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Autore: Meow_    10/11/2012    8 recensioni
Alzai lo sguardo verso lo specchio. Avevo la faccia ricoperta di sangue, ma non riuscivo a capire da dove venisse.
-
Pensai di essere impazzita, di avere le allucinazioni.
-
«Queste occhiaie! E la faccia, guardami, sono color morte!»
«Stai impazzendo»
«Seriamente non vedi niente di strano?»
«No»
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

Incontri sospetti






   I giorni seguenti non furono molto diversi dai precedenti. Come mi aspettavo, il mio viso non migliorò; ormai iniziavo ad abituarmi a quelle orribili occhiaie. Tuttavia, nessuno ancora sembrava accorgersene e io iniziavo a smettere di sperare che la situazione migliorasse.
   Passarono alcuni giorni in questo modo, la situazione ormai sembrava stabile. Finché, un giorno, successe una cosa che mi turbò decisamente.
Ero a scuola, con una mia amica, e ad un certo punto decisi di farle sentire una canzone che mi piaceva molto. Collegai le cuffiette al cellulare, ne passai una alla mia amica e presi l’altra, feci partire la canzone e… panico.
   Guardai la mia amica, muoveva la testa a ritmo con la musica e sorrideva, ma io non sentivo niente. Non proprio niente, a dire il vero, ma non sentii ciò che mi aspettavo. Sentivo un sibilo terrificante, come se qualcosa non stesse funzionando nelle cuffiette. Ma quando mi girai a guardare la mia amica e la vidi così tranquilla, capii che il problema non era nelle cuffie. Era nella mia testa.
   Restai come paralizzata per alcuni secondi, ma poi il sibilo divenne sempre più forte e sempre più fastidioso, al punto che mi tolsi violentemente la cuffietta e mi portai una mano all’orecchio. La mia amica bloccò la canzone e si tolse la cuffietta.
   « Che succede? » domandò, allarmata, vedendo il mio viso contratto in un’espressione di dolore.
   «Niente, scusa, vado un attimo in bagno… »mentii. Ormai eravamo arrivati a ben tre episodi inspiegabili, e come i precedenti due, dubitavo che lei sentisse quel terribile sibilo.
Una volta tolta la cuffietta, il rumore non diminuì, anzi, crebbe sempre di più. Mi misi a correre in direzione del bagno, barcollando dal dolore, la mano premuta sull’orecchio, inutilmente.
   Arrivai, per miracolo, al bagno che, per mia grande fortuna, era vuoto. Mi accasciai per terra, ormai la mano premeva in un modo esagerato sul mio povero orecchio. Iniziai a urlare, a pestare i piedi, a tirare pugni ovunque, tutto per cercare di combattere il dolore. Ma quel dolore non sembrava far parte del mio corpo; qualsiasi cosa facessi non lo colpiva, continuava imperterrito e sempre più forte; era dentro la mia testa.
   Le mie urla dovevano essere diventate davvero troppo forti, perché un gruppo di studentesse e professoresse entrarono di corsa nel bagno, e quando mi videro contorcermi per terra si portarono le mani alla bocca.
   «Cos’hai? » mi chiese una delle professoresse, preoccupata.
Io la sentii a stento, la sua voce era coperta dal terribile sibilo. La guardai, gli occhi pieni di lacrime. Non credevo di riuscire a formulare alcuna frase in quella situazione.
   Due o tre persone si chinarono verso di me, aiutandomi ad alzarmi. Mi ripeterono la domanda, ma io ancora non riuscii a rispondere. Guardai negli occhi una delle professoresse rimaste sulla porta; aveva uno sguardo glaciale, forse dovuto alla sua pallida pelle e ai suoi occhi azzurri tendenti al grigio.
   Fu un attimo, lei sostenne il mio sguardo per un istante e poi se ne andò subito. Il rumore cessò all’istante.
   Fu come nascere nuovamente, riuscivo a sentire tutto perfettamente. Presi un forte respiro e tolsi la mano dal mio orecchio.
   « Scusatemi » dissi, « Avevo un forte mal d’orecchi »
Le tre professoresse al mio fianco mi guardarono incredule, incapaci di spiegarsi come mi fossi calmata tutto d’un tratto.
   « Come ti è venuto? » chiese una delle tre, in tono materno.
   «Non… Non lo so » risposi, indecisa se raccontare o meno la verità.
Loro mi guardarono perplesse, così decisi che almeno a loro potevo raccontarlo. In fondo, non sembrava una cosa poi così strana.
   « Io… Io stavo ascoltando musica. Cioè, volevo, perché al posto della canzone ho sentito… Ho sentito un sibilo, che cresceva sempre di più, così sono corsa qua, era insopportabile » spiegai.
Le professoresse erano sempre più confuse.
   « Fammi capire. Al posto della canzone è partito un sibilo? » mi chiese una delle tre, scettica.
   « N-no! La mia amica… Lei… Lei sentiva la canzone » risposi, imbarazzata.
   « Lo sentivi solo tu? » chiese sempre la stessa professoressa.
Annuii.
   « Vorrei parlare con tua madre, chiedile quando pot… »
   « COS’HO FATTO? » gridai, allarmata.
   « Niente, niente, tranquilla! Vorrei parlare con lei perché mi sembra un po’ strano, magari ti porta a fare dei controlli… »
   « NO! » risposi io. Sapevo perfettamente cos’avrebbe pensato mia madre.
   « E perché mai? » chiese.
   « Io non… Non voglio farla spaventare inutilmente » mentii.
   « Non mi sembra una cosa da prendere così alla leggera » rispose lei, a mo’ di rimprovero. « Comunque, se proprio non vuoi dirglielo tu, sarò costretta a farla chiamare dalla segreteria »
Non risposi, mi limitai a tornare in classe. Un gruppo dei miei compagni, quando mi videro, mi vennero in contro, riempiendomi di domande. Li ignorai tutti.

   Da quel momento in poi evitai di toccare cuffiette o ascoltare musica, avevo il terrore che quel suono tornasse. Avevo vissuto dei minuti strazianti, non avrei mai e poi mai voluto ripetere l’esperienza. Era diversa dalle due precedenti. Quelle mi avevano spaventato – non poco – e tutt’ora avevo le solite occhiaie, ma niente era mai stato doloroso come quel suono.
   Tornata a casa, dopo scuola, mi feci una lunga doccia; riflettei su tutto quello che stava succedendo, e una domanda venne spontanea: “Perché a me?”. Non capivo, non capivo il senso di tutto ciò, non capivo se fosse la realtà o solo il frutto della mia immaginazione, non capivo perché dovesse succedere proprio a me. Avevo fatto qualcosa di particolarmente mostruoso? No. Ero una ragazza normale, come tante altre, e allora perché dovevo sopportare tutte quelle cose?

   Avevo il terrore del momento in cui mia madre avrebbe ricevuto quella telefonata. Perché quella dannata professoressa doveva mettersi in mezzo? Credeva forse che non avrei raccontato a mia madre di ciò che era successo? Be’, in effetti un po’ aveva ragione. Come l’avrebbe presa mia madre? Probabilmente mi avrebbe detto di smetterla di fare sceneggiate, di giocare, o di cercare di mettermi in mostra.
   L’avevo sperimentato quando l’avevo chiamata per il sangue in faccia. Mi aveva detto di smetterla, di non disturbarla più. Mi chiedevo spesso perché non mi capiva, forse credeva che fossi una visionaria? O forse credeva che fossi un’egocentrica in cerca di attenzioni?
   Alcuni giorni prima, durante il pranzo, le avevo raccontato delle occhiaie. Lei mi aveva guardato a lungo, poi, così, senza preavviso, aveva iniziato a urlare. Mi disse che era già stressata di suo, che non aveva bisogno delle mie scemenze e tutto il resto. Poi si era alzata e mi aveva lasciata da sola a finire di mangiare, facendomi sprofondare nella tristezza.
   Non solo dovevo sopportare quell’aspetto terribile, in più ci si metteva anche lei, con le sue accuse.

   Il pomeriggio, mentre studiavo in salotto, sentii il telefono squillare. Il mio cuore perse qualche battito, in qualche modo sapevo che era la professoressa. Mia madre rispose dopo pochi squilli e le mie paure furono confermate.
   « Sì, pronto? Come? Lei è una professoressa della scuola di mia figlia? Sì, sono la madre, che succede? Come? Sentita male? » la sentii dire.
Ci furono alcuni minuti di silenzio, probabilmente la professoressa le stava raccontando quanto accaduto.
   « Sì, non si preoccupi, la farò controllare, sì, senz’altro. Grazie mille, professoressa, arrivederci » disse infine mia madre, riattaccando.

   « Cos’è questa storia? » mi chiese. Sembrava molto adirata.
   « Io… Io, veramente, sentivo… » tentai di spiegare.
   « Basta » rispose lei, scandendo bene ogni singola lettera. « Tu hai bisogno di una bella visita. Ma non dal dottore, no, dallo psicologo. E non guardarmi così, ne hai bisogno! » aggiunse, in seguito al mio sguardo esterrefatto.



   Camminai incerta per l’ingresso del palazzo; era tutto molto buio e sfarzoso, l’atmosfera metteva una certa inquietudine. Mi avvicinai dal portiere, e chiesi, un po’ imbarazzata, quale fosse la casa dello psicologo che aveva scelto mia madre.
   Entrai nell’ascensore, quarto piano. Camminai fino al portone dello psicologo, presi un gran respiro e suonai.
   « Salve, tu devi essere Sofia, giusto? » mi chiese lo psicologo, aprendo la porta, con un sorriso non del tutto rassicurante.
Io annuii piano, e lui mi tese la mano.
   « Piacere » disse.
   « Piacere mio » risposi, molto imbarazzata.
Non volevo che quell’uomo mi vedesse come l’ennesima pazza da analizzare. Io non ero pazza, volevo urlarlo al mondo intero! Perché dovevo sprecare il mio tempo in inutili chiacchiere, quando sapevo perfettamente di essere sana? O forse, tutto ciò che vivevo, era frutto della mia pazzia?
   « Accomodati » mi disse, indicando un lettino che aveva l’idea di essere molto comoda.
Mi ci stesi, goffamente. Iniziò col farmi delle domande stupide, come che età avessi o che scuola frequentassi. Ma poi iniziarono le domande più approfondite, riguardanti ciò che mi stava succedendo.
   Dal tono di voce intuii che voleva in qualche modo rassicurarmi, come se per paura non gli dicessi la verità. Io, d’altro canto, mi ero sbloccata e stavo raccontando la storia, fornendo numerosi particolari. Il tutto con un’espressione molto seria, che, secondo me, serviva a far capire allo psicologo che tutta la storia era vera.
   Invece, lui mi guardò con tenerezza, quasi volesse compatirmi.
   Ad ogni domanda io rispondevo tranquillamente, invece lui non diceva nulla, si limitava a prendere appunti.
   « Dimmi, cara, come ti sei sentita quando il rumore è cessato di colpo? » mi chiese lui, ad un certo punto.
Lo guardai, ero confusa. Non ero ancora arrivata a quel punto del racconto. Lui mi guardò un attimo negli occhi, e con orrore notai che aveva lo stesso sguardo della professoressa che era rimasta sulla porta. Provai a dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola nello stesso attimo in cui aprii la bocca.
   « Sì? » mi incoraggiò.
   « Io, dottore, ecco… Io non ero ancora… Ancora arrivata a quel punto. Come fa… » ma non feci in tempo a finire la frase.
Il suo sguardo divenne furioso, come quello di chi ha appena mandato a monte un piano progettato da mesi, un piano perfetto.
   « Per oggi può andare bene » disse in tono brusco, sistemando alcuni fogli sulla scrivania.
   « Ma… » dissi.
   « Ho detto BASTA COSÌ. Fuori! » mi urlò, furibondo.

Non me lo feci ripetere ulteriormente. Uscii velocemente dallo studio, scesi le scale in un baleno, correndo il più veloce possibile mi allontanai da quella casa. Ero terrorizzata. 






Ciao a tutti, finalmente riesco ad aggiornare! 
Ringrazio chi ha letto e recensito lo scorso capitolo (♥) chi ha inserito la storia tra seguite eccetera eccetera.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero che recensirete! 
Un bacio a tutti, al prossimo capitolo!

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Sofia Meow
   
 
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