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Autore: hikachu    10/11/2012    3 recensioni
Fa tamburellare le dita contro il tavolo, canticchiando a bocca chiusa, confuso e sul punto di arrendersi (in fin dei conti, questi non sono affari suoi) quando tutti i pezzi vanno al loro posto prima che possa trovare il modo di fermarli: Judeau capisce, e nel fare ciò le ragioni dietro la frustrazione e la gelosia di Casca si moltiplicano e si fanno più chiare davanti ai suoi occhi. [Pre-slash]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Griffith, Guts, Judeau
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mud on the tongue

 
 
 
Judeau sta raccontando una delle storie di quando era ancora con il circo (solo perché Rickert non l’avrebbe smessa di assillarlo; non è tipo da condividere ricordi senza un motivo altrimenti; gli sembrerebbe di vantarsi) quando la porta si apre scricchiolando e la luce della luna disegna, dall’esterno, linee spesse e dritte sul pavimento di pietra.
 
Tutti gli avventori nella taverna alzano lo sguardo. Griffith entra con un sorriso che sembrerebbe imbarazzato su chiunque altro. Sulle sue labbra è un misto di innocente-come-un-bambino e malizioso.
 
Ci sono all’incirca quindici Falchi seduti al lungo tavolo di legno scheggiato con Judeau; danno a Griffith appena il tempo di dire, ehi, prima di dare vita ad un moderato fracasso per accoglierlo: alcuni alzano le braccia, un pugno; altri, mezzi ubriachi, si alzano per offrirgli un saluto militare; ci sono sorrisi enormi attaccati ai loro visi e le loro guance sono rosa d’orgoglio, alcol ed entusiasmo. È da un po’ che Griffith non ha più tempo per mangiare con i suoi uomini dopotutto, pensa Judeau, sentendo il proprio cuore riscaldarsi.
 
“Ehi, ehi! Qualcuno prenda un boccale di vino per Griffith e—”
 
“Uno sgabello! Uno sgabello per Griffith!”
 
“Non preoccupatevi. Tornate alla vostra cena, ragazzi. Non preoccupatevi, davvero,” Griffith ride.
 
Poi scivola su una panca che sembra decrepita quanto il tavolo, accanto a Guts. Lo fa senza alcuno sforzo, con la stessa grazia precisa di quando monta il suo cavallo prima della battaglia.
 
Le loro spalle si toccano e i loro gomiti sbattono l’uno contro l’altro quando muovono gli avambracci sul tavolo: la panca è fatta per accomodare due persone, ma Guts è enorme – secondo solo a Pippin in tutta la banda – e tutti sanno che per quanto il contatto fisico non lo renda più irritabile come un tempo, ancora non gradisce avere gente incollata al suo fianco senza un motivo particolare.
 
A Griffith, tuttavia, non sembra importante e, in qualche modo, nemmeno a Guts.
 
“Allora, com’è andata con la principessa? Vi siete presi un tè con le sue bambole stavolta?”
 
“Per tua informazione, scortare la principessa all’allestimento della sua opera teatrale preferita è in realtà un compito importante ed onorevole,” gli occhi di Griffith sono fissi sulle sue mani, dita distese elegantemente sul tavolo e schiena dritta—il ritratto perfetto di un nobiluomo altezzoso. Fino a che non gli tremano le labbra, perlomeno, e all’inizio prova anche a resistere, ma poi le spalle prendono a tremargli per le risate represse e lui si arrende.
 
Guts lo osserva con un ghigno malizioso che sembra allargarsi istante dopo istante. Judeau ricorda una Casca esasperata che ha dovuto impedire a Guts di presentarsi durante uno dei banchetti del re solo per chiedere a Griffith se gli fosse andato di allenarsi perché sono passati giorni dall’ultima volta e a chi frega di ‘sti vecchiacci poi diverse volte nella scorsa settimana. Griffith è mancato anche a lui.
 
“Ehi amico, calmati ora,” Guts ridacchia, quasi. “Di questo passo ti strozz—Ohi, aspetta, quel vino è mio!”
 
Ed infatti lo è. L’ha pagato assieme ad un piatto di patate e agnello arrosto con il denaro che ha guadagnato con l’ultima campagna.
 
Ma, ancora una volta, a Griffith non sembra importare.
 
“Perdonami, ma avevo giusto bisogno di qualcosa da bere per trattenermi dallo, beh, strozzarmi.”
 
“Per dio, la pianti di parlare come un pomposo—”
 
“Okay, okay,” Griffith ride di nuovo, ma questa volta è breve e sommesso. “Il prossimo giro lo offro io, va bene?”
 
Guts annuisce e decide di svuotare il boccale di quel che resta (giusto per, ovviamente) mentre aspetta che ne arrivi altro.
 
I tratti del suo viso vanno dal seccato al divertito e viceversa mentre Griffith gli racconta stupide storie di stupidi nobili e i loro stupidi ghiribizzi.
 
Judeau lo vede fissare Griffith da sopra il bordo ammaccato del boccale quando Griffith si fa silenzioso di tanto in tanto, forse per riflettere su qualcosa o per decidere quale storia raccontare dopo. Forse. Entrambi sembrano stranamente seri in quei momenti, dopotutto.
 
Ad un certo punto Guts distoglie gli occhi, mormora qualcosa che fa alzare lo sguardo a Griffith, gli fa sbattere le palpebre e lo fa ridere, forte, molto forte e senza ritegno, con naturalezza. È così inaspettato, così diverso dall’uomo che resta calmo e composto anche quando ride per gli scherzi di uno dei suoi uomini attorno al fuoco.
 
Judeau non sapeva affatto che Griffith potesse ridere così. Si domanda se si tratti di qualche scherzo privato che non può capire, perché Griffith non ha mai riso in questo modo davanti a nessun altro, mai a causa di nessun altro.
 
Il riso gli lascia le guance un po’ arrossate. Anche Guts sembra accorgersene e il suo sorriso si ammorbidisce. Griffith parla poi, gli dà una pacca sulla spalla e Guts si gratta la nuca impacciato, come se non fosse più sicuro di cosa farsene, delle proprie mani. È come se stessero metaforicamente danzando l’uno attorno all’altro senza alcun motivo apparente, senza nemmeno esserne consci.
 
Non stanno discutendo nulla che sia importante o serio o divertente o lontanamente affettuoso (“Che significa, un altro appuntamento colla sarta? Ho più vestiti ora che in tutta la mia vita!” “… Anche io. Ma non è questo il punto.”) eppure c’è questa atmosfera intorno a loro, che si taglia col coltello ed è in qualche modo misteriosa. Guts, che segue solo i propri istinti e a cui non potrebbe importare meno di gloria, titoli nobiliari, buone maniere, feste, del re e di tutto il regno, ascolta Griffith come un cane addomesticato (“Ne avrai bisogno per il banchetto la prossima settimana: ho bisogno che tu, Casca e gli altri veniate con me, questa volta.” “Ah beh, se è così allora…”). E poi c’è Griffith, con le guance leggermente arrossate e quella risata che Judeau non ha mai sentito prima.
 
Fa tamburellare le dita contro il tavolo, canticchiando a bocca chiusa, confuso e sul punto di arrendersi (in fin dei conti, questi non sono affari suoi) quando tutti i pezzi vanno al loro posto prima che possa trovare il modo di fermarli: Judeau capisce, e nel fare ciò le ragioni dietro la frustrazione e la gelosia di Casca si moltiplicano e si fanno più chiare davanti ai suoi occhi.
 
È quasi l’alba quando lascia la taverna, la mente un groviglio tra alcol e infiniti chiacchiericci di sottofondo, chiedendosi dove questa cosa porterà tutti loro.
   
 
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