacervi, anche perché ci tengo abbastanza a questo scritto, ed è riuscito a piacermi, nonostante all'inizio non mi convincesse affatto.
Vi auguro una buona lettura, sperando di sapere se vi è piaciuto o meno. ~
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Atsushi Murasakibara, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sistemò un fiocchetto color blu notte tra i capelli della figlia, proprio come /lei/ gli aveva insegnato a fare.
Con una mano la sospinse verso il centro del giardino, mentre sulle labbra gli si stiracchiava un morbido sorriso.
 
« Atsuko chiamami Atsushi. »
 
Le chiese, non vedendo il suo gemello da nessuna parte.
La osservò guardarsi intorno, prima di vederla puntare verso il complesso di scivoli ed altalene, sorrise, intravedendo un’altra testolina viola.
Poi vide solo un cupo nero; avvenne tutto in un secondo, ed era come se il tempo attorno a lui si fosse congelato, lasciando che l’uomo s’incentrasse solo su quell’intenso dolore costante al petto, quasi gli stessero strappando il cuore; lasciandogli unicamente un ultimo battito, e quell’orrenda sensazione di perdita e vuoto.
Cos’era successo?
Cosa rappresentavano tutte quelle sensazioni spiacevoli?
Poteva esserci una risposta per entrambi gli interrogativi, ma Masamune rifuggiva anche alla sola idea di poter pensare a quell’eventualità.
 
« Papà?»
 
Una piccola manina si era ancorata saldamente all’orlo della sua camicia, e due occhioni viola lo guardavano fisso,  in cerca di quella risposta che le iridi color miele del genitore non avrebbero voluto dargli. Masamune ritornò alla visuale cromatica, riaprendo gli occhi e forzò le proprie labbra in un sorriso, mentre dentro di sé si sentiva morire.
 
« Il papà deve andare via un momento; mi raccomando Atsushi, Atsuko, andate a giocare con gli altri bambini dell’asilo, che quando papà torna dovete raccontargli tutto ciò che avete fatto!»
 
Si chinò, stampando un bacio sulla fronte dei suoi gioielli, prima ad Atsushi e subito dopo ad Atsuko, lasciando poi che corressero verso un altro gruppetto di bambini, incerti.
 Li guardò un’ultima volta, prima di voltargli le spalle, ed il sorriso era già scomparso dal volto di quell’uomo, sostituito prepotentemente da una grave preoccupazione, che non gli permetteva di abbandonare quel pensiero.
Dapprima a passi lievi, quasi lenti, uscì dalla struttura scolastica, a cui aveva appena affidato due delle sue gemme più preziose, mentre i suoi piedi lo conducevano su quel percorso già compiuto più e più volte in passato.
Uno dopo l’altro la frequenza dei passi dell’uomo aumentavano, quasi fino a farlo correre, pur di giungere il prima possibile da lei, l’altra gemma di cui andava tanto fiero, ciò che da sempre aveva rappresentato la sua felicità.
Giunse trafelato in quel luogo asettico, quello che per suo rammarico negli ultimi mesi era diventata la ‘casa’ della sua adorata Sachiko, con i lunghi capelli violacei sparpagliati sulle sue larghe spalle, senza la solita finezza e ordine; nessun medico gli si fece incontro, a rassicurarlo sulle condizioni della tanto amata moglie.
In quel momento capì che il suo tempo era finito, e che nulla avrebbe potuto trattenerla qui, anche per un solo attimo.
In quell’istante gli parve di aver perso tutto: speranze, sogni e progetti.
La sua vita andò in frantumi, preceduta da uno straziante senso di vuoto, mentre ancora la mente si rifiutava di accettare quel fatto.
Sachiko, la donna che aveva amato con tutto se stesso, non gli avrebbe mai più sorriso.
I suoi passi l’avevano portato meccanicamente davanti a quella porta bianca, che aveva oltrepassato più e più volte con un sorriso disteso sulle labbra, nei giorni addietro.
Una mano si strinse in un pugno, quasi a voler nascondere quelle lacrime afone che iniziavano già a solcare le guance del non più troppo giovane ragazzo. Lui sollevò un braccio e con la mano tremante spinse la superficie liscia, addentrandosi con terrore in quella stanza.
Le pareti bianche, immacolate, della stanza parevano voler accecare gli occhi dell’uomo, e infliggergli un ulteriore dolore.
Il suo sguardo scivolò sull’unica cosa che non avrebbe mai voluto vedere, ciò che lo avrebbe privato per sempre di quel sorriso così dolce e sincero, anche se più che mai raro; ciò che era rimasto della propria felicità.
Leggero, come se posasse sull’acqua un pezzo di stoffa, grande quanto un fazzoletto le copriva il volto, lasciando che i suoi lunghi capelli rosei accarezzassero lo stesso cuscino su cui riposava il suo capo, in un sonno da cui nessuno l’avrebbe mai più risvegliata.
Il corpo di Sachiko giaceva irrigidito su quel letto, lo stesso da dove aveva riso e sorriso negli ultimi tempi.
Compì due passi in avanti, a raggiungere ciò che rimaneva di lei, il residuo fisico della fonte della propria felicità.
 
« Sachiko …»
 
La voce gli uscì in un rantolo dalla gola, quasi strozzata; mentre le lacrime ruppero l’ultima diga delle ciglia sottili iniziando a cadere, irrefrenabili.   
Le gambe gli cedettero, e Masamune si ritrovò ad affondare il volto in quelle coperte che riportavano ancora il suo dolce odore, ma non più il suo calore.
Sachiko, l’unico pensiero che occupava le mente dell’uomo, prostrato a terra da quell’immenso dolore; Sachiko, colei che possedeva parte del suo cuore se ne era appena andata via, e nulla l’avrebbe fatta ritornare.
Il dolore si fece più acuto, mentre realizzava quella sua impotenza.
Con un braccio arrancò, in cerca della sua mano, trovandola poco dopo, sotto le coperte.
Si trovò a stringerla convulsamente, portandola al volto, nonostante il freddo devastante che quel contatto gli causava.
Nulla sembrava poter distogliere quell’uomo dalla sua sofferenza, dalla propria dannazione interiore per aver perso l’amore della sua vita.
Avvertì un leggero cigolio alle proprie spalle, ma non si voltò; non gli importava se intorno a lui gli altri andavano avanti.
Non desiderava altro che l’oblio, il dolore che il pensare ad un continuo senza la sua presenza, la costante di tutti quegli anni, gli causava lo stava divorando.
Il suo tempo si era fermato, come quello di Sachiko.
Oh, almeno, Masamune voleva convincersi così, ma qualcosa, o per meglio dire qualcuno, gliel’avrebbe impedito.
Quel qualcuno si strinse a lui, quasi tremando. Masamune alzò il volto, mentre il suo tempo tornava a scorrere.
I loro due bambini, le sue due perle, erano lì, spaventate, in lacrime e strette a lui, in cerca di un qualsiasi conforto che la persona a loro più vicina potesse dargli.
Singhiozzavano, chiamando il padre, finora sordo alle loro vocine delicate.
Lentamente abbandonò la mano ormai fredda di Sachiko, dirigendo le iridi color miele verso quelle due testoline singhiozzanti, affondate sul suo petto, a bagnargli la camicia; le strinse contro di sé in un caldo abbraccio.
 
« Bambini miei … Per voi papà ci sarà sempre.  »
 
Cercò d’infondere tutto il calore e tutto l’amore che gli erano rimasti dentro in quelle parole e in quella stretta, e di sembrare sicuro, nonostante la voce ancora rotta dal pianto e il volto umido.
Il suo tempo non si era fermato con la morte di Sachiko; Masamune doveva procedere, solo, per supportare quelle due creature a lui così legate.
A loro avrebbe dedicato ogni secondo del tempo che gli rimaneva.
Per loro avrebbe continuato a vivere.
  
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