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Autore: LaMicheCoria    10/11/2012    3 recensioni
-Te la ricordi quell’estate, Gilbert?-
-Quella dell’anno scorso? E come scordarla!- il tedesco si mette disteso sull’erba, lo sguardo fisso al cielo. Accanto lui Francis, il perverso amico di sempre, rimane con la schiena poggiata contro il muro: è sempre incasaccato dentro completi di sartoria tanto pregiata che per pagare un orlo dovresti ipotecare casa e figli. Ma se sei Francis Bonnefoy, alias il direttore del più importante magazine di moda esistente sul globo terracqueo, certe cose non ti toccano più di tanto.
Anche la giacca e i pantaloni neri che indossa quel giorno, insieme a camicia bianca, mocassini e cravatta, fanno girare la testa al povero Gilbert: altro che un occhio della testa! Direttamente entrambi, con quelli di vetro come garanzia.

[Death!Fic] [Accenni molto accennati di PruAus - FrUssia - FrUk - SpaMano - GerIta]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi di Hetalia: Axis Powers non mi appartengono
Ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©

 

 

 

 

 

 

 

Forse la Vita era Più
Facile

 

 

 

-Te la ricordi quell’estate, Gilbert?-
-Quella dell’anno scorso? E come scordarla!- il tedesco si mette disteso sull’erba, lo sguardo fisso al cielo. Accanto lui Francis, il perverso amico di sempre, rimane con la schiena poggiata contro il muro: è sempre incasaccato dentro completi di sartoria tanto pregiata che per pagare un orlo dovresti ipotecare casa e figli. Ma se sei Francis Bonnefoy, alias il direttore del più importante magazine di moda esistente sul globo terracqueo, certe cose non ti toccano più di tanto.
Anche la giacca e i pantaloni neri che indossa quel giorno, insieme a camicia bianca, mocassini e cravatta, fanno girare la testa al povero Gilbert: altro che un occhio della testa! Direttamente entrambi, con quelli di vetro come garanzia.
Peccato il tutto gli dia un’aria un po’ smunta, accentuata dalla sigaretta mollemente accesa e tenuta tra le dita; un po’ di cenere cade sulla punta delle scarpe, puntinandola di ricami grigiastri.
-Pioveva. Pioveva sempre- continua il francese, gli occhi azzurri scuriti dal profilo dei cipressi.
-E io non avevo mai l’ombrello!- Gilbert ridacchia e mette le mani a coppa dietro la nuca –Mi ricordo quella sera, sai? Quando stavo ancora col damerino e tu te la facevi con quella russa mozzafiato. Siamo usciti tranquilli tranquilli perché, dai, c’è solo qualche nuvoletta che vuoi che piova? E allora giù a prendere quel coglione di Antonio, che sicuro si stava facendo il bagno nella colonia!- si porta una mano alla fronte, scuotendo il capo -Ma te lo ricordi il genio? E come gli abbiamo fatto credere che Lovino andasse matto per l’acqua di colonia? E quella sera se n’era messa così tanta che Lovino gli ha pure vomitato sulla maglia con la Guernica! Cristo, Fran, l’espressione di Antonio non me la scordo più!-
Era stata una serata delirante, con il barman che li aveva cacciati fuori perché, ah! Siete già ubriachi! aveva berciato, puntando il dito grassoccio sulla maglia dello spagnolo. Che poi, Antonio non l’aveva presa tanto bene, ma quando Lovino lo aveva portato a casa, tutt’altra musica. Secondo l’opinione di Gilbert i due si erano scambiati qualche slinguazzamento e al massimo massimo una palpatina tra le cosce, ma Carriedo il giorno dopo aveva raccontato un porno talmente tanto spinto, che neppure lui ci credeva, glielo si leggeva dalla faccia. Che regale idiota, ma il migliore che il tedesco avesse mai conosciuto.
Un sorriso soffuso aleggia sul volto del francese, mentre si porta la sigaretta alle labbra e aspira una boccata; Gilbert aspetta che l’altro abbia soffiato via il fumo dalle narici e poi riprende con il soliloquio non richiesto.
-Salvo lo pseudo porno di quarta categoria, non ci ha parlato per tre giorni, lo stronzo. E non ci ha cucinato la paella! Ma ti rendi conto? La paella! Maledetto spagnolo, giuro che se me lo trovo tra le mani lo strozzo. Anzi, no. Prima mi faccio cucinare la paella e poi lo strozzo.
-Fran, mi è venuta voglia di birra, non è normale. Non è che ne hai un po’?-
Francis scuote il capo e accenna un saluto ad uno dei passanti; Gilbert non sa chi sia, ma sventola comunque la mano, giusto per far notare alla gente la propria, sfolgorante Magnificenza: niente, il tizio fa lo gnorri. Infame.
-Senti, Fran..-
-Gilbèrt, com’è che ci siamo allontanati tanto?-
Il tedesco raddrizza la schiena e incrocia le gambe, posando le braccia sulle ginocchia. Non ha il coraggio di guardare l’amico in faccia, preferisce concentrarsi sul lombrico pallidiccio che si contorce tra il fango e l’erba, si tende, si contrae, si attorciglia sugli anelli carnosi e poi si distende di nuovo.
-E’ successo e basta- mormora e con la coda dell’occhio intravede il movimento del francese, che si china a srotolare il corpo annodato dell’invertebrato.
-Dicevi che saresti passato a trovarmi, una sera. Che saresti tornato da noi, da me e Antonio, a guardare film trash e commentare su questa e quell’attrice, a ricordarci come, al tuo confronto, eravamo tutte delle mezzecartucce-
-Mezzeseghe- lo corregge subito Gilbert, reclinando il capo all’indietro -Non lo so, Fran. Non lo so, è successo. Lo ammetto, stare in quella cricca di esaltati forse non è stata una delle mie idee migliori, ma te lo giuro, non mentivo quando dicevo che sarei tornato da voi. Dio, avrei dato l’anima per tornare da voi, lasciarmi alle spalle quelle cazzate e quelle porcherie, bermi una sana birra e denigrare quel tuo Chardonnay annacquato.-
-Forse è stato il tempo. Forse la solitudine- Francis piega la testa su una spalla, inarcando un sopracciglio –Quella che ci portiamo dentro. Troppo grande per noi-
-Chissà-
Il tedesco fa spallucce, come se davvero nulla avesse più importanza. È da un po’ di giorni che ha quella sensazione nello stomaco e nel cuore, come se tutto quello che aveva passato, nel bene, ma soprattutto nel male, fossero diventati appunti incolori appesi ad un angolo della memoria: Francis e Antonio, i ricordi cui erano legati, erano ancora una stilla di piacevole calore all’altezza del petto. Tutto il resto semplice pattume, spazzatura, gomitoli nerastri di robaccia che non avrebbe più tirato fuori.
Poggia i gomiti sulle ginocchia e il mento sui pugni, cominciando a fare pernacchie con le labbra. La saliva gli sbrodola subito dagli angoli della bocca fino al mento, dove si raggruma in tante bollicine bianche. Si affretta a passarci sopra il dorso della mano, perché se Francis lo vede in quelle condizioni è la fine: gli ha risparmiato per troppo tempo lo spettacolo ben poco Magnifico di se stesso in deliquio in qualche angolo lercio della strada, non vuole proprio farsi sgramare ora.
-Non sembravi neanche tu, sul giornale-
-Già- Gilbert si gratta la nuca, a disagio –Di sicuro non uno dei miei scatti migliori. Insomma, uno col profilo come il mio dovrebbe essere fotografato a dovere! Non potevano mandare uno dei tuoi sgherri? Sai, quelli tutti impomatati che fanno sembrare la più brutta delle racchie una gnocca da paura? Che ti trasformano una prima in una settima di seno? Non che io voglia il seno, figuriamoci, ho dei pettorali bellissimi, però..-
-Forse te la sei cercata, forse non sei stato forte.- Francis si porta una mano alla fronte, il tono più roco, spezzato. Si umetta le labbra, si morde la lingua, scuote la testa, serra le palpebre, è tanto preso da non aver sentito una sola parola del discorso del tedesco -Che trova la cosa anche un tantino irrispettosa, eh. Stava dicendo qualcosa di importante, che diamine!
-Non mi importa, ma non so..-
-Ehi, Francis-
Gilbert si gira di scatto e, dal rumore di foglie accartocciate e dallo scricchiolare della terra, sa che anche l’amico ha fatto lo stesso. Davanti a loro l’inglesino Kirkland, alias mi faccio le extension alle sopracciglia perché così sono più figo. E’ anche lui infagottato in giacca e cravatta nere, ma l’effetto è all’opposto di quello di Francis: sembra un Men In Black ridotto a fare il becchino di un qualche sperduto villaggetto della Cornovaglia.
-Oh, te la fai con lui, ora?- il tedesco schiocca la lingua contro il palato -Nein. Sai che c’è?- un sorrisetto –E’ troppo bello per te-
-E’ ora-
-Ciao anche te, grazie per aver fatto caso alla mia presenza, Kirkland- rimbrotta Gilbert, nell’osservare Francis afferrare la mano del compagno e alzarsi. Arthur gli sistema il colletto, gli liscia le spalle e tira un poco l’orlo della giacca, perché non faccia difetto. Il tedesco è pronto a giurare che quel teinomane non ha mai avuto tante attenzioni con l’altro come in quel momento.
Dovrebbe proprio fargli un discorsetto.
-Merci-
Il francese prende un respiro profondo, passa la sigaretta ad Arthur e poi gli concede un bacio sulla fronte; Kirkland si fa da parte, lasciandolo passare.
Gilbert schizza in piedi, caracollando dietro all’amico, per poi fermarsi all’ingresso; un sospiro gli scende piano in gola e Francis attraversa piano lungo la navata, facce bianche e occhi lividi che si tendono dalle panche di legno. Vede Antonio, pallido e tirato, Lovino che tiene le dita sul dorso della sua mano; nota Feliciano, o meglio, l’ombra di quello che dovrebbe essere Feliciano, ma che è solo un tassello fuori posto e scoordinato con il mondo intero. Il piccolo italiano non sembra nemmeno lui, tanti sono i singhiozzi che frantuma tra i denti serrati, tanto stretto è il fazzoletti tra le nocche rigide. Ludwig è accanto a lui e il tedesco non riesce proprio a capire se sia suo fratello a consolare Feliciano o Feliciano a consolare il fratello. È difficile dirlo, quando gli occhi di Ludwig sono più vuoti di uno specchio privo di riflesso: non c’è più nulla, dentro di essi.
In piedi nella piccola abside, davanti al pulpito, Roderich non muove un muscolo. Dritto come un fuso aspetta l’arrivo di Francis, gli stringe la mano, schiude le labbra, ingoia, deglutisce, rimane in silenzio; il francese annuisce, per poi posizionarsi dietro il libro con le formule. Abbassa lo sguardo, si appiglia alle coste porpora del volume, le mani tremano; ci vuole qualche secondo prima che riesca a recuperare il dono della parola.
-Se tornerai, magari poi, noi riconquisteremo tutto- comincia, rialzando il capo.
Gilbert, nell’incrociare i suoi occhi, scatta in avanti, si ferma, annuisce.
Sorride.
-Come tanti anni fa- mormora, insieme all’amico
Assieme ad Antonio. A Roderich. Insieme a Ludwig e al piccolo Feliciano.
Li accompagna in silenzio, modulando a labbra schiuse la forma di quel dolore plasmato nel lungo feretro avvolto dalle ali della bandiera prussiana-
-Quando per noi forse la vita era più facile-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Finali.

Sì. Sono una persona orribile.
La canzone è Se Tornerai, degli 883, che Max Pezzali aveva dedicato all’amico di Cumuli, quando questi non ce l’aveva fatta: Forse te la sei cercata, forse non sei stato forte. Non mi importa, ma non so se eri pronto per la morte.

   
 
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