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Autore: Silvar tales    09/11/2012    5 recensioni
“Se hai bisogno di una distrazione vai a tirare i sassi nello stagno, io non sono il tuo passatempo”.
“Non capisci!” Mi scosse le vesti irato e fissò i suoi occhi nei miei con eloquenza.
“Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? Dei nostri compagni sono morti, la città è in fiamme, l'intero Regno è in subbuglio e il nostro Ordine minaccia di cadere, e tu pensi a questo genere di cose?”
“Io... ho solo bisogno di...” la sua voce era roca. Si dondolò ancora una volta verso di me, toccandomi i capelli come fosse un bambino curioso.
“Di me, sì, lo so. Non te la sei mai cavata senza di me”.
[Quinta classificata al contest "Nulla è reale, tutto è lecito" indetto da Angelus_Dragon]
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Malik Al-Sayf
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Luna dei Morti




AC


La battaglia era andata male.
Lo sentivo nella pioggia che offuscava i minareti di Gerusalemme, nel vento che scuoteva gli stendardi lontani di Masyaf.
L'odore di muschio e terra era pungente quanto il sentore del sangue. Torrenti di sangue versato, mucchi di corpi senza vita. Corpi recanti il marchio del nostro Ordine.
Come un morto, cercavo un solo volto. Ripetevo per riflesso un solo nome.
“Altaïr... fratello!”
Non avevo ritegno. Non mi curavo degli altri compagni, il mio primo pensiero era lui. Trovarlo, vivo o morto, lungo le vie impervie del Regno.
Il mio cavallo galoppava veloce, nitriva come invocasse la morte tant'era dilaniato dal ritmo folle a cui lo spronavo.
Tra la nebbia e i ciuffi di capelli bagnati che mi coprivano gli occhi distinsi male i bivi, avevo dovuto scegliere una strada alternativa perché il sentiero ad alta quota che usavo abitualmente era franato, sgretolato dalla forza dell'acqua.
Arrivai ad Acri troppo tardi.
Gli ultimi focolai di guerriglia si erano già estinti, i falò feriti dall'umidità digerivano resti di cadaveri ormai carbonizzati.
La pioggia nel frattempo si era quietata, sostituita da un vento forte e da un'insopportabile luce grigia.
Se avessi trovato la guerra, morente o insorgente, ero sicuro che lì avrei trovato anche Altaïr. Ma il silenzio che mi accolse alle porte di Acri frantumò di un colpo le mie piccole speranze, schiacciandole sotto un grave d'angoscia.
La guerra era finita. Altaïr aveva perso.
Sentii la testa girare, la vista mi si annebbiò per un momento.
Il mio cuore era nero di dolore e quell'ultima scintilla di speranza pareva una stella nell'universo.
Vedevo il nostro Ordine disperdersi, come dei ciechi naviganti privati della loro Stella Polare.
La nostra stella era Altaïr, e senza di essa i bastioni di Masyaf sarebbero crollati, e le sue torri cadute in mano all'armata templare.
“Fratello...” mormorai flebile.
Il cuore mi palpitava sgraziato alla vista dei cadaveri anonimi degli assassini caduti.
Ad ogni via che svoltavo avevo paura di riconoscere la veste candida di Altaïr riverso per terra, zuppa e grigia d'acqua.
Ma non lo trovai.
Sentivo la sua presenza, come se il suo fantasma aleggiasse già tra i muri delle case di Acri. Forse anche lui mi stava cercando, mi era accanto e mi chiamava, senza che io potessi sentirlo.
Il suo corpo non c'era. Era volato via, come un'anima angelica.
Caddi in ginocchio, debole, stremato. Avevo combattuto a lungo a Gerusalemme, prima di riuscire a dominare lo scontro e ad arrivare alle scuderie. Il braccio mancante costituiva per me un terribile svantaggio, ero ferito.
“Malik”.
Una voce ferma, secca, giovane.
Una voce che in passato aveva sempre suscitato la mia irritazione.
Una voce a cui ero avvezzo rispondere con sgarbo e risentimento.
Solo un ben noto assassino era tanto abile da avvicinarsi senza emettere il minimo rumore. O forse, ero io che non ci avevo fatto caso.
Mi voltai e lo vidi in piedi, di fronte a me, lo sguardo perso e dilaniato da un dolore incolmabile.
Gli portai una mano dietro al collo, gli abbassai il cappuccio spettinando i suoi capelli mossi e scuri.
Era sopravvissuto.
La nuvola che lo oscurava era stata sospinta altrove.
Si dondolò verso di me, come un salice scosso dal vento. Come un gigante di pietra che crollava.
Mi abbracciò, mi strinse con braccia forti ma provate dalla stanchezza.
L'abbraccio di due sopravvissuti.
Una gioia impagabile, e allo stesso tempo un male dannato.
Qualcosa si mosse dentro di noi, qualcosa che finalmente condividevamo. Il dolore della perdita, un disorientamento dilaniante.
“Credevo fossi morto, novizio”.
Per la prima volta, dopo la morte di mio fratello, avevo una gran voglia di piangere. E me ne vergognai.
Sfogai le mie lacrime sulla sua bocca, divorandolo piano, con il cuore in gola.
Ci sentivamo dei superstiti, eravamo soli in quel bacio bagnato, apparentemente privo di senso.
Altaïr era una creatura nobile e incorruttibile, era il pilastro del nostro tempo. E io l'avevo toccato sulla pelle. Incredibilmente vicino.
Volevo congiungermi a lui, prenderlo per mano, come fossimo due cuccioli d'aquila sbandati nella tempesta.
Le sue labbra erano fredde e livide.
I suoi occhi chiari inespressivi.
Ma non pianse.

Ci rifugiammo nella bottega di un sarto.
L'ambiente era sottosopra, le stoffe preziose e i vari attrezzi erano sparpagliati sul pavimento pieno di sporcizia e polvere. Il negozio era stato abbandonato tempestivamente, probabilmente a causa della battaglia che incombeva. Le stecche aromatiche erano ancora accese, e le fragranze che emanavano si mescolavano in modo disgustoso all'odore mortifero dei falò.
Altaïr si adagiò sui cuscini, imbrattandoli all'istante di sangue scuro. Mi allarmai, non avevo notato che fosse ferito.
Cercammo di medicarci a vicenda, fortunatamente le nostre condizioni non erano gravi.
Non avevo più visto Altaïr nudo da quella volta in cui, bambini, ci avevano fatto il bagno insieme in una tinozza d'acqua fredda, in una delle austere stanze di Masyaf.
Il suo corpo forte e proporzionato era scosso da brividi, tremava.
Sapevo perché.
Sensi di colpa.
Il senso di colpa bruciante per aver indirettamente causato la morte di mio fratello e la perdita del mio braccio sinistro.
Il senso di colpa per non essere riuscito a salvare i suoi confratelli.
Il senso di colpa per essere sopravvissuto.
Perché Altaïr non capiva un elemento fondamentale, lui volava metri e metri più in alto di noi.
“Malik, devo fare l'amore con te”.
Il sangue mi pompò furiosamente nelle vene, d'istinto mi allontanai da lui di qualche passo.
In un momento il mio cervello non ragionava più, oscurato da rabbia mista a eccitazione.
“Devi... cosa? Devi?” Balbettai.
Non rispose.
Stavo per rispondergli a mia volta a suon di pugni quando vidi il suo viso bagnato e distrutto, i suoi occhi rossi. Mi fermai.
“Mi dispiace” disse in un sibilo, in un velo di sussurro. Una voce sommessa che non avevo mai sentito.
E allora capii.
Capii che aveva un disperato bisogno di cancellare, anche solo per un attimo, tutto il peso che gli gravava addosso.
“Malik, non voltarmi le spalle anche stavolta. Sembro tanto furbo, potente e astuto, vero? Ma la verità è che non riesco in niente!” Sferrò un pugno alla montagna di tappeti arrotolati impilati alla sua destra, forse l'unico elemento ancora in ordine in quel marasma. Non contento del limitato chiasso che provocarono, si alzò in piedi e con un calcio fece cadere gli incensi e i calumet.
L'osservai attonito.
Mai l'avevo visto perdere la sua compostezza fino a quel punto.
“Cerca di calmarti, mi sembri un bambino capric-”
“Certo, è proprio quello che sono!” Urlò, guardandomi con odio. Poi, sconfitto, crollò nuovamente sui cuscini.
“Avevo creduto di poter guidare gli Assassini, di poter essere un punto di riferimento per loro”.
“Per quanto mi disturbi ammetterlo”, iniziai, avvicinandomi a lui, “lo sei”.
Mi scrutò scettico con occhi ambrati, per nulla convinto.
“Proprio tu me lo vieni a dire, Malik?” Mi domandò a fior di labbra.
“Stai zitto fratello”, gli risposi mentre approfittavo della sua vicinanza per baciarlo, sentendo nuovamente lacrime appiccicose che gli imbrattavano il viso.
Ma poi cambiai idea. Non l'avrebbe avuta vinta.
“Se hai bisogno di una distrazione vai a tirare i sassi nello stagno, io non sono il tuo passatempo”.
“Non capisci!” Mi scosse le vesti irato e fissò i suoi occhi nei miei con eloquenza.
“Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? Dei nostri compagni sono morti, la città è in fiamme, l'intero Regno è in subbuglio e il nostro Ordine minaccia di cadere, e tu pensi a questo genere di cose?”
“Io... ho solo bisogno di...” la sua voce era roca. Si dondolò ancora una volta verso di me, toccandomi i capelli come fosse un bambino curioso.
“Di me, sì, lo so. Non te la sei mai cavata senza di me”.
Lo sdraiai per terra iniziando a togliermi gli indumenti bagnati, maledicendomi intanto per aver sempre illuso quel guerrafondaio. Se pensavo a tutti quei baci accidentali che ci eravamo scambiati nel covo, quando lui compariva all'improvviso solamente per gusto di distrarmi dal mio lavoro.
“Stai ansimando, novizio? O ti sta solo venendo un raffreddore?” Lo schernii, ridacchiando odioso.
“Frena la lingua Malik”, ribatté a denti stretti. Ora mi trovavo io sdraiato sul pavimento sotto il suo peso, in una posizione alquanto imbarazzante. Non potevo contrastare la sua forza, inoltre lui poteva far leva su entrambe le braccia. Era ingiusto, approfittare in modo così meschino delle sue stesse malefatte, delle conseguenze dei suoi errori.
Strinsi a mia volta i denti quando avvertii la sua virilità che s'impossessava di me, in fondo mi chiedevo se ero davvero disposto a concedergli un tale privilegio.
Spinse più forte, ancora e ancora, e il dolore iniziale scemò in fretta. Tuttavia non provavo un piacere eccessivo, forse avevo troppi pensieri che mi ronzavano in testa.
“Vai più... più piano Altaïr, sei un novizio anche in questo, nevvero?”

La notte ci sorprese. Senza che ce ne accorgemmo i nostri insulti e i nostri amori erano stati soffocati dalla luce delle stelle. Una luce molto più agghiacciante e vivida della nebbia pomeridiana, la luce di una notte accesa di sgretolate braci rosse, sparse in cumuli tra le viuzze.
Allungai una mano verso la nuca di Altaïr con l'intento iniziale di dargli una carezza, che si trasformò in uno schiaffo cattivo e ben posato.
“Raffredda gli spiriti Altaïr, non è l'ora questa di girovagare a cavallo per il Regno solo perché tu ti sei fatto venire i doppi sensi di colpa!”
Lo guardai colmo d'ira infilare gli stivalacci sporchi di fango, stringere la cintura attorno alla tunica impolverata e gemere nel toccare inavvertitamente la ferita che s'era procurato.
“Smettila di parlare a vanvera e alzati, Malik. Andiamo a settentrione”.
“Tu sei matto!” Mi rizzai all'istante a sedere, ritrovandomi a ringhiare e a stringere i pugni all'inverosimile. Ma la mia reazione era più che ragionevole. “Fratello”, iniziai con le buone tentando di rischiarare quella sua mente turbinosa, “è buio, armate intere di templari brulicano lungo le vie montane, Acri è il rifugio più sicuro che abbiamo, per adesso. Vorresti sprecare in modo così avventato tutti i sacrifizi fatti finora?”
“Diciamo piuttosto che tu non vorresti veder sprecata la mia vita”, ribatté velenoso lui liberandosi dalla mia debole presa. A quell'affermazione mi sentii tremare di rabbia. Moccioso irriverente, ecco cos'era. Sarà anche stato la stella dell'Ordine, ma era pur sempre un ragazzino troppo cresciuto.
“Se vuoi metterla in questi termini, dunque, lasciami pur dire che temo per la mia, di vita”.
Aveva forse dimenticato il mio vergognoso svantaggio?
A quelle parole, Altaïr sembrò finalmente prestarmi orecchio. Si voltò verso di me e mi scrutò a lungo con quei suoi stupidi e assurdi occhi gialli. Occhi che rassomigliavano a polvere liquida, alla polvere del deserto.
“Voglio rimediare. Voglio riconquistare Masyaf. Non può assolutamente cadere in mano ai templari, Malik, lo capisci?”
Certo, certo che lo capivo. Ma la sua equivaleva a una missione suicida.
“Così, credi di riconquistare la tua gloria morendo in modo così stupido? Lascia che ti dica Altaïr che in tal modo l'unica cosa che conquisterai sarà la disapprovazione dei tuoi compagni! Salpiamo oltremare finché siamo ancora in tempo, fondiamo una colonia, un nuovo Ordine, un faro, un rifugio per tutti gli Assassini sparsi lungo le rive del Mediterraneo, nel profondo dell'Europa e oltre!”
Ma lui scosse la testa, respingendo le mie tanto ardite parole.
“Ancora non è arrivato il momento di erigere una lampada oltremare, essa non brillerà mai se ad oscurarla ci saranno sempre le ceneri di Masyaf. Intendo piantare un seme, lasciare un piccolo e debole focolare di speranza anche quaggiù, nella culla del nostro Ordine, cosicché un giorno esso possa germogliare e brillare più ardentemente di qualsiasi fuoco. So bene di non poter riconquistare Masyaf stanotte, Malik, ma penso di poter innestare le radici di quell'albero che, un domani, si libererà delle edere che lo infestano. Parti con me, Malik”.

Quella notte cercai, tra le vie del borgo impazzito, due bestie da domare.
L'avrei seguito come un navigante cieco.
L'avrei seguito.



*




Arbori dell'anno 1194

Ho tentato l'infiltrazione a Masyaf, sperando di trovare qualche fratello a darmi man forte. Speranze vane, sono tutti ammucchiati come carcasse di animali lungo le vie infangate del promontorio, qui riposano i nostri padri e i nostri confratelli.
Tuttavia sono riuscito a scalare le mura, c'è un passaggio su un misero cordone di roccia che in gioventù ebbi la fortuna di scoprire. Io e io solo lo conosco. Da qui si può facilmente aggirare la mole della fortezza e scalare il torrione più alto, fino ad arrivare ai camminamenti. Sono stato inseguito ma, ahimè, sono riuscito a scappare di nuovo. Ho tanti nomi, Aquila, Angelo, e tutti hanno la parvenza della sfuggevolezza. Non lo nego, ho questa capacità innata di cavarmela sempre, di uscire vivo da qualsiasi situazione, e di lasciar morire i miei compagni. Un'abilità maledetta. Io vivrò per vedere morire tutti i miei cari, tutti coloro che sono più deboli di me e che io dovrei proteggere, tutti coloro che non stanno al passo con me, che non volano alto come me. La mia è un'esistenza dannata.
Ho perso un altro compagno lungo le vie del Regno, Malik Al-Sayf. Non voglio che il suo nome vada perduto. Ho qui la sua arma, il suo braccio destro. È un'eredità semplice da lasciare ai posteri, nella mia stoltezza speravo di lasciare saggezze, saperi, biblioteche e archivi... infine ho lasciato un simbolo. Qualcosa che vi ricordi la nostra nobiltà, l'elevatezza del nostro agire, e nello stesso momento la nostra natura tormentata. Il nostro incarico è nobile e puro, eppure il nostro cuore sarà sempre afferrato dall'incertezza.
Questa è l'arma che vi compete, silenziosa e invisibile agli occhi degli altri, indecisa e dotata di una precisione e di una spietatezza incolmabili. Cosicché anche nei momenti d'incertezza non potrete rimediare a ciò che è stato, non sarete più colti dai dubbi se infilare la lama nelle carni di un templare abbia veramente cambiato il mondo, ma vi addolorerete nei rimorsi, voi soli, e il mondo esterno ve ne sarà grato.
È un sacrifizio che l'umanità può sopportare.


Altaïr Ibn-La'Ahad



In una nicchia sperduta dell'alveo di Mayaf giace l'eredità del più grande Assassino di tutti i tempi.
La neve la ricopre e il vento l'accarezza, e solo un'Aquila riuscirebbe a rubare quelle uova contenute in un così alto nido.
Due strane polsiere, spesse e pesanti, che covano al loro interno due lame, l'una sottile e rapida, l'altra spessa e incredibilmente affilata, entrambe decorate da eleganti, ma tuttavia semplici ghirigori.
L'una reca il nome di Altaïr, Maestro Assassino, l'Aquila che vola più in alto della volta celeste.
L'altra reca il nome di Malik, Rafiq di Gerusalemme, il navigante, che prima di affogare in un mare rosso volse gli occhi e tutta la speranza che gli rimaneva in cuore verso la stella più luminosa.




AC




Storia classificatasi quinta al contest Nulla è reale, tutto è lecito indetto da Angelus_Dragon sul forum di efp

Quinto Posto

DeidaraDanna93


La Luna dei Morti
Genere: Triste, malinconico
Avvertimenti: one-shot, yaoi
Pacchetto scelto: 20 (lama celata)

Valutazione: 
Ortografia e Grammatica: 7/10 
Uso dei pacchetti: 8/10 
Piacere personale: 12/15 
Originalità: 13/15 
titolo: 9/10 
Totale: 49/60 
Uhm, ho notato che che spesso confondi l utilizzo della "Z" con quello della "C" e questo sommato ad alcuni piccoli e quasi del tutto irrilevanti abusi di punteggiatura ha un po' penalizzato il tuo punteggio sull'ortografia e la grammatica, tuttavia il lessico è forbito e di piacevole lettura. Ho trovato nel tuo racconto parole che non ho mai visto usare a nessuno, e questo è un lato che apprezzo, visto che sono amante delle parole e del loro utilizzo più corretto.
L'idea di un Altair-Malik non mi affascinava molto, ma hai saputo descrivere dolcemente gli avventimenti, e sei riuscita a dare l'impressione che non fosse poi così sbagliato ciò che stavano facendo. Ho adorato i paragoni e le similitudini, anche li perchè sono un punto debole dei miei testi.
Ricapitolando hai fatto un bel lavoro a dispetto di un pacchetto non semplicissimo, hai saputo rivelare l'essenza di quello che i protagonisti provavano, tuttavia però il racconto sembra un po' inconcluso, o precisamente, concluso un po' rapidamente.

   
 
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