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Autore: Marguerite Tyreen    09/11/2012    1 recensioni
[Deep Purple]
-Qualunque essa sia, io vorrei essere come quella stella, Cov.
-Lontana, Tommy? - lo guardò perplesso, attraverso le lenti degli occhiali.
-No, luminosa. Tranquilla. Capace di brillare di luce propria, senza temere l'oscurità.

***
Nel 1976 i Deep Purple si sciolgono. Il chitarrista Tommy Bolin muore pochi mesi dopo in una stanza d'albergo, il cantante David Coverdale intraprende la propria avventura personale con i Whitesnake, mentre il bassista Glenn Hughes comincia un periodo errante tra viaggi, straniamento e ricerche di qualcosa che non trova.
Ma la nostra storia prende il via nel 1989, quando Coverdale, per mettere fine al peregrinare sofferto di Hughes, ormai rimasto senza lavoro nel panorama musicale, gli offre una collaborazione nel suo ultimo disco. E si sa, la memoria è un vento impetuoso, pronto a travolgere qualunque cosa...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In dirittura d'arrivo (e meno male, direte voi :D) … giusto perchè non c'era abbastanza gente, affolliamo di più la storia e speriamo che questi ultimi due capitoli vi mettano meno malinconia del solito ^^”
E alziamo il rating, per sicurezza: non so, mi pare sempre di tenerlo troppo basso, ma magari non c'era bisogno di cambiarlo, vabbè u__ù Incrocio le dita che non ci siano troppi errori di battitura: ho gli occhi un po' stanchi, 'stasera ^^”
Come sempre, un grande grazie e un bacio altrettanto grande <3
Marg.




Alla mamma,
per l'ispirazione improvvisa per la scena dello York.



And would not let her be 
one of sixteen vestal virgins 
who were leaving for the coast 
And although my eyes were open 
they might just as well've been closed.
(Procol Harum, A Whiter shade of pale)

Preferirei sapere che piangi

che mi rimproveri d'averti delusa
e non vederti sempre così dolce
accettare da me tutto quello che viene.
(Luigi Tenco, Vedrai vedrai)

As I look around you can't be found
To lose you I'd rather see

The endless time of space go passing by.
(Deep Purple, This time around)

 

 

 

IV. In the light Fandango

 

Tre giorni dopo.

L'allegra frenata dell'enorme fuoristrada davanti al suo cancello poteva annunciare solo l'arrivo di Adrian. Non conosceva nessun altro, se non quella sorta di elegante vichingo, che fosse capace di guidare con tanta disinvoltura in mezzo alla neve - caduta incessantemente per due giorni - con l'autoradio che passava a tutto volume Ruby Thursday.
Doveva averlo avvistato sotto il portico, perchè prese a suonare insistentemente il clacson, incurante che fossero le sette di domenica mattina. La chitarra sulla spalla, la valigia sempre ridotta al minimo di cui la metà – ci avrebbe giurato – riempita di cioccolato olandese, gli abiti troppo leggeri: chiuse la portiera ridendo e scrollando la testa bionda.
Non seppe dire perchè, ma era arrivato portandosi dietro una ventata serena, luminosa, dopo troppe tenebre. Anche il profumo nell'aria era cambiato, come un preludio alla primavera, dopo tanto odore di foglie morte. Forse, semplicemente, era troppo tempo che non sentiva una risata e quella franca e contagiosa di Vandenberg era giunta come un sollievo.
-Ehilà, Capo! Come butta, qui in Nevada? - scaricò i bagagli sul patio per assestargli qualche pacca sulle spalle.
-Un freddo becco, come ti sarai accorto. Mi spiace che non ci siano i tulipani e nemmeno un mulino a vento a farti sentire a casa, vecchio scemo di un olandese. Che bello rivederti!
-Cos'è tutta questa effusione di sentimento? - commentò con disappunto, alzando un sopracciglio – David, non ci vediamo da... - contò sulla punta delle dita – Otto, forse nove giorni.
-Pareva un'eternità.
-Scommetto che 'ste robe nemmeno le dici a tua moglie. Inizio a preoccuparmi, sai. Di' la verità: è che almeno adesso potrai mangiare decentemente.
-Perchè? La cucina olandese rientra nel tuo concetto di “mangiare decentemente”? Che fine hanno fatto gli altri?
-Uhm... - il chitarrista si grattò la testa in uno sforzo di memoria – Tommy è bloccato col volo da qualche parte, arriverà domani. Rudy... boh, sarà infrattato con qualche donna.
-Cazzo significa “sarà infrattato con qualche donna”? Possibile che tu non sappia dov'è?
-Oddio, come ti sei fatto noioso da quando ti sei trasferito in America! Era uno scherzo: è in volo, dai! Entro domani pomeriggio li avrai tutti qui. - raccolse le sue cose, entrando in casa senza troppi complimenti – Che fine ha fatto il tuo britannico sense of humor, Cov?
-E' stato messo a dura prova, in questi giorni, credimi.
-Avanti, cos'hai?
-Niente.
-Non era una domanda. - gli alzò il mento, costringendolo a guardarlo – Spara!
-Ma no, niente. Una sorta di malessere.
-Infuso di cicoria, malva e finocchio. Lo faceva mia nonna: ti rimette in sesto.
-Esistenziale, Adje. Malessere esistenziale.
-L'avevo capito. Sai che non riesco a prendere queste cose troppo sul serio. Voglio dire: è tutto rock'n roll, baby. Passerà.
-No, non passa. Mi sento così terribilmente stanco. Mi ha preso la malinconia. E la nostalgia dei vecchi tempi.
-A quarant'anni? A sessanta come sarai messo?
-Hai ragione. Ma è che mi sento un po' smarrito. - si abbandonò sul divano, a fianco a lui.
-Certo che portarti qui un pezzo del tuo passato non ti aiuta, eh? Dov'è, a proposito?
-Di sopra. Ecco, rivedere Glenn è stato... non so, doloroso: sta molto peggio di come credevo.
-Sì? - gli posò una mano sul ginocchio – Mi spiace, so che ci tieni. Ma vedrai che con il lavoro riuscirete a distrarvi e a mettere a posto le cose. A proposito, guarda! - lo travolse con il suo entusiasmo, tanto che il cantante non ebbe il coraggio di parlargli dell'intenzione del suo ritiro.
Il chitarrista aprì la valigia ed iniziò a vuotarne il contenuto sul tavolino con noncuranza: - Camicie, maglione, mutande, spazzolino, ma dove diavolo li ho... Reggi queste. - gli cacciò in mano cinque stecche di cioccolato olandese.
-Un giorno ti fermeranno alla dogana per esportazione non autorizzata di cioccolato, Adje.
-Eccoli qui! - trasse fuori gli spartiti e li sventolò con orgoglio – C'è tutto il nostro disco, vecchio mio.
-Ho da chiederti un favore, Adje.
-Se è per affrescarti il salotto buono, fanno duecento dollari al metro quadro.
-Quello che si direbbe un prezzo di favore. No, non è per il salotto. È per una ballata. Riusciresti a musicarmi una cosina che ho scritto, per il nuovo album? Ci terrei molto.
-Sono qui apposta. Fa' vedere.
-Cosa?
-L'elenco del telefono. Pronto, Coverdale? Il testo!
-Ah, il testo. Ce l'ha Glenn. Io devo avere una copia da qualche parte. Aspetta, dove l'ho messa? - fece per alzarsi e cercarla.
-Non importa. Deve cantarla Hughes?
-No, devo cantarla io. Ma il testo è...
-Ispirato a lui? È romantico da parte tua.
-Non prendermi per il naso: non è romantico. È ridicolo.
Vandenberg afferrò la chitarra di Coverdale, abbandonata sul divano, e vi strimpellò sopra un paio di accordi del suo Adagio, con un sospiro: - Ti vedo giù, Cov. Sorridi, si sistemerà tutto.
-Non è così semplice.
-Over here, baby. – scherzò, citando Still of the night e tirandoselo vicino – Che altro c'è?
-Hai una buona mezz'ora? Ti racconto di questi giorni.
-E' ovvio. Anche perchè non saprei proprio dove scappare. Vieni, su, andiamo a prepararci un tè.

 

Avevano aspettato Glenn per quasi una settimana, il che non era nemmeno troppo, considerato che doveva studiarsi i testi e ascoltarsi i demo. Ma che David lo volesse almeno più attivo e presente alla realizzazione delle sue parti era palese, mentre camminava nervosamente per lo studio personale, fumando una sigaretta dopo l'altra: -Non c'è niente da fare. Non c'è un cazzo di niente da fare. Non vuole essere aiutato, non vuole aiutare noi.
Li guardò uno ad uno. Rudy Sarzo sfogliava una rivista di sua moglie, svaccato sul divanetto. Tommy Aldridge alternava una cucchiaiata di mousse al cioccolato preparata da Vandenberg la sera avanti a un'imprecazione perchè non trovava le sue bacchette. Adrian, dal canto suo, stava improvvisando, con aria serafica, un lavoretto a maglia con un gomitolo di lana saltato fuori da chissà dove e le suddette bacchette del batterista.
-Dagli tempo, Dave. È un po' fuori allenamento. - commentò il bassista, storcendo il naso davanti a un modello di alta moda francese – Tutta questa fatica per vestire le donne che poi sono più belle spogliate. - rise, dando di gomito al chitarrista.
-Fuori allenamento un cazzo. Che si venga a scaldare la voce qui, no?
-Piuttosto, a lui non interesserà, – replicò Vandenberg senza distogliere l'attenzione da un complesso punto rovescio che gli aveva insegnato sua madre – ma se continuiamo a dilatare così tanto i tempi, i cazzi e mazzi dei discografici poi sono rogne nostre.
-Ah, – agitò la mano con sufficienza – per quello ci penso io. È una questione di principio, Adje.
-Di affetto, semmai.
-Prego? La smetti di sferruzzare sottopentole e boffonchiare cazzate?
-Davey. - abbandonò il lavoro in grembo a Sarzo per raggiungerlo e cingergli i fianchi con un braccio – Davey, sali e portalo giù, no?
-Veramente sono già qui. - Glenn era apparso sulle scale, esitando.
-Oh, Glenn! Vieni, vieni. Da cosa vogliamo cominciare?
-A noi queste debolezze non sarebbero concesse. - sussurrò il bassista a Aldridge – Che diavolo ha, che si illumina quando lo vede arrivare?
-Ma che ne so! Saranno affari loro, tu pensa a suonare. E se proprio, lavorati Adje e fatti dire qualcosa.
-Cominciamo da Fool for your loving, no? Del resto è un remake. - Vandenberg sciolse con un gesto deciso il lavoro a maglia, rendendo le bacchette al batterista, con un rinnovato entusiasmo.
-Come volete... cioè, scegliete voi. - Hughes si avvicinò con timore ad uno dei due microfoni. Dall'altro gli arrivò il sorriso rassicurante di Coverdale, che dava il tempo per la partenza.
Al primo coro, la stonatura di Glenn fendette l'aria come se avessero tagliato una lamiera, attirandosi lo sguardo di tutti.
-Perdonate... io... io sono un po' fuori forma.
-Non importa. Ragazzi, la rifacciamo.
“La rifacciamo” era stata una frase che si era ripetuta almeno una mezza dozzina di volte, prima che Hughes abbandonasse il microfono con aria affranta.
-Certo che se è questo lo stato in cui dobbiamo lavorare!
-Sarzo! - il bassista si beccò l'occhiata severa di Coverdale – E' affar mio lo stato in cui dobbiamo lavorare.
-Non sei da solo, nel caso non te lo ricordassi. E dobbiamo suonare tutti: le tue faccende personali dovresti tenerle fuori. Ah, già, dimentico che siamo tutti qui ad uso e consumo del grande Coverdale.
Il chitarrista gli fece segno di tacere, un attimo prima che il cantante uscisse sbattendo la porta.
-Glenn, per l'amor di Dio! Vuoi tornare dentro? - lo trovò seduto sui gradini del patio, incurante della neve – Glenn si muore di freddo, ci rimetterai la voce.
-Per quello che me ne faccio, della voce! Non vedi? Non valgo più niente, David. Lasciami andar via, che sto a fare qui?
-Io ti voglio in questo disco. Non se ne parla. Tu resti.
-Per cosa? Per mettermi in imbarazzo? Ti prego, lasciami uscire di scena senza costringermi ad umiliarmi.
-Alzati, Hughes. - il tono si era fatto severo – Smetti di piangerti addosso e guardami. Io ti voglio bene, non ce la faccio a vederti così.
-Se mi volessi bene, mi lasceresti andare. Mi lasceresti libero.
-Libero di cosa? Di ucciderti? Se non te ne volessi, ti lascerei andare alla deriva. Ma così no, cazzo! Sei un fottuto egoista, potresti anche ammazzarti che non te ne fregherebbe niente né di me né di nessun altro.
-Egoista. Se qui c'è un egoista sei tu. Non riesci ad aiutare te stesso e vuoi aiutare me, solo per guardarti allo specchio e farti l'applauso da solo per la buona azione? Per trovare uno scopo alla tua vita? Beh, io non voglio essere il mezzo di nessuno, mettitelo in testa. - aprì la porta e fece per andare in casa.
-Glenn! - lo inseguì, trattenendolo e costringendolo a sedersi sul divano. Gli si inginocchiò davanti, perchè riuscisse a guardarlo negli occhi – Glenn, io non voglio perderti.
-Lasciami andare. Non lo sai? A prendersi carico dei fantasmi altrui, alla fine si finisce per considerarli come propri. Lasciami andare, non voglio distruggere anche te.
-Sono abbastanza forte da non permettertelo.
-Ti sopravvaluti sempre.
-Non andar via. Non ripartire, ti prego. Per dove? Verso cosa?
Hughes scrollò la testa, con amarezza, sfuggendogli e imboccando le scale.
Si ritrovò inginocchiato a terra, solo, nel silenzio, finchè la quiete non fu rotta dallo sgranocchiare ritmico di Adje, comparso sulla soglia.
-Tieni, mangia. - gli passò la stecca di cioccolato quasi finita – Fa bene all'umore.
-'Sto cazzo. Ho preso un chilo e mezzo da quando sei qui. E non è nemmeno una settimana: sei peggio di mia madre.
-Cov, senti, se posso dirlo: lui ha le sue ragioni.
-Hai ascoltato?
-Non ho potuto evitarlo. Mi dispiace, sai. - gli posò una mano sulla testa, come fosse stato un gatto – Però, mica puoi obbligare una persona a restare. È l'atto d'amore più grande che si può fare, lasciare qualcuno libero anche di sbagliare.
-Anche di distruggersi?
-No. Ma non lo puoi impedire. Finchè non si libererà lui dei suoi fantasmi, restare con te sarebbe solo posticipare quella guarigione.
-Lo so, lo so. Ma mi sento così impotente, Adje. Che posso fare?
-Nulla. Aspettare. E aprirgli la porta, quando tornerà, perchè potrebbe ricomparire più distrutto di adesso. Non sono battaglie facili. Non badare allo stato in cui sarà, quando verrà a bussarti alla porta. Tu stringilo e prendilo dentro: è tutto quello che puoi fare. A volte non serve la vicinanza fisica, ma solo il pensiero che, ovunque sei nel mondo, esista un posto a cui puoi fare ritorno: non sai che conforto può essere.
-Sì, ma non è giusto. Non è giusto che mi lasci qui, con le mani in mano e pretendere anche di...
-Sarà il momento in cui meno meriterà di essere amato, ma in cui ne avrà più bisogno.
Tacquero, restandosene un paio di minuti buoni a masticare in silenzio.
-Sei saggio, Adje.
-Non l'avresti mai detto, eh?
-No. Come immaginare che in quella tua bionda testolina olandese si nascondano di questi pensieri! Soprattutto perchè sembri sempre prendere le cose con troppa leggerezza.
-E' necessario, altrimenti finisci per impazzire, sai. It's only rock 'n roll.
-Che farei senza di te?
-Ah, parole! Alla prima occasione ti stancherai anche di me, come di tutti gli altri. - rise, amaramente.
-Che vuoi dire?
-Quello che ho detto. Tu non tolleri fallimenti, David. Non professionali, almeno. Nulla può interferire con il tuo progetto, i tuoi affari. Ha ragione Rudy, in un certo senso a Hughes sono concessi privilegi che nessuno qui ha mai avuto da parte tua. Ma che nessuno, in effetti, può pretendere.
-Ora sei tu che non la prendi più molto rock'n roll.
-Si fa per parlare. Io posso sopravvivere benissimo. Un giorno mi ritirerò a dipingere e a produrre cioccolato.
-Due chili in più. - commentò l'inglese, guardando con disprezzo quello che stava mangiando – E quattro groupies in meno.
-Ah, alle donne piace un po' di pancia. - scherzò, cacciando affettuosamente le mani sotto il maglione del collega – Da' soddisfazione.
-Quando mai sei stato una donna? - alzò un sopracciglio, scettico, osservando la sagoma dell'altro, alta, sottile e flessuosa - E tieni al loro posto le tue preziose manine da musicista, se vuoi continuare a suonare quella chitarra così disgustosamente dipinta di rosa. - si alzò con un sospiro pesante: - Adje, senti...
-Uhm?
-Sono davvero la persona che descrivi?
-Beh, in un certo senso.
-Una volta non ero così. Intendo, quando non c'erano gli affari di mezzo. Chissà cosa penserebbe di me mia madre, se vedesse davvero come ci riduce questa vita!
L'olandese gli assestò una pacca sulla spalla: - Andiamo a lavorare, va'. Altrimenti non concluderemo più nulla nemmeno oggi.

 

Saltbourne (Yorkshire), 1970. Inverno.

Posò le chiavi e gli spiccioli della serata sul tavolo di cucina, avviandosi al buio verso le scale. Sempre al buio, guadagnò la propria camera da letto, abbandonando la giacca sulla spalliera della sedia e cercando di fare il meno rumore possibile.
Ma lei era apparsa comunque sulla soglia e aveva acceso la luce.
-Almeno non rischi di lasciare gli stinchi contro il comodino. - rise appena, stringendosi nella vestaglia.
-Non volevo svegliarti. Che fai ancora in piedi?
-Ero in pensiero, sta piovendo. Lo sai che ore sono, Dave?
-Le tre, credo.
-Appunto.
-Mamma, ho vent'anni!
-Diciannove. - precisò lei, cercando di assumere la sua espressione più irremovibile.
-Lo so, abbiamo fatto tardi. Con questo freddo, la macchina di Mick non partiva.
-Ci credo! Mi meraviglio che voi scavezzacollo andiate a rischiare salendo in sei su quel vecchio catorcio.
-In sei più tutti gli strumenti. - avrebbe fatto meglio a non dirlo e difatti si morse la lingua subito dopo – Però, se non fosse per quel vecchio catorcio non potremmo andare a suonare in giro. E non hai idea di come sia difficile procurarsi un fottu...
-Dave... - l'occhiata severa di sua madre lo fermò giusto in tempo
-Ehm, un accidenti di ingaggio.
-Lo immagino. Potreste suonare al bar, ogni tanto, ma chiaramente non potrei pagarvi.
-Ah, per quello che guadagniamo! - disfece il letto, rabbrividendo e raggomitolandosi sotto le coperte – Ma non è quello il punto. È che boh...
Lasciò la frase in sospeso, sospirando.
-Molto eloquente, da parte tua. - lo fece ridere – Lo so che c'è, Dave. Ma avrete il vostro successo. Serve tempo, mica si ottengono così, certe cose.
-O forse mai. Magari non ne siamo capaci.
-Stasera com'è andata?
-I soliti quattro gatti. - ammise con delusione - Mi dispiace, mamma, se finisco sempre per deluderti.
Lei sorrise, con pazienza, sedendosi sul bordo del letto e carezzandogli i capelli: - Ma io sono orgogliosa di te, amor mio, indipendentemente da quanta gente viene ad ascoltarvi. Io sono orgogliosa per altro, sei più deluso tu.
-Non so, vorrei portarti via da qui, offrirti di meglio.
-Ma cosa dovrei volere di meglio? Ho te. - si sdraiò accanto al figlio, abbracciandolo dolcemente – Ho solo te. Sei il mio uomo di casa, adesso. E ho il nostro bar che cade un po' a pezzi, ma insomma... A proposito, ho chiamato l'idraulico per aggiustare quell'infiltrazione, oggi.
-Ma possiamo permettercelo? Al negozio non mi pagheranno fino a venerdì prossimo.
-Eh, andremo un po' al risparmio, che vuoi farci? - lo strinse.
-Ci sono i soldi di stasera, ma è poca cosa.
Lei lo baciò sulla testa, senza dir nulla.
-Mamma, mi spiace non poterti dare di più. Forse non ho abbastanza talento.
-Ma che dici?
-Forse rimarrò per sempre un commesso di boutique che canta al venerdì sera per qualche pub sperduto, in questo paese dimenticato.
-Non importa: canterai. È quello che ami fare. Canterai e sarà quello che conta.
-Vedrai, - le disse, portandosi la sua mano alle labbra e baciandola – vedrai che le cose cambieranno. E quando andranno meglio, ti porterò via di qui, potrai avere quello che sognavi, quello che non hai mai potuto avere. È che non so quando succederà.
Gli passò le dita tra i capelli: - Non saprei nemmeno cosa volere di più. Non saprei che farmene. Vorrei che tu fossi felice.
-Lo sarò. - sospirò, chiudendo gli occhi – Lo saremo.
-Ne sono sicura. Ora dormi, su.

 

Si infilò nel suo letto, incurante se stesse dormendo o meno. Non si preoccupò neppure se fosse gradita la sua presenza o se avesse fatto meglio a lasciarlo solo. Semplicemente non riuscì a resistere all'impulso di farlo, di stringersi al suo corpo tiepido e di circondarlo con la gamba, protettivo, in un frusciare di coperte e stoffa.
Lui si agitò nel sonno, tremando.
-Calmo, Glenn, sono io. - gli sussurrò aderendo alla sua schiena – Va tutto bene.
-Davey... - gli afferrò il braccio, portandoselo sul proprio petto per farsi abbracciare – Che ci fai qui?
-Nulla. Volevo... non so, non riuscivo a star solo. E a saperti da solo. - parlava con un filo di voce, tenendo il viso accostato al suo collo.
Glenn rabbrividì di piacere nel sentire il suo respiro sulla propria pelle e non disse nulla, limitandosi ad accoccolarsi più comodamente tra le sue braccia.
-Che ti ricorda? - continuò il cantante, tuffando il naso tra i suoi capelli.
-Certe notti delle tournèe di troppi anni fa.
-Una notte in particolare, no? Alle Hawaii. Ma quanto eravamo fatti, quella sera e ubriachi?
-E se non lo fossimo stati?
-Probabilmente avremmo continuato a inseguirci per anni.
-Avrei continuato io ad inseguirti per anni. - precisò il bassista.
-E' vero. E adesso mi ritroverei a dovermi insinuare nel tuo letto per farmi perdonare di tutto quel tempo che è passato.
-Non lo stai facendo comunque?
-In un certo senso. Voltati, Glenn.
-Perchè? Sto comodo, così.
-Perchè allora dormivi con la testa sul mio petto.
Il bassista si assestò nell'incavo del suo braccio: - Così?
-Così. Non è passato un giorno. Non ti ho ancora perduto, non te ne andrai.

 

Honolulu, 1975.

-Tu stai rischiando grosso, Coverdale. - gli era entrato nella camera da letto con un tempismo perfetto, quello necessario per incrociare sulla soglia la creatura deliziosa con cui il cantante doveva aver passato un paio d'ore tutt'altro che sgradevoli – Tu, bellezza, vai. Togli il disturbo, su. - si era chiuso la porta alle spalle, posando la bottiglia di whiskey sul tavolo, con aria spavalda.
-E se non avevo ancora finito, con la signorina? - protestò l'altro, dal letto, coperto a mezzo col lenzuolo e il capelli sparsi come un manto sulle spalle nude.
-Pazienza. Vorrà dire che dovrai trovare altri modi per sfogarti, Dave.
-Ma tu, possibile che devi venire a rompere le palle a me nei momenti meno opportuni? Perchè non sei a farti una groupie da qualche parte? O perchè non sei con Tommy?
-Tommy è a farsi una groupie. - precisò - Paice e Lord li ho persi, dopo la fine del concerto.
-Per un attimo ho temuto che mi dicessi: Paice e Lord si sono appartati insieme.
-Perchè no? Tu, piuttosto...
-Ma cos'è che starei rischiando, io?
-Che ti salti addosso sul palco, davanti a tutti, Dave. Ti sembra il modo di provocarmi, quello?
-Io non avevo nessuna intenzione di provocarti.
-Su, dai, non fare l'innocente ragazzino dello York, chè non lo sei più da un pezzo. Ti strusciavi addosso a me in un modo che non avevi mai fatto, stasera, mentre suonavamo You keep on.
-Non credevo che ti dispiacesse.
-Non mi dispiaceva. Appunto perchè non mi dispiaceva, cazzo, certe cose non le devi fare. C'è modo e modo di tenere un microfono, se dobbiamo dividerlo, e non è esattamente quello che hai scelto tu. Soprattutto perchè non ci fai certe allusioni e non ci lasci sopra certi sospiri che ti fanno uscire di senno.
-Come vuoi. - si strinse nelle spalle – Visto che sei così sensibile a certi espedienti di scena...
-Sono sensibile al fatto che poi non ti dai. - bevve una robusta sorsata dal collo della bottiglia – E che io puntualmente rimango a elemosinare la tua attenzione.
-Non è vero. Non lo faccio per tormentare te.
-Sarà. Ma io uno di questi giorni ti inchiodo su quel letto, su un tavolo o contro un muro e non mi prendo responsabilità di quello che potrei farti.
-E sentiamo, cosa potresti farmi? - rise, scrollando la chioma scura.
Glenn posò la bottiglia sul comodino, prima di salire sul letto e avvicinarsi a lui, fino a salire a cavalcioni delle sue gambe.
-Vuoi veramente saperlo? - lo sfidò, concedendosi di smarrirsi un lungo istante in quegli occhi di un verde così tendente al giallo del grano.
-Dimmelo.
Il bassista si agitò su di lui, sdraiandosi sul suo petto e raggiungendo il suo orecchio con le labbra. Ma non riuscì a formulare nulla, limitandosi a lambirgli il lobo con devozione, mentre l'altro cercava di prendere la bottiglia di whiskey.
-Che ne devi fare? - gliela porse, prima di tornare a baciarlo, questa volta sul collo.
-Voglio ubriacarmi.
-Più di quanto non sei già?
-Voglio non pensare a quanto ce ne potremmo pentire domani.
-Pentire di cosa?
-Di questo. - lo afferrò per le spalle e lo sdraiò sotto di sé. Con le labbra premute sulle sue, cominciò ad armeggiare con i bottoni della camicia. La aprì con decisione, per baciargli il petto con insistenza, a lungo, prendendosi tutto il tempo che aveva perso in precedenza - Non è normale che tu mi piaccia così, Glenn. - seguì con la punta del dito la forma di quelle labbra morbide e piene.
-Forse ti piace che io ti adori. Mi hai fatto impazzire per quasi due anni, peggio di come tratti le groupies.
-Sei la mia groupie. - gli sussurrò, vedendolo sorridere – La mia piccola groupie.
Gli passò la mano dentro l'orlo dei pantaloni, facendolo rabbrividire.
-Oh, Dave! - si impossessò di nuovo della sua bocca, esultando nella mente perchè era sua, perchè l'aveva, ora. Reclinò la testa sul cuscino, cercando aria, mentre perdeva il controllo per colpa delle sue carezze.
Il cantante si interruppe, prendendogli il viso tra le mani e mormorandogli qualcosa di basso, roco e sconnesso. Poi si scostò per permettergli di alzarsi e di liberarsi dei vestiti.
Glenn gettò di lato le coperte, sedendosi sulle sue gambe, accarezzandolo, mentre l'altro continuava a fissarlo con quegli occhi verdi, improvvisamente sicuro di sé, dell'effetto che gli provocava la sua sfrontata bellezza.
-Sono la tua groupie adorante. - rise, cominciando a muoversi lentamente, pigramente, con compiaciuta sensualità – Cosa vuoi che ti faccia?
-Baciami. - scivolò sotto di lui, costringendolo a sdraiarsi sul suo corpo.
Glenn tracciò scie lievi sul suo petto, ad occhi chiusi, i capelli sparsi sul suo torace, nei quali David affondava le mani con un piacere voluttuoso.
-Ancora. - gli sussurrò. I baci si fecero una serie più lasciva e calda di carezze, finchè Dave non trascinò Glenn sulle sue labbra, scostandogli i riccioli dal viso, prima di posarvi sopra le proprie.
-Mi piaci, Davey. Sei così bello. Lo sai? - si agitò su di lui, premendogli un ginocchio tra le sue gambe.
Lui scosse la testa, prima di socchiudere la bocca, in un sospiro di piacere.
-Lo sei. Lo sei da star male.
-Hughesy... - gli accarezzò la schiena riempiendosi i palmi della morbidezza della sua pelle – Hughesy, dimmi che mi vuoi.
Lui lo osservò per un momento, prima di disegnare sui suoi fianchi arabeschi distratti eppoi afferrarlo saldamente: - Ti voglio. Sei mio.

 

-Dimmi che mi vuoi, Hughesy. - gli soffiò, quando lui gli posò un bacio all'angolo della bocca.
-Ti voglio bene. - gli si strinse addosso, con un'innocenza diversa – Te ne voglio tanto.
-Ti vorrei ancora, Glenn.
-Sono qui.
-Non è la stessa cosa.
-Lo so. Dio, come ti vorrei anch'io, con tutto questo schifo che c'è attorno. Se stessi bene, se fossi un altro, resterei e cercherei qui la voglia di vivere che non ho più, ma non si può. Mi distruggerei e ti distruggerei.
-Lasciami dormire con te, almeno questa notte. - reclinò la testa sulla sua.
-Oh, questo sì. - respirò a fondo il suo profumo – Proteggimi.
-Ti proteggo, Glenn. Dormi, adesso. Dormi.


(Continua)

   
 
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