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Autore: Mrs Teller    09/11/2012    10 recensioni
La grande fregatura nell’essere stato benedetto dall’incontro di due caratteri recessivi, quindi essere nato occhi chiari e cristallini, è che spesso nessuno si prende la briga di leggervi dentro: la patina trasparente e pura che avvolge la pupilla è spesso rassicurante, di immediata verificazione, come se la luminosità e la chiarezza non potessero nascondere qualcosa di oscuro, qualcosa di torbido, qualcosa di sofferto. Si preferisce fermarsi a quella patina superficiale perché spesso è più semplice, meno complicato rispetto a scavare e cercare di scoprire se c’è davvero qualcosa di oscuro e doloroso dietro quella luce accecante e apparentemente tranquilla. Mai nel corso della tua vita hai trovato qualcuno che fosse davvero capace di andare oltre, capace di vedere cosa si nasconda dietro la cristallina purezza. Forse è per questo che adesso non credi al famoso detto popolare: come possono gli occhi essere lo specchio dell’anima se mai nessuno ha visto la tua di anima dietro i tuoi meravigliosi occhi azzurri?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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No one knows what it's like
To be the bad man
To be the sad man
Behind blue eyes
And no one knows
What it's like to be hated
To be fated to telling only lies

But my dreams they aren't as empty
As my conscience seems to be
I have hours, only lonely
My love is vengeance
That's never free

(Behind blue eyes – The who)

 

 
Gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Così si dice di solito tra le persone normali ma tu non hai mai creduto a questi insulsi e noiosi luoghi comuni, buoni solo ad alimentare credenze e ignoranza, per te dagli occhi si può ricavare al massimo l’influenza che la genetica ha avuto nel marchiarti a vita. Caratteri dominanti, caratteri recessivi, incontro di caratteri recessivi, DNA, RNA: è solo questo che conta, è solo questo che si può davvero dedurre osservando le iridi di qualcuno, nulla di più, di questo ne sei profondamente convinto. Nel tuo caso, la genetica  ha deciso di giocarti un brutto tiro fin dall’inizio dotandoti di un paio di occhi tanto belli quanto singolari: non del tutto azzurri, non solo verdi, di certo non grigi, ma sicuramente un misto di tutte queste sfumature diverse che cambiano e si mischiano senza soluzione di continuità, in un movimento perenne alimentato dalle condizioni circostanti e dal tuo stato d’animo. Niente e tutto insieme: questo sono i tuoi occhi, i tuoi meravigliosi occhi di ghiaccio che sembrano rispecchiare in modo così cristallino la tua personalità ribollente, ben nascosta sotto la superficie di gelido distacco. Ma nella vita non si può essere tutto e niente insieme, bisogna essere qualcosa di preciso, è necessario essere incasellato in una categoria stabile e perciò stesso rassicurante, perché la mente umana in fondo è di una semplicità disarmante e ha bisogno di ordine, disciplina: bianco o nero, chiaro o scuro, sano o malato, integro o danneggiato, buono o cattivo, pazzo oppure normale. Non hai mai potuto sottrarti a questa classificazione, da nessun punto di vista la si voglia guardare, e meno che mai dal punto di vista fisionomico: pertanto, i tuoi occhi hanno dovuto assumere un colore preciso e fisso a beneficio della burocrazia. Non che ti importi molto di queste inezie da documenti, la tua mente è persa verso ben altri orizzonti, ma tant’è e alla fine i tuoi occhi sono risultati essere formalmente azzurri sebbene, di fatto, per la maggior parte del tempo assumano toni tendenti al verde.
 
La grande fregatura nell’essere stato benedetto dall’incontro di due caratteri recessivi, quindi essere nato con occhi chiari e cristallini, è che spesso nessuno si prende la briga di leggervi dentro: la patina trasparente e pura che avvolge la pupilla è rassicurante, di immediata verificazione, come se la luminosità e la chiarezza non potessero nascondere qualcosa di oscuro, qualcosa di torbido e di sofferto. Si preferisce fermarsi a quella patina superficiale perché spesso è più semplice, meno complicato rispetto a scavare e cercare di scoprire se c’è davvero qualcosa di oscuro e doloroso dietro quella luce accecante e apparentemente tranquilla. Mai nel corso della tua vita hai trovato qualcuno che fosse davvero capace di andare oltre, capace di vedere cosa si nasconda dietro la cristallina purezza. Forse è per questo che adesso non credi al famoso detto popolare: come possono gli occhi essere lo specchio dell’anima se mai nessuno ha visto la tua di anima dietro i tuoi meravigliosi occhi azzurri? Mai nessuno, da che hai memoria cosciente, si è preso la briga di indagare nei tuoi occhi, di bambino prima, di adolescente e adulto dopo, cosa quell’iride cerulea e leggermente maculata nascondesse. Mai.
Non la prima volta in cui hai dissezionato una rana davanti tuo fratello Mycroft.
Non la prima volta in cui hai letto in modo palpabile la preoccupazione dei tuoi genitori riguardo la tua sanità mentale.
Non la prima volta in cui hai visto la paura nei loro occhi.
Non la prima volta in cui i tuoi compagni di classe ti hanno detto che eri pazzo e che dovevi stare lontano da loro.
Non la prima volta in cui sei stato mandato a fanculo dopo una deduzione ben riuscita.
Non la prima volta in cui i tuoi compagni di università ti hanno detto chiaramente che ti odiavano per il modo con cui usavi le tue abilità deduttive contro di loro.
Non la prima volta in cui hai infilato l’ago nella vena e hai lasciato che la cocaina al 7% facesse il suo compito, annullando il caos sovrano nella tua mente e ti desse quel barlume di pace cui anelavi disperatamente.
Non la prima volta in cui il DI Greg Lestrade ha accettato, forse per pietà o spirito caritatevole ne non hai idea, di renderti partecipe di uno dei suoi casi.
Non la prima volta in cui si è rivolto a te con la coda tra le gambe dopo aver capito che inestimabile tesoro potessi rappresentare per lui.
Non la prima volta, dopo tantissimi anni, in cui sei stato chiamato freak.
 
Non hai idea di quando sia accaduto, sai solo che a un certo punto della tua vita hai semplicemente smesso di desiderare, anche solo di sperare che qualcuno andasse oltre i tuoi modi e vedesse qualcosa, non necessariamente la tua anima, ma comunque qualcosa, un briciolo di scintilla di vita degna di essere vissuta. Hai gettato la spugna e hai trovato l’anestetico perfetto per mettere a tacere ciò che avevi dentro, ciò che non sapevi gestire ma che comunque c’era, era li e tu potevi toccarlo dentro il tuo cervello e dentro il tuo cuore. In un attimo tutto è sparito, andato, seppellito sotto una coltre di gelo che ormai è l’unica cosa che riservi agli altri: sei tu che adesso non permetti loro di leggerti dentro e riservi come unica risposta alle chiacchiere e alla crudeltà della gente un’iride cerulea e impenetrabile come la corazza di titanio di cui ti sei rivestito. Sei riuscito a non farti più toccare, ti sei davvero convinto di non provare nulla e non aver nemmeno bisogno di provare qualcosa, ti sei ammantato col gelo dell’indifferenza e hai fatto della tua mente brillante l’unico cardine del tuo essere, tutto il resto è diventato poco più che una inutile appendice.
Poi la vita, forse di comune accordo con la genetica che ti ha già partorito come un essere fuori dal comune, ha deciso di giocarti un nuovo tiro mancino mettendo sulla tua strada la più normale e innocua delle persone: un ex medico militare piccolo e rassicurante, almeno in apparenza, ma internamente danneggiato quanto te se non forse anche di più. Tutto, all’improvviso, non è più stato lo stesso: la variabile impazzita è arrivata per far saltare in aria il gelido inquadramento della tua anima ormai così priva di vita che hai dimenticato di averla, e tu hai scoperto con un misto di orrore e attrazione che sulla faccia di questa Terra è sempre esistita una persona capace di andare oltre il manto ceruleo dei tuoi occhi e leggere cosa c’è dietro. Fin dal primo momento in cui i vostri occhi si sono incontrati la prima volta, lui ha saputo studiarti nel profondo molto meglio di quanto tu sia stato capace di fare con lui grazie alle tue abilità deduttive: tu hai capito che era un medico militare congedato a causa di una ferita psicosomatica, che stava cercando un coinquilino perché non poteva permettersi un appartamento a Londra da solo, che aveva una sorella con cui non andava d’accordo e alla quale non avrebbe chiesto aiuto; lui, invece, nella sua profonda semplicità ha capito la cosa più evidente e allo stesso tempo nascosta, ossia che tu non sei la persona orribile che tutti ti dipingono ma hai qualcosa dentro. John Watson è stato capace di fare la deduzione somma che nemmeno tu hai saputo fare su te stesso e ti ha visto, unico forse in tutta la tua vita, per ciò che davvero sei: un essere umano come tutti, speciale a tuo modo ma nel senso più positivo del termine, un essere umano meritevole di fiducia e ha deciso di darti una chance. Ancora ti stai chiedendo perché l’abbia fatto o come sia riuscito a leggere tutto questo dietro i tuoi occhi azzurri in una sola sera di convivenza, eppure ci è riuscito e da quel momento non hai più potuto farne a meno.

La discesa verso l’inferno è stata molto più rapida di quanto ti aspettassi perché, senza che ne fossi consapevole, quel qualcosa che hai così a lungo anestetizzato, ucciso quasi, dentro di te è stato richiamato prepotentemente a galla e quando lo hai realizzato era ormai troppo tardi per tornare indietro e nasconderti di nuovo dietro il muro dell’indifferenza. La tua anima ormai è stata risvegliata e nutrita dalla vicinanza e dalla dolcezza di questo piccolo grande uomo che riesce a vedere dietro ogni tua espressione fredda e sprezzante i barlumi di una umanità che nemmeno tu ormai pensavi di avere più. A dispetto delle liti, dei battibecchi, dei rimproveri per la tua assoluta mancanza di interesse verso la sicurezza e la vita altrui, John Watson non ha mai smesso di scavare, di indagare nel profondo delle tue iridi chiare e leggervi all’interno cose che stavano diventando palesi anche per te che non hai affatto familiarità coi sentimenti. Non che la sua indagine sia sempre stata perfetta ed accurata, soprattutto con La Donna di mezzo, ma non ha mai smesso di provarci, di cogliere la tua vera essenza sotto la coltre di marmo, e non ha mai smesso di credere in te anche quando tutto ti stava crollando addosso a causa di un castello di bugie ben orchestrate.
 
Non pensavi che fosse possibile, eppure hai scoperto che della tua reputazione e della tua carriera di consulente investigativo alla fine ti importava ben poco, l’unica cosa di cui davvero ti importava era tenere lui al sicuro da quel gioco maledetto che sarebbe dovuto restare solo fra te e Moriarty e che invece ha minacciato tutto ciò che avevi di più caro. Perché su una cosa Moriarty aveva ragione: tu hai un cuore e lui, alla fine, è riuscito a bruciartelo fin nel profondo facendo in modo che tu dovessi scegliere tra te stesso e John. Tra la tua vita e la sua. E la scelta ti è venuta molto più semplice e naturale di quanto immaginassi. Sei dovuto tornare alle origini per farlo: sei dovuto tornare ad essere quella macchina fredda e impenetrabile che eri prima di conoscerlo, e lui te l’ha anche detto.

You machine.

Queste due parole ti riecheggiano nelle mante ancora adesso, a distanza di tre anni, ma sapevi di non avere altra scelta. L’errore di lettura di John lo hai indotto tu stesso opponendogli il tanto familiare ghiaccio che per lunghissimi anni è stato il tuo unico compagno di vita insieme alla cocaina, non lo biasimi per non averti saputo leggere dentro in quella circostanza perché se lo avesse fatto avrebbe scoperto ciò che stavi organizzando e che stavi per lasciarlo al suo destino, ed era una cosa che non potevi assolutamente permetterti. Meglio lasciarlo indietro ma vivo che non metterlo al corrente e vederlo morto. Quindi ti sei fatto violenza, ti sei costretto a mostrarti come eri con gli altri e come non sei mai stato fino in fondo con lui: un essere spietato, calcolatore e senza cuore.

Alone is what i have. Alone protects me.

Prima che tu lo incontrassi, quello era il mantra della tua vita, il tuo meccanismo di difesa contro ogni approccio da parte di altri esseri umani: indifferenza per evitare di ricevere indifferenza, attacco per evitare di ricevere offese, ferire per evitare di essere ferito. Questo hai fatto con lui: lo hai ferito, gli hai fatto credere di essersi sbagliato sul tuo conto, gli hai fatto credere di essere sempre stato una macchina nel tempo breve e allo stesso tempo infinto e infinitamente prezioso in cui le vostre strade si sono unite indissolubilmente. Sei sempre stato bravo in questo, nel mostrarti piatto come l’elettrocardiogramma di un morto, e per tua fortuna questa abilità è riapparsa nel momento in cui ne avevi più bisogno e hai ingannato l’unica persona che tu abbia mai davvero amato. Non avevi scelta se volevi tenerlo al sicuro: è questa la risposta consolatoria che ti sei dato negli anni successivi, ma non ti ha fatto stare meglio. Hai assaggiato, forse per la prima volta in vita tua, il sapore amaro e rancido del dolore quando hai visto la delusione e la sconfitta negli occhi di John, mentre usciva dal laboratorio: la sconfitta delle sue speranze e delle sue convinzioni su di te, la sconfitta di un sentimento che è sempre stato sotto i vostri occhi ma che non avete mai voluto notare fino in fondo. Il tuo cuore stava perdendo brandelli gelidi secondo dopo secondo ma tu lo hai chiuso dentro una gabbia di ghiaccio e lo hai messo a tacere sotto una coperta di neve, impedendoti di urlare “John non andare, non è vero, Mrs. Hudson sta bene, nessuno le ha sparato, sto rischiando di morire e voi insieme a me.” Non hai idea di come tu abbia fatto, eppure sei riuscito a mantenere la tua apparenza assestando alla persona migliore che tu avessi mai conosciuto un dolore che non meritava. Ma non hai potuto farne a meno. Così come non hai potuto fare a meno di buttarti da quel tetto per salvargli la vita.

Ora ti guardi indietro e ripensi alle scelte che hai fatto e non ti penti di nulla, rifaresti esattamente quello che hai fatto altre mille volte perché sai che è servito a salvare lui, a tenerlo vivo quanto meno fisicamente sebbene la sua anima sia morta insieme alla tua nel momento in cui hai condannato entrambi alla lontananza e all’assenza. Il tuo unico rimpianto è non essere riuscito a guardarlo negli occhi ancora una volta, un’ultima volta dopo quella maledetta conversazione al laboratorio, rimpiangi che non abbia visto le tue lacrime su quel tetto mentre stavi per buttarti per lui, solo per lui. Non hai mai pianto in vita tua, neanche quando eri piccolo e la tua corazza non era ancora abbastanza spessa e forte da proteggerti dal dolore provocato dall’indifferenza e dall’ignoranza altrui, ma sei riuscito a piangere per lui: quell’unica lacrima solitaria che ti ha solcato la guancia mentre gli dicevi addio è stata così eccezionale che rimpiangi il fatto che John non l’abbia potuta vedere. Non era un trucco per ingannarlo, per rendere la recita del suicidio più convincente, è stata la tua unica crepa nella freddezza con cui hai calcolato il piano B, l’unica spia del dolore che ti stava corrodendo dentro e stava affossando quell’anima che preferivi restasse sepolta. E’ questa l’unica cosa che rimpiangi e per tre lunghissimi anni hai desiderato solo poterlo guardare di nuovo negli occhi, farti guardare di nuovo negli occhi e crogiolarti nella meravigliosa e spaventosa sensazione di qualcuno che riesce a leggerti dentro, oltre la patina della tua gelida iride opalescente. Adesso che sei tornato da lui e che finalmente ce l’hai di nuovo davanti non ti importa di nulla: non delle sue urla rabbiose, né del pugno violento che ti ha assestato sulla guancia (strano come abbia evitato, ancora una volta, zigomi e labbra) né della sua intenzione di non volerti più nella sua vita. L’unica cosa di cui ti importa è che lui torni a guardarti negli occhi come era solito fare e che veda, di nuovo e sempre, tutto il buono che vi aveva visto e che lo ha marchiato a fuoco facendolo, suo malgrado, innamorare di te. Perché è di questo che si tratta, ed entrambi lo sapete fin troppo bene. Finalmente lui lo fa: ti guarda negli occhi e un attimo dopo si scioglie accogliendoti tra le sue braccia e pronunciando una sola, meravigliosa parola.
“Si.”
C’è tutto in quel si, tutto ciò che ti interessava sentire e ciò su cui fonderete la vostra vita futura insieme. Perché, in fondo, John Watson è e resterà sempre l’unica persona capace di leggerti davvero dentro e vedere le cose meravigliose che nemmeno tu conosci di te stesso, così come è capace di vedere le lacrime di gioia e sollievo che non piangi ma che stanno bruciando con forza dietro i tuoi occhi azzurri.
Dietro i tuoi occhi azzurri.
 
 

 
Ok.. Non era esattamente così che desideravo tornare su efp ma questa one shot è figlia di un paio di giorni triste e deprimenti, non volevo mettermi davanti al computer per paura di tirare fuori qualcosa di eccessivamente angst ma per mia fortuna sono rimasta su un territorio più neutro e leggero. L’introspettivo non fa per me, è la prima volta che lo scrivo sul serio e spero che non vi faccia totalmente schifo. Voglio scusarmi con tutte le persone che ancora attendono un mio aggiornamento e volevo dirvi che non sono sparita, o meglio non del tutto: sto preparando un’altra long e ho preferito scriverla tutta prima di iniziare a pubblicarla proprio per evitare di restare impantanata e bloccarmi a causa delle mie perenni pippe mentali. E’ quasi finita, quindi dovrei iniziare a pubblicare relativamente presto, e sarà già completa. Ecco, voelvo solo farvi sapere questo e dirvi che mi mancate moltissimo! A presto, spero!
   
 
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