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Autore: Morwen    27/06/2004    3 recensioni
Un altro modo di vedere il dolore di Remus dopo OotP... Grazie infinite a tutti quelli che hanno recensito le altre mie FF: siete stati carinissimi! Baci a tutti
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Una stanza chiusa

Una stanza chiusa

 

Una stanza chiusa… riccamente arredata… porta e finestra serrate… tanta polvere in giro ad attutire ogni respiro… una fioca luce filtra tra le persiane… una quieta penombra ammorbidisce il caldo della tarda estate.

L’alba si avvicina.

Un uomo siede su una poltrona rossa… bianche le nocche delle sue mani che stringono i braccioli… la barba lunga… i capelli arruffati gli cadono scomposti sul viso… gli occhi chiusi… la testa all’indietro appoggiata al muro.

Da quanto tempo è lì?

Apre gli occhi… lo sguardo fisso davanti a sé.

“Guardo il tuo letto vuoto”

Rimane immobile per un tempo interminabile.

Si alza… va verso il letto e si siede.

“Accarezzo il segno del tuo corpo sul materasso”

Si distende.

“Respiro il tuo odore tra le lenzuola”

Si mette a ridere fissando il soffitto.

È pazzo?

Si alza…

“Mi aggiro per la tua stanza con la nostalgia di te che mi attanaglia l’anima”

Ogni suo passo trasuda indolenza.

Si ferma davanti ad un piccolo scrittoio… su di esso un calamaio, una penna grigia, un pugnale al posto del tagliacarte, dei libri con la copertina colorata… uno blu e uno rosso.

Li accarezza.

“Resisto a stento al desiderio crescente di spaccare tutto quello che c’è qui dentro. Cancellare ogni traccia del tuo passaggio. Fra queste quattro pareti dove ho ascoltato con te il coro degli angeli”

Prende il libro blu… torna a sedersi sulla poltrona rossa.

È un ghigno quello che si legge sul suo volto?

“Ridurre tutto in piccoli frammenti, schegge di vetro, così simili alla densa poltiglia di rabbia che pulsa nelle mie vene al posto del sangue”

Tace… e il silenzio è irrespirabile.

“Non resisto più”

Apre il libro… strappa la prima pagina… la strappa in due parti… poi strappa ancora… e continua… e continua… e ancora pagina dopo pagina… ai suoi piedi una distesa di petali…

Falsa primavera nell’autunno imminente.

Si alza.

“Lo senti questo rumore?”

Alza la voce.

“È il mio cuore. Batte tanto forte da schiantarmi le costole. Batte così forte che non sarei sorpreso se tu lo sentissi anche nell’Ade dove sei sprofondato”

Grida.

Le sue urla echeggiano per tutta la casa.

“Ti odio”

Prende il libro rosso e lo straccia come il primo.

“Avevo già visto questo copione. Ha recitato la tua parte con la maestria del più consumato tra gli attori. Come è sempre stato ogni tuo gesto. Ammaliante e irresistibile. Mi hai promesso amore eterno e mi hai abbandonato un’altra volta”

La sua voce si fa fredda e dura.

“Sempre per quella tua solita, maledetta, incoscienza”

Il secondo libro, dalle pagine immacolate, raggiunge il primo.

Ai suoi piedi la neve dell’inverno che si avvicina.

Riappoggia la testa al muro… chiude di nuovo gli occhi… le mani tornano a stringere i braccioli.

Quanto tempo passerà questa volta?

Il mattino diventa meriggio… il sole splende alto nel cielo, ma lui non può vederlo… sbarra gli occhi.

“Ma ti sei mai fermato a pensare? A me hai mai pensato? Sei come il tuo figlioccio, con la vostra ‘mania di fare l’eroe’… tanto chi se ne frega se qualcuno si lacera l’anima mentre voi vi innalzate sul piedistallo del più nobile e coraggioso e altruista…

Altruista un cazzo! Maledizione!”

S’impenna la sua voce… con un gesto veloce e improvviso colpisce una cornice… cade a terra e s’infrange.

La foto strappata si unisce ai relitti dei due libri.

Piccoli fiori sul gelido manto di improbabile neve.

“Mi fidavo di te come mai nemmeno della mia ombra. Avevo solo te perché nei tuoi occhi non leggevo pietà… quella miserevole pietà che troppi ostentano quando mi vedono, quando mi parlano…’Povero Remus! Che triste condizione essere un Lupo Mannaro… Dev’essere così difficile…’ Quella pietà che fa mille volte più male dell’orrore e del disgusto che la loro ipocrisia nasconde”

Si alza di scatto… afferra un vaso… forse c’erano dei fiori un tempo… lo schianta sulla parete opposta… una pioggia di cristallo cade a terra… un altro fa la stessa fine… le tante foto appese alle pareti nelle loro belle cornici colorate si mettono a gridare per la paura… egli ci si avventa e le distrugge tutte.

Il pavimento coperto di vetri infranti è una lastra di ghiaccio.

È pazzo quest’uomo?

No, è il suo cuore che sanguina.

Si ferma di nuovo… torna alla sua poltrona… gli occhi chiusi… le mani sui braccioli… la testa appoggiata al muro.

Era meriggio e divenne sera.

“Nel tuo sguardo non c’era nemmeno la paura di me. Ma questo non conta”

La sua voce è calma.

Così calma e remota da far tremare i polsi anche al più indifferente tra gli uomini.

“Quei due diamanti che avevi incastonati al posto degli occhi non l’hanno mai vista la paura. Non l’hai mai conosciuta, egoista incosciente! Tanto cosa ti importava? Avevano ragione alla Gazzetta del Profeta ad avvertire tutti che eri un pericoloso, pazzo terrorista. Peccato che non abbiano specificato che lo eri solo per chi ti voleva bene… magari avrei potuto stare in guardia”

Stringe più forte i braccioli… la voce comincia a tremare.

“Mi ricordo ancora come fosse ieri le tue parole di quella sera d’estate di un anno fa, quando il mondo era ancora bello. – Personalmente avrei accolto con gioia un attacco di Dissennatori. Una lotta mortale per la mia anima avrebbe rotto piacevolmente la monotonia.* – hai detto ad Harry. Ti avrei preso a ceffoni. Ma ti ascoltavi mentre parlavi? Si può sapere come hai potuto dire una cosa del genere? Erano già trascorsi due anni da quando eri rientrato nella mia vita ed io tremavo ancora di gioia come il primo momento. Pensavo che non ti avrei perso mai più. Volevo solo i tuoi baci fino al momento in cui anche l’eternità avesse esaurito il suo tempo. E tu di cosa parlavi? Del bacio dei Dissennatori. Come se fosse divertente! Idiota irresponsabile!”

Scatta… si avventa sullo scrittoio… con un calcio lo rovescia… si accanisce… riesce a romperlo… afferra il pugnale e si scaglia sul letto… un colpo dietro l’altro… finché non rimangono che brandelli.

Morbida lana esce dal materasso.

Si ferma… si volta… i suoi occhi incontrano loro stessi nello specchio… lo manda in frantumi con un pugno… la sua mano sanguina.

Ride sguaiato e indecente.

Bussano alla porta… devono averlo sentito.

Ma la casa non era vuota?

È tardi… saranno rientrati per la cena… una voce di donna chiede se va tutto bene.

Bene… se potesse entrare non farebbe una domanda così sciocca.

La risata si è spenta… al suo posto un sorriso malizioso… l’uomo sussurra qualcosa… agita la bacchetta… a terra compare una scure… la impugna.

Cosa vuol fare?

Si lancia contro l’armadio, la libreria, il letto… la donna chiama aiuto… gridano fuori dalla porta… chiedono che succede… chiedono di entrare.

Ma il silenzio della sua furia è più forte di qualunque altro rumore e non sente nient’altro… e va avanti… finché non rimane niente se non la sua poltrona.

Un mare di legno e schegge si estende ai suoi piedi.

Batuffoli di lana sono la sua schiuma.

Si accascia a terra… le gambe al petto… le braccia intorno alle ginocchia… lo sguardo fisso su quella poltrona.

Nei suoi occhi l’immagine lontana di un uomo dai lunghi capelli neri, seduto, che gli sorride e gli tende le braccia.

La sua voce vibra di nuovo nell’aria.

“Ora sei morto e quel bacio l’ho ricevuto io. Ma non da loro. Da te. Tutti intorno a me sembrano preoccuparsi. E io sono stufo delle loro pacche sulle spalle. Dei loro occhi compassionevoli. Malocchio, con il suo solito tatto, mi ha ricordato giusto ieri sera che oggi sono tre mesi esatti da quando sei morto ed è l’ora che io mi dia una scrollata. Beh, guardandomi intorno direi che ho seguito il suo consiglio. Dicono che devo svegliarmi dal torpore in cui sono caduto, che devo scuotermi, reagire, che non posso continuare a piangerti all’infinito… piangere. Magari potessi farlo. In tutto questo tempo non sono riuscito a versare una lacrima, e solo il cielo sa quanto avrei voluto, amore mio”

Si prende la testa fra le mani… sembra vuoto… lo sguardo a terra… la furia si è spenta… e anche la vita… sembra.

Un orologio batte la mezzanotte… l’ora delle streghe?

Fuori lo supplicano ancora di aprire la porta… la donna piange… non c’è niente che lo scuote.

“Un’altra notte senza di te. Non so se potrò sopravviverle. A volte mi illudo ancora di vederti intorno a me. Di vedere ancora il tuo sorriso, i tuoi gesti eleganti, la tua figura possente. Sapessi quanto mi manchi… Sarà meglio che esca, prima che buttino giù la porta”

Si alza piano… con dolorosa lentezza… si avvicina alla porta… la sblocca dall’incantesimo… esce e la sigilla di nuovo.

Che direbbero se potessero vedere come l’ha ridotta?

La donna gli si getta al collo… singhiozzante… lui la abbraccia, ma a guardarlo bene non  si accorge nemmeno di lei… farfuglia una giustificazione… si sono preoccupati inutilmente… era solo un esperimento… scende con loro in cucina.

È tutto normale?

Certo la sua maschera lo è.

Passano le ore… che fine ha fatto?... non torna più da noi che lo aspettiamo?

Ci ha forse traditi, noi fedeli spettatori della sua follia?

Impossibile. L’eroe non manca mai quando Moira lo chiama a sé.

Eccolo… siamo pronti ad accoglierlo?

Rientra nella sua stanza.

La porta che si apre cigola il suo “Bentornato!”… la risacca del suo mare di legno e schegge scricchiola sotto i suoi passi ed è un tripudio di strida festose.

Torna al suo trono del colore del sangue e di nuovo si siede.

Accarezza languido i braccioli… vi serra le lunghe e forti dita… bianche le nocche delle sue mani… china la testa all’indietro… la appoggia al muro… chiude gli occhi… gesti antichi del suo dolore… questa volta è diverso.

La maschera si è rotta.

Schiude appena la bocca… si morde piano le labbra… una lacrima scivola sulla sua guancia…

Sarà questa l’imago della sua sepoltura?

 

 

 

 

 

 

 

*J. K: Rowling, 2003 p. 88, trad. it.

  
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