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Autore: AmberRei    08/11/2012    2 recensioni
Il sogno è infranto: Giotto ha fallito la sua missione di una vita, ed è rimasto da solo. Ma affida ad un singolare fabbro il suo destino...
Ho voluto scrivere questa OneShot per dare la mia versione (Headcanon) di come potrebbero essere andate alcune cose spiegate male (o per nulla) nell'Inheritance Arc riguardo Delitto, le chiavi e gli anelli. Fatemi sapere cosa ne pensate... è uno scenario plausibile?
Il titolo è, come spesso succede nelle mie fic, un celebre brano dei Coldplay il cui testo c'azzecca abbastanza con lo stato di Giotto così com'è descritto nella storia: un Re decaduto.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Giotto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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C'era un odore terribile di fumo, cenere, metalli fusi, carne e sangue nella vasta, oscura, buia sala dove giaceva il corpo di Vongola Primo, momentaneamente privo di sensi.
A pochi passi da lui un giovanissimo fabbro dai capelli rossi osservava, cupo e inquieto, un anello dalla gemma azzurra, luminescente, circondato da altre sei gemme più piccole. Lo Sky Vongola Ring era, per Talbot, un anello dalla fattura finissima, qualcosa non di questo mondo; tuttavia, da quel momento in poi, avrebbe custodito un segreto più oscuro della sua stessa origine.
Giotto si risvegliò, mentre Talbot era preso da questi pensieri. Schiuse lentamente gli occhi e inalò l'aria pesante dello stanzone con ribrezzo, espirando con un colpo di tosse, che richiamò l'attenzione del fabbro.

"Sei sveglio, Primo."

"...sì..."

Giotto si guardò le mani, si accarezzò il corpo nudo, poi con aria casuale borbottò: "...sono morto, dunque?"

"Tecnicamente sì", gli rispose insicuro Talbot, osservando il fisico minuto di Vongola Primo e poi occhieggiando la gemma incastonata nell'anello, che riluceva in modo sinistro.

Non sapeva nemmeno come, ma lo aveva fatto... aveva estratto l'anima stessa di Primo. Giotto aveva lasciato andare un'enorme quantità di fiamme e le aveva riversate in quella gemma, tante che lo stesso fabbro si chiedeva come potessero starci. Le fiamme erano lucenti e brillanti, molto più di qualsiasi fiamma da lui usata in combattimento. Come vere e proprie Fiamme della Vita. Poi, aveva perso i sensi.
Talbot non faceva fatica a credere che quelle fiamme splendenti fossero l'essenza esatta dell'uomo che giaceva lì, di fronte a lui. Quel corpo, in quel momento, gli sembrava una spoglia inerte, un guscio del tutto vuoto. La sensazione gli diede i brividi, e si mantenne distante da lui.

Giotto fece un sorriso sghembo, autoironico. Un guscio vuoto... una forma del tutto adatta a ciò che era.

Un fallimento totale.

Aveva creato i Vongola grazie all'ispirazione di Cozart, li aveva mandati avanti insieme a G, li aveva fatti crescere con determinazione trovando sempre nuovi compagni, e il suo unico scopo era proteggere il suo paese, la Nazione, forse il mondo...! Avrebbe davvero voluto essere un firmamento, un cielo in grado di abbracciare la totalità del pianeta, dell'Universo...! Più mieteva successi, più si sentiva forte, fiducioso nella sua utopia e nelle proprie capacità. Più compagni accoglieva nelle sue schiere, più si sentiva invincibile.

Tuttavia, proprio uno di essi gli aveva tolto tutto.

La più grande guerra di Mafia di tutt'Europa era iniziata, imponente e terrificante; lo aveva trovato pronto a fare qualunque cosa, fiducioso seppur non imprudente; e, alla vigilia di una simile prova da affrontare, non era riuscito a fare a meno di mandare una lettera al suo più caro e fidato amico: Simon Cozart.

Perfino in quel momento continuava a chiedersi quale fosse stato il suo più grande errore tra quel gesto e il fidarsi di Daemon Spade.

Daemon Spade... Daemon Spade.

Si mise le mani sul volto, afferrando e quasi strappandosi alcuni ciuffi di capelli. Davanti agli occhi passavano le immagini dei tanti momenti in cui avevano lottato insieme per la stessa causa, ed erano stati tutti felici.
Non riusciva a credere che quello stesso uomo avesse tentato di assassinare il suo migliore amico attirandolo sul campo di battaglia con l'inganno, lo avesse lentamente guidato verso la sconfitta in guerra e, con questa motivazione, avesse infine deposto dal suo trono lo stesso Giotto, ponendo nel pomposo ruolo di Vongola Secondo il capo della sua Squadra d'Elite.
Dopo questi eventi, Cozart era stato costretto a rifugiarsi nell'ombra, sparendo dalle scene; lui stesso si era ritirato in silenzio.
Sapeva che non avrebbe mai più incontrato l'amico, e che il suo sogno si era brutalmente concluso.  

Non aveva più nulla. I Vongola erano diventati esattamente ciò che Giotto aveva sempre odiato e combattuto. Non avrebbe mai più visto in volto Cozart. Non aveva più il coraggio di guardare in faccia nessuno dei suoi compagni.

Gli era rimasta una sola cosa da fare... affidarsi ad un futuro remoto, quasi impossibile da immaginare, se pure esisteva...

Aveva giurato che i Vongola avrebbero sempre aiutato i Simon nell'ombra, in segreto, e che le due famiglie non si sarebbero mai combattute; aveva infine creato, insieme al Boss dei Simon, delle chiavi che racchiudevano i loro ricordi, dal loro incontro fino a quella terribile, brutale separazione. Il borsellino di Cozart che aveva tenuto per ricordo, un fiore di Franco, quella lettera, una boccetta di inchiostro, il mandato finto, il ciuccio di Bermuda erano le forme in cui si erano cristallizzate le prime memorie. Ne avevano piante di lacrime entrambi, ripercorrendo tutto ciò che non sarebbe mai più tornato. La mano di Cozart s'era saldata sulla sua spalla, mentre Giotto si faceva prendere dalle emozioni.

Era rimasta da costituire soltanto l'ultima chiave...

Giotto e Cozart avevano volontariamente modificato i loro anelli in modo che contenessero le loro anime, anche dopo la morte. Si sarebbero mantenuti in quel limbo indefinito sotto forma di fiamme, fino a quando i due anelli non fossero stati imbevuti nel sangue dei rispettivi proprietari, e con esso riforgiati, e infine congiunti. Solo così avrebbero formato la settima chiave.

Giotto aveva chiesto a Talbot di fare ciò, e successivamente sigillare il Vongola Sky Ring in una forma dai poteri inferiori, che andasse addirittura scissa in due frammenti, per impedire abusi di potere in futuro da parte dei Boss successivi. In fondo quell'anello, con tutto il suo set, contribuiva all'equilibrio dello SpazioTempo.

Talbot aveva bofonchiato di fronte a tutto quel lavoro, unito all'opera di cesellamento delle due fiale di sangue contenenti il sangue sia di Simon Primo che di Vongola Primo e le loro rispettive custodie. E aveva chiesto in cambio di potersene andare lontano da quel Vongola Secondo che non gli ispirava alcuna fiducia. Fosse stato anche sopra una montagna con quattro pecore e un cane.

Giotto si alzò, coprendosi con un lenzuolo, e si avvicinò a Talbot per osservare il dono che gli aveva fatto Sephira... quell'anello inquietante e meraviglioso.

Sarebbe rimasto lì dentro ad osservare chiunque indossasse quell'anello, impedendogli di usarlo in modo errato. Avrebbe dissigillato la sua forma originale soltanto per qualcuno che dimostrasse di poter riprendere il suo percorso, riuscendo dove lui aveva fallito miseramente. Quasi arrivò ad augurarsi che, in un certo punto della storia, i Simon e i Vongola di quel tempo si scontrassero. Se lo avessero fatto, avrebbero dovuto ottenere la settima chiave, e finalmente si sarebbe ricongiunto al suo amico di sempre.

"Che meraviglia", pensò ad alta voce, "se ciò accadesse. Sarei di nuovo accanto a Cozart, e allo stesso tempo starei assistendo alla realizzazione del mio sogno, seppure per mano altrui. Se pure ciò richiedesse millenni, varrebbe comunque la pena aspettare tutto questo tempo."

"Eh?" rispose Talbot, senza capire benissimo a cosa si riferisse nel dettaglio. Non aveva afferrato esattamente tutti i dettagli dell'operazione, aveva soltanto fatto quanto gli era stato richiesto.

Quando Giotto gli fornì tutte le spiegazioni che cercava, sentì dei brividi ancora più potenti serpeggiargli lungo la spina dorsale. Era parte di un progetto che trascendeva il tempo, lo spazio e la logica umani. Si sentì orgoglioso, e allo stesso tempo stupefatto. Gli serviva, certamente, un po' di tempo per metabolizzare bene il concetto.

"Talbot?" lo chiamò Giotto mentre lui era ancora madido di sudore freddo e incredulo di fronte a tali rivelazioni.

"Sì?" rispose, colto di sorpresa.

"Prima di andare a fare il pastore errante" Disse, con un velo di ironia, "ti andrebbe di assurgere ad un ultimo compito?"

"...dimmi quale", rispose restando in attesa, curioso.

Giotto si avvicinò al tavolo di lavoro di Talbot e accarezzò con un sorriso tenero lo scrigno pesante, freddo e metallico contenente la fiala di sangue di Cozart. Poi lo afferrò e lo porse a Talbot, con aria cupa e determinata.

"Questa, d'ora in poi, sarà la prova della Successione dei Vongola. Chiunque voglia ereditare il ruolo di Boss di questa famiglia dovrà reggere sulle proprie spalle questa sua colpa, questo suo crimine... questo Peccato dei Vongola. Ad ogni futuro Boss, al momento della cerimonia d'eredità, sarà consegnato questo scrigno, che andrà tramandato come Sangue di Guerra che non va dimenticato." Sentenziò con voce stentorea. Poi, riprendendo fiato, sussurrò poggiando la fronte contro il contenitore: "...il sangue del mio migliore amico, Simon Cozart. Versato per mano dei miei stessi compagni. Non me lo perdonerò mai... è il MIO peccato."

Talbot assistette in silenzio a quel monologo, per poi borbottare un "...riferirò". In fondo non avrebbero avuto nessuna obiezione... avevano ottenuto già quello che volevano. Una tradizione di quel tipo non gli avrebbe dato fastidio, probabilmente. Anzi, avrebbe aumentato le pomposità tanto amate da quei "nuovi" Vongola. "...l'altra vogliamo mandarla a Cozart?"

Giotto guardò Talbot con un'aria un po' spazientita, posando lo scrigno sul tavolo. "Gliel'ho chiesto, ma non ha voluto. Mi è sembrato... imbarazzato."

"Strano tipo, in tutto e per tutto..." commentò il fabbro. "Va bene, vorrà dire che la terrò io per il momento... non ho intenzione di morire a breve."

"Mi raccomando", sospirò Giotto, per poi indossare l'anello che il fabbro gli porgeva, voltarsi a prendere i suoi abiti e rivestirsi.

Talbot lo osservò in penombra, la figura minuta che riprendeva la sua dignità.

"Che cosa farai, adesso?"

"Proverò ad amare. Non l'ho ancora mai fatto." rispose con una sincerità che sembrò abbassare ulteriormente la temperatura dell'ambiente.

"Buona fortuna", bofonchiò Talbot, osservando Giotto lasciare la stanza.

Certo non immaginava che Giotto sarebbe andato a cercare fino in estremo oriente la sua donna. Nè tantomeno sapeva che avrebbe dovuto attendere che DIECI generazioni si susseguissero per vederlo realizzare il suo desiderio. E neppure sapeva che sarebbe stato ancora vivo per vederlo. Sapeva soltanto che lo avrebbe aiutato in tutti i modi possibili, perchè in quella figura fragile, in quella spoglia vuota, aveva visto tanto dolore.

Troppo, per qualcuno che dovrebbe non aver più un'anima.
  
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