Disclaimer: I personaggi di
Hetalia: Axis Powers non mi appartengono
Ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©
Forse la Vita era Più
Facile
-Te la ricordi quell’estate, Gilbert?-
-Quella dell’anno scorso? E come scordarla!- il
tedesco si mette disteso sull’erba, lo sguardo fisso al cielo. Accanto lui
Francis, il perverso amico di sempre, rimane con la schiena poggiata contro il
muro: è sempre incasaccato dentro completi di sartoria tanto pregiata che per
pagare un orlo dovresti ipotecare casa e figli. Ma se sei Francis Bonnefoy,
alias il direttore del più importante magazine di moda esistente sul globo
terracqueo, certe cose non ti toccano più di tanto.
Anche la giacca e i pantaloni neri che indossa quel
giorno, insieme a camicia bianca, mocassini e cravatta, fanno girare la testa
al povero Gilbert: altro che un occhio della testa! Direttamente entrambi, con quelli
di vetro come garanzia.
Peccato il tutto gli dia un’aria un po’ smunta,
accentuata dalla sigaretta mollemente accesa e tenuta tra le dita; un po’ di
cenere cade sulla punta delle scarpe, puntinandola di ricami grigiastri.
-Pioveva. Pioveva sempre- continua il francese, gli
occhi azzurri scuriti dal profilo dei cipressi.
-E io non avevo mai l’ombrello!- Gilbert ridacchia e
mette le mani a coppa dietro la nuca –Mi ricordo quella sera, sai? Quando stavo
ancora col damerino e tu te la facevi con quella russa mozzafiato. Siamo usciti
tranquilli tranquilli perché, dai, c’è solo qualche nuvoletta che vuoi che
piova? E allora giù a prendere quel coglione di Antonio, che sicuro si stava facendo
il bagno nella colonia!- si porta una mano alla fronte, scuotendo il capo -Ma te
lo ricordi il genio? E come gli abbiamo fatto credere che Lovino andasse matto
per l’acqua di colonia? E quella sera se n’era messa così tanta che Lovino gli
ha pure vomitato sulla maglia con la Guernica! Cristo, Fran, l’espressione di
Antonio non me la scordo più!-
Era stata una serata delirante, con il barman che li
aveva cacciati fuori perché, ah! Siete già ubriachi! aveva berciato, puntando
il dito grassoccio sulla maglia dello spagnolo. Che poi, Antonio non l’aveva
presa tanto bene, ma quando Lovino lo aveva portato a casa, tutt’altra musica.
Secondo l’opinione di Gilbert i due si erano scambiati qualche slinguazzamento
e al massimo massimo una palpatina tra le cosce, ma Carriedo il giorno dopo
aveva raccontato un porno talmente tanto spinto, che neppure lui ci credeva,
glielo si leggeva dalla faccia. Che regale idiota, ma il migliore che il
tedesco avesse mai conosciuto.
Un sorriso soffuso aleggia sul volto del
francese, mentre si porta la sigaretta alle labbra e aspira una boccata; Gilbert
aspetta che l’altro abbia soffiato via il fumo dalle narici e poi riprende con
il soliloquio non richiesto.
-Salvo lo pseudo porno di quarta categoria, non ci
ha parlato per tre giorni, lo stronzo. E non ci ha cucinato la paella! Ma ti
rendi conto? La paella! Maledetto spagnolo, giuro che se me lo trovo tra le
mani lo strozzo. Anzi, no. Prima mi faccio cucinare la paella e poi lo strozzo.
-Fran, mi è venuta voglia di birra, non è normale.
Non è che ne hai un po’?-
Francis scuote il capo e accenna un saluto ad uno
dei passanti; Gilbert non sa chi sia, ma sventola comunque la mano, giusto per
far notare alla gente la propria, sfolgorante Magnificenza: niente, il tizio fa lo gnorri. Infame.
-Senti, Fran..-
-Gilbèrt, com’è che ci siamo allontanati tanto?-
Il tedesco raddrizza la schiena e incrocia le gambe,
posando le braccia sulle ginocchia. Non ha il coraggio di guardare l’amico in
faccia, preferisce concentrarsi sul lombrico pallidiccio che si contorce tra il
fango e l’erba, si tende, si contrae, si attorciglia sugli anelli carnosi e poi
si distende di nuovo.
-E’ successo e basta- mormora e con la coda dell’occhio
intravede il movimento del francese, che si china a srotolare il corpo annodato
dell’invertebrato.
-Dicevi che saresti passato a trovarmi, una sera.
Che saresti tornato da noi, da me e Antonio, a guardare film trash e commentare
su questa e quell’attrice, a ricordarci come, al tuo confronto, eravamo tutte
delle mezzecartucce-
-Mezzeseghe-
lo corregge subito Gilbert, reclinando il capo all’indietro -Non lo so, Fran.
Non lo so, è successo. Lo ammetto, stare in quella cricca di esaltati forse non
è stata una delle mie idee migliori, ma te lo giuro, non mentivo quando dicevo
che sarei tornato da voi. Dio, avrei dato l’anima per tornare da voi, lasciarmi
alle spalle quelle cazzate e quelle porcherie, bermi una sana birra e denigrare
quel tuo Chardonnay annacquato.-
-Forse è stato il tempo. Forse la solitudine-
Francis piega la testa su una spalla, inarcando un sopracciglio –Quella che ci
portiamo dentro. Troppo grande per noi-
-Chissà-
Il tedesco fa spallucce, come se davvero nulla
avesse più importanza. È da un po’ di giorni che ha quella sensazione nello
stomaco e nel cuore, come se tutto quello che aveva passato, nel bene, ma soprattutto
nel male, fossero diventati appunti incolori appesi ad un angolo della memoria:
Francis e Antonio, i ricordi cui erano legati, erano ancora una stilla di
piacevole calore all’altezza del petto. Tutto il resto semplice pattume,
spazzatura, gomitoli nerastri di robaccia che non avrebbe più tirato fuori.
Poggia i gomiti sulle ginocchia e il mento sui
pugni, cominciando a fare pernacchie con le labbra. La saliva gli sbrodola
subito dagli angoli della bocca fino al mento, dove si raggruma in tante
bollicine bianche. Si affretta a passarci sopra il dorso della mano, perché se
Francis lo vede in quelle condizioni è la fine: gli ha risparmiato per troppo
tempo lo spettacolo ben poco Magnifico di se stesso in deliquio in qualche
angolo lercio della strada, non vuole proprio farsi sgramare ora.
-Non sembravi neanche tu, sul giornale-
-Già- Gilbert si gratta la nuca, a disagio –Di sicuro
non uno dei miei scatti migliori. Insomma, uno col profilo come il mio dovrebbe
essere fotografato a dovere! Non potevano mandare uno dei tuoi sgherri? Sai,
quelli tutti impomatati che fanno sembrare la più brutta delle racchie una
gnocca da paura? Che ti trasformano una prima in una settima di seno? Non che
io voglia il seno, figuriamoci, ho dei pettorali bellissimi, però..-
-Forse te la sei cercata, forse non sei stato forte.-
Francis si porta una mano alla fronte, il tono più roco, spezzato. Si umetta le
labbra, si morde la lingua, scuote la testa, serra le palpebre, è tanto preso da
non aver sentito una sola parola del discorso del tedesco -Che trova la cosa
anche un tantino irrispettosa, eh. Stava dicendo qualcosa di importante, che
diamine!
-Non mi importa, ma non so..-
-Ehi, Francis-
Gilbert si gira di scatto e, dal rumore di foglie
accartocciate e dallo scricchiolare della terra, sa che anche l’amico ha fatto
lo stesso. Davanti a loro l’inglesino Kirkland, alias mi faccio le extension
alle sopracciglia perché così sono più figo. E’ anche lui infagottato in giacca
e cravatta nere, ma l’effetto è all’opposto di quello di Francis: sembra un Men
In Black ridotto a fare il becchino di un qualche sperduto villaggetto della
Cornovaglia.
-Oh, te la fai con lui, ora?- il tedesco schiocca la
lingua contro il palato -Nein. Sai che c’è?- un sorrisetto –E’ troppo bello per
te-
-E’ ora-
-Ciao anche te, grazie per aver fatto caso alla mia
presenza, Kirkland- rimbrotta Gilbert, nell’osservare Francis afferrare la mano
del compagno e alzarsi. Arthur gli sistema il colletto, gli liscia le spalle e
tira un poco l’orlo della giacca, perché non faccia difetto. Il tedesco è
pronto a giurare che quel teinomane non ha mai avuto tante attenzioni con l’altro
come in quel momento.
Dovrebbe proprio fargli un discorsetto.
-Merci-
Il francese prende un respiro profondo, passa la
sigaretta ad Arthur e poi gli concede un bacio sulla fronte; Kirkland si fa da
parte, lasciandolo passare.
Gilbert schizza in piedi, caracollando dietro all’amico,
per poi fermarsi all’ingresso; un sospiro gli scende piano in gola e Francis attraversa
piano lungo la navata, facce bianche e occhi lividi che si tendono dalle panche
di legno. Vede Antonio, pallido e tirato, Lovino che tiene le dita sul dorso
della sua mano; nota Feliciano, o meglio, l’ombra di quello che dovrebbe essere
Feliciano, ma che è solo un tassello fuori posto e scoordinato con il mondo
intero. Il piccolo italiano non sembra nemmeno lui, tanti sono i singhiozzi che
frantuma tra i denti serrati, tanto stretto è il fazzoletti tra le nocche
rigide. Ludwig è accanto a lui e il tedesco non riesce proprio a capire se sia
suo fratello a consolare Feliciano o Feliciano a consolare il fratello. È difficile
dirlo, quando gli occhi di Ludwig sono più vuoti di uno specchio privo di
riflesso: non c’è più nulla, dentro di essi.
In piedi nella piccola abside, davanti al pulpito,
Roderich non muove un muscolo. Dritto come un fuso aspetta l’arrivo di Francis,
gli stringe la mano, schiude le labbra, ingoia, deglutisce, rimane in silenzio;
il francese annuisce, per poi posizionarsi dietro il libro con le formule.
Abbassa lo sguardo, si appiglia alle coste porpora del volume, le mani tremano;
ci vuole qualche secondo prima che riesca a recuperare il dono della parola.
-Se tornerai,
magari poi, noi riconquisteremo tutto- comincia, rialzando il capo.
Gilbert, nell’incrociare i suoi occhi, scatta in
avanti, si ferma, annuisce.
Sorride.
-Come tanti anni fa- mormora, insieme all’amico
Assieme ad Antonio. A Roderich. Insieme a Ludwig e
al piccolo Feliciano.
Li accompagna in silenzio, modulando a labbra
schiuse la forma di quel dolore plasmato nel lungo feretro avvolto dalle ali
della bandiera prussiana-
-Quando per noi forse la vita era più facile-
Note
Finali.
Sì. Sono una persona orribile.
La canzone è Se Tornerai, degli 883, che Max Pezzali aveva dedicato all’amico di
Cumuli, quando questi non ce l’aveva
fatta: Forse te la sei cercata, forse non
sei stato forte. Non mi importa, ma non so se eri pronto per la morte.