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Autore: Marguerite Tyreen    10/11/2012    3 recensioni
[Deep Purple]
-Qualunque essa sia, io vorrei essere come quella stella, Cov.
-Lontana, Tommy? - lo guardò perplesso, attraverso le lenti degli occhiali.
-No, luminosa. Tranquilla. Capace di brillare di luce propria, senza temere l'oscurità.

***
Nel 1976 i Deep Purple si sciolgono. Il chitarrista Tommy Bolin muore pochi mesi dopo in una stanza d'albergo, il cantante David Coverdale intraprende la propria avventura personale con i Whitesnake, mentre il bassista Glenn Hughes comincia un periodo errante tra viaggi, straniamento e ricerche di qualcosa che non trova.
Ma la nostra storia prende il via nel 1989, quando Coverdale, per mettere fine al peregrinare sofferto di Hughes, ormai rimasto senza lavoro nel panorama musicale, gli offre una collaborazione nel suo ultimo disco. E si sa, la memoria è un vento impetuoso, pronto a travolgere qualunque cosa...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ultimo capitolo, gente! Che malinconia da fine storia, come al solito :')
Spero che questa breve avventura sia stata piacevole per voi quanto lo è stata per me. E se, invece, dovessi avervi annoiato, credetemi, non lo si è fatto apposta ^^"
Un bacio grande! 
Thanks, 
Marguerite.




You, you keep on moving
Far away, far away
Everyday wheels are turning
And the cry still returning
(Deep Purple, You keep on moving)


Your trouser cuffs are dirty
and your shoes are laced up wrong
you'd better take off your homburg
'cos your overcoat is too long.
(Procol Harum, Homburg)

 

 

EPILOGO: You keep on moving


 

Una settimana dopo.

Scese le scale, infagottato nel maglione grigio troppo largo, mentre cercava di aggiustarsi con le mani i capelli arruffati. Inforcò gli occhiali per distinguere la sagoma seduta sul divano, riconoscendo la testa bionda di Vandenberg china su un blocco di fogli.
Lui alzò appena lo sguardo, continuando a graffiare disegni con la matita: - Buongiorno, Capo, il caffè è nel bricco, la ciambella è nel forno. La cucina è di là. - gli indicò la porta che stava clamorosamente sbagliando, rischiando di scontrarsi con lo stipite.
-Sì sì, grazie. - riuscì a formulare, massaggiandosi la base del naso.
-Nottataccia?
-Non so, ho dormito male. Era come se avessi un peso qui. - si indicò lo sterno – Digestione?
-Eh, può darsi. Gastrite. - temporeggiò.
-Colpa tua e di tutto quello che mi costringi a mangiare.
-Senti, Cov, devo parlarti. - chiuse il blocco e lo posò sul tavolo, con aria grave.
-Oddio, che succede ancora?
-E' partito.
-Chi?
-Hughes.
-Che cazzo significa che è partito? - si riscosse – Per dove?
-Non so, non me l'ha voluto dire di preciso: per il Nord Africa, grosso modo. Me lo sono trovato in camera da letto alle cinque con le valigie in mano e un taxi ad aspettarlo fuori dalla porta di casa. Mi ha detto che non ce la faceva a restare. E che aveva deciso di salvarsi, questa volta davvero. - gli passò un braccio attorno alle spalle.
-E tu l'hai lasciato andare?
-Cosa dovevo fare, secondo te, chiuderlo dentro?
-L'hai lasciato andare senza avvertirmi?- lo respinse - Tu non capisci un cazzo, Vandenberg. Solo un idiota avrebbe pensato di lasciarlo andar via in quelle condizioni...
-Ascoltami bene, Coverdale, dovresti essere felice per lui, se ha trovato la sua strada. Non lo puoi trattenere, non puoi possedere qualcuno. Non puoi salvarlo, se non vuole salvarsi. Non hai nessun potere, non sei Dio, non sei un cazzo di nessuno, è chiaro? Non compiacerti di quello che hai fatto. Amalo senza egoismo. E cerca di usare un altro tono con me.
-Hai ragione, hai ragione, perdonami. - si morse le labbra.
-Lascia stare. Mi dispiace, Cov. Sai, se non è venuto da te è stato perchè non voleva vederti così. Ci ha lasciato tutti i demo... insomma, la sua voce è qui, no?, possiamo sempre cavarcela col materiale che abbiamo.
Annuì.
-Tornerà. Tornerà e starà bene, Cov. Ne sono sicuro.
-Spero tanto che tu abbia ragione.
-Adrian Vandenberg, un giorno io ti stacco la testa e la uso per decorarci il mio basso! - la minaccia di Sarzo arrivò forte e chiara dall'altra stanza – Dove accidenti hai nascosto quei fottuti nastri?
-Arrivo, arrivo. Possibile che non riusciate a far nulla senza di me?
-Vado?
-No, lascia, ci penso io. Tu cerca magari di...
-Meglio se torniamo al lavoro, mi aiuta a non pensarci. - sospirò, aprendo distrattamente il notes di Adrian e osservando lo schizzo del panorama del lago che vi aveva tracciato. Scorse i fogli fino a incontrare un bozzetto a penna.
-Sono io? - Adrian l'aveva ritratto mentre cantava.
Sorrise con amarezza: non seppe dire perchè, ma sentì che c'era dell'affetto nel modo in cui l'aveva disegnato. Lo fermò, prima che potesse raggiungere gli altri, prendendosi un istante per abbracciarlo.
-Povero Adje. Ti tratto sempre male, non è vero? Scusami.
-Non fa nulla. - gli battè la mano sulla spalla - Andiamo a cercare quei nastri, prima che Sarzo ci uccida davvero.

 

Londra, 1990. Gennaio.

Hughes posò le valigie nell'ingresso, prima di venir sommerso dalle lettere sparse sul pavimento, accanto alla porta. Le raccolse svogliatamente, impilando in cima al mucchio un pacchettino avvolto nella carta color avana delle spedizioni. La grafia era quella arruffata di David, il timbro postale di novembre. Posò il resto delle buste sul tavolo e aprì l'involto: assieme a poche righe, c'era il nastro di Slip of the tongue. Lo mise nel mangianastri, premendo il tasto di riproduzione e rimase in silenzio per quasi tutta la durata, mentre scempiava un'altra busta e scorreva con gli occhi la lettera su carta intestata mandatagli dalla Warner Bros.
Il nastro terminò con uno scricchiolio, facendo piombare la casa nel silenzio. Prese il telefono e compose un numero dall'altro capo del mondo. Dovette attendere un paio di minuti buoni, prima che la cornetta, dal lato opposto, si sollevasse con un pigro clic e gli rispondesse una voce arrocchita e impastata di sonno.
-Ma chi cazzo è a quest'ora? - sentì una donna protestare di sottofondo.
-Coverdale. - boffonchiò lui – Ma lo sapete che ore sono?
-David, sono Glenn. Non avevo calcolato il fuso.
-Glenn! No, non fa nulla, aspetta... - lo sentì armeggiare con il filo e con l'apparecchio e lo immaginò mentre si trascinava il telefono nell'altra stanza, chiudendo la porta e sedendosi sul pavimento, come le adolescenti dei film americani.
-Ho ricevuto... Dave, ci sei?
-Sì, ci sono. Parla.
-Ho ricevuto il nastro di Slip of the tongue.
-Comincio a rimpiangere l'efficenza delle poste britanniche, sai. Gli americani se la prendono sempre troppo comoda. Te l'avevo spedito a novembre.
-No, veramente sono io che sono rientrato solo adesso.
-Ah. Da dove?
-Il Cairo.
-Buone ispirazioni?
-In un certo senso.
-Che ne pensi del risultato, Glenn?
-Che io potevo anche non esserci. - rispose, senza nessuna incrinatura nel tono – Sarebbe stata la stessa cosa: non si percepisce nemmeno lontanamente che ho lavorato con te.
-Lo so. Mi dispiace, sai. Esigenze di mixaggio e tutto il resto... eppoi sei tu ad essertene andato dopo poco più di una settimana, il materiale era quello che era.
-Non era un rimprovero, Dave. Sono consapevole di non avere dato il meglio di me.
-Sciocchezze! Eppoi non era una vera collaborazione, era un modo come un altro per farti tornare voglia di comporre e di cantare. Come stai, adesso?
-Meglio. Cioè, – si accorse di aver risposto con troppa fretta – sto mettendo a posto le cose. Vedi, mi sto curando. Ho la percezione di star finalmente andando nella direzione giusta. Ne sto uscendo, Dave, te l'assicuro. Mi è servito sbattere il muso contro quello che ero diventato. Mi è servito venire da te.
-E' vero?
-E' vero. Ho appena saputo che vogliono propormi un progetto: ho intenzione di accettare. - si rigirò la lettera della casa discografica tra le mani – Da solista, questa volta. Mi riprendo in mano la mia vita.
-Dio, Glenn, fossi qui ti stringerei. - sospirò qualcosa di incomprensibile a chilometri di distanza – Dio mio, non sai quanto sono felice di questo. Glenn, oh Glenn... - rise con quella sua risata pastosa – Lo sapevo, lo sapevo che ce l'avresti fatta.
-Non correre troppo, non sono ancora sotto contratto, è solo un invito a...
-Non importa: è l'idea che conta! Dio, non vedo l'ora di rivederti su un fottutissimo palco, Hughes. Resterai a Londra?
-Non so, per il momento sì. Credo. Se riesco a sopportare questa immobilità e questo silenzio. Ma ho la mia voce, ho la mia musica.
-Hai te stesso, finalmente.
Tolse dalla tasca della giacca due fogli: uno era il testo di Sailing ship, l'altro un biglietto di sola andata per Bali, con partenza due giorni dopo.
Accarezzò con la punta delle dita le parole tracciate da David: - In un certo senso ho anche te.
-Togli “in un certo senso”. Tu hai anche me.
-What a sweetheart you are! - rise - Ti farò sapere.
-Ci conto. Glenn?
-Sì?
-Abbi cura di te, ti prego. Sei l'unico che abbia la chiave per farlo. Ricordati di quello che ti ho scritto.
-Quello che mi hai scritto è sempre qui. - ripose il foglio nella tasca, accanto al cuore – L'oceano è un po' meno profondo, adesso. E tu, tu cosa farai?
-Mi prenderò quella pausa, dopo il tour. Allora verrai a trovarmi, non è vero? E parleremo finalmente del Wolverhampton e di Elvis. E faremo lunghe passeggiate in riva al lago.
-E canteremo davanti al camino, la sera? Sì, perchè no. Ma spero che tu ci ripensi.
-E' solo una pausa. - sospirò, non senza amarezza - Ti aspetto, Glenn. In qualunque momento. Vento in poppa, ol'boy. Telefona, scrivimi. Anche due righe, quando vuoi.
Il bassista posò il ricevitore, restando a guardare il biglietto aereo. Con un gesto deciso lo strappò in quattro parti, lasciandole cadere sul pavimento.
Fuori, sul terrazzo vide che un raggio di sole si era fatto timidamente spazio tra le nubi. Respirò l'aria a pieni polmoni. Il vento del Nord portava odore di cambiamento. Odore di pioggia vicina ed echi di una voce lontana, ma ora stranamente rassicurante.
La sua voce. Se ne lasciò accarezzare, avvolgere, ad occhi chiusi.
-Basta fuggire, Tommy. Possiamo fermarci, adesso. - sussurrò con un sorriso – Avevi ragione tu, io sono ancora qui. E qui staremo bene, ora, lo sento.

 

 

Fine

   
 
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