Una stanza chiusa
Una stanza chiusa…
riccamente arredata… porta e finestra serrate… tanta polvere in giro ad
attutire ogni respiro… una fioca luce filtra tra le persiane… una quieta
penombra ammorbidisce il caldo della tarda estate.
L’alba si avvicina.
Un uomo siede su una
poltrona rossa… bianche le nocche delle sue mani che stringono i braccioli… la
barba lunga… i capelli arruffati gli cadono scomposti sul viso… gli occhi
chiusi… la testa all’indietro appoggiata al muro.
Da quanto tempo è
lì?
Apre gli occhi… lo
sguardo fisso davanti a sé.
“Guardo
il tuo letto vuoto”
Rimane immobile per
un tempo interminabile.
Si alza… va verso il
letto e si siede.
“Accarezzo
il segno del tuo corpo sul materasso”
Si distende.
“Respiro
il tuo odore tra le lenzuola”
Si mette a ridere
fissando il soffitto.
È pazzo?
Si alza…
“Mi
aggiro per la tua stanza con la nostalgia di te che mi attanaglia l’anima”
Ogni suo passo
trasuda indolenza.
Si ferma davanti ad
un piccolo scrittoio… su di esso un calamaio, una penna grigia, un pugnale al
posto del tagliacarte, dei libri con la copertina colorata… uno blu e uno
rosso.
Li accarezza.
“Resisto a stento al desiderio crescente di
spaccare tutto quello che c’è qui dentro. Cancellare ogni traccia del tuo
passaggio. Fra queste quattro pareti dove ho ascoltato con te il coro degli
angeli”
Prende il libro blu…
torna a sedersi sulla poltrona rossa.
È un ghigno quello
che si legge sul suo volto?
“Ridurre tutto in piccoli frammenti,
schegge di vetro, così simili alla densa poltiglia di rabbia che pulsa nelle
mie vene al posto del sangue”
Tace… e il silenzio
è irrespirabile.
“Non resisto più”
Apre il libro…
strappa la prima pagina… la strappa in due parti… poi strappa ancora… e
continua… e continua… e ancora pagina dopo pagina… ai suoi piedi una distesa di
petali…
Falsa primavera
nell’autunno imminente.
Si alza.
“Lo senti questo rumore?”
Alza la voce.
“È il mio cuore. Batte tanto forte da
schiantarmi le costole. Batte così forte che non sarei sorpreso se tu lo
sentissi anche nell’Ade dove sei sprofondato”
Grida.
Le sue urla
echeggiano per tutta la casa.
“Ti odio”
Prende il libro
rosso e lo straccia come il primo.
“Avevo già visto questo copione. Ha
recitato la tua parte con la maestria del più consumato tra gli attori. Come è
sempre stato ogni tuo gesto. Ammaliante e irresistibile. Mi hai promesso amore eterno
e mi hai abbandonato un’altra volta”
La sua voce si fa
fredda e dura.
“Sempre per quella tua solita, maledetta,
incoscienza”
Il secondo libro,
dalle pagine immacolate, raggiunge il primo.
Ai suoi piedi la
neve dell’inverno che si avvicina.
Riappoggia la testa
al muro… chiude di nuovo gli occhi… le mani tornano a stringere i braccioli.
Quanto tempo passerà
questa volta?
Il mattino diventa
meriggio… il sole splende alto nel cielo, ma lui non può vederlo… sbarra gli
occhi.
“Ma ti sei mai fermato a pensare? A me hai
mai pensato? Sei come il tuo figlioccio, con la vostra ‘mania di fare l’eroe’…
tanto chi se ne frega se qualcuno si lacera l’anima mentre voi vi innalzate sul
piedistallo del più nobile e coraggioso e altruista…
Altruista un cazzo!
Maledizione!”
S’impenna la sua
voce… con un gesto veloce e improvviso colpisce una cornice… cade a terra e
s’infrange.
La foto strappata si
unisce ai relitti dei due libri.
Piccoli fiori sul
gelido manto di improbabile neve.
“Mi fidavo di te come mai nemmeno della mia
ombra. Avevo solo te perché nei tuoi occhi non leggevo pietà… quella miserevole
pietà che troppi ostentano quando mi vedono, quando mi parlano…’Povero Remus! Che triste condizione essere un Lupo Mannaro… Dev’essere così difficile…’ Quella pietà che fa mille volte
più male dell’orrore e del disgusto che la loro ipocrisia nasconde”
Si alza di scatto…
afferra un vaso… forse c’erano dei fiori un tempo… lo schianta sulla parete
opposta… una pioggia di cristallo cade a terra… un altro fa la stessa fine… le
tante foto appese alle pareti nelle loro belle cornici colorate si mettono a
gridare per la paura… egli ci si avventa e le distrugge tutte.
Il pavimento coperto
di vetri infranti è una lastra di ghiaccio.
È pazzo quest’uomo?
No, è il suo cuore
che sanguina.
Si ferma di nuovo…
torna alla sua poltrona… gli occhi chiusi… le mani sui braccioli… la testa
appoggiata al muro.
Era meriggio e
divenne sera.
“Nel tuo sguardo non c’era nemmeno la paura
di me. Ma questo non conta”
La sua voce è calma.
Così calma e remota
da far tremare i polsi anche al più indifferente tra gli uomini.
“Quei due diamanti che avevi incastonati al
posto degli occhi non l’hanno mai vista la paura. Non l’hai mai conosciuta,
egoista incosciente! Tanto cosa ti importava? Avevano ragione alla Gazzetta del
Profeta ad avvertire tutti che eri un pericoloso, pazzo terrorista. Peccato che
non abbiano specificato che lo eri solo per chi ti voleva bene… magari avrei
potuto stare in guardia”
Stringe più forte i
braccioli… la voce comincia a tremare.
“Mi ricordo ancora come fosse ieri le tue
parole di quella sera d’estate di un anno fa, quando il mondo era ancora bello.
– Personalmente avrei accolto con gioia un attacco di Dissennatori. Una lotta
mortale per la mia anima avrebbe rotto piacevolmente la monotonia.* – hai detto ad Harry. Ti avrei preso a ceffoni.
Ma ti ascoltavi mentre parlavi? Si può sapere come hai potuto dire una cosa del
genere? Erano già trascorsi due anni da quando eri rientrato nella mia vita ed
io tremavo ancora di gioia come il primo momento. Pensavo che non ti avrei
perso mai più. Volevo solo i tuoi baci fino al momento in cui anche l’eternità
avesse esaurito il suo tempo. E tu di cosa parlavi? Del bacio dei Dissennatori.
Come se fosse divertente! Idiota irresponsabile!”
Scatta… si avventa
sullo scrittoio… con un calcio lo rovescia… si accanisce… riesce a romperlo…
afferra il pugnale e si scaglia sul letto… un colpo dietro l’altro… finché non
rimangono che brandelli.
Morbida lana esce
dal materasso.
Si ferma… si volta…
i suoi occhi incontrano loro stessi nello specchio… lo manda in frantumi con un
pugno… la sua mano sanguina.
Ride sguaiato e
indecente.
Bussano alla porta…
devono averlo sentito.
Ma la casa non era
vuota?
È tardi… saranno
rientrati per la cena… una voce di donna chiede se va tutto bene.
Bene… se potesse
entrare non farebbe una domanda così sciocca.
La risata si è
spenta… al suo posto un sorriso malizioso… l’uomo sussurra qualcosa… agita la
bacchetta… a terra compare una scure… la impugna.
Cosa vuol fare?
Si lancia contro
l’armadio, la libreria, il letto… la donna chiama aiuto… gridano fuori dalla
porta… chiedono che succede… chiedono di entrare.
Ma il silenzio della
sua furia è più forte di qualunque altro rumore e non sente nient’altro… e va
avanti… finché non rimane niente se non la sua poltrona.
Un mare di legno e
schegge si estende ai suoi piedi.
Batuffoli di lana
sono la sua schiuma.
Si accascia a terra…
le gambe al petto… le braccia intorno alle ginocchia… lo sguardo fisso su
quella poltrona.
Nei suoi occhi
l’immagine lontana di un uomo dai lunghi capelli neri, seduto, che gli sorride
e gli tende le braccia.
La sua voce vibra di
nuovo nell’aria.
“Ora sei morto e quel bacio l’ho ricevuto
io. Ma non da loro. Da te. Tutti intorno a me sembrano preoccuparsi. E io sono
stufo delle loro pacche sulle spalle. Dei loro occhi compassionevoli.
Malocchio, con il suo solito tatto, mi ha ricordato giusto ieri sera che oggi
sono tre mesi esatti da quando sei morto ed è l’ora che io mi dia una
scrollata. Beh, guardandomi intorno direi che ho seguito il suo consiglio.
Dicono che devo svegliarmi dal torpore in cui sono caduto, che devo scuotermi,
reagire, che non posso continuare a piangerti all’infinito… piangere. Magari
potessi farlo. In tutto questo tempo non sono riuscito a versare una lacrima, e
solo il cielo sa quanto avrei voluto, amore mio”
Si prende la testa
fra le mani… sembra vuoto… lo sguardo a terra… la furia si è spenta… e anche la
vita… sembra.
Un orologio batte la
mezzanotte… l’ora delle streghe?
Fuori lo supplicano
ancora di aprire la porta… la donna piange… non c’è niente che lo scuote.
“Un’altra notte senza di te. Non so se
potrò sopravviverle. A volte mi illudo ancora di vederti intorno a me. Di
vedere ancora il tuo sorriso, i tuoi gesti eleganti, la tua figura possente.
Sapessi quanto mi manchi… Sarà meglio che esca, prima che buttino giù la porta”
Si alza piano… con
dolorosa lentezza… si avvicina alla porta… la sblocca dall’incantesimo… esce e
la sigilla di nuovo.
Che direbbero se
potessero vedere come l’ha ridotta?
La donna gli si
getta al collo… singhiozzante… lui la abbraccia, ma a guardarlo bene non si accorge nemmeno di lei… farfuglia una
giustificazione… si sono preoccupati inutilmente… era solo un esperimento…
scende con loro in cucina.
È tutto normale?
Certo la sua maschera
lo è.
Passano le ore… che
fine ha fatto?... non torna più da noi che lo aspettiamo?
Ci ha forse traditi,
noi fedeli spettatori della sua follia?
Impossibile. L’eroe
non manca mai quando Moira lo chiama a sé.
Eccolo… siamo pronti
ad accoglierlo?
Rientra nella sua
stanza.
La porta che si apre
cigola il suo “Bentornato!”… la risacca del suo mare di legno e schegge scricchiola
sotto i suoi passi ed è un tripudio di strida festose.
Torna al suo trono
del colore del sangue e di nuovo si siede.
Accarezza languido i
braccioli… vi serra le lunghe e forti dita… bianche le nocche delle sue mani… china
la testa all’indietro… la appoggia al muro… chiude gli occhi… gesti antichi del
suo dolore… questa volta è diverso.
La maschera si è
rotta.
Schiude appena la
bocca… si morde piano le labbra… una lacrima scivola sulla sua guancia…
Sarà questa l’imago
della sua sepoltura?
*J. K: Rowling,
2003 p. 88, trad. it.